Poesie inedite di Giorgio Linguaglossa, Mario M. Gabriele, Lucio Mayoor Tosi con una Glossa, A proposito del «dicibile» e dell’«indicibile» nella nuova poesia, la nuova questità delle cose e la nuova questità del linguaggio

gif tacchi a spillo

La nuova poesia ci svela la nuova mondità del mondo

Una poesia di Giorgio Linguaglossa

da Risposta del Signor Cogito di prossima pubblicazione

Wartezimmer

Tre squali nuotano nella piscina.
Tre murene nuotano nella piscina.

Un dado rotola sul tavolo.
Una clessidra è assorta sul tavolo.

Wartezimmer, musica da dessert, un tintinnio.
Sipario. Fa ingresso Mimoza Ahmeti

l’amante di Sesto Empirico
vestita da Wanda Osiris, piume e pennacchi…

Entra una crossdresser con altissimi trampoli ai piedi,
ed esce dalla cornice.

[…]

Tre Signore dal lungo collo
osservano attraverso la porta semichiusa

alla parete un nudo femminile che accoglie
gli ospiti del sonno.

Un uccello di fuoco si spegne e diventa cenere.
Entra la redingote del Signor K.

che si adagia sulle spalle del Signor K.
si soffia il naso con rumore.

[…]

Entra un viaggiatore che ha perso la coincidenza
del treno per Vladivostok.

Un telefono nero da muro dal lungo collo nero di gomma
con i fili staccati.

Una tigre che non c’è, sbadiglia.
Una Signora si ripassa il rossetto sulle labbra.

 

Due poesie di Mario M. Gabriele

da Registro di bordo di prossima pubblicazione

8

Hai lasciato la dimora e il Grande Gatsby
con gli oggetti che non ti parlano più.

L’anticiclone mise in pausa l’ira dell’inverno
senza passare sulle cime dell’Adamello.

Giorni si susseguono nel ritmo dell’hukulele.
Uno verrà col fiordaliso in bocca.

Buona parte dell’anno è passata
senza effrazioni sulla pelle.

Al Biffi Hotel rimanemmo
per conoscere la varietà dell’Essere.

Ora pensi a dicembre
segnando le date da riesumare

I vestiti autunnali
li abbiamo lasciati ai ragazzi del Bahrain.

Mister Wood agita mente e anima,
non sopporta i Concerti Brandeburghesi.

Torniamo in superficie
col rumore di fondo dopo Quickly Aging Here.

Dura il mese bisestile.
Barkeley canta Crazy.

9

Abbiamo percorso tornanti e strade
con avvisi di stay away.

Nel vecchio motel ci sono stati incontri
di creative writing con poeti underground.

Si inasprisce l’aria di mele guaste.
Gli occhi della signora Rowinda non incantano più.

Le distanze non sono mai parallele,
neanche a leggere Postkarten.

Qualcuno ricordò
le riflessioni spirituali di Etty Hillesum.

E’ rimasta in giacenza la lettera da Wiesbaden
con il domicilio sbagliato.

Dal balcone il panorama si è ristretto.
Ci dividiamo l’Inferno e il Paradiso.

Carissimo John, il bulldog è sulle tracce
dell’infanzia perduta.

Benn disse di aver letto Peter Russell
e che alcuni versi gli erano rimasti nella mente:

La mia cara moglie, Lucimnia,
è stata a lungo, in segreto, una cristiana-.

Karinova soffre di beta amiloide.
Gira il mondo con i pensieri-rondinelle.

 

Una poesia inedita di Lucio Mayoor Tosi

Ecco nel cielo scomparire uno stormo di uccelli.
Il maresciallo delle allodole capì all’istante

che quello sarebbe stato il suo destino. Vedere solo
il desiderato. Non esattamente un lavoro da spie.

Non esattamente. Al di sotto, sulla terra, dove non c’è nulla,
a parte quel che se ne dice. Dopo tempeste di sale, guerre

già nella perfetta Grecia; via vai di gente mai più vista.
Come morti. Non ci si affeziona.

Rimane ancora molto spazio libero e profondo al centro
della via. Per morti ingloriose. Ma lo sono tutte.

A volte ci si appoggia all’aria. Perché il resto infelice
sta per mettersi a piangere. Così scrive il compositore:

“Virgole al tramonto”, concerto con ascolto.
Per credenze del passato. E “Ancora sognanti”.

 

Giorgio Linguaglossa

Una Glossa. A proposito del «dicibile» e dell’«indicibile»

Ritorno al problema che considero centrale per una riflessione sulla «nuova poesia», il problema ineludibile, il problema dei problemi, l’indicibile nel linguaggio e, quindi, nella poesia. La questione non è affatto di poco conto, anzi la considero centrale.

Per esempio, nelle poesie come quelle postate alcuni giorni addietro, di Franco Marcoaldi e di Valerio Magrelli ma anche di Maurizio Cucchi, noi traiamo piacere nello scoprire che il «detto», l’«onoma», corrisponde perfettamente alla «res». Le poesie di Marcoaldi, di Magrelli, di Cucchi riescono piacevoli ma non ci sorprendono, non ci scuotono con una nuova significazione in quanto interamente significate, esplicitate, e, proprio per questo, si fermano al «detto» delle «cose», a quello che sappiamo già intorno ad esse. Lì le «cose» sono compiutamente indicate, la poesia di questi autori si arresta al «dicibile», al già detto, tutto ciò che viene detto risulta perfettamente indicato, riesce comprensibile, già significato. Il messaggio, una volta giunto a destinazione, viene automaticamente archiviato nel già significato e posto nel dimenticatoio della comprensione.

Se prendiamo, ad esempio, una poesia della nuova ontologia estetica, ci troviamo davanti al tentativo di forzare al massimo grado le porte del «dicibile» per sondare la dimensione dell’«indicibile». Se avete la bontà e la pazienza ad esempio di leggere  una mia poesia, «Il bacio è la tomba di Dio», già dalle prime righe siamo proiettati in una situazione ultronea: una «Torre» immersa nella neve (l’immagine mi è stata suggerita dalla fotografia di Evgenia Arbugaeva); la torre reca una scrittura sopra la porta d’ingresso, misteriosa e terrifica. Quella scritta è la chiave di violino che apre una partitura: si apre una dimensione ultronea nella quale il lettore abita una «questità di cose» poste da un punto di vista inusuale ma non impossibile, una situazione-questità che chiunque di noi avrebbe potuto esperire nella propria esistenza.

«La nuova questità delle cose» per essere nominata richiede un nuovo linguaggio poetico. I continui salti spazio-temporali, l’apparizione in presenza di personaggi storici (Wagner, List) o inventati, le voci esterne e le voci interne che confliggono, insomma, tutta l’architettura complessiva delle voci che intervengono nel testo, tutte queste «cose» formano una «questità di cose», ci dicono che siamo in presenza di una situazione «indicibile» che richiede un modo di dire dell’«indicibile». E allora, il primo pensiero è stato pensare una poesia che ponesse una «situazione delle cose», che potesse essere detta tramite un quid di «indicibile» non presente nella tradizione della poesia italiana del novecento. E allora occorreva andarsi a costruire una nuova ontologia estetica che creasse un nuovo utilizzo della sintassi e della grammatica, un diverso impiego della iconologia.

Voglio dire che una tale «questità di cose» come quella esposta nella poesia della nuova ontologia estetica non sarebbe stata possibile mediante il linguaggio referenziale che va di moda oggi in poesia, dei Marcoaldi-Magrelli-Cucchi, sarebbe occorso un ben altro concetto ed impiego del linguaggio poetico: pensare il linguaggio poetico come portatore di una entità di significazione «indicibile», in grado di illuminare, appunto, il lato in ombra delle cose.

Era necessario fare un passo indietro rispetto ai linguaggi referenziali, in quanto la nominazione poetica si dà soltanto nella forma del congedo, del ritrarsi dalla soglia della significazione e delle cose; nel congedo è implicito il saluto; il salutare le cose nel loro esserci e nel loro esserci state, per noi, è un atto massimamente umano, implica il riconoscere la profondissima umanità delle cose, la quiete delle cose, il loro silenzio, il loro essere lì per servire l’uomo, non per essere asservite dall’uomo.

Se riflettiamo un momento sull’«indicibile» (concetto sul quale viene costruita la poesia della nuova ontologia estetica), ci rendiamo conto che è proprio la necessità di indicare-accennare-alludere all’«indicibile», cioè al lato in ombra del linguaggio,  al lato in ombra delle cose,  a rendere necessario un diverso modo di intendere ed impiegare il linguaggio poetico.

La nuova poesia ci svela la nuova mondità del mondo.

Finirei col dire, parafrasando Giorgio Agamben, che «non il dicibile ma l’indicibile costituisce il problema con cui la poesia deve ogni volta tornare a misurarsi».

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20 risposte a “Poesie inedite di Giorgio Linguaglossa, Mario M. Gabriele, Lucio Mayoor Tosi con una Glossa, A proposito del «dicibile» e dell’«indicibile» nella nuova poesia, la nuova questità delle cose e la nuova questità del linguaggio

  1. Ho ricevuto una email sul post di stamane da un autore di cui intendo mantenere l’anonimato:

    «Scusami Giorgio, ma mi puoi spiegare che cosa vogliono dire queste poesie menzionate nel post odierno? Che significano? Mi sfugge il loro significato, mi sfugge il loro mondo, la loro, come tu ti esprimi, “questità delle cose”. Queste poesie per me sono un mistero, non riesco ad afferrarle. Per questo motivo non posso dire né che siano belle, né che siano brutte. Un caro saluto».

    Caro amico,
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2019/06/04/poesie-inedite-di-giorgio-linguaglossa-e-mario-m-gabriele-con-una-glossa-a-proposito-del-dicibile-e-dellindicibile-nella-nuova-poesia-la-nuova-questita-delle-cose-e/comment-page-1/#comment-57415
    cosa vuoi che ti dica? Non posso dirti nulla per illuminarti, non ho una torcia elettrica per illuminarti, la luce non si dà in prestito o in affitto, o la si ha, o non la si ha. Si comprendono soltanto le cose delle quali già siamo, in qualche modo e misura, alla ricerca. È che qui siamo in un’altra mondità, in un altro modo di rappresentare la mondità del mondo, non siamo più nel concetto della poesia rappresentativa del secondo novecento italiano ed europeo, quella è poesia posiziocentrica ed epigonica, devi uscire fuori da quella concezione.

    Già Tranströmer, con 17 poesie del 1954, aveva indicato un diverso modo di rappresentare l’irrappresentabile, noi continuiamo nel solco della ricerca del poeta svedese, ovviamente, con gli aggiornamenti di oggi, che il mondo odierno ci richiede, e ci impone, anche a nostra insaputa o contro il nostro intendimento. Il mondo richiede agli artisti un nuovo modo di dire la mondità. Tutto qui. Tutto molto semplice. È ovvio che dal punto di vista della poesia italiana che si fa da 50 anni a questa parte, questa poesia possa presentarsi come un Enigma, come un Incomprensibile. Ma questo non significa assolutamente niente, occorre un grande sforzo di fantasia e concettuale per entrare in questo nuovo mondo di dire la nostra mondità.

    Queste poesie ci parlano del nostro mondo, se tu non lo capisci io non posso farci niente; ma le poesie aspettano, sanno aspettare che vengano tempi più maturi per essere lette ed apprezzate, forse tu dovrai proseguire il tuo viaggio di ricerca per altri anni o decenni per poterti avvicinare alla mondità del nuovo mondo, o forse non arriverai mai ad accettare questo nuovo modo di dire la nostra mondità. Ma questo non cambia nulla della questione che queste poesie pongono al lettore. In parole povere, queste poesie pongono dinanzi al lettore il fatto, ovvio, che il reale è un Enigma, e che per essere compreso il reale richiede di essere rappresentato come un Enigma.

    • “In parole povere, queste poesie pongono dinanzi al lettore il fatto, ovvio, che il reale è un Enigma, e che per essere compreso il reale richiede di essere rappresentato come un Enigma. ”

      Se la realtà è un Enigma quale potrebbe essere l’approccio verso di essa? A Edipo che ne ebbe la chiave si aprì il mondo tragico, dove ogni certezza venne meno a cominciare dal proprio Io. La materia richiede dunque prudenza. Non stiamo scoprendo come fare belle le statue del Partenone ma come poter dialogare con il demone che vive al loro interno. Il passo richiede accortezza di approccio ma anche audacia e c’è una buona probabilità che esso non voglia dialogare ma soltanto assoggettarci, rendendoci schiavi di un linguaggio sufficiente a sé stesso, capace dunque di consolarci con le meraviglie della certezza, delle regole e della bellezza a condizione che non si scoprano mai le carte e nessun Tiresia venga a dirci come stanno le cose, chi tira le fila nel teatro.

      SULLE FRASI E RITRATTI DA METTERE SULLE LAPIDI

      [GIARABUB e Oltre] Bolla nel deserto.
      Piccoli edemi nella steppa.

      Competizione tra dita e cannoni.
      Piombo fermo nelle arterie.

      Girò l’elica il suo tempo.
      L’epoca non scese dal predellino

      Tutto sta a capire il nostro giugno:
      Se prima o dopo, marzo 1941.

      ****

      [MURAT E ALTRI] Patibolo di un giorno finito su carretta.
      L’incorruttibile a cento.

      Dopo un viaggio tra pianeti la scia carminio:
      fazzoletto al collo del Vesuvio.

      Molti divenne Io
      Souvenir di Litio prono a farsi Elio.

      ****

      [IL CASTELLO DI CELESTINO] Si procede con coscienza d’auto
      affari maoisti nelle microspie.

      Accelerare, raffreddare
      fotoni talvolta elettroni.

      Quando tutto finì ci fu un assestamento d’istanti
      sotto nuvole di grasso.

      Un gironcino niente male per lo jogging.
      Selfie e ciottoli. Dentro: un delitto?

      Arsenico e sorelline:
      il tempo imbalsamò le vittime ma non i vincitori.

      I tulipani contengono la biblioteca della Ciociaria.
      la terrazza: ragù posticcio.

      Urlo cosmico della neve.
      Un bambino s’aggira per l’Europa.

      Tutto in ordine al centro dell’universo
      Il delitto generò una costellazione.

      Fecero in fretta i muri a liberarsi di turisti e domande.
      Esalavano da bocche decadenti nausee da goduria estrema.

      Celestino in una cella.
      C’entrava la croce?

      Infierirono i denti della curiosità.
      Di chi il pungiglione in vetrina?

      ****

      [BARIi] L’universo di marmisti e maestranze
      si mosse per le vie del centro

      la maturazione fu colpita al cuore
      dal maggio inusuale

      -Non sono epoche da rivoluzione dunque
      Batista al governo di Cuba.

      La lama precorse i tempi
      e da noi il re borbone tifa Maradona.-

      Uno strano sapore venne dalla pioggia
      la primavera organizzata per novembre

      questa invece era in mano a dei ragazzi
      matita rossa: errore di Togliatti

      anche le ciliegie ebbero un colore odioso
      maggio morì cominciava aprile.

      Diluviò ancora, il colombo non tornò
      matita blu sulla cappella, lutto della Creazione?

      togliere l’intonaco dal Michelangelo
      vizio di una mano che riempiva i buchi?

      dopo tutto per le vie del centro non si vide Dio
      ma una strana analogia di lapidi e copertine

      in bella mostra l’addio e la fioritura
      il detto, il fiat, la scommessa sul domani

      si andò avanti in quark che allargavano la circonvallazione
      e un fallout che piovve dadi sulla città.

      ****

      [SABAUDIA] Teatro di cinghiali. Guai a toccare i figli.
      Attaccano l’invisibile?

      Uno sciame d’oro: il nido nel numero delle banche.
      L’universalità si sporge dal giardino del DNA?

      Una signora nutre gatti senza specie.
      Cani liberi oltre il suo. Colpa metafisica?

      Cinquanta per cento di Vittorio Emanuele III
      il resto, Sandro Pertini.

      Lo spirito del tempo affacciato a una mitragliatrice:
      un dente a sciabola punta la femorale?

      Frantumare il tempo in chicchi d’uva.
      Corto d’epoca, l’amore in un prato.

      Formiche sul sagrato, nuvole.
      Incerti quadri s’allargano al Circeo.

      ****

      [SANGUE DI CRONOS]… Non c’era nulla per quanto oscuro
      che non stesse nell’ algebra delle merci

      Dopo tutto avevamo un totem
      qualcosa era rimasto di una piazza

      E la contrapposizione fu feconda
      Giocasta -quante vite avrà ancora?

      Cronos ebbe una chance insperata:
      Bisognava seppellirli

      Un vulcano forse, uno tzunami
      Sarebbe stato meglio per tutti…

      (Francesco Paolo Intini)

  2. Scrive il filosofo Massimo Donà:

    ciò che caratterizza l’esperienza della bellezza, e (sia pur secondo sue specifiche caratteristiche, che non abbiamo qui lo spazio per illustrare) anche quella del sublime, è il fatto che quando qualcosa ci sembra bella, questa stessa cosa ci lascia – per dir così – senza parole. Ciò che diventa anzitutto chiaro è dunque questo: per un verso, riconosciamo immediatamente la bellezza dell’oggetto che ci ha colpito esteticamente (la riconosciamo senza tentennamenti, senza lasciare spazio a dubbio alcuno – quel dubbio che tormenta invece quasi tutte le altre nostre esperienze –, tanto che nessuna argomentazione potrà mai farci rinunciare alla nostra convinzione), ma per un altro verso a questa pressoché assoluta certezza (solamente nostra e decisamente incomunicabile, almeno in rapporto alle sue effettive “ragioni”) non corrisponde un’altrettanto solida chiarezza di idee intorno alle ragioni che possono aver reso “bello” quel che ci sembra tale. Insomma, se ci chiedessero perché quel che riteniamo certissimamente bello sia tale, non sapremmo cosa rispondere; il nostro eloquio diventerebbe incerto, cominceremmo a balbettare e a indicare ragioni che non rendono ragione di nulla, ma si limiterebbero di fatto a ribadire che quella cosa è bella (quel quadro, infatti, non può esser bello perché ha dei bei colori, perché le sue forme sono belle… rispondendo in questo modo, infatti, ci limiteremmo a ribadire che quel che vediamo – nel caso si tratti di un quadro – è bello e che sono belle, per ciò stesso, tutte le sue diverse componenti). Ecco perché quella della bellezza è un’esperienza sempre anche “destabilizzante”; radicalmente diversa, cioè, da tutte le altre. Perciò Kant sarebbe stato tormentato da più di qualche dubbio intorno alla valenza conoscitiva dell’esperienza estetica. Eppure in molti, nel corso della storia dell’Occidente, hanno pensato che quella della bellezza fosse anche un’esperienza “conoscitiva”. D’altro canto, non era stato proprio Platone a mostrarci per primo che il fine ultimo (il telos) di ogni percorso conoscitivo ha a che fare con quell’Uno che non sarà mai riducibile ad un oggetto di conoscenza (perché il suo coglimento implicherebbe anzitutto l’identificazione di conoscente e conosciuto)? E non è stato sempre il più grande allievo di Socrate ad aver identificato questo Uno con il “bello in sé” (vedi il Simposio)? Il conoscere, insomma, vuole da ultimo quel che non si può conoscere; che non si può conoscere perché non è in alcun modo riducibile ad “un conosciuto”, ossia ad un “oggetto di conoscenza”. Ma, allora, proprio il fatto che la bellezza non ci faccia conoscere alcunché, del mondo, potrebbe anche aver a che fare con il suo farci fare davvero esperienza del fine ultimo di ogni conoscenza. Ossia, dell’Uno, dell’unità originaria che mai si lascia risolvere in un “questo” o in un “quello”… e cioè in un “diverso”. Forse, cioè, è proprio in virtù di tale natura (una natura davvero eccezionale), che la bellezza ha continuato ad interrogarci per secoli (quando interroghiamo la bellezza e cerchiamo di definirla, infatti, siamo noi ad essere chiamati ed interrogati da una bellezza che di fatto ci destabilizza). La bellezza, infatti, ci interroga. Ossia, ci impone di cercare di capire chi siamo e cosa facciamo quando vogliamo conoscere il mondo; chi siamo e cosa facciamo quando ci sentiamo chiamati in causa da questa stranissima esperienza, le cui caratteristiche sono davvero “uniche” e non paragonabili a quelle di nessun’altra. Certo, noi animali dotati di logos, e naturalmente vocati a conoscere tutto quello viene a costituirsi come altro da noi, non possiamo fare a meno di provare a conoscere anche l’oggetto che dovesse esserci apparso bello; e soprattutto non potremo fare a meno di cercare di capire le ragioni della sua potenza ammaliatrice. Sì da indirizzare la nostra domanda di conoscenza non tanto all’oggetto (bello) in quanto tale (cosa sia tale oggettualità ce lo possono infatti dire tutte le altre forme di conoscenza, volte appunto alla semplice de-terminazione dell’oggetto reale), quanto piuttosto alle possibili ragioni della sua bellezza.1

    1 https://www.letture.org/di-un-ingannevole-bellezza-le-cose-dell-arte-massimo-dona/

  3. Carlo Livia

    La riflessione e la poesia di Linguaglossa rendono quasi tangibile l’aporia e l’istanza soteriologica che sottendono a quella dimensione del pensiero filosofico contemporaneo che, come nell’ermeneutica di Heidegger, chiuso negli intrascendibili confini del linguaggio convenzionale, transita nel pensiero poetico, come per varcare un confine ontologico, liberarsi da una prigionia ideologica e noetica vissuta come intollerabile. Ma come pensare l’impensabile, strutturare emozioni, ansie etiche e metafisiche, attraverso varchi, fratture, violenze, icone pregne dì oscurità ed enigmi, per risacralizzare il pensiero e rifondare un’ontologia immune da mistificazioni usando il linguaggio, cioè lo stesso strumento che ha prodotto le catene psichiche da cui ci si vuole liberare? E’ l’impresa che, da Rimbaud in poi, tentano tutti i poeti che sentono necessaria, come l’aria, una nuova lingua, che esprima ciò che nessuno ha mai pensato prima, ma che è l’essenziale, l’ineludibile, l’irrinunciabile.

    LA FALSA CIRCOSTANZA

    Non fidatevi di quella lacrima! Ha ucciso la nostalgia. E’ un lago senza Dio, con troppe lanterne, troppi portali.

    Non voglio i sorveglianti!
    Vi prego, ditemi che non ci siete.
    Uccidete le nozze sepolte, i coralli che gridano, le ostie pugnalate. Lui è qui, non lo sentite?
    No, non toccate quell’istante, è pazzo! Lasciatemi, toglietemi questi fili! Questi occhi! Ho bisogno di quel chiaro. Ho tante porte da chiudere. Tante donne da esplorare. Tante terrazze, tanti venti da liberare.

    Vi prego, vi prego, ditemi che non ci siete.
    Salite! No, scendete! Io non posso, sono nel sogno immobile. Con le chitarre sfiorite. Le serrature celesti. I muri atterriti. Le tempeste di nylon.

    Salvatemi! No, salvate lei. Il pozzo di flauto. Di avemarie. Riparate quel cielo. Perdonatemi. Sono io il buio. Il precipizio.

  4. Sul ramo esposto a mezzogiorno,
    quando le sinossi alle ginocchia imprimono

    il dolore, l’intrigata foglia ha una aderenza
    patchwork. Gli studi sulla tendenza allo

    strabismo di eroi accinti alla scollatura. Un verbo perfetto. Solitario

    nella mescola vicino gli affluenti un bacio con Renzo e Lucia.

    Grazie OMBRA.

  5. Penso che la ‘colpa’ di non ‘capire’ un certo tipo di poesia sia del lettore e non dell’autore.

  6. https://lombradelleparole.wordpress.com/2019/06/04/poesie-inedite-di-giorgio-linguaglossa-e-mario-m-gabriele-con-una-glossa-a-proposito-del-dicibile-e-dellindicibile-nella-nuova-poesia-la-nuova-questita-delle-cose-e/comment-page-1/#comment-57425
    Una poesia inedita di Milaure Colasson

    Elle fumait un démon vert
    Électronique

    Un visage déformé
    Un personnage en flou
    ….Bacon…fascination

    La coupe de champagne
    Se renverse
    Envahissant table et pantalons
    La contemplation s ‘ interrompt

    Doit trouver l ‘ harmonie des couleurs
    Obsession de l ‘ ultime tableau

    Se poser un tas d ‘ insolubles
    Petits problèmes
    Pour être dans la vie
    ……….comédie

    L ‘ optimisme pessimiste
    L’ habille
    Comme une robe moulante

    Le vent soufflait dans les pins
    Ils frissonnaient
    Une folle respiration
    …..la sienne

    *

    Stava fumando un demone verde
    Elettronico

    Viso stravolto
    Un personaggio evanescente
    …Bacon… fascinazione

    La coppa di champagne
    si rovescia
    Dilagando su pantaloni e tavolo
    Si ferma la contemplazione

    Deve trovare l’armonia dei colori
    Ossessione dell’ultimo quadro

    Porsi un mucchio di piccoli problemi
    irrisolvibili
    Per stare dentro la vita
    … commedia

    L’ottimismo pessimista
    La riveste
    Come un abito aderente

    Il vento fischiava nei pini
    Loro tremavano
    Un folle respiro
    …il suo

    (traduzione di Edith Dzieduszycka)

    • Quando Carlo Livia scrive:

      E’ un lago senza Dio, con troppe lanterne, troppi portali…

      oppure, quando Milaure Colasson scrive:

      Elle fumait un démon vert /Stava fumando un demone verde…

      oppure, quando Lucio Mayoor Tosi scrive:

      Non esattamente. Al di sotto, sulla terra, dove non c’è nulla…

      oppure, quando io scrivo:

      Entra una crossdresser con altissimi trampoli ai piedi,
      ed esce dalla cornice…

      oppure, quando Mario Gabriele scrive:

      Giorni si susseguono nel ritmo dell’hukulele.
      Uno verrà col fiordaliso in bocca.

      oppure, quando Simone Carunchio scrive.

      Forbicine e lepismi occhieggiano dagli angoli…

      oppure, quando Donatella Giancaspero scrive:

      Una perfezione fonda, inconoscibile, è forse oltre.

      oppure, quando Gino Rago scrive:

      Alberi di Giuda, siepi di rododendro, pergole di glicine, lillà.

      Ecco, vorrei dire che quando ci troviamo dinanzi ad enunciati che contraddicono apertamente il senso comune e la communis opinio di come deve essere un verso per essere accettabile, ecco che qui ci troviamo dinanzi alla procedura della nuova ontologia estetica, nella quale ogni emistichio o ogni enunciato apre, ma non chiude, ogni enunciato è fine a se stesso, ogni enunciato o semi enunciato contraddice l’enunciato seguente o precedente o si trova in rapporto di inferenza contraddittoria o di nessuna inferenza con gli altri enunciati, ecco, proprio questa è la caratteristica della nuova poesia. Significa che in un testo della nuova poesia si dà una molteplicità di determinazioni tutte possibilmente esistenti in quanto esistenti in un testo poetico il quale necessariamente dismette ogni contatto con il referente per optare per il contatto con l’icona. Tutto ciò che c’è in un testo «significa» non più alla maniera tradizionale dove c’era un «io» che orchestrava e dirigeva l’orchestra dei significanti e dei significati alla stregua di un demiurgo che tutto può fare e disfare.

      Sta di fatto che questo demiurgo non c’è più, che era una illusione, che quel demiurgo cui davamo tanto credito, è scomparso, non c’è più. Il nuovo principio che un testo della nuova poesia mette al centro del fare è esattamente che il principio risulta privo del principiante, cioè dell’io, ovvero, che il principio non è il principio di alcunché, che il principio è anche una fine, che il manifesto non è soltanto l’esistente presso la communis opinio ma anche il possibile (in quanto presente in un testo poetico), che il «senso» fuoriesce da una miriade di determinazioni. «Fuoriesce» è il termine proprio, cioè il senso va via, se ne va per suo conto, libero, in quanto non è più condizionato da un «io» governatore del governatorato. O meglio, l’io c’è, da qualche parte, c’è ma noi non sappiamo più dov’è, dove si trova esattamente. Proprio come nella fisica quantistica, l’io si trova contemporaneamente in due luoghi diversi e anche lontanissimi l’uno dall’altro. Trovate tutto ciò bizzarro? Ma la filosofia e la psicologia da almeno un secolo in qua ci dicono queste cose, non le abbiamo scoperte noi, noi prendiamo semplicemente atto di una realtà che è in atto da molto tempo.

      Scrive il filosofo Massimo Donà:

      «Ecco, l’equivoco che mina alle radici il nostro comune modo di esprimerci( e che lo mina sin dai tempi di Aristotele) consiste proprio nell’ingiustificata convinzione secondo cui il sola-mente “pensato” (ciò che i sensi non riuscirebbero a sperimentare, in conformità ad uno specifico modo – il loro – di accogliere l’esistente) non sarebbe un propriamente esistente. Ossia, non sarebbe “in atto” – ma si costituirebbe appunto come sola-mente “possibile” (come un qualcosa la cui “esistenza” sarebbe da ritenersi sola-mente “possibile”). Abbiamo detto “sin dai tempi di Aristotele”, in quanto per Platone, invece, come tutti sanno bene, il pura-mente “intellegibile” è addirittura più solidamente esistente di quel che si dà come accessibile per via propriamente sensibile.
      Ecco in che la communis opinio è radicalmente aristotelica, e, almeno da questo punto di vista, assolutamente estranea alla forma mentis avente il proprio archetipo nella metafisica platonica.
      Ma, perché mai il “sensibilmente presente” dovrebbe poter essere qualificato come veramente esistente, e il semplicemente “pensato” invece no?
      Perché mai la forma “sensibile” del manifestarsi dovrebbe garantire una più concreta attualità – attribuibile appunto a tutto quel che appare secondo i dettami imposti da tale costitutivo modo d’essere?».1

      La poesia che va di moda oggi è quella proposizionale, amusaica, posizionale cioè fondata sul proposizionalismo, sulla posizione dell’io, sulla giustificazione dell’io e della sua crisi, sull’ordine amicale promulgato dall’io in quanto ogni proposizione si giustifica da sé, ha in sé una organizzazione perifrastica che corrisponde alla organizzazione dell’io giustificatorio. L’io è un ottimo alibi per il discorso poetico da risultato. Si tratta di una poesia della giustificazione palesemente ideologica, della nuova ideologia che non vuole più mostrarsi come ideologia, ma che lo è, anzi, che è la peggiore delle ideologie perché non vuole presentarsi come tale. È una proposizionalità posta da quella istanza auto organizzatoria che va sotto il nome dell’io. Istanza posticcia ed effimera.

      È palese che quella poesia è una poesia da risultato, vuole (e ci riesce) essere comunicazionale, vuole comunicare un messaggio al lettore, e per far ciò semplifica il discorso poetico. Ciò che resta è la poesia facile facile, è la comunicazione di un messaggio locutorio dell’io che ci parla delle sue profilassi e delle sue ubbie.
      È ovvio quindi che la nuova ontologia estetica rimetta il mandato posticcio al mittente (cioè all’io), con annessa la falsa coscienza del discorso poetico giustificato e giustificatorio.

      1 M. Donà, L’aporia del fondamento, op. cit. 2009 pp. 462,3

  7. Per il filosofo Marramao il tempo è un enigma. E così riassume la bimillenaria questione filosofica attorno a questo enigma:

    Aristotele, nel libro IV della Fisica, descrive il tempo come numero del movimento secondo il prima e il poi.
    Marramao interpreta questo passo come la necessità che ci sia “qualcuno”, o “qualcosa” che misuri il tempo per farlo essere. Il tempo, quindi, si inserisce sempre all’interno delle due linee di non-essere (il passato ed il futuro), e la psyché, è quel “qualcosa” che può numerare il tempo. Che può misurarlo. Quindi il tempo, in Aristotele (come in Einstein) rimane appeso alle sfere della fisica e della psicologia.

    Platone, nel Timeo, invece mette in relazione, secondo la sua dottrina, l’Eterno ed il Tempo. Dove il tempo altro non è che la scansione in fotogrammi dell’eternità. L’Eterno platonico c’è già tutto, ma va reso chiaro mediante una scansione temporale. Potremmo dire che l’Eterno si fa tempo per essere reale, per essere appreso. Quindi l’Eterno diviene Tempo. Questa è l’interpretazione che ne dà il professor Marramao.

    Queste due posizioni, come in molte altre cose, sono i due cardini attorno al quale la filosofia occidentale ha generato il proprio scorrere filosofico durante i secoli. Ma ora veniamo alla posizione espressa da Marramao. Intanto c’è da chiarire il concetto di contingenza, che Marramo delinea come una realtà chiara, dove ogni evento si basa su di un incontro causale degli eventi, ma non deterministico. Perché i processi sono caratterizzati da un alto grado di improbabilità. In buona sostanza il professore descrive la realtà non come il frutto di una necessità causale, ma come l’incontro improbabile degli eventi. Nel caso potessimo riavvolgere indietro il nastro degli eventi e poi rimandarlo avanti non avremmo lo stesso film. Perché non vi è alcuna necessità all’interno della realtà.
    In questa ottica il filosofo italiano intende costruire una «ontologia della contingenza: in opposizione, ad esempio, ad una ontologia della necessità, come quella di Severino».

    Marramao però sembra saltare o evitare la concezione del tempo e dell’esserci di Heidegger, secondo il quale l’esserci è il tempo, l’esserci è il linguaggio del tempo, o il tempo del linguaggio. Ogni linguaggio (potremmo dire) è l’ente per mezzo del quale l’esserci può esperire l’Enigma del tempo, e quindi il proprio Enigma. Il linguaggio poetico è lo specchio che consente la riflessione speculare dell’Enigma. In altre parole, il linguaggio poetico è la dimora dell’enigma.

  8. giorgio stella

    La NOE è questo: nessun epigono del 900 poetico italiano per carità congestionato per fortuna congelato; il ruolo nn è di fatto biografico nulla di nuovo in questo avanti il ruolo. Nessuno sta denunciando un che so Villa anzi, lo si (…) lui come altri dello spessore nella misura già cosa d’altrove. Il mio poeta preferito del 900 italiano è Giuseppe Piccoli ma se non avesse scritto niente d’importante sarebbe da imputare non a lui ma alla classe dirigente in questo caso la Guanda in parma o l’almanacco nn specchio mondadori: in sintesi la NOE oltre tutto è pure un ricovero Cammilliano. La NOE non vieta l’usura dei versi dati, dati pure male, ma ne riceve la controcultura e di fatto si difende confermo senza condannare nessuno, anzi…
    giorgio stella.

  9. giorgio stella

    Linguaglossa (sicuramente azzardando in bene) a uno che scrive (sopra) tipo la stele di rosetta scrive male… ma nn per gaudio ma per convalescenza… nn è la torcia di ‘Platone’ ma in effetti ci si arriva senza rendersi conto dell’intrattenimento… la NOE in questo senso percorre i gradini del d.n.a. senza scomporne-l’elicà è già doppiata e qui s’arresta nessuna formula magica nessun trucco nessuna miss-poetica-massonica.
    E chi mi creda ne sappia meno di me ma non credo.
    giorgio stella

  10. Ecco come salvare il gatto di Schrödinger

    Un nuovo esperimento di fisica della Yale University ci è riuscito, ottenendo un segnale di avvertimento che indica se sta per avvenire un salto quantico

    Sapere in anticipo se il gatto di Schrödinger sta per morire è possibile? È quello che ha provato a fare (anche se ovviamente con gli atomi e non su un vero gatto) un gruppo di fisici, coordinati dalla Yale University. I ricercatori hanno dimostrato che è possibile anticipare e prevedere un salto quantico da uno stato fisico a un altro in un particolare atomo superconduttore. Lo studio è in linea con attuali teorie quantistiche (la quantum trajectory theory), introdotte negli anni ’90. Idealmente, la nuova ricerca consentirebbe di prevedere se il gatto di Schrödinger sta per morire e salvarlo: questo particolare esperimento, attraverso il sistema specifico realizzato dagli autori, consentirebbe di scardinare, almeno a livello teorico, uno dei pilastri classici della meccanica quantistica, su cui si basa il paradosso del “gatto di Schrödinger”. I risultati sono pubblicati su Nature.

    La quantistica, un mondo inedito

    La quantistica è un inedito mondo che comprende il regno sub-microscopico, in cui alcuni elementi di dimensioni piccolissime (particelle subatomiche come gli elettroni) possono trovarsi contemporaneamente in più di un luogo diverso. Questo mondo è inedito perché provando a applicare le leggi della quantistica al mondo macroscopico si ottengono situazioni irreali e paradossali che sono inesistenti, dato che un oggetto non può trovarsi contemporaneamente in due luoghi o due stati (come la vita e la morte) diversi.

    Il gatto di Schrödinger

    Un esempio è fornito il paradosso, molto noto ai fisici, del gatto di Schrödinger (dal nome del fisico che ha ideato l’esperimento mentale, appunto Erwin Schrödinger, nel 1935). Alla base del paradosso c’è un esperimento puramente ideale, che serve per spiegare il principio di sovrapposizione e il collasso degli stati, due elementi fondamentali della meccanica quantistica. Nell’esperimento viene inserito un gatto in una scatola d’acciaio contente un marchingegno mortale, che può avvelenare l’animale oppure risparmiarlo. Secondo le leggi della quantistica, fino a quando un osservatore esterno non compie una misura, ovvero fino a quando non si apre la scatola, il gatto si trova contemporaneamente in due stati, cioè è sia vivo sia morto. In questo paradosso il gatto di Schrödinger si trova in una sovrapposizione di due stati, vita e morte, che rappresentano una somma matematica di due condizioni entrambe possibili con la stessa probabilità, fino a quando non si apre la scatola.

    Lo studio di oggi

    I ricercatori si sono chiesti se c’è qualche possibilità di salvare il gatto e prevenire il caso in cui aprendo la scatola lo si trovi morto. La risposta è sì, almeno su un atomo artificiale superconduttore, un complesso sistema realizzato dagli autori. Gli scienziati sono riusciti a anticipare il salto quantico, ovvero il passaggio dell’atomo da uno stato ad un altro ad energia più elevata. Che potrebbe trovare applicazione nel mondo dei computer quantistici in cui i qubit, le unità dell’informazione quantistica, saltano in continuazione e i ricercatori devono riuscire a gestire gli errori di calcolo, che sono appunto rappresentati da alcuni di questi salti.

    “Questi salti si verificano ogni volta che misuriamo un qubit”, ha spiegato Michel Devoret, docente di fisica alla Yale University. “I salti quantici sono noti per essere imprevedibili nel lungo periodo”. “Nonostante ciò – ha aggiunto Zlatko Minev, primo autore del paper – volevamo capire se fosse possibile ottenere in anticipo un segnale di avvertimento che questo salto stia per accadere in maniera imminente”.

    Monitorare il gatto senza aprire la scatola

    Per riuscire in questo obiettivo gli autori hanno realizzato un sistema composto da un atomo artificiale superconduttore, monitorato indirettamente, con tre generatori a microonde che irradiano l’atomo racchiuso in una cavità 3D di alluminio. Mentre la radiazione a microonde agita l’atomo, questo viene osservato simultaneamente – un po’ come se fosse possibile osservare cosa accade dentro la scatola del gatto di Schrödinger senza aprirla. Il segnale associato a un salto quantico viene poi amplificato dai ricercatori e un’improvvisa assenza di particelle ha permesso di anticipare e ha fornito un segnale di avvertimento di un imminente salto quantico, spiegano gli autori.

    I salti quantici, in parte prevedibili

    Ma c’è di più. In questo esperimento il salto quantico non è né repentino né casuale, un elemento che contrasta con le teorie di Niels Bohr, che nel 1913 ha introdotto il salto quantico come un salto fra due livelli di energia discreti, ovvero separati da un’interruzione, di un atomo, e osservato per la prima volta negli atomi soltanto negli anni ’80. Secondo le sue teorie, un salto quantico è un evento casuale e dunque del tutto imprevedibile.

    Il risultato di oggi, invece, dimostrerebbe che questi salti non sono del tutto casuali. “I risultati sperimentali dimostrano che l’evoluzione di ciascun salto finito è continua, coerente e deterministica”, scrivono gli autori nel paper, specificando che si tratta di un punto centrale. Mentre i salti quantici appaiono repentini e casuali a lungo termine, lo studio dimostra che dallo studio dell’evoluzione dello stato della materia è possibile in qualche modo prevederli dal loro punto di partenza casuale. “I salti quantici di un atomo possono essere paragonati all’eruzione di un vulcano“, ha spiegato Minev. “Sono assolutamente imprevedibili a lungo termine, tuttavia, con il monitoraggio corretto, possiamo con certezza rilevare un avvertimento anticipato di un disastro imminente e agire su di esso prima che si verifichi”.

    https://www.wired.it/scienza/lab/2019/06/04/salvare-gatto-schrodinger/?utm_source=wired&utm_medium=NL&utm_campaign=default

  11. https://lombradelleparole.wordpress.com/2019/06/04/poesie-inedite-di-giorgio-linguaglossa-e-mario-m-gabriele-con-una-glossa-a-proposito-del-dicibile-e-dellindicibile-nella-nuova-poesia-la-nuova-questita-delle-cose-e/comment-page-1/#comment-57437
    Una poesia inedita di Simone Carunchio

    Al caldo nel suo ventre

    Il sole riluce forte sui vetri del palazzo delle Poste.
    Una famiglia allargata di rondini saetta allegra,

    una di gabbiani pare sghignazzare della condizione umana.
    La cicala applaude nervosa.

    Un sentiero di ciottoli di cemento conduce alla soglia dell’ufficio
    in entrata; in uscita il percorso è indicato

    da frecce marcate per terra.
    Dentro c’è una macchina che distribuisce soldi,

    ma solo se hai una certa tessera di cui conosci
    il codice di sblocco e la infili dentro.

    Una sedia, un bancone, un chiosco di cellulari e carte sim,
    moduli, persone in fila agli sportelli, matite e biro.

    L’ambiente è pieno di tosse e tasse.
    Si aggirano tassi.

    Giovani e anziani: un movimento corale.
    Un pettirosso è entrato nella sala spoglia.

    Forbicine e lepismi occhieggiano dagli angoli.
    Un giovane, nello zaino, fuma uno spinello;

    un altro ha un anello stimolante
    il pene o il pensiero, non lo so più;

    una mamma ha un ciuccio nella borsa e un vibratore;
    un vecchio un gel lubrificante

    e un altro caramelle rinfrescanti.
    Tutti hanno il cellulare e le carte.

    Ma non basta, non ci basta!
    Vogliamo esistere di più, lasciare più tracce

    nelle anagrafi telematiche.
    Vogliamo spuntare ricevute, sputare sangue

    e seguire altre pratiche, compilare allegati
    in cui possiamo scorgere divinità pagane
    che si affacciano sorridenti,

    sapendo che con il filo delle parole
    si riesce a tenere insieme l’epidermide

    delle istituzioni che ci proteggono
    e trasportano la violenza altrove e il sangue e latte

    è un denaro sempre più liquido e plutonico.
    Forse sporco.

    Talora pare una vita altrui o una morte. Invece
    ci creiamo una extra vita.

    Riempire un modulo è alimentare il pachiderma
    dell’esistenza che ci ha inghiottiti.

    Ci muovimo al caldo nel suo ventre.
    Intanto,il sole tatuato cala lungo i viali

    e nitrisce seguito da sciami di dati.
    Tranquilli, siate di buon umore:

    il presente lo espandi quanto ti pare,
    dall’esistenza che lamenta le sofferenze

    tradimenti di lupi, di ippopotami grassi
    ore stanche e il risolio dei bimbi.

    Tranquilli, siate di buon umore:
    pascoleremo ancora sulle nostre guance

    la giustizia, le scartoffie e l’ingiustizia:
    c’è ancora qualcuno che lenisce colla lingua.

    Mentre il sole cala, la luna di marmo
    sorge tra i palazzi, con i seni coperti di nuvole.

    • “il sole tatuato cala lungo i viali / e nitrisce” insieme a le “anagrafi telematiche”, mi hanno fatto pensare al futurismo italiano; e questo secondo me ha valore estetico, sebbene dal punto di vista del linguaggio odierno sia fuori misura, o fuori misura è la descrizione figurativa dei luoghi. Però è la volta celeste di un ufficio postale…

      • Simone Carunchio

        Carissimi,
        Grazie mille per l’attenzione, i consigli, i pareri e le suggestioni. Naturalmente … ci devo pensare. Nella versione qui proposta sono scomparsi (grazie ai preziosi interventi di Linguaglossa) gli originali enjambement, alcune descrizioni e la disposizione in stanze. La naturale propensione alla descrizione/narrazione, magari da affinare, si sposa, credo, a una sorta di musicalità. L’enjambement, quindi, aiuta in questo senso e forse aiuta a sorprendere il lettore, che mi pare che possa essere affascinato da alcune immagini (forse maltrattarlo troppo è controproducente, ma può darsi che l’attività giuridico-giornalistica che porto avanti, i cui dettami impongono che il lettore non deve quasi concentrarsi nella lettura, mi influenzi malamente – ma chi sono io per doverlo educare?). Sul distico anche ci devo riflettere. In alcuni casi mi sembra che funzioni perfettamente (soprattutto in relazione alla suddetta musicalità), altre volte mi pare un po’ forzato. Certamente il descrittivo e il distico non sempre riescono ad annodarsi felicemente. Sì, la cultura della prima parte del novecento è molto affascinante; peraltro anche per motivi geo-politici e di interpretazione storico-artistica (nell’ottica di una rinascita europea, in particolare culturale – questioni di radici?).
        Quanti gli argomenti e le tematiche che sorreggono il lavorio e che a volte traspaiono!

  12. https://lombradelleparole.wordpress.com/2019/06/04/poesie-inedite-di-giorgio-linguaglossa-e-mario-m-gabriele-con-una-glossa-a-proposito-del-dicibile-e-dellindicibile-nella-nuova-poesia-la-nuova-questita-delle-cose-e/comment-page-1/#comment-57443
    Appunto di Giorgio Linguaglossa

    A proposito della poesia italiana degli anni ottanta scrive Mario Lunetta:

    «La stupidità organizzata è volgare, ci fa orrore. La ideologia attualmente diffusa in gloria di quella recentissima specie zoo(il)logica che sarebbe il poeta da spiaggia o da stadio […] che ‘canta’ al grado zero le sue passioni le sue frustrazioni le sue esaltazioni in versi intrisi di ‘incantevole’ primitivismo semianalfabetico, è l’ultima invenzione del mercato delle lettere (insomma, del mercato) perfettamente omologa al presente del gusto medio radiotelevisivo/rotocalchesco. È l’ultima mistificazione in letteratura, in poesia».

    Come non condividere questa affermazione? Mario Lunetta è stato un importante ed insopprimibile esponente della Opposizione poetica che si è avuta in Italia dagli anni settanta al 2017, l’anno della sua prematura scomparsa. Vorrei dire che un regime poetico senza Opposizione o che liquida l’Opposizione, con il silenzio e con specioso sofisma, come insignificante e non rilevante, si rivela essere un regime non parlamentare ma un Regime Autoriale. Mario Lunetta è un poeta che avrebbe dovuto essere pubblicato nella collana bianca dell’Einaudi, e invece è stato confinato in edizioni di confine, è stato emarginato per via della sua pervicace e costante opera di opposizione al Regime Autoriale.

    Mario Lunetta, Poesie, da L’allenamento è finito (poesie 2006-2016), Robin, Roma, 2016 pp. 190 € 15.00

    Nota critica di Antonino Contiliano

    « Un poligrafo alchimista e proliferante. Una vita e una parola oppositiva, l’opera di Mario Lunetta. Una scrittura anti-sistema-mondo variamente proposta ma sempre nell’ottica di una espressione polisemica e plurilinguistica aggressiva. Una lotta materialista e una sottrazione engagé – giocate tra denuncia e demistificazioni, autoironia, ironia e sarcasmo (troskianamente permanente, direi) – che, nonostante il degrado invadente e pervasivo del sistema-mondo e della stessa “Forma Italia” (sventrata e sminuzzata dal capitalismo globalizzato dell’impresa finanziarizzata) mai sono dimentiche della possibilità antagonista-alternativa: hasta la vista, “il giovanissimo nome di comunismo”. Una scelta e un “fine vita” che Mario Lunetta (caro il caravaggesco moto “Senza Speranza. Senza Paura”) affida ai versi dell’opera L’allenamento è finito (Robin, Torino, 2016) e che Francesco Muzzioli richiama a chiusura della prima parte – “Il percorso poetico” – dello studio monografico (p. 65) che gli dedica.»

    da L’allenamento è finito Poesie 2006-2016, Robin, Roma, 2016, pp. 190 € 15.00

    But For All That

    C’è da ridere solo a pensare al trattamento
    da animale da circo di cui ebbe a godere
    il poeta dei Cantos che già sentiva premersi addosso
    il gelo della vecchiaia mescolato ad altre varietà
    di gelo – da parte di politici, giudici senza giudizio,
    funzionari, sbirri, intellettuali strabici, patrioti
    e giannizzeri magari anche capaci di peggio, solo
    a forni gliene il destro.

    C’è da ridere sol che si pensi a come
    generosamente
    lui, il miglior fabbro, si sia sprecato per tanti
    dei suoi colleghi e confrères, a come con splendida
    ingenuità abbia dilapidato la sua vita incappando
    in un Equivoco grosso come cento Moby Dick
    incollati testa-coda, anche se uno spirito sterile
    come F.R. Leavis afferma senza batter ciglio che “egli è,
    nel senso più serio della parola, un esteta”.

    Tutti sanno che una bella porzione del gran poema
    di Eliot fu cassato da lui con intransigenza fraterna,
    ma forse sono assai meno al corrente del fatto che quando
    negli anni di Zurigo Jimmy Joyce dovette subire
    un intervento chirurgico agli occhi per trattenere l’ultima favilla
    di vita che vi brillava dentro, quella canaglia di Pound,
    non ancora reo di alto tradimento nei confronti
    del suo paese, per pagare le spese ospedaliere
    vendette i suoi cimeli più amati: gli autografi
    di re Ferdinando e della regina Isabella datati 1492.

    Non so, davvero non so se sia possibile
    immaginare
    per chi è stato il maggior navigatore dei linguaggi
    della modernità un’allegoria più fulminante. Ma certo
    l’involontario risarcimento, coincidenza, caso, sfasatura
    di quando lui nel 1958 tornò in Europa a bordo
    della Cristoforo Colombo, ha l’aria di una tragedia
    che si volta in farsa e viceversa, con una continuità
    da brividi.

    (12 gennaio 2010)

  13. Mettiamo da parte Il Pubblico della poesia (1975) e le antologie che hanno sigillato lo schedario di poeti di diversa area generazionale e pensiamo per un attimo a ciò che sta formalizzando la Nuova Ontologia Estetica.
    Prima di questo Progetto c’è stata una specie di Cappella Sistina, dove i lettori si sono legati alle pale sacre della Tradizione, mancando un punto di riferimento nel ricambio estetico.

    A volte capita che c’è qualcuno che si smarrisce nella lettura dei testi della NOE, chiedendo informazioni su come decriptare questo tipo di poesia, inviando a Giorgio Linguaglossa una email, qui riportata, nella quale così si esprime:

    «Scusami Giorgio, ma mi puoi spiegare che cosa vogliono dire queste poesie menzionate nel post odierno? Che significano? Mi sfugge il loro significato, mi sfugge il loro mondo, la loro, come tu ti esprimi, “questità delle cose”. Queste poesie per me sono un mistero, non riesco ad afferrarle. Per questo motivo non posso dire né che siano belle, né che siano brutte. Un caro saluto».

    Mi viene da chiedere, in questo caso, e in risposta al lettore anonimo: -allora le poesie che lei apprezza di più ed hanno un significato, sono quelle che stanno in uno dei tanti polittici della Cappella Sistina, e non quelli che si notano nella poesia?.

    Si sa che per approdare alla NOE ci sono voluti una Rivista: L’Ombra delle parole, e i poeti in grado di aderire ad una forma di linguaggio che tenesse conto di tante variabili come l’Essere e il Tempo, il Dicibile e il non dicibile, ecc. ma soprattutto di lettori e poeti con una enorme esperienza in fatto di poesia.

    Qualcuno potrebbe avanzare l’idea che questa iniziativa non ha alcun valore estetico e che trattasi di linguaggi senza alcuna aura significativa e performante.

    Lessemi tecnici, come videotape, desktop, spin, hardware, big ben e tanti altri, tendono a integrarsi nella lingua ufficiale della NOE, creando una giuntura ibrida, e associativa.

    La TV, i Giornali, i Talk Show ecc., hanno trasmesso anglicismi di vario genere da diventare un mini-dizionario a cui attingere tutte le volte che il distico e il frammento tendono a miniaturizzarsi.
    Anche dal linguaggio economico e finanziario si possono trarre lessemi d’uso comune. Da questo banco di prova è stato possibile ricorrere a vari strumenti in modo da creare un nuovo realismo dopo il Postmoderno e la fine delle metanarrazioni.

    Solo così si riesce a comprendere il sistema di adozione verbale e un nuovo Polo da cui trarre le risorse letterarie nell’ambito di un sistema di recupero e di utilizzazione della parola, senza alcun ripiegamento sentimentale, introducendo un nuovo espressionismo plurilingue, in grado di formare sintassi e stile, aprendo il varco a tutto ciò che tenta di salire in superficie, bloccando la paratassi immobile e avviando quella dinamica.
    Siamo entrati in un repertorio di de-contaminazione degli oggetti e delle cose, che inglobano e annullano il rapporto Tempo- Spazio.

    Da tutto questo emerge un dato di fatto: ossia la difficoltà per alcuni di affrontare il distico, e i tentativi, quasi sempre ben riusciti, di chi applica senza alcuna difficoltà l’uso del frammento.
    Dietro la porte étroite ci sono critici anonimi e silenziosi che origliano e confutano, prima che qualcuno decida di stampare la prima Antologia, come attesa messianica di una alterità strutturale e linguistica, attesa da molto tempo.

  14. https://lombradelleparole.wordpress.com/2019/06/04/poesie-inedite-di-giorgio-linguaglossa-e-mario-m-gabriele-con-una-glossa-a-proposito-del-dicibile-e-dellindicibile-nella-nuova-poesia-la-nuova-questita-delle-cose-e/comment-page-1/#comment-57448
    Una poesia di Giuseppina Palo

    L’eau de la terre

    È sparito il suo profumo?
    Cosa farà nella mattina di lavoro

    quando un odore selvaggio invaderà gli altri,
    senza gelsomini o fragranze francesi?

    Qualcuno si volterà dalla parte opposta
    calpestando la terra

    e accendendo la guerra.
    Correrà lontano per smaltire una vergogna

    sotto chi segue un’apparenza
    e rifugge l’essenza?

  15. 1. Gino Rago
    Dal minisaggio La poesia come enigma nei versi di Donatella Costantina Giancaspero
    estraggo questo brano

    Una stanza, Jorge Luis Borges, un’arancia sul tavolo, il padre di Borges che vuole colloquiare con suo figlio. Il padre chiede a Jorge Luis: «Secondo te il gusto di arancia di questa frutto è nell’agrume o nella bocca di chi l’assaggia?».
    Ciò che in quella precisa occasione Borges riuscì a comprendere è che il senso delle cose non sta dentro le cose stesse ma nel rapporto con chi le percepisce: il sapore dell’arancia viene determinato soltanto nell’incontro del frutto con il palato di chi l’assaggia, altrimenti il sapore rimane chiuso per sempre nell’agrume. Perché? Perché il mondo è fatto di relazioni, di relazioni tra le cose e di noi con le stesse cose.
    E in queste relazioni l’Io coincide con il vuoto fra due cose.
    Ecco perché per J. Derrida
    «Una poesia corre sempre il rischio di non avere senso e non avrebbe alcun valore senza questo rischio. E Scrivere, significa ritrarsi… dalla scrittura. Arenarsi lontano dal proprio linguaggio, emanciparsi o sconcertarlo, lasciarlo procedere solo e privo di ogni scorta. Lasciare la parola… lasciarla parlare da sola, il che essa può fare solo nello scritto».
    Se alla luce di tali consapevolezza rileggo questi versi di Costantina
    Donatella Giancaspero:

    “Da qualche giorno, il sospetto che il mare è là dietro.
    Dietro lo schermo sbavato di case.

    Tra loro si afferrano ai fianchi, come sostegno.
    Qui, la persiana ha una fessura puntata sulla scala di ferro battuto.

    Sale a chiocciola. Dal cortile, al terrazzo condominiale – testimonia la foto
    scampata al massacro dei ricordi –

    Una perfezione fonda, inconoscibile, è forse oltre.
    Lo lasciano intendere i gabbiani – stanno qui, da poco tempo, dentro i muri

    Più grandi, sul terrazzo condominiale. Sforano la luce.
    Ma non è concesso di seguirne i voli. Dall’alto ci sorvegliano.

    Se intuiscono uno sguardo intento, scendono in picchiata.
    Rasentano gli occhi.”

    non è difficile notare come Donatella Costantina dissemini di ‘cose’ e di ‘luoghi ’ il tessuto poetico della composizione [il mare, della cui reale presenza però non si ha certezza; le case che si cercano e si sorreggono; la persiana, il ferro battuto, la chiocciola, i gabbiani… ] ma tali cose nominate con chiarezza, non dicono nulla, non significano nulla se non si relazionano tra di loro e soprattutto se non stabiliscono relazioni con noi.
    Fatte le dovute differenze, per Donatella Costantina Giancaspero stare al mondo e scrivere non è un fatto astratto, ma un gesto concreto di occupazione di spazi di mondo, nel qui della terra, con la sua materia e con i suoi detriti.
    Sotto questo aspetto Donatella Costantina Giancaspero si approssima proprio al Paul Celan degli:
    «[…]Spazi tra rami di un albero spesso spoglio, ma che nel suo essere spoglio garantisce zone vuote, vuote abbastanza da poter ospitare il senso altrui, oltre che il proprio[…]»
    Costantina Donatella Giancaspero in questa poesia ne è consapevole e trascina il suo lettore nel flusso dinamico, vitale con le cose disseminate nei suoi versi attribuendo allo stesso lettore un ruolo dinamico e positivo con la sua poesia, un ruolo attivo con i suoi versi. Ed è questa osmosi permanente tra poeta e lettore un’altra cifra della NOE.
    (gino rago)

    2.- Da “Il linguaggio in movimento”
    ( Epistolario Giorgio Linguaglossa-Gino Rago) in via di allestimento

    Gino Rago
    Seconda Lettera mai spedita di Fiorenza M.

    Gentile Signor Giorgio Linguaglossa,
    Sono ancora io, Fiorenza M.,

    Dal tesoro di carte di Vittoria-Cristina
    Ecco uno smeraldo.

    Ma di questo, vi prego, per ora non parlatene.
    Ho portato tre rose, un vaso di confettura,

    Un libro che il Dr. Schlemmer mi ha mandato per lui.
    È curioso. A poche persone ho pensato tanto negli ultimi mesi

    Come a questo bruttissimo ometto,
    Che potrebbe essere mio padre

    E non fa nulla,
    Proprio nulla, per rendersi indimenticabile.

    Per fortuna ieri l’altro la primavera è esplosa.
    In poche ore Roma s’è avvolta nei colori,

    Mille verdi, e soprattutto mille gradazioni di rosso,
    Lilla, rosa pallido, viola.

    Alberi di Giuda, siepi di rododendro, pergole di glicine, lillà.
    Il fioraio dove ho comprato le rose per Alvaro

    Ha voluto farmi un « complimento»:
    Un mazzetto di ciclamini e myosotis.

    È così bello intriso ancora di pioggia.
    Due preti all’alba sui gradini di Trinità de’ Monti.

    Dicono che a quell’ora vanno a dire Messa per i poveri.
    […]
    Alla diagonale / libreria in Roma
    Giosetta Fioroni espone

    Fogli in forma di libri
    E altre Carte dedicate a Paul Celan.

    Sette libri d’artista
    E 4 tavole su Carta realizzate a mano.

    Fogli piegati a forma di libri
    Per un solo verso, per più versi

    O al titolo di una raccolta,
    Elementi riconoscibili nella loro fisicità.

    Legno e piume, sassi e specchio,
    aghi di porcospino e capelli veri…
    […]
    Dalla Senna il corpo di Celan
    Il 1° maggio del 1970:

    « A seconda del vento che ti spinge
    s’aggruma la neve attorno alla parola.

    Di soglia in soglia
    Im Wahren stehen/Stare nel vero

    Solo nel movimento del linguaggio
    Spazi di materia/maceria di immagini e parole»
    (gino rago)

    Giorgio Linguaglossa

    Gentile Signor Gino Rago,
    Le accludo la mia replica in forma di missiva alla Sua

    Uno sconosciuto con la redingote nera, lisa
    «ah, la rosa, no!, né il giglio, né il lillà

    solo consonanti e vocali nei miei versi
    tutto quello che c’è, c’era già». disse proprio così

    quel manigoldo che entrò dalla finestra. era infilato
    in una redingote nera, lisa, con delle vistose toppe

    ai gomiti, una camicia di bucato, agitò la farfalla à pois gialla
    che pendeva dal collo e mi disse:

    «Nel Butan, caro poeta, ci abitano i watussi,
    quelli alti due metri», poi si fermò pensieroso,

    si alzò e fece il giro delle stanze della casa,
    controllò dentro gli armadi, l’interno del frigorifero,

    la gabbia dei canarini…
    uno scricchiolio proveniente dall’armadio all’ingresso.

    lo aprì di colpo, ma c’era il vuoto lì, non altro…
    e, con passi felpati, si diresse verso la finestra aperta

    che dava sul ballatoio condominiale…
    e di lì sparì nel nulla, o meglio, dietro il nulla…»

    (Giorgio Linguaglossa)

  16. 1. Gino Rago
    Dal minisaggio La poesia come “enigma” nei versi di Donatella Giancaspero
    Estraggo questo brano

    Una stanza, Jorge Luis Borges, un’arancia sul tavolo, il padre di Borges che vuole colloquiare con suo figlio. Il padre chiede a Jorge Luis: «Secondo te il gusto di arancia di questo frutto è nell’agrume o nella bocca di chi l’assaggia?».

    Ciò che in quella precisa occasione Borges riuscì a comprendere è che il senso delle cose non sta dentro le cose stesse ma nel rapporto con chi le percepisce: il sapore dell’arancia viene determinato soltanto nell’incontro del frutto con il palato di chi l’assaggia, altrimenti il sapore rimane chiuso per sempre nell’agrume.
    Perché?
    Perché il mondo è fatto di relazioni, di relazioni tra le cose e di noi con le stesse cose.

    E in queste relazioni l’Io coincide con il vuoto fra due cose.

    Ecco perché per J. Derrida
    «Una poesia corre sempre il rischio di non avere senso e non avrebbe alcun valore senza questo rischio. E Scrivere, significa ritrarsi… dalla scrittura. Arenarsi lontano dal proprio linguaggio, emanciparsi o sconcertarlo, lasciarlo procedere solo e privo di ogni scorta. Lasciare la parola… lasciarla parlare da sola, il che essa può fare solo nello scritto».

    Se alla luce di tali consapevolezza rileggo questi versi di Donatella Giancaspero:

    “Da qualche giorno, il sospetto che il mare è là dietro.
    Dietro lo schermo sbavato di case.

    Tra loro si afferrano ai fianchi, come sostegno.
    Qui, la persiana ha una fessura puntata sulla scala di ferro battuto.

    Sale a chiocciola. Dal cortile, al terrazzo condominiale – testimonia la foto
    scampata al massacro dei ricordi –

    Una perfezione fonda, inconoscibile, è forse oltre.
    Lo lasciano intendere i gabbiani – stanno qui, da poco tempo, dentro i muri

    Più grandi, sul terrazzo condominiale. Sforano la luce.
    Ma non è concesso di seguirne i voli. Dall’alto ci sorvegliano.

    Se intuiscono uno sguardo intento, scendono in picchiata.
    Rasentano gli occhi.”

    non è difficile notare come Donatella Giancaspero dissemini di ‘cose’ e di ‘luoghi ’ il tessuto poetico della composizione [il mare, della cui reale presenza però non si ha certezza; le case che si cercano e si sorreggono; la persiana, il ferro battuto, la chiocciola, i gabbiani… ] ma tali cose nominate con chiarezza, non dicono nulla, non significano nulla se non si relazionano tra di loro e soprattutto se non stabiliscono relazioni con noi.

    Fatte le dovute differenze, per Donatella Giancaspero stare al mondo e scrivere non è un fatto astratto, ma un gesto concreto di occupazione di spazi di mondo, nel qui della terra, con la sua materia e con i suoi detriti.
    Sotto questo aspetto Donatella Giancaspero si approssima proprio al Paul Celan degli:

    «[…]Spazi tra rami di un albero spesso spoglio, ma che nel suo essere spoglio garantisce zone vuote, vuote abbastanza da poter ospitare il senso altrui, oltre che il proprio[…]»

    Donatella Giancaspero in questa poesia ne è consapevole e trascina il suo lettore nel flusso dinamico, vitale con le cose disseminate nei suoi versi attribuendo allo stesso lettore un ruolo dinamico e positivo con la sua poesia, un ruolo attivo con i suoi versi. Ed è questa osmosi permanente tra poeta e lettore un’altra cifra della NOE, accanto a quella non meno significativa dei silenzi, come passaggi di toni e di tinte tra un distico e un altro, non affidati al bianco tipografico della pagina ma prodotti dallo stesso organismo poetico.

    (gino rago)

    2.- Da “Il linguaggio in movimento”**
    ( Epistolario Giorgio Linguaglossa-Gino Rago) in via di allestimento

    Gino Rago
    Seconda Lettera mai spedita di Fiorenza M.

    Gentile Signor Giorgio Linguaglossa,
    sono ancora io, Fiorenza M.,

    dal tesoro di carte di Vittoria-Cristina
    ecco uno smeraldo.

    Ma di questo, vi prego, per ora non parlatene.
    Ho portato tre rose, un vaso di confettura,

    un libro che il Dr. Schlemmer mi ha mandato per lui.
    È curioso. A poche persone ho pensato tanto negli ultimi mesi

    come a questo bruttissimo ometto,
    che potrebbe essere mio padre

    e non fa nulla,
    proprio nulla, per rendersi indimenticabile.

    Per fortuna ieri l’altro la primavera è esplosa.
    In poche ore Roma s’è avvolta nei colori,

    mille verdi, e soprattutto mille gradazioni di rosso,
    lilla, rosa pallido, viola.

    Alberi di Giuda, siepi di rododendro, pergole di glicine, lillà.
    Il fioraio dove ho comprato le rose per Alvaro

    ha voluto farmi un « complimento»:
    un mazzetto di ciclamini e myosotis.

    È così bello intriso ancora di pioggia.
    Due preti all’alba sui gradini di Trinità de’ Monti.

    Dicono che a quell’ora vanno a dire Messa per i poveri.
    […]
    Alla diagonale / libreria in Roma
    Giosetta Fioroni espone

    Fogli in forma di libri
    E altre Carte dedicate a Paul Celan.

    Sette libri d’artista
    E 4 Tavole su Carta realizzate a mano.

    Fogli piegati a forma di libri
    Per un solo verso, per più versi

    o per il titolo di una raccolta,
    Elementi riconoscibili nella loro fisicità,

    Legno e piume, sassi e specchio,
    aghi di porcospino e capelli veri…
    […]
    Dalla Senna il corpo di Celan
    Il 1° maggio del 1970:

    « A seconda del vento che ti spinge
    s’aggruma la neve attorno alla parola.

    Di soglia in soglia
    Im Wahren stehen/Stare nel vero

    Solo nel movimento del linguaggio
    Spazi di materia/maceria di immagini e parole»

    Giorgio Linguaglossa
    Gentile Signor Gino Rago,
    Le accludo la mia replica in forma di missiva alla Sua

    Uno sconosciuto con la redingote nera, lisa
    «ah, la rosa, no!, né il giglio, né il lillà

    solo consonanti e vocali nei miei versi
    tutto quello che c’è, c’era già». disse proprio così

    quel manigoldo che entrò dalla finestra. era infilato
    in una redingote nera, lisa, con delle vistose toppe

    ai gomiti, una camicia di bucato, agitò la farfalla à pois gialla
    che pendeva dal collo e mi disse:

    «nel Butan, caro poeta, ci abitano i watussi,
    quelli alti due metri», poi si fermò pensieroso,

    si alzò e fece il giro delle stanze della casa,
    controllò dentro gli armadi, l’interno del frigorifero,

    la gabbia dei canarini…
    uno scricchiolio proveniente dall’armadio all’ingresso.

    lo aprì di colpo, ma c’era il vuoto lì, non altro…
    e, con passi felpati, si diresse verso la finestra aperta

    che dava sul ballatoio condominiale…
    e di lì sparì nel nulla, o meglio, dietro il nulla…»

    **L’Epistolario Giorgio Linguaglossa-Gino Rago “Il linguaggio in movimento”
    si incentra sul tema
    “Il linguaggio parla in quanto suono della quiete” (Heidegger)
    che tira in ballo inevitabilmente il problema del silenzio nel nostro fare poesia.

    (gino rago)

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