
Entrammo. Un’unica enorme sala,
silenziosa e vuota, dove la superficie del pavimento era
come una pista da pattinaggio abbandonata.
Tutte le porte chiuse. L’aria grigia.
Scrive Tomas Tranströmer
nel risvolto di copertina del libro di esordio 17 poesie (1954):
«Le mie poesie sono luoghi di incontro. Vogliono stabilire un legame inatteso tra parti della realtà che le lingue e i modi di vedere convenzionali sono soliti mantenere separate. Piccoli e grandi dettagli del paesaggio si incontrano, cultura e uomini differenti confluiscono in un’opera artistica, la natura incontra l’industria e così via. Ciò che ha lì’apparenza di un confronto svela un legame. Le lingue e i modi di vedere convenzionali sono necessari quando si tratta di relazionarsi col mondo, di raggiungere scopi limitati e concreti. Ma nei momenti più importanti della vita abbiamo spesso sperimentato che non funzionano. Se riescono a dominarci completamente si va verso la mancanza di contatto e la rovina. Considero la poesia, tra l’altro, come una contro tendenza nei confronti di questo processo. Le poesie sono meditazioni attive che non vogliono addormentare ma ridestare».
Così chiosa Gianna Chiesa Isnardi
«Per corrispondere a questo intento occorrerà dunque un approccio completamente diverso, una diversa capacità di osservare il mondo. Non si dovrà partire dunque tanto da tecniche e strategie comunicative, quanto, piuttosto, da stimoli esterni – trascurati dalle strutture convenzionali e spesso all’apparenza incoerenti – che siano capaci di destare impulsi interiori: frammenti che infondano una ispirazione. Un atteggiamento di sostanziale passività, di ascolto e ricezione cui solo in un momento successivo seguirà l’elaborazione poetica nella quale coscienza, capacità analitica e intelletto saranno chiamati a operare. La difficoltà (il lavoro segreto del poeta) consiste in questo: far emergere questi frammenti, rivestirli di immagine, di suono, di ritmo, in una parola di poesia. Il che significa anche, forse soprattutto, creare un insieme senza falsificare ciò che in questi frammenti portatori di ispirazione vi era di originario o di poco chiaro… Il testo poetico si pone dunque come luogo d’incontro in cui si congiungono sul piano dell’accostamento orizzontale e su quello dell’intersecazione verticale da un lato le immagini e dall’altro tutto ciò che esse simboleggiano o evocano.
La poesia dunque piuttosto che un centro statico in cui gli elementi convergono verso una definitiva collocazione, è un luogo dinamico nel quale essi possono, nella loro intrinseca fragilità e mutevolezza, manifestarsi e interagire per esprimere intuizioni, visioni, illuminazioni, squarci di verità ma anche, ma anche e contemporaneamente, riflessioni sempre nuove, incertezze, ambiguità e non da ultimo, dubbi. Nella poesia di Tranströmer l’uomo sta al centro di un mondo nel quale non è più capace di orientarsi e con il quale ha perso il contatto… Una poesia dunque ‘aperta’, un’arte che si sforza di indagare l’ininterrotto fluire della vita…
Estrema semplicità significa in Tranströmer estrema concisione. la prima impressione che scaturisce dalla lettura dei testi di questo autore è infatti quella di un perfetto nitore delle figure poetiche proposte cui fanno da immediato contrappunto le riflessioni che ne scaturiscono. Pressoché totale è l’assenza di elementi non direttamente aderenti all’immagine e alla sensazione evocata e la concentrazione – che egli stesso ha definito come essenza del parlare poetico – è massima. precisione nelle scelte lessicali e strutturali, prevalenza delle frasi affermative e della struttura lineare, relativa povertà verbale, laconicità, ricorso in misura minima agli elementi connettivi del discorso, frasi talora apparentemente frammentarie, costruzioni ellittiche, uso misurato della ripetizione con l’unico scopo di ricondurre l’attenzione del lettore al punto focale della riflessione poetica, attrazione reciproca fra elementi contrastanti, ossimori, associazione (seppure non immediatamente percepibile) di immagini e conseguentemente di idee, forza espressiva della parola portata all’estremo: un’arte della concisione che risle, almeno in parte, a grandi modelli del ‘900 come, soprattutto, Ezra Pound, T.S. Eliot o il grande Harry Martinson.»*
Si tratta di un documento assai importante perché ci rivela una concezione della poesia molto distante da quello in auge negli anni cinquanta in Italia. Ancora oggi queste parole del poeta svedese suonano come un invito a cambiare la prospettiva dalla quale consideriamo il linguaggio e il mondo. È da queste semplici osservazioni di Tranströmer che nasce la nuova sensibilità che condurrà alla nuova poesia della nuova ontologia estetica.
Ancora Tranströmer
«…la musicalità delle parole nel senso che uno sperimenta con vocali e consonanti in un certo modo, non è mai stata una attrattiva particolare per me». Tuttavia, nella stessa occasione, parlando del proprio desiderio giovanile di divenire compositore, rivela: «… ma poi ci sono sempre taluni impulsi musicali, che mi arrivano e a volte ciò succede in relazione a una poesia, così c’è come una sorta di ombra della poesia che si fa avanti sotto forma di esperienza musicale. Il che io non registro ma resta là in qualche modo nella coscienza». Inoltre, il poeta svedese precisa che la musica è da lui considerata comunicare direttamente e ispirare in modo straordinario.
In un’altra occasione, dice: «Io sono stato influenzato dal linguaggio della musica, il linguaggio della forma, è difficile dire in quale modo». Qualche tempo dopo, a chi gli domandava se sentisse le limitazioni imposte dalla lingua, il poeta rispondeva così:
«Le sento in modo straordinariamente forte – e forse la mia poesia è una sorta di compensazione per ciò che in realtà andrebbe espresso in musica. «La musica mi dà sempre forti emozioni. Senza musica non posso vivere. Tuttavia io non credo che si possano trasporre automaticamente le forme della musica nella lirica… Spesso forse c’è una sorta di orchestrazione nelle mie poesie. La musica ha questo in comune con la poesia, che è uno spazio di tempo, con un inizio e una fine, a differenza delle arti figurative.»
La musica. E io resto prigioniero
nel suo arazzo
*
La musica è una casa di vetro sul pendio
in cui le pietre volano
*
Entrammo. Un’unica enorme sala,
silenziosa e vuota, dove la superficie del pavimento era
come una pista da pattinaggio abbandonata.
Tutte le porte chiuse. L’aria grigia.
* Gianna Chiesa Isnardi, Sorgegondolen, Herrenhaus, 2003, p 58 e segg.ti
La Lugubre gondola, composizione per violino e pianoforte. In visita a Venezia presso la figlia Cosima e il marito di lei, Richard Wagner, nell’inverno 1882-1883, List si era ispirato al passaggio di gondole funebri dirette al cimitero, e aveva tentato d di riprodurre in musica l’impressione che ne aveva ricevuta. Trauergondel fu, secondo una dichiarazione dello stesso autore, una sorta di composizione profetica in quanto qualche tempo dopo (il 13 febbraio del 1883) Wagner moriva.
Tomas Tranströmer
da La lugubre gondola (1996)
I
Due vecchi, suocero e genero, Liszt e Wagner, abitano sul Canal Grande
insieme alla donna irrequieta che è sposata con il re Mida
quello che trasforma tutto ciò che tocca in Wagner.
Il verde freddo del mare penetra attraverso i pavimenti nel palazzo.
Wagner è segnato, il celebre profilo da maschera1) è più stanco di prima
il volto una bandiera bianca.
La gondola è gravata dal peso delle loro vite, due biglietti di andata e ritorno
e uno di andata.
II
Una finestra del palazzo si spalanca e si fanno smorfie alla corrente improvvisa.
Fuori sull’acqua compare la gondola dell’immondizia spinta da due banditi con un solo remo.2)
Liszt ha buttato giù alcuni accordi, così pesanti3) che dovrebbero essere mandati
all’istituto mineralogico di Padova per l’analisi.
Meteoriti!
Troppo pesanti per trovar quiete, possono solo sprofondare sempre di più
dentro il futuro giù
fino agli anni delle
camicie brune.4)
La gondola è gravata dal peso delle pietre del futuro rannicchiate.
Sguardi sul 1990 5)
III
25 marzo. Inquietudine per la Lituania.6)
Ho sognato che visitavo un grande ospedale.
Niente di personale. Tutti erano pazienti.
Nello stesso sogno una bambina appena nata
che parlava con espressioni compiute.
IV
Accanto al genero che è uomo del suo tempo Liszt è uno sciupato grandseigneur.
È un travestimento.
L’abisso che prova e respinge tante maschere ha scelto proprio quella per lui –
l’abisso che vuol far visita agli uomini senza mostrare il suo volto.
V
L’abate Liszt è abituato a portarsi da solo la valigia nel nevischio e sotto il sole
e quando un giorno morirà nessuno lo aspetterà alla stazione.
Una tiepida brezza d’un generoso cognac lo rapisce nel bel mezzo di
un compito.
Ha sempre dei compiti.
Duemila lettere all’anno!
Lo scolaro che scrive cento volte la parola sbagliata prima di poter andare a casa.
La gondola è gravata dal peso della vita, è semplice e nera.
VI
Di nuovo nel 1990
Ho sognato che avevo guidato per duecento chilometri inutilmente.
Poi tutto si fece grande. Passeri grossi come galline
cantavano in maniera assordante.
Ho sognato che avevo disegnato tasti di pianoforte
sul tavolo di cucina. Io ci suonavo sopra, erano muti.
I vicini venivano ad ascoltare.
Note
1] In svedese Kasper è una maschera del teatro delle marionette, una sorta di Arlecchino.
2] Vi è qui un gioco di parole, intraducibile, tra enarade banditer “banditi a un sol remo” (con evidente allusione al modo in cui i gondolieri spingono la loro imbarcazione) e l’espressione svedese enarmad bandit, letteralmente “bandito con un solo braccio”! con cui si fa riferimento a una slot machine. Ciò, secondo S. Bergsten sottolinea l’aspetto di buffonata da fiera che assumerà il culto di Wagner.
3] L’allusione è probabilmente al fatto che sullo spartito Liszt ha inseriro l’indicazione «pesante».
4] Chiara allusione al fatto dall’ideologia nazista della figura e dell’opera di Wagner.
5] Letteralmente, in svedese glugg (plurale gluggar) indica una “apertura” o una “piccola finestra”.
6] Non si dimentichi che dal punto di vista storico i Paesi baltici hanno da sempre rivestito una grande importanza per gli Svedesi. Si consideri inoltre che Tomas Tranströmer, oltre ad avere rapporti personali di amicizia con intellettuali di quell’area, ha dedicato alla distesa del Mar Baltico (quello che al “tempo della grande potenza” [stormakstid], 1630-1721, poteva essere considerato il mare nostrum svedese) l’opera Österjöar (“Mari baltici”, 1974), nel cui titolo l’uso di un plurale apparentemente improbabile vuole invece sottolineare la molteplicità degli elementi naturali e culturali che la caratterizzano.
(traduzione di Gianna Chiesa Isnardi, Sorgegondolen, Herrenhaus, 2003, p. 126)
Francesco Paolo Intini
“E forse la mia poesia è una sorta di compensazione per ciò che in realtà andrebbe espresso in musica.” (T. Tranströmer )
Tra sogno e realtà si muove una gondola, sprofondando i remi nel tempo e lo spazio.
Liszt e Wagner appartengono alla realtà o al sogno?
Sono immagini potenti di un passato che naviga su un mare freddo di onde mute nate dal “piano sul tavolo di cucina” come si trattasse di un molo o del pavimento del palazzo sospeso sul canale.
È dunque la musica, il più immateriale soffio dello spirito umano, la più pura tra le sue energie, ad acquistare peso come se la morte, che vorrebbe rappresentare, la trasformasse in materia.
Un meteorite che penetra la storia umana fino all’epoca delle camicie brune e la cui scia illumina la Lituania nel suo inquieto 1990, nazione indipendente finalmente.
Se la musica di Wagner si vestirà suo malgrado di croci uncinate, quella di Liszt supererà quel tempo fino al nostro dove sarà possibile osservare “una bambina appena nata\ che parlava con espressioni compiute”
Epoca di miracoli per le nazioni neonate dunque, che l’abisso affida alla maschera di un “grandseigneur”.
L’abisso, il gran nulla che contiene tutte le epoche eruttandole in nome del logos affida a Liszt la composizione della musica perfetta.
Un alunno capace di ripetere centinaia di volte la scrittura di un accordo prima di andare a casa pur di cogliere la profondità da cui proviene.
E quando è finalmente colta, il pianoforte di Liszt assume la potenza del mare che sale su dal pavimento e fluisce nell’intera pietra dell’edificio.
Lo stesso improvviso diventare gigantesco delle cose, l’atmosfera in cui i passeri sono grandi come polli e la musica corrisponde al silenzio assoluto della cucina.
“Buona sera meraviglioso profondo!
La gondola è greve, carica di vite, è semplice e nera.”
Il signore dell’abisso è maestro dal nome indicibile.
Si può ascoltare il Parsifal senza proferire suono, con estrema pazienza portare sulla faccia l’ innocenza del bianco e cominciare come uno scolaro al primo giorno.
Liszt è tra quei banchi insieme al poeta, entrambi capaci di dare materialità e visibilità al silenzio, da versanti complementari però come onda e corpuscolo per la luce.
Grazie Giorgio e congratulazioni vivissime per l’alto riconoscimento di ricevuto. Un caro saluto Luigina Bigon
Un polittico per Alfredo de Palchi
Gino Rago
“Fat Man” su Nagasaki…
Stoccolma, luglio 2019,
dalla cronaca del quotidiano di Svezia:
“Oggi è morto anche il suo cane.
Prima se ne andarono il figlio e la moglie.
La casa. Un museo di cianfrusaglie,
Di rimanenze di ciò che è stato.
Il piastrellista-di-Uppsala va in pensione
Ai margini dell’esistenza.”
[…]
Il Signor A. d. P.* si è ritirato
Ai confini del vivere,
Dichiarata inappartenenza
Alla società, al mondo, alla vita.
«Uomo della possibilità»
Costretto in un mondo di congiuntivi,
di affermazioni precedute da un “forse”
Seguite da un punto interrogativo,
A. d. P.-piastrellista-poeta
Mette il vento nelle vele
Per un viaggio a ritroso
Alla ricerca di come giungere a sé stesso.
In quali luoghi è andato smarrito
Ciò che dava realtà e senso alla sua vita?
Il Signor A. d. P. accetta soltanto lavori in nero.
Nella casa dell’amico da restaurare
Entrano personaggi veri o sognati.
Il piastrellista di Uppsala-Verona li conosce tutti.
«Storia di un uomo della possibilità….»
Storia di un poeta. Di una vita nella estraneazione
Nella rivolta degli oggetti smarriti.
[…]
La sua vita disciolta nei versi…
Ci ha detto:« Con la poesia uccidete la morte.
Fatelo per la libertà di tutti.
Dello sfruttato e dello sfruttatore».
Alfredo ha attraversato un Secolo di orrori,
Il dolore di Vallejo è stato il suo dolore
Nel petto. Nel bavero. Nel pane. Nel bicchiere.
Nei versi ha dato i baci che non poteva dare,
Soltanto la morte morirà
E la formica porterà briciole
Alla bestia incatenata,
Alla sua bruta delicatezza:
«Uccidiamo la morte con i versi, solo la morte morirà».
[…]
Da una e-mail di Alfredo de Palchi
Al Direttore di Il Mangiaparole:
“Caro signor poeta,
Crede ancora al mondo dei miti?
Dal 6 agosto del 1945
Dopo “Little Boy” su Hiroshima
I vincitori e i vinti di Troia
Sono a New York con le loro donne.
Ecuba in cucina prepara marmellate,
Cassandra legge i giornali ogni mattina,
Priamo gioca in borsa.
Paride con i dreadlock
Porta il cane al Central Park.
Presso i Greci si diffonde l’Aids,
Un guerriero travestito da Clitemnestra
sgozza il Re nella vasca da bagno.
Ettore lo incontro sui 10 chilometri della Fifth Avenue
Mentre Andromaca fa acquisti da mille e una notte.
Astianatte gioca col pc. E’ sempre solo a casa.
I miti sono l’inganno d’Occidente,
“Fat Man” su Nagasaki ha cambiato il mondo…
Ma per Lei forse i miti sono l’aria.
Chi vivrebbe senz’aria…”
(gino rago)
*A. d. P. è Alfredo de Palchi
Tranströmer ha scritto nel risvolto di copertina del libro d’esordio del 1954: «Le mie poesie sono luoghi di incontro». Ecco, qui c’è in nuce già tutto. Anche le tue poesie, caro Gino, sono luoghi di incontro, tu prendi tutto da tutti, prendi in prestito spezzoni, frammenti, lacerti da tutti i poeti che hai incontrato lungo la via, utilizzi ciò che è stato gettato via, e lo reimpieghi in una nuova composizione-polittico. Le tue sono composizioni-polittico vere e proprie, dove il salto, lo spaesamento, il frammento e la peritropè trovano un impiego esclusivo, intensivo, poliedrico, e questa è la lezione più fruttuosa che ci viene da Tranströmer che ci ha condotto a rinnovare alla radice la poesia italiana ancora ferma negli ozi e nei negozi epigonici. Complimenti.
Lo ammetto, con l’umanesimo critico che mi sorregge: da quando ho iniziato a frequentare l’Ombra delle Parole ho gettato nel Tevere tutto il retaggio e il retroterra poetologico che mi zavorravano, in forma di inossidabili epigonismi, che strangolavano la mia scrittura. Occorreva fare un triplo salto mortale. E ho tentato. Valeva la pena di tentare piuttosto che continuare a redigere epigonismi di maniera.
(gino rago)
Caro Germanico, lo stato di diritto è morto. Ucciso dall’interesse
Personale. Il vulnus della legge lo trovi in ogni supermercato
nelle etichette che minuziosamente riportano frasi, simboli
e consigli per il mesencefalo: nato in… macellato in… confezionato
in…
Tu sei, mercato e supermercato. Sei domanda e offerta.
Anche il niente si vende facilmente. Il dolce far niente.
E’ il sottovuoto il vero problema. E’ l’involucro il vero esantema.
Mettici pure, caro Germanico, che il rovescio non è necessariamente
il contrario di d(i)ritto: rovescio a due mani; rovescio della medaglia;
diritto di nascita e diritto di morte. Anche il nulla ha un suo diritto
e un suo rovescio. Il nulla ha un passaporto, una impronta lemmatica
e digitale. Riposa nella biometria del non-ente. Il nulla è parente
del niente, perché ciò che è nominato esiste, insiste e persiste.
Nell’Arena dell’industria della melodia, gli artisti più taggati
fanno da colonna sonora ai gladiatori che sono degli influencer
di fama.
Beethoven è il compositore più punk che si conosca dalla Pannonia
alla Cirenaica; Chopin quello maggiormente pop assieme a Vivaldi;
Liszt, invece, è un autore beat, mentre Mozart, ah Mozart,
un pomp rock.
Caro Germanico, non esiste ricetta per cucinare il nulla,
ma si può condire.
Grazie mille