Giorgio Linguaglossa
Il discorso poetico come percezione della nullificazione dell’esserci
C’è nella nuova ontologia estetica quello che possiamo indicare come una intensa possibilizzazione del molteplice.
Che cosa voglio dire con ciò? Nella nuova poesia ci sono indicate delle cose che possono avvenire, che potrebbero avvenire, o che forse sono avvenute. Mi spiego meglio. Se prendiamo La ragazza Carla di Pagliarani (1960) o anche Laborintus (1956) di Sanguineti, lì vengono trattate (rappresentate) delle cose che realmente esistono, l’impianto ideologico è ancora e sempre quello del realismo; se prendiamo un brano de I quanti del suicidio (1972) di Helle Busacca, lì si tratta di un tema ben preciso: la morte del fratello «aldo» e della conseguente j’accuse del «sistema Italia» che lo ha determinato al suicidio. Anche qui l’impianto ideologico è ancora e sempre quello del realismo, cioè mimetico. Voglio dire che tutta la poesia del novecento italiano, come quella di questi postremi anni post-veritativi, rientra nel modello del «verosimile». Ebbene, questo «modello» nella NOE viene castigato e rottamato, viene messo in sordina, la distinzione tra verosimile e non-verosimile cade inesorabilmente, ed entrano in gioco il possibile e l’inverosimile; si scopre che l’inverosimile è della stessa stoffa del possibile-verosimile.
Questa possibilizzazione del molteplice è la diretta conseguenza di una intensa problematizzazione delle forme estetiche portata avanti dalla «nuova ontologia estetica», prodotto dell’aggravarsi della crisi delle forme estetiche tardo novecentesche che ha creato una fortissima controspinta in direzione di un nuovo modello-poesia non più ancorato e immobilizzato ad un concetto di eternità e stabilità del «modello del verosimile».
Il concetto di «verosimile» della poesia lirica e anti lirica che dir si voglia di questi ultimi decenni poggiava sulla stabilità ed eternità del soggetto che legiferava in chiave elegiaca o antielegiaca, che poi è la stessa cosa…
In Essere e tempo, l’indagine sul nulla (Nichts) apre l’ente alla possibilità che nulla sia, che l’ente sia un nulla; l’incontro con l’esserci apre l’ente alla “dischiusura” (Entschlossenheit) del “mondo”, infatti, il mondo è il regno della possibilità – e non dell’istinto e dell’abitudine, come per gli animali i quali esistono nella «chiusura» del mondo animale.
Ma come l’uomo non sceglie il suo essere mortale, e piuttosto è consegnato a tale condizione, così l’uomo esiste «gettato», «immerso» nel nulla.
Infatti, non è un caso che la nuova poesia ontologica sorga nel momento della massima problematizzazione delle questioni estetiche e della intensificazione della problematicità dell’arte proprio nel momento della massima crisi della democrazia neo-liberale, anzi è la risposta della forma-poesia alla crisi del modello maggioritario fondato riflessivamente sulla presunta stabilità dell’io, su un io posto e presupposto in modo fattizio e acritico.
La NOE è sostanzialmente una meditazione poetica sul nulla dell’esserci. Con le parole di Heidegger: il significato dell’espressione «das Nichts nichtet» sta per il Nulla che nullifica, rende nullo l’esserci, lo nullifica. L’incontro (Ereignis) del nulla con l’esserci, produce il nuovo discorso poetico. Siamo qui all’interno di una particolarissima e modernissima sensibilità verso la parola e la parola poetica, quella parola che scocca dall’incontro tra il nulla e l’esserci. All’interno di quella particolarissima percezione del discorso poetico inteso come il discorso della nullificazione dell’esserci.
Trittico di Giorgio Stella
McMarx
I
E poi diceva che quella fabbrica d’ali era fallita per i troppi scioperi
Che era sottile la lama sulla testa già calva
Ma impossibile stabilire una nozione temporale a quella scissione
La processione della vena di cardo la riabilitazione all’addizione
[…]
Una nenia per via pasticche come coriandoli insetti chiamati babbuini dai deficienti
E il taglio di prosciutto per favore fino al midollo dell’osso
La figlia del cocchiere nuoce al cervello in controluce di fede
E quando dopo aver pulito le case dei padroni per arrotondare
[…]
Va a pulire i cessi dei poveri tra i bocchini africani della versione turca della Stazione Termini
Che volano i cocci delle birre rotte tra froci e il 24/H è il paesaggio del 12 notturno
Poi lo sapeva quando scolpiva la pietra anzi sciacallaggio di rose finte
Che accanto al nome e alla croce c’era la grande M gialla della McDonald’s la foto ovvio d’identità
[…]
II
Al b/1 era la stessa cosa la colazione brodo di gallina servita in piatti di plastica piani per pasta
E chi serviva il re serve pure la regina quelle sbarre modelle le sigarette contate
Tutto questo per aversi tirato le radici dalle fiamme delle vene e viceversa
La terapia servita in colonna corsara di bandiera battente SIDA
[…]
E lui scopava ugualmente scettri mirra di firmamenti monumenti in contenzione
I giorni dilatati dai sieri nessun ricevimento il bar interno gli ricordava il primo tempo
Dei vecchi cinema dove madamadorè vendeva pop-corne e minilgelati e ventagli
Senza aria condizionata in pieno agosto Vallejo ci diceva che esiste l’uomo a vita di un giorno di galera e la galera della vita per un giorno
[…]
Ma il tacco era troppo alto lo sapeva che aveva il cazzo ma era [troppo] ubriaco ‘fedele alla linea!’
Un pompino in fondo è come un rospo salta dal trampolino lo sborro è biforcuto
E dalla scheda della clinica ci informa la luce elettrica abbassata
Che la luce eterna ci veglierà tutta la notte se porco dio la bibbia è stata persa
[…]
Dalla sottratta sferica a dorso del muro la poesia che scriveva in culo al cardo del buco del cazzo
[…]
III
Le medagliette le vende sugli scalini dei grandi Hotel e lui sul cantiere
Tirava la fiocina al ficco del tordo il tiro montato dal ponteggio di CRISTO
E rotea betoniera facci capire quanto valga la sete della tanica comune
Quante bottiglie appese ai granelli dei deserti coltivati a falco di luce
[…]
Quel tozzo di pane del [pane] del padrone mentre Riccetto non abita più qua
Lei passa ti riconosce dalla maschera imburrata di pannocchia lattina Berlino est
Ma stira la stampella è già girata tu colpisci la mira ella è viva
Sulla porta accanto della frode di Pasqua marina era ridotta in fiore l’assenza
[…]
Puttica del puttanesimo cacato in grembo al ginocchio amputato di Rimbaud
Inginocchiato al ginocchio tumorale di Verlaine e tamburo muto caccia testicolo di medusa
Che il cancro che brucia la vista possa vedere questa corrida!
[…]
La desistenza dell’essere
Rilettura di
Che cos’è metafisica? [Was ist Metaphysic?] e Sull’essenza della verità di Heidegger. [Vom Wesen der Wahrheit ], conferenza tenuta più volte nell’autunno-inverno 1930 e nel 1932, pubblicata non senza una revisione del testo nel 1943 e poi nel 1949 con un’aggiunta.
Andrea Brocchieri
(dicembre 2007)
Scrive Heidegger:
“Che cos’è il nulla?”
sembra una domanda impossibile perché il niente (non-ente) è come tale inoggettivabile; la domanda è di per sé contraddittoria: “che ente è il non-ente?”
«Rispetto al nulla domanda e risposta sono ugualmente un controsenso. […] La regola fondamentale del pensiero, cui comunemente ci si richiama, ossia il principio di non contraddizione, la “logica” in generale, sopprime la questione, perché il pensiero, che è essenzialmente sempre pensiero di qualcosa, qui, come pensiero del nulla, dovrebbe agire contro la propria essenza. Poiché in questa maniera ci è impedito in generale di fare del nulla un oggetto, siamo già arrivati alla fine del nostro domandare sul nulla sulla base del presupposto che in tale questione la “logica” rappresenti l’istanza suprema, l’intelletto il mezzo, il pensiero la via per cogliere originariamente il nulla e decidere se è possibile scoprirne qualcosa».16
Se s’intende il nulla come “non-ente”, si determina il nulla a partire dall’ente tramite una semplice negazione; il nulla non risulta così come un contenuto positivo del pensiero (un concetto reale) ma è solo la negazione di esso (uno pseudo-concetto, come notava Carnap). Dunque non potrebbe essere che la presunta contraddittorietà e inconsistenza della domanda derivi proprio dal fatto che il concetto di nulla è stato costruito sul piano logico via negationis?17
E se invece ogni negazione fosse possibile proprio in quanto “si dà” (es gibt) il nulla? −
Questa è la tesi che qui Heidegger anticipa e che dovrà poi dimostrare: «Il nulla è più originario del non e della negazione».18
Se dunque, sulla base di queste supposizioni, si volesse procedere nell’interrogare il nulla, bisognerebbe che esso fosse effettivamente dato nell’esperienza; e se il nulla fosse comunque in qualche modo la negazione della totalità dell’ente, se cioè ci fosse dato come il risultato di tale negazione, occorrerebbe che preliminarmente ci fosse data la totalità dell’ente. Ma questo com’è possibile, visto che siamo “esseri finiti”?19
Tuttavia «noi ci troviamo posti nel mezzo dell’ente che in qualche modo è svelato nella sua totalità» − in quale modo? Per es. ciò avviene nella “noia profonda” oppure «nella gioia che nasce in presenza dell’esistenza (Dasein) − e non della mera persona − di un essere amato». In tale “trovarsi” ci sentiamo insieme alla totalità dell’ente (tutto è noia, tutto è gioia) ma proprio per questo il nulla lì non emerge.20
Solo l’angoscia − intesa come l’emergere della “tonalità di fondo” dell’esistenza (Grundstimmung) e da non confondere né con l’ansietà né con la paura − ci svela il nulla stesso; la paura o l’ansietà sono riferibili a un che di determinato, l’angoscia invece è “spaesamento” (Unheimlichkeit), uno sprofondare di tutto (noi compresi) nella precarietà:
«Nell’angoscia, noi diciamo, “uno è spaesato”. Ma dinanzi a che cosa c’è lo spaesamento? e che significa quel “uno”? Non possiamo dire dinanzi a che cosa uno è spaesato, perché lo è nell’insieme. Tutte le cose e noi stessi sprofondiamo in una sorta d’indifferenza [Gleichgültigkeit]. Ma non nel senso che le cose spariscano, bensì nel senso che proprio nel loro allontanarsi le cose si rivolgono a noi. È questo allontanarsi dell’ente nella sua totalità che nell’angoscia ci accerchia, ci angustia. Non rimane nessun sostegno. Nel dileguarsi dell’ente rimane soltanto e incombe su di noi questo “nessun”.
L’angoscia rivela il nulla. Noi siamo “sospesi” nell’angoscia. O meglio, è l’angoscia che ci lascia sospesi, perché fa dileguare l’ente nella sua totalità. Ciò comporta che noi stessi, questi esseri umani che siamo, in mezzo all’ente come siamo, ci sentiamo dileguare con esso. Per questo, in fondo, non “tu” o “io” ci sentiamo spaesati, ma “uno” si sente spaesato. Resta solo il puro esserCi che, attraversato dal turbamento di questo essere sospeso, non può tenersi [halten] a nulla».21
Tutto rimane “rivolto a noi” ma allontanandosi, in modo da non offrire più sostegno (Halt): l’angoscia ci lascia sospesi al niente e così ci rivela il nulla. Si deve notare che qui siamo in uno snodo decisivo dello sviluppo della ricerca, cioè nel punto in cui Heidegger sta oltrepassando l’obiezione per cui l’idea del nulla sarebbe uno pseudo-concetto in quanto mancherebbe di base “empirica”. Certo qui non viene esibita un’evidenza “sperimentale” ma una descrizione fenomenologica. Il che non significa che venga offerta un’evidenza minore, anzi al contrario. Infatti, dal punto di vista fenomenologico, è l’indagine fenomenologica a porre le basi per lo sperimentalismo scientifico e non viceversa.22
A questo punto, attestata la consistenza fenomenologica del “nulla”, Heidegger può riconfermare la sensatezza della domanda: “Wie steht es um das Nichts?”. La risposta alla domanda sul nulla.
Heidegger riprende l’indagine dal risultato fenomenologicamente raggiunto sinora: «Il nulla si svela nell’angoscia, ma non come ente, e tanto meno come oggetto. L’angoscia non è un cogliere il nulla. Tuttavia il nulla si manifesta in essa e attraverso di essa benché, daccapo, non nel senso che il nulla appaia separatamente “accanto” all’ente nella sua totalità, quale si presenta nella spaesatezza. Dicevamo invece: nell’angoscia il nulla viene incontro insieme [in eins mit] all’ente nella sua totalità».23
Il nulla non “annienta” l’ente (al posto dell’ente non c’è più niente), né siamo noi a negare l’ente per “guadagnare” alla fine il nulla (per elisione dell’ente). Su questo punto possiamo sottolineare la differenza tra la futura concezione sartriana del nulla e quella che qui viene formulata: per Heidegger il nulla non può essere un prodotto della libertà dell’uomo perché nell’angoscia noi stessi sprofondiamo assieme a tutto l’ente. Nell’angoscia l’ente nella sua totalità diventa hinfällig (“caduco”, vacillante, precario). 24
Note
16 M. Heidegger, Che cos’è metafisica? [Was ist Metaphysic?] p. 49
17 Ivi, p. 44 (107-108). Il concetto di “nulla” è uno pseudo-concetto se è costruito via negationis , cioè negando l’ente nella sua totalità. Si tratta di uno pseudo-concetto (come protestava Carnap) perché la totalità dell’ente non è mai empiricamente data e la sua negazione è un’operazione meramente intellettuale (o di fantasia). Un esempio di ripetizione acritica delle obiezioni di Carnap, per giunta strumentalizzate per propalare una forma di spiritualismo cattolico si trova nel recente libretto di Roberta DE MONTICELLI, Esercizi di pensiero per apprendisti filosofi, Bollati Boringhieri 2006, pp. 45-85. Contro la tesi apologetica della De Monticelli si può però osservare che anche l’idea di Dio della “teologia negativa” è raggiunta via negationis – dunque tale idea di Dio rischia di valere tanto quanto uno pseudo-concetto.
18 Che cos’è metafisica?, pp. 44-45 (108).
19 Ivi, pp. 45-47 (109-110); cfr. anche il § 46 di Essere e tempo.
20 Ivi, pp. 48-49 (110-111). Sulla “noia profonda” cfr. il corso
Die Grundbegriffe der Metaphysik. Welt – Endlichkeit – Einsamkeit
[1929-30], GA 29-30, a c. di Friedrich-Wilhelm von Herrmann, 1983 (tr. it. di Paola Ludovica Coriando, Concetti fondamentali della metafisica. Mondo – finitezza – solitudine, il melangolo, Genova 1992); utile sarebbe un confronto fra questo tema heideggeriano e la “nausea” sartriana.
21 Che cos’è metafisica? , ed. cit., pp. 50-51 (111-112).
22 La fenomenologia poi non è ovviamente un “punto di vista” qualsiasi ma un’impostazione metodologica che ci si dovrebbe impegnare a smontare prima di criticarne i risultati.
23 Che cos’è metafisica?, pp. 52-53 (113).
24 Ivi, pp. 53 (113-114). In Heidegger l’impostazione fenomenologica si congiunge con una speciale sensibilità per le parole della lingua che usa, per cui ne deriva la capacità di esperire in maniera rinnovata ciò che la tradizione gli ha consegnato sotto forma di concetti ormai astratti (e questo era uno dei tratti che rendevano “magico” l’insegnamento di Heidegger per i suoi giovani studenti degli anni ’20, ai quali sembrava che lì la filosofia ridiventasse viva). In questo passo occorre saper scorgere nella “Hinfälligkeit” (caducità) dell’ente l’esperienza fenomenica della tradizionale e astratta “contingenza” (Zufälligkeit)
Questo è un punto cruciale della indagine sulla Nuova Poesia.
Vorrei sapere (domando) se anche gli autori e gli interlocutori della nuova ontologia estetica condividono questo punto cruciale: se anch’essi percepiscono il nulla (Nichts) come una sorta di tonalità di fondo (Grundstimmung) del mondo dell’uomo, cioè dell’esistenza, e come uno stato emotivo ineliminabile della Nuova Poesia. Il “nulla” ( Nichts) sarebbe il vero motore nascosto della nuova poesia.
Gentile Giorgio Linguaglossa ringraziandoLa per il trittico mio a lei gradito e sapendo la mia totale adesione alla NOE il nulla [che già ho impresso in un vecchio libro HARLEM fino all’afasia] è un passaggio obbligatorio, banale che sia, nel tutto di nessun niente…. il ‘passaggio’ la nuova poesia estetica ha il vantaggio di averlo anticipato pena l’uragano dell’epigono poetico ultraitaliano. In NOE il nulla evaso in distico è l’emergenza della distanza direbbe un Ceronetti ma la distanza del distico per il verso è una sorta di vuoto in cui il vuoto diventa il dettato [nel] per nulla. Parlare a vuoto il nulla, cosa che il grande poeta tedesco Paul Celan terminò nella Senna ‘viaggia’ ‘al termine della notte’ […] che lui mai incontrò in vita. Il Nulla non ha patria! non ha patria in vita io sono CRISTIANO PRATICANTE E OSSERVANTE!
Un abbraccio a Lei Linguaglossa e a tutti gli amici della NOE e se mi legge un abbraccio speciale alla Donatella Giancaspero, che il nulla che io ho rilevato nei suoi versi in parte mi ha bloccato dall’aprire le serrande, nn so se m’intende? m’intende il nulla che salva la vita, in vita?
giorgio stella.
Del molliamo tutto.
Contrario al vogliamo. De vulgari eloquentia.
E parlare che serve? L’azione verbale dei distici
di Stella frastagliano il verbo.
Un corposo sostantivo da sfollagente, da borsetta. Un nomignolo del vibratore testa di…
Non vogliamo più nulla.
Da questa carta da parati sfitta. Allora è una crosta. Una pompa dipinta.
Un sorriso diurno intermittente.
Spegnete, spegnete la luce.
(Un abbraccio OMBRE. Grazie.
Anche un mio abbraccio speciale a Donatella Giancaspero)
( E, del resto, sapete: sono convinto che noi del sottosuolo bisogna tenerci a freno. Siamo magari capaci di starcene in silenzio nel sottosuolo per quarant’anni, ma se una volta usciamo alla luce, e ci apriamo un passaggio, allora si parla, si parla, si parla…)
Fëdor M. Dostoevski
Se prendiamo, ad esempio, una poesia della nuova ontologia estetica, ci troviamo davanti al tentativo di forzare al massimo grado le porte del «dicibile» per sondare la dimensione dell’«indicibile». Se avete la bontà e la pazienza ad esempio di leggere una mia poesia, «Il bacio è la tomba di Dio», già dalle prime righe siamo proiettati in una situazione ultronea: una «Torre» immersa nella neve (l’immagine mi è stata suggerita dalla fotografia di Evgenia Arbugaeva); la torre reca una scrittura sopra la porta d’ingresso, misteriosa e terrifica. Quella scritta è la chiave di violino che apre una partitura: si apre una dimensione ultronea nella quale il lettore abita una «questità di cose» poste da un punto di vista inusuale ma non impossibile, una situazione-questità che chiunque di noi avrebbe potuto esperire nella propria esistenza.
«La nuova questità delle cose» per essere nominata richiede un nuovo linguaggio poetico. I continui salti spazio-temporali, l’apparizione in presenza di personaggi storici (Wagner, List) o inventati, le voci esterne e le voci interne che confliggono, insomma, tutta l’architettura complessiva delle voci che intervengono nel testo, tutte queste «cose» formano una «questità di cose», ci dicono che siamo in presenza di una situazione «indicibile» che richiede un modo di dire dell’«indicibile». E allora, il primo pensiero è stato pensare una poesia che ponesse una «situazione delle cose», che potesse essere detta tramite un quid di «indicibile» non presente nella tradizione della poesia italiana del novecento. E allora occorreva andarsi a costruire una nuova ontologia estetica che creasse un nuovo utilizzo della sintassi e della grammatica, un diverso impiego della iconologia.
Voglio dire che una tale «questità di cose» come quella esposta nella poesia della nuova ontologia estetica non sarebbe stata possibile mediante il linguaggio referenziale che va di moda oggi in poesia, dei Marcoaldi-Magrelli-Cucchi, sarebbe occorso un ben altro concetto ed impiego del linguaggio poetico: pensare il linguaggio poetico come portatore di una entità di significazione «indicibile», in grado di illuminare, appunto, il lato in ombra delle cose.
Era necessario fare un passo indietro rispetto ai linguaggi referenziali, in quanto la nominazione poetica si dà soltanto nella forma del congedo, del ritrarsi dalla soglia della significazione e delle cose; nel congedo è implicito il saluto; il salutare le cose nel loro esserci e nel loro esserci state, per noi, è un atto massimamente umano, implica il riconoscere la profondissima umanità delle cose, la quiete delle cose, il loro silenzio, il loro essere lì per servire l’uomo, non per essere asservite dall’uomo.
Se riflettiamo un momento sull’«indicibile» (concetto sul quale viene costruita la poesia della nuova ontologia estetica), ci rendiamo conto che è proprio la necessità di indicare-accennare-alludere all’«indicibile», cioè al lato in ombra del linguaggio, al lato in ombra delle cose, a rendere necessario un diverso modo di intendere ed impiegare il linguaggio poetico.
La nuova poesia ci svela la nuova mondità del mondo.
Finirei col dire, parafrasando Giorgio Agamben, che «non il dicibile ma l’indicibile costituisce il problema con cui la poesia deve ogni volta tornare a misurarsi».
Se leggiamo la prima strofa di questa poesia di Marie Laure Colasson, ci troviamo di fronte ad una serie di sentenze stenografiche che non hanno alcun rapporto tra di esse, ma che, tutte assieme costituiscono una «questità di cose» che conformano una Grundstimmung, una tonalità emotiva di fondo. Ed è appunto questa la procedura della nuova poesia, della nuova ontologia estetica.
Marie Laure Colasson
(trad. di Edith Dzieduszycka)
Roulement de tambour
La pluie
Une fleur rouge
Ses pas verts
Un envol cinématographique
Entre deux hommes
Un mort un vivant
Si différents
Comparaison confusion
Charlotte enfourche son Harley Davidson
S‘échappe
Les oiseaux
Flèches du ciel
Revêtent leurs combinaisons spatiales
Pour affronter les astres
“fleurs de nénuphars”
Dans la poitrine
Zaza enfile des vérités
Comme des perles
Avec humour
Sœur Candida de la perversion
Droguée de Sporanox
Pourtant la nuit …………
L‘astrophysicien
Observation au télescope
Couleurs et ombres
Changeant selon les heures
Se gratte le crane
Barbara et Rimbaud
Un voyage à travers les océans
“ allèrent (….) à la plage
Et firent beaucoup d ‘ enfants “
Langueur et envolées des violons
Cristallisations les yeux clos
Méditation de Massenet
Miss vitamines
A B C D E
Quatre-vingt milliards de probiotiques
Transformation subite
En poupée gonflable
*
Rullo di tamburo
La pioggia
Un fiore rosso
I suoi passi verdi
Un volo cinematografico
Tra due uomini
Uno morto uno vivo
Così diversi
Confronto confusione
Charlotte scavalca la sua Harley Davidson
Scappa
Gli uccelli
Frecce del cielo
Indossano le loro tute spaziali
Per affrontare gli astri
“fiori di ninfea”
Nel petto
Zaza con umorismo
Infila verità
Come fossero perle
Sorella Candida della perversione
Imbottita di Sporanox
Però di notte………
L’astrofisico
Osservazione al telescopio
Colori e ombre
Mutanti a secondo delle ore
Si gratta il cranio
Barbara e Rimbaud
Un viaggio attraversando gli oceani
“si recarono (…) in spiaggia
E fecero molti figli”
Languore e voli di violini
Cristallizzazioni ad occhi chiusi
Meditazione di Massenet
Miss vitamine
A B C D E
Ottanta miliardi di probiotici
Immediata trasformazione
in bambola gonfiabile
SINCROTRONE
Le grandi macchine conoscono il nulla.
Suggeriscono di guardare nei cassonetti.
Dove un occhio mescola una gamba c’è anche un orizzonte.
L’aspirina scaduta sa di Euclide marcio.
Conosce la fionda che rovina David.
La lussuria ha sapore di latte e sprofonda le mammelle.
Venere sussurra nel broncio di Bukowski.
Scoppiano i semi del non sapere.
Nel parlarsi inverso degli atomi la cristalleria del senso.
Insegnano ai neuroni la mortalità dell’anima.
Spalla a spalla la fatica dei quark. Ebola gioca con l’agnello.
Ma l’Eden appende nelle strade un editto di Ferdinando e Carolina.
La non forma cospira nel nido d’ape
McCarty ha la meglio sugli elettroni del ferro.
C’è un niente da portarsi dietro. Cancro all’esagono..
Un carico di mitra per combattere i pulcini di vespa.
Salire il castagno, immergersi nel nettare
Convincere Robespierre all’ineguaglianza.
McCarty succhia sangue di farfalle.
Il sincrotrone sibila triangolo e piramide.
Impara a dire SI dai NO che fermentano Aprile
Uccide con occhio giacobino la libellula.
Nascerà il Logos da uno spigolo.
Un’ incertezza nel calcolo genera guasti di Tempo.
Marx-Engels sa di lettere ogni volta che si aspetta
un infinitesimo di Tutto accelerare il Nulla.
(Francesco Paolo Intini)
Il nulla è pieno essere, ed è alternativo all’essere parziale condizionato dall’esserci in quanto persona, ego e conseguenti implicazioni esistenziali e psichiche. Quindi sono pienamente d’accordo con Giorgio Linguaglossa,
quando scrive:
“La NOE è sostanzialmente una meditazione poetica sul nulla dell’esserci. Con le parole di Heidegger: il significato dell’espressione «das Nichts nichtet» sta per il Nulla che nullifica, rende nullo l’esserci, lo nullifica”.
Il nulla è pieno ascolto e silente attenzione – attenzione: è il nostro vedere interiore; in senso heideggeriano è componente della “cura” – .
Per il nulla, tutto è perfetto e ogni cosa è bella. Se ogni cosa è bella e perfetta, in quanto naturale e in quanto ogni cosa “è”, per contrasto ne deriva chiarezza sul vivere naturale e innaturale. E qui troviamo l’angoscia, che giustamente Heidegger segnala come avvertimento dell’essere al cospetto del nulla, e prova filosofica della sua essenza.
Nulla pensiero, nulla desiderio, nulla speranza. Sono queste alcune tra le proprietà esistentive del nulla esserci. Ma queste sono anche qualità del pieno ascolto, e della piena partecipazione, quindi dell’esserci.
La contraddizione è solo apparente: si suppone infatti che vi sia la possibilità di un esserci nel nulla; le cui modalità, e l’efficacia, sono ampiamente dimostrate, in primo luogo dalle numerose pratiche ascetiche appartenenti alla religiosità orientale, particolarmente nel buddismo e nell’induismo. Si parla qui di ascetismo senza finalità ultraterrene, che ha valenze tout court di esercizio-per.
Infatti Giorgio parla di “meditazione poetica”. Che qui può essere intesa come pratica, o tecnica, per esperire il nulla: la sua pienezza, l’indifferenziabile perfezione. Momentaneo esserci nell’essere. In questo spazio collocherei la meditazione poetica. Il pieno e perenne conseguimento dello stato di ascolto, l’esserci costante dell’essere, per la religiosità orientale appartiene alla natura umana, a patto che si sia ben vista, vissuta e quindi superata l’angoscia di vivere; perché oltre l’angoscia si ha piena partecipazione a tutto ciò che è. Tutto è perfetto e ogni cosa è bella. Ivi compreso l’uragano Florence.
Visse in maestria difforme
del non diviso Logos ancella.
Memoria del fu,il Nulla,
ad incarnare il possibile umano.
Sospeso inverno o primavera dello Spirito.
In dolci acque,ad ogni tocco,sulla superficie
un brillare di infrante stelle.
Non vento, solo alito di vita
immerso in silenzioso spazio.
Il contatto in telepatia fuggevole al respiro umano.
Il viaggio è nel ritorno, in quell’indugiante sorriso di eternità.
Marina Petrillo
Per lei, carissimo Lucio Mayoor Tosi.
Grazie, luminosa Marina Petrillo.
Onoratissimo.
carissimi tutti Voi, giorgio stella com’é venuto se ne va… nessun commento anche negativo perdonate nn lo accetto …. […] era la trama dell’ombra appunto mai commentata; nn pretendo nulla anzi paradossalmente dal nulla proviene la risposta… un saluto a Linguaglossa nn ci sarò domenica, quelle barchette nell’acqua santa etc… confermo, come sono venuto me ne vado e davvero, senza merdoso pietismo. Un abbraccio in fede Giorgo Stella … riguardo Lei Linguaglossa nn mi contatti gentilmente alla meil privata Lei non centra nulla ma se il poema è il picco dell’addio si ‘riciversa’ e lo stesso m’accompagna.
A me piacciono anche le pattumiere, figuriamoci le poesie di non sense fatte con parole gettate, le più rivoltanti e infelici possibili; e andiamo a cercarci anche le situazioni; o sono loro a cercare noi. Ma è lo stesso, lo stesso uomo in ogni situazione traballante…
https://lombradelleparole.wordpress.com/2019/09/04/il-discorso-poetico-come-percezione-della-nullificazione-dellesserci-di-giorgio-linguaglossa-trittico-di-giorgio-stella-andrea-brocchieri-la-desistenza-dellesserci/comment-page-1/#comment-59116
Che dire intorno alla generosità del «Nulla»?
Caro Giuseppe Talìa,
ho ascoltato il famoso pezzo che hai postato, The clash. Nel passato l’ho sentito svariate volte con un po’ di noia. Non nutro di solito molta accondiscendenza verso la musica rock, anche se mi piace molto Vasco Rossi, per il resto la musica rock mi sgomenta e mi annoia, come tutta la musica che cerca l’intrattenimento, ma capisco che deve essere così, capisco che tutto quel rumore deve esserci per essere. Tuttavia mi interessa la funzione semantica e ultra semantica della musica rock. Mi interessa la funzione ultra semantica e semantica del rumore. Possiamo dire che la musica rock è musica del pleroma. In un mondo troppo pieno è difficile fare esperienza del vuoto e del nulla, e poi del nulla non si dà esperienza, se è questo che si cerca; il nulla ci accompagna, accondiscendente, in ogni istante della nostra giornata. Il nulla non lo si può afferrare, il nulla sfugge da tutte le parti perché è in ogni luogo e fuori da ogni luogo, perché è dentro ogni luogo. A pensarci bene, il nulla è ciò che rende significativo ogni istante delle nostre giornate, guai a chi mi togliesse il gusto della fagocità e dell’impermeabilità del nulla! Penso che una poesia che non mi rimandi al pensiero, al cospetto e al sospetto del nulla, non mi interessa, non cattura la mia sensibilità né la mia intelligenza…
Ma, come si fa a catturare il nulla? Semplice, rinunciando a volerlo catturare, facendo un passo indietro rispetto al linguaggio, facendo un passo indietro rispetto all’io plenipotenziario… questo Volere Potere di cui è piena la pseudo poesia e la pseudo arte dei giorni nostri, questo voler mettere delle «cose» dentro la poesia lo trovo puerile oltre che supponente, la supponenza degli imbonitori e degli stupidi; questo voler fare delle «istallazioni» del nulla lo trovo un controsenso, il nulla non si lascia mettere in una istallazione, non lo si può inscatolare e mettere sotto vuoto spinto. Il nulla non si può conservare in frigorifero, non lo si può mettere in lavatrice o nella centrifuga, non lo si può nominare, non ha nome, non ha un luogo, non ha un mittente né un destinatario, non è un messaggio che si deve recapitare. Il nulla non è Dio, non c’entra niente con Dio. Il Nihil absolutum non è ed è al contempo. È ciò che assicura la sopravvivenza dell’essere fin tanto che l’essere ci sarà. Il nulla non abita lo spazio-tempo, piuttosto è lo spazio-tempo che abita il mondo grazie alla generosità del nulla.
Una poesia che non dialoghi con il nulla è una para-poesia o una pseudo-poesia, come ce ne sono a miliardi di esemplari qui da noi…
Caro Germanico, lo stato di diritto è morto. Ucciso dall’interesse
Personale. Il vulnus della Legge lo trovi in ogni supermercato.
Nelle etichette che minuziosamente riportano frasi, simboli
e consigli per il mesencefalo: nato in… macellato in… confezionato
in…
Tu sei, mercato e supermercato. Sei domanda e offerta.
Anche il niente si vende facilmente. Il dolce far niente.
E’ il sottovuoto il vero problema. E’ l’involucro il vero esantema.
Mettici pure, caro Germanico, che il rovescio non è necessariamente
Il contrario di d(i)ritto: rovescio a due mani; rovescio della medaglia;
diritto di nascita e diritto di morte. Anche il nulla ha un suo diritto
e un suo rovescio. Il nulla ha un passaporto, una impronta lemmatica
e digitale. Riposa nella biometria del non-ente. Il nulla è parente
del niente, perché ciò che è nominato esiste, insiste e persiste.
Nell’Arena dell’industria della melodia, gli artista più taggati fanno
da colonna sonora ai gladiatori che sono diventati in questi tempi
degli influencer di fama.
Beethoven è il compositore più punk che si conosca dalla Pannonia
Alla Cirenaica; Chopin quello maggiormente pop assieme a Vivaldi;
Liszt, invece, è un autore beat, mentre Mozart, ah Mozart, un pomp rock.
Caro Germanico, non esiste ricetta per cucinare il nulla, ma si può condire.
Mi ricorda quel tanto di romanesco a noi caro.
Sabino, 📲Sabino Caronia batti un colpo…
(Fuori da ogni dubbio le sue polittiche a me piacciono. Sottoscrivo Tosy)
Grazie OMBRA, un abbraccio Stella.
Già esistono i polittici e le polittiche….
Matteo Pietropaoli
«La domanda sul niente mette in questione noi stessi che poniamo la domanda. Si tratta di una domanda metafisica. L’esserci umano può rapportarsi nei confronti dell’ente solo se si tiene immerso nel niente. L’andare oltre l’ente accade nell’essenza dell’esserci. Ma questo andare oltre è la metafisica stessa. Ciò implica: la metafisica appartiene alla “natura dell’uomo”. Essa non è un settore della filosofia universitaria, né un campo di escogitazioni arbitrarie. La metafisica è l’accadere fondamentale nell’esserci. Essa è l’esserci stesso. E poiché la verità della metafisica dimora in questo fondamento privo di fondo, essa è costantemente insidiata da vicino dalla possibilità dell’errore più radicale. Perciò nessun rigore d’una scienza raggiunge la serietà della metafisica. La filosofia non può mai essere misurata col parametro dell’idea della scienza».3
In questa riflessione di Heidegger sono in realtà mantenute a un tempo le due istanze della metaphysica generalis e di quella specialis, negli aspetti appunto della sua ontologia fondamentale e di quella che è indicata come metafisica dell’esistenza, ma entrambe sono mantenute nel carattere positivo della metafisica e non in quello semplicemente critico. Ciò che qui innanzitutto egli dice è che la domanda sul niente pone al fondo in questione il tutto di ciò che è, e così in primis noi stessi che poniamo tale domanda. Ma noi chi? Ogni singolo uomo inteso in quanto apertura di un orizzonte d’essere, in quanto punto di vista di questo orizzonte in cui si è inclusi, in quanto esserci. Solo sulla base di tale orizzonte d’essere ci può essere rapporto, e così qualcosa che è sempre mio, che sono sempre io, può rapportarsi nei confronti di altro che è, di un ente che non è questo punto di vista. In quanto esserci, l’essenza dell’uomo è per Heidegger proprio quella di andare oltre e aprire costantemente questo orizzonte che lo conduce al rapporto tanto teorico quanto pratico con l’ente, ossia con tutto ciò che è e con ogni singolo ente, compreso se stesso. L’ andare oltre, ossia uscire fuori di sé come ente e aprire quell’orizzonte di rapporto, di comprensione, per cui ogni ente si mostra innanzitutto e per lo più in quanto qualcosa, è ciò che costituisce l’essenza dell’uomo, vale a dire la sua esistenza. Questo però significa che fare metafisica non è qui interrogarsi su problemi logici, su questioni storiche o dottrinali, bensì andare oltre di sé come ente: «questo andare oltre è la metafisica». Il che al fondo vuol dire: l’essenza dell’uomo, in quanto esserci, di andare oltre, ossia di esistere, è a un tempo la sua essenza metafisica. L’uomo è fondamentalmente e già sempre
metafisico, mai soltanto uno studioso di metafisica. Anzi, la metafisica è ciò che vi è di più proprio in esso, anche prima del suo essere uomo, perché è il suo accadere fondamentale di anticiparsi in quanto uomo, ossia riguarda il suo carattere di esserci, di apertura, di oltrepassamento, soltanto a partire dal quale ciascuno può individuarsi in quanto uomo e in quanto questo uomo.
[…]
la metafisica, dal momento che si confronta con il niente, è per Heidegger già esistenza, è esistere, la meta-fisica è l’essenza dell’uomo di andare oltre di sé non solo come uomo concreto ma anche come mero ente, di essere l’apertura dell’essere, l’esserci. Ma questa essenza dell’uomo in quanto tale è già propria di ogni singolo uomo. L’uomo è al fondo metafisico perché esiste, e, visto che esistere è il suo carattere d’essere, fintantoché egli è è sempre metafisico. Per il futuro della metafisica, nel senso della sua sussistenza, da questo punto di vista non vi è nulla da temere: finché esisterà l’uomo ci sarà metafisica. Allora però perché interrogarsi a riguardo? Perché preoccuparsi a riguardo? A che pro tale riflessione? Diversamente da molte teorie di stampo umanistico qui la metafisica non è intesa come una disciplina che debba servire a rendere l’uomo più civile, più spirituale o più intelligente. Anzi essa non è proprio una disciplina; l’esistenza stessa è metafisica, a onor del vero basta esistere per essere metafisico. E allora una metafisica dell’esistenza, che si sviluppi in quanto radicalizzazione di una ontologia fondamentale, che cosa significa e perché andrebbe ricercata? Si è detto che l’esistenza in qualche modo prefilosofica dell’uomo è già metafisica, e questo avviene perché l’uomo in quanto esserci va già sempre oltre di sé e, nell’estendersi come apertura, nell’esistere, riceve gli enti secondo la sua comprensione d’essere, sicché essi si mostrano in quanto qualcosa, ossia hanno un significato, già sempre in accordo all’orientazione di questo orizzonte. Questo orizzonte d’essere però, di cui vi è fin da subito comprensione e che quindi ha già sempre un senso, è del tutto inespresso per l’uomo, in quanto a un tempo il più generale, il più indefinibile e il più ovvio, al punto che l’uomo innanzi-tutto e per lo più non è in grado di renderne conto. Qualcosa di molto simile è stato rappresentato già da Platone nella Repubblica con le ombre del mito della caverna: il singolo uomo vede delle cose senza poter scorgere il fondamento del suo vedere, la luce stessa che gli permette la visione, e così crede che le ombre siano cose in sé e non dotate di un significato in ordine a questo orizzonte, a questo modo di visione. Quindi nella situazione quotidiana l’uomo non è conscio di essere metafisico, ma questo non intacca affatto la sua esistenza, ossia la determinazione del suo essere oltre di sé e così il sentire, esperire e al fondo vivere all’interno di un orizzonte di senso.Accade però, ed è importante il fatto che semplicemente accada, che qualcuno si ritrovi nell’insignificanza delle cose, in quell’angoscia.5 che per Heidegger fa venire meno tutti i significati che gli enti ricevono quotidianamente in un orizzonte orientato, ossia dotato di senso. Non vi è più alcun senso e così il teatrino degli enti in quanto cose, delle ombre in quanto cose in sé, perde ogni significato. Anche all’uomo incatenato di Platone sembra infatti capiti a un certo punto di voltare la testa rispetto alle ombre e scorgere il fuoco. Non è chiaro, e andrebbe approfondito, se questa angoscia, questo voltare il capo, sia qualcosa che possa autenticamente essere causato, provocato, o avvenga di per sé. L’importante è qui che questo accada e conduca a rendersi conto dell’inessenza in sé tanto delle cose quanto della stessa verità come verità assoluta, al fondo il passaggio al tema ontologico-fondamentale della veritas transcendentalis: tutto ciò che è è tale in accordo a un preliminare orizzonte d’essere che lo dispone.
Qui si pone l’attenzione però su una cosa fondamentale, che troppo spesso rischia di essere tralasciata, e cioè che questo orizzonte d’essere ha un punto di vista, così come un punto cieco, e mentre quindi riceve e dispone tutto ciò che è in accordo al suo senso, è a un tempo spalancato a partire da un
qui, da un ci che ne fornisce l’orientazione. Questo ci dell’essere è appunto l’esserci .Ciò vuol dire innanzitutto che tale orizzonte, in quanto orientato, non è assoluto, ha un punto di vista che non può ricomprendere tutto ma che accoglie e rigetta, seleziona e dispone, proprio a partire da qui, dal ci che esso stesso è, e non da un astratto punto distante, neutrale e indifferente. Questo è il tema centrale della finitezza di cui ogni sviluppo metafisico dovrebbe farsi carico: ogni considerazione sull’essere in generale è già sempre posta a partire da una posizione ontica che ne determina in qualche modo l’orientazione, e così il suo carattere. Al fondo si tratta del concetto heideggeriano dell’esserci nel suo esser gettato in un mondo, il quale anche quando riflette sul suo essere è condizionato dalla comprensione d’essere in cui si trova. E il progetto, per cui l’esserci già sempre disposto in un orizzonte d’essere è autenticamente nel carattere del poter essere? Il progetto è d”altra parte proprio ciò che illustra in primo luogo le possibilità del passaggio a una metafisica dell’esistenza.Si è detto infatti che nell’angoscia per Heidegger l’uomo si trova spaesato, privo del significato degli enti, e così inizia, qualora non la rifugga per timore, la sua interrogazione sull’essere, su ciò che è e sul senso. Che questa interrogazione prenda le mosse per altri motivi, come la meraviglia, è qui indifferente; l’importante è che il senso dell’orizzonte dato venga ora messo in questione, così come la sua verità in sé. In tale messa in questione, nell’andare oltre gli enti ricevuti in quanto cose e anche oltre di sé come mero uomo, si giunge a riconoscersi come apertura del proprio orizzonte, punto di vista che, pur già sempre in una comprensione d’essere, ha la possibilità di orientarla, di anticipare il significato delle cose ricevute determinando il senso dell’apertura. Ma questo che cosa comporta? Per lo più niente di positivo. Il percorso dell’ontologia fondamentale è ancora propriamente pars destruens, in cui a seguito dello squarcio dovuto all’angoscia si opera un’analisi esistenziale di ciò che è, la quale conduce appunto alla veritas transcendentalis dell’essere e all’assegnazione dell’esserci: niente è di per sé, tutto viene ricevuto da me in quanto apertura in accordo all’orizzonte d’essere spalancato. Tale conclusione è però a prima vista foriera del più sterile relativismo, e lascia così il singolo uomo di nuovo in balia del quotidiano, dove questi per lo più, una volta constatato l’abisso dell’essere, nuovamente si rifugia. Infatti l’ambito del quotidiano, sebbene ora sia stato privato di un senso assoluto, rimane per colui che non compie il passaggio ulteriore e resta nella dissoluzione dei significati l’unico senso, per quanto debole e pantomimico, in cui possa vivere.
(Matteo Pietropaoli)
3 M. Heidegger, Was ist Metaphysik (1929), in Wegmarken (1976), in
Gesamtausgabe, Band 9, ed. F.W. von Herrmann, Vittorio Klostermann, Frankfurt a.M. 1976, pp. 121-122; tr. it. di F. Volpi, Che cos’è metafisica?, in
Segnavia, Adelphi, Milano 2008, pp. 76-77. Qui la traduzione di Volpi è stata in parte modificata.
4 Cfr. in particolare M. Heidegger, Metaphysische Anfangsgründe der Logik, cit., p. 199; tr. it. p. 187: «La possibilità che l’essere si dia nella comprensione ha per presupposto l’esistenza fattizia dell’esserci e questa a sua volta l’esser semplicemente presente fattizio della natura. Proprio nell’orizzonte del problema dell’essere, posto in maniera radicale, si mostra che tutto ciò è visibile e può venir compreso in quanto essere solo se c’è già una possibile totalità dell’ente. Da tutto ciò risulta la necessità di una peculiare problematica che ora ha per tema l’ente nell’intero. Questa nuova interrogazione risiede nell’essenza della stessa ontologia e risulta dal suo capovolgimento, dalla sua μεταβολή. Designo questa problematica come metaontologia. E qui, nell’ambito del domandare metaontologico-esistenziale, vi è anche l’ambito della metafisica dell’esistenza [Metaphysik der Existenz] (qui soltanto si può porre la questione dell’etica)».
[Qui la traduzione di Moretto è stata in parte modificata]
5 Cfr. i § 40 e 68 di M. Heidegger, Sein und Zeit, (in Jahrbuch für Philosophie und phänomenolo- gische Forschung , Band, ed. von E. Husserl, Halle 1927), Max Niemeyer, Tübingen 1993; tr. it. di P. Chiodi, riv. da F. Volpi, Essere e tempo, Longanesi, Milano 2006
da https://www.academia.edu/32037612/Metafisica_dellesistenza._Il_possibile_sviluppo_metaontologico_a_partire_da_Heidegger_Giornale_di_Metafisica_2-2016_
Andrea Brocchieri
in Essere e tempo (1927) l’esserCi è caratterizzato dalla reciproca e intima connessione di tre “esistenziali”: Befindlichkeit (come ci si trova), Verstehen (la “comprensione”, cioè l’orientamento in cui ci si trova), Rede (il “discorso”, il tessuto di parole in cui ci si trova). Queste dimensioni dell’esistenza nel loro insieme costituiscono l’apertura del “mondo” in cui l’esserCi (l’uomo) si trova. Ora, la terza di queste dimensioni coappartiene alle altre due, il che significa che ci si trova “gettati” e ci si orienta in un mondo di parole, grazie alle parole, tramite esse. Ovvero: i “fenomeni”, prima di tutto quelli “in senso ordinario”, sono veicolati dalle parole; per es. la parola “sedia” non solo pre-orienta il nostro rapportarci alla sedia ma anche la cosa stessa ci viene incontro tramite la parola, cioè “sedia”. Noi dunque non facciamo esperienza di “cose” che poi interpretiamo a partire da un orizzonte linguistico dato (questa è la prospettiva dell’ermeneutica) ma noi abbiamo a che fare con “cose” in quanto sono dette, parlate, hanno un nome. Infatti se “mancano le parole” la “cosa” diviene sfuggente. Riguardo poi alla fenomeno-logia in senso filosofico, come dice il nome stesso, il suo compito è per Heidegger quello di portare ad apparire, tramite la parola, il non-detto che sta in mezzo a ciò che è detto, decostruendo (Destruktion) l’ovvietà del discorso ordinario. Perciò tale fenomenologia è “ermeneutica”, cioè è (etimologicamente) un “rendere noto”, un “rendere conto”, un far sì che “le cose stesse” si raccontino.
La denominazione “fenomenologia ermeneutica”, proposta inizialmente da Heidegger stesso, non deve trarre in inganno. Per Heidegger non si tratta di interpretare il mondo. Anzi il contrario: non siamo noi a mettere in questione i fenomeni ma è il mondo dei fenomeni a mettere in questione noi; quindi l’uomo come tale è esclusivamente risposta.
Ciò differenzia essenzialmente la fenomenologia di Heidegger dall’ermeneutica, nella quale è sempre l’uomo a domandare per primo; il che significa presupporre sia l’esistenza di un soggetto interrogante sia di una realtà-in-sé investita dal domandare umano; solo a partire da qui s’innesca il “circolo ermeneutico” – che dunque non è l’originario. Anche nel secondo Heidegger troviamo bensì un “circolo” ma non nel senso dell’ermeneutica; è la circolarità tra essere e uomo, nella quale l’essere richiede la parola umana per “esserCi”. Per questo, nel Heidegger più maturo, il “linguaggio” appare ancora di più come il fenomeno essenziale in senso fenomenologico.
Che cos’è metafisica?
Che cos’è metafisica? è un testo centrale nella recezione di Heidegger; tradotto in diverse lingue ben prima di Sein und Zeit, contribuì alla fama mondiale di Heidegger. Il tema è quello enunciato dal titolo ma nel testo risulta centrale la questione del “nulla” (Nichts), presentata come la questione eminentemente metafisica, che coinvolge il fondamento delle scienze e della logica e ne limita la portata. D’altra parte la stessa metafisica, che pone al suo centro il problema del nulla, si presenta come “problematicismo” e non come assicurazione di una verità. Perciò la prolusione suscitò la reazione sia dei neopositivisti, che dei metafisici, che dei teologi, i quali la accusarono di nichilismo, di costituire una filosofia depressiva (dell’angoscia), di essere contro la logica e le scienze.
[…]
il nulla è la possibilità positiva di ogni ente e che, insieme, è la possibilità negativa di tutto l’ente. In positivo l’ente si dà: a) nella
Nichtung cioè precariamente, come ciò che, essendoci, tuttavia potrebbe non essere; b) stagliandosi sullo sfondo del nulla (Nichts) cioè della possibilità estrema, che niente sia più (possibilità che molto concretamente, per me, è la mia morte). Viceversa la totalità dell’ente è accessibile solo negativamente: come la possibilità che, di tutto quel che c’è, c’è stato e potrebbe esserci, di tutto il “mondo” non ne sia più nulla. La totalità dell’ente è evidente sempre solo come la sua possibilità negativa, e dunque non è mai evidente come una totalità data, come una totalità reale, come l’“assoluto”. Perciò non c’è contraddizione – ma non nel senso che per un aspetto l’ente è svelato e per un altro resta nascosto, bensì in un senso più sottile: poiché la totalità dell’ente è svelata nel fenomeno del nulla (e non altrimenti) e cioè solo come possibilità negativa, con ciò stesso (cioè nel fenomeno del nulla) questa totalità rimane inaccessibile in quanto totalità reale, attualmente data. Così siamo in grado di intendere il significato di Verborgenheit, Verbergung, verbergen (che abbiamo malamente tradotto con “nascondimento” e “nascondere”). Consideriamo la forma verbale verbergen.
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Stando all’etimologia, da un lato ver-bergen significa “mettere al sicuro” (assicurare) e dall’altro significa “precludere”. Ora siamo in grado di intendere il senso del passo di Heidegger. La totalità dell’ente ci è assicurata (dal nulla, dal nichten) ma solo come la possibilità negativa di tutto l’ente, come una possibilità sempre aperta e una realtà mai data. Cioè la totalità dell’ente ci è assicurata come possibilità (negativa) e ci è preclusa come realtà positiva. Invece i possibili positivi e i reali positivi sono gli enti (particolari) che ci vengono incontro nel mondo. Risolta questa difficoltà (che però deve insegnarci qualcosa sia sul nulla sia sulla contraddizione) possiamo registrare le tre differenze tra Hegel e Heidegger che emergono da questo paragrafo:
(1) Attraverso la fenomenologia del nulla Heidegger mostra che la totalità non è accessibile come tale, cioè come l’insieme dato degli enti. (2) In Hegel (Scienza della logica) il nulla è risolto nel “negativo”, che è valorizzato come “momento” del divenire dello Spirito, cioè come estraniazione dell’essere, come morte in vista della resurrezione, come stadio intermedio della trans-formazione dell’essere, in vista del suo diventare pienamente “reale”, cioè in atto, cioè “ente”.
In Heidegger il nulla non è coinvolto nel molteplice divenire dell’ente, mentre ogni ente è sospeso nel nulla; questo nulla, che in
Che cos’è metafisica? è “Nichten” e che qui in Sull’essenza della verità è “Verbergung”, a suo modo è il sempre-presente, il substratum permanente dell’ente e dell’uomo. Per questo, alla fine del passo che stiamo analizzando, Heidegger scrive: «ist die Verborgenheit». Il nulla, la “Verborgenheit”, è.
– Il nulla è propriamente l’essere, il nulla è l’essere in quanto si manifesta e il “mistero” che esso racchiude è l’essere in quanto
non diviene mai fenomeno, in quanto si sottrae nell’apertura del mondo. (3) Il nulla rende possibile la totalità dell’ente ma non è coinvolto nell’ente, dunque è “salvo” (heil) dal divenire, quindi è das Heilige , “il sacro”. Il nulla in Heidegger è il luogo del divino. In ogni caso il divino si annuncerà attraverso il nulla. Invece sia la teologia che Hegel pensano “dio” come ‘summum ens’, cioè come ‘ens perfectum’, come pienezza dell’essere reale, positivo. Per la teologia l’‘esse perfectum’ è al principio, per Hegel è invece il culmine della realtà storica; in entrambi i casi l’‘esse perfectum’ è il fondamento del mondo e ne decide il destino. Al contrario in Heidegger (quel Heidegger che nel 1930 s’incammina su un percorso di pensiero che lui stesso comprenderà solo a partire dal 1936) non solo l’essere si manifesta come nulla ma al tempo stesso nel nulla si sottrae, per cui è sì un fondamento (come nella tradizione metafisica) che però si toglie via (Ab-grund). Ciò comporta che il mondo sia un gioco aperto, nient’affatto scontato, anche perché l’essere stesso si consegna di fatto al gioco – analogamente a quanto accade nel caso di colui che sia assente nel momento in cui si decide anche di lui (per cui lascia che i presenti possano decidere senza tener conto di lui o dimenticandosi di lui). Questa considerazione ci riconduce nuovamente alla questione della libertà. Intanto adesso si può capire perché Heidegger indica il luogo dell’esperienza della Kehre (inversione) nel passaggio tra i §§ 5 e 6. Se la verità è l’evidenza dell’ente nella sua totalità; se ciò che rende possibile tale totalità è il “nichten”, cioè il nulla, e se il nulla è l’essere in quanto si manifesta (il “ci” dell’essere) – allora la verità è verità dell’essere, e la domanda sull’essenza della verità si inverte da sé nella domanda sulla verità dell’essere. Ma se la verità sembra un modo dell’evidenza, l’essere, in quanto si svela come nulla, si sottrae all’evidenza. Perciò l’essenza della “verità dell’essere” sarà Un-wesen (essenza negativa, inessenza) e em>Geheimnis (mistero, segreto). Questo segreto è custodito dall’uomo; non è il ‘sancta sanctorum’ di una dimensione sacra (per es. l’empireo dantesco), ma è l’essere esperito come quel nulla che fa da sfondo e fondamento all’insieme degli enti. Poiché solo l’uomo, in quanto tale, si trova esposto al nulla e poiché tuttavia egli non può accedere a questo fondamento e disporne, per questo egli ne è il “custode”. Infatti Ge-heimnis significa “ciò che è racchiuso nella casa”, custodito e protetto dall’abbraccio dell’intimità domestica.
https://www.academia.edu/5305113/La_desistenza_dellessere_Che_cos%C3%A8_metafisica_e_Sullessenza_della_verit%C3%A0_di_Heidegger?email_work_card=view-paper