Carlo Del Nero. Sono nato a Massa il 27/10/1955 e vivo a Massa. Sono un autore inedito. Sono appassionato di musica, ho scritto anche qualche canzone, e di pittura.
Dichiarazione di poetica sulla poesia «ingenua»
caro Giorgio, mi chiedi dunque una «dichiarazione» sul concetto di «poesia ingenua».
Già la richiesta è stupenda, perché «dichiarazione» mi porta subito alla mente una affermazione d’amore. La dichiarazione ad una donna, ma in questo caso una dichiarazione d’amore all’ingenuità.
L’ingenuità è una privazione positiva. L’ingenuità l’abbiamo alla nascita, quando non abbiamo sovrastrutture, non abbiamo limiti, ancora non abbiamo segreti né sappiamo cosa siano. Dura poco. Sopra questa ingenuità si costruisce gran parte di ciò che siamo. Ovvio che non è possibile e neppure auspicabile tornare a quel punto, però è possibile “ripulire”, depurare dal superfluo, togliere dal blocco il marmo in eccesso che nasconde la figura (si vede che vivo da questa parti!! ).Non è l’ingenuità dell’infanzia, quello è solo un richiamo, è invece molto più umilmente l’onestà.
Quando si incontra una persona sconosciuta e per motivi apparentemente incomprensibili, si raccontano cose mai raccontate ad alcuno e che mai avremmo pensato di mostrare.
Dopo tutto è l’onestà di essere quel che siamo. Mica un lavoro da poco!
Insomma, bisogna credere nelle persone nude, che se tutti lo fossimo ci sarebbe solo pace. In questi giorni che scopriamo così tanto odio, tanta vigliaccheria, tanta violenza (in questi giorni come in tanti altri giorni passati), vediamo in realtà solo maschere ammaestrate che probabilmente mai hanno fatto lo sforzo di “scoprirsi” a sé.
E poi, come già ti dissi, l’arte è una fede. Non sappiamo dove nasce, non sappiamo come, e non sappiamo neppure davvero distinguere con assoluta libertà, precisione e certezza. Però sappiamo vedere, ascoltare e meravigliarci anche senza la formula chimica dell’arte. Esattamente come per chi ha fede: sentire una certezza senza averne alcuna certezza.
E’ una fede che è fiducia, ma non può esistere senza una fiducia nell’individuo nudo che ne è il costruttore. Una fiducia beffarda, perché persiste anche nel più pessimista, deluso, arrabbiato e maledetto dei poeti. Gli infonde l’ottimismo di prendere una penna per descrivere il suo pessimismo. Beffarda davvero, non trovi!
Cercando i contrari di ingenuità, troviamo astuzia, furberia. tra i sinonimi troviamo sincerità, freschezza, purezza. Non tutti questi sono i sinonimi e i contrari, ma questi sono quelli che danno il senso al mio modo di utilizzare il termine. Nell’ammirare una maestosa cattedrale gotica, anche il più “furbo” trova un attimo di ingenuità, e dunque proprio questo sia uno dei compiti dell’arte?
Probabilmente non è questo che chiedevi, ma io non sono all’altezza di scriverti un trattato su alcunché, ti dovrai accontentare.
PS: una piccola nota sul quadro che ti ho allegato all’inizio della discussione.
il 24 maggio ricorreranno i 100 anni dalla nascita di mia madre. Per commemorarla abbiamo deciso di riunire per una cena i cugini (da parte di madre appunto). Il quadro che ho allegato l’ho dipinto per l’occasione ed è composto di 15 tavolette di legno della misura 20×30 che tutte insieme compongono l’immagine che vedi. In quella occasione ad ognuno dei 15 cugini (me compreso) consegnerò una foto dell’intero ed una tavoletta. Quel quadro intero non si vedrà più. Nel mio piccolo a me sembra un po’ una poesia anche questa.
Giorgio Linguaglossa
Verso un nuovo paradigma poetico?
Credo che un poeta completamente inedito, e quindi «vergine» come Carlo Del Nero, e per di più non più giovane – quindi non appartenente alle nuove generazioni le quali sono tutte protese verso le radiose praterie della visibilità – abbia qualcosa da dirci, e ce le può dire proprio perché se ne è restato in disparte per decenni a ruminare la cosa chiamata poesia che tanto non interessa a nessuno, tanto meno agli addetti ai lavori (come si diceva una volta con pessima terminologia). Il titolo è un avverbio, e sta ad indicare la modalità esistentiva dell’esserci, di noi, il nostro modo di approcciare le «cose» con indaffarata superficialità e sordità. Possiamo immaginare che Del Nero abbia dovuto anche lui attraversare il deserto di ghiaccio degli anni ottanta, novanta e dieci del nuovo millennio, abbia scontato sulla propria pelle la deriva epigonica e prosaicista della poesia italiana del novecento e abbia meditato su tutto ciò. Ebbene, Del Nero nulla sa della nuova piattaforma denominata «nuova ontologia estetica», però penso che qualcosa abbia letto se ci ha mandato le sue poesie, ciò vuol dire che abbiamo riscosso quantomeno la sua fiducia. Carlo Del Nero fa poesia perché non ha nulla da chiedere alla poesia, nulla da perdere, fa poesia senza atteggiarsi a poeta (leggo frequentemente degli scriventi che si dichiarano «poeta» e «poetessa» senza tema di apparire ridicoli) e senza infingere o indulgere negli e con gli strumenti retorici e, soprattutto, non fa mai riferimento all’Ego e alla sua profilassi poetologica. Carlo Del Nero preferisce il discorso diretto, non conosce altro che il discorso diretto all’interlocutore. Il discorso testamentario potremmo definirlo:
Amico,
mi piacerebbe tu preparassi
una bella orazione funebre
per la mia notte,
tu
Credo che possiamo tranquillamente annoverare Carlo Del Nero quale ricercatore di «nuova poesia», al pari degli autori della «nuova ontologia estetica», lui che scrive: «mi affascinano i quaderni bianchi,/ le scatole vuote»; «Quanto è vecchio dio!/ neppure si è accorto/ che ha le tasche bucate/ …e quante stelle/ gli sono cadute». Si avverte una disillusione quasi senza amarezza per tutto ciò che è andato perduto, in lui non c’è nulla dello scetticismo, del cinismo e del disincanto del minimalismo post-moderno romano/milanese, il disincanto c’è ma senza ombra di scetticismo piccolo borghese e di cinismo pariolino. Del Nero ha una postura minimale, un lessico minimo, un tono minimo anch’esso, eppure la sua poesia non è minimalismo ma rientra nella poesia a corredo metafisico, quella che va verso le cose e si tiene a distanza dalle cose. Istintivamente intuisce qualcosa sulla differenza tra gli «oggetti» e le «cose».
cambiamento di paradigma
Tempo fa discettavo intorno alla ipotesi che si stesse profilando nella poesia italiana un cambiamento di paradigma, dizione con cui si indica un cambiamento rivoluzionario di visione nell’ambito della scienza, espressione coniata da Thomas S. Kuhn nella sua importante opera La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) per descrivere un cambiamento nelle assunzioni basilari all’interno di una teoria scientifica dominante. Possiamo affermare che in Italia c’è ormai da tempo, è ben presente, un cambiamento di paradigma, perché le cose della poesia camminano da sole, si sono rimesse in moto dopo cinque decenni di immobilismo. E questa è senz’altro una buona notizia.
L’espressione cambiamento di paradigma, intesa come un cambiamento nella modellizzazione fondamentale degli eventi, è stata da allora applicata a molti altri campi dell’esperienza umana, per quanto lo stesso Kuhn abbia ristretto il suo uso alle scienze esatte. Secondo Kuhn «un paradigma è ciò che i membri della comunità scientifica, e soltanto loro, condividono” (in La tensione essenziale, 1977). A differenza degli scienziati normali, sostiene Kuhn, «lo studioso umanista ha sempre davanti una quantità di soluzioni incommensurabili e in competizione fra di loro, soluzioni che in ultima istanza deve esaminare da sé” (La struttura delle rivoluzioni scientifiche). Quando il cambio di paradigma è completo, uno scienziato non può, ad esempio, postulare che il miasma causi le malattie o che l’etere porti la luce. Invece, un critico letterario deve scegliere fra un vasto assortimento di posizioni (es. critica marxista, decostruzionismo, critica in stile ottocentesco) più o meno di moda in un dato periodo, ma sempre riconosciute come legittime. Sessioni con l’analista (1967) di Alfredo de Palchi, invece, invitava a cambiare il modo con cui si considerava il modo di impiego della poesia, ma i tempi non erano maturi, De Palchi era arrivato fuori tempo, in anticipo o in ritardo, ma comunque fuori tempo, e fu rimosso dalla poesia italiana. Fu ignorato in quanto fu equivocato.
Dagli anni ’60 l’espressione è stata ritenuta utile dai pensatori di numerosi contesti non scientifici nei paragoni con le forme strutturate di Zeitgeist. Dice Kuhn citando Max Planck:
«Una nuova verità scientifica non trionfa quando convince e illumina i suoi avversari, ma piuttosto quando essi muoiono e arriva una nuova generazione, familiare con essa.»
Quando una disciplina completa il suo mutamento di paradigma, si definisce l’evento, nella terminologia di Kuhn, rivoluzione scientifica o cambiamento di paradigma. Nell’uso colloquiale, l’espressione cambiamento di paradigma intende la conclusione di un lungo processo che porta a un cambiamento (spesso radicale) nella visione del mondo, senza fare riferimento alle specificità dell’argomento storico di Kuhn.
quando un numero sufficiente di anomalie si è accumulato
Secondo Kuhn, quando un numero sufficiente di anomalie si è accumulato contro un paradigma corrente, la disciplina scientifica si trova in uno stato di crisi. Durante queste crisi nuove idee, a volte scartate in precedenza, sono messe alla prova. Infine si forma un nuovo paradigma, che conquista un suo seguito, e una battaglia intellettuale ha luogo tra i seguaci del nuovo paradigma e quelli del vecchio. Ancora a proposito della fisica del primo ‘900, la transizione tra la visione di James Clerk Maxwell dell’elettromagnetismo e le teorie relativistiche di Albert Einstein non fu istantanea e serena, ma comportò una lunga serie di attacchi da entrambi i lati. Gli attacchi erano basati su dati empirici e argomenti retorici o filosofici, e la teoria einsteiniana vinse solo nel lungo termine. Il peso delle prove e l’importanza dei nuovi dati dovette infatti passare dal setaccio della mente umana: alcuni scienziati trovarono molto convincente la semplicità delle equazioni di Einstein, mentre altri le ritennero più complicate della nozione di etere di Maxwell. Alcuni ritennero convincenti le fotografie della piegature della luce attorno al sole realizzate da Arthur Eddington, altri ne contestarono accuratezza e significato.
si è concluso il Post-moderno
Possiamo dire che quell’epoca che va da L’opera aperta di Umberto Eco (1962) a Midnight’s children (1981) e Versetti satanici di Salman Rushdie (1988) si è concluso il Post-moderno e siamo entrati in una nuova dimensione. Nel romanzo di Rushdie il favoloso, il fantastico, il mitico, il reale diventano un tutt’uno, diventano lo spazio della narrazione dove non ci sono separazioni ma fluidità. Il nuovo romanzo prende tutto da tutto. Oserei dire che con la poesia di Tomas Tranströmer finisce l’epoca di una poesia lineare (lessematica e fonetica) ed inizia una poesia topologica che integra il Fattore Tempo (da intendere nel senso delle moderne teorie matematiche topologiche secondo le quali il quadrato e il cerchio sono perfettamente compatibili e scambiabili e mi riferisco ad una recentissima scoperta scientifica: è stato individuato un cristallo che ha una struttura atomica mutante, cioè che muta nel tempo!) ed il Fattore Spazio. Chi non si è accorto di questo fatto, continuerà a scrivere romanzi tradizionali (del tutto rispettabili) o poesie tradizionali (basate ancora su un certo concetto di reale e di finzione), ovviamente anch’esse rispettabili; ma si tratta di opere di letteratura che non hanno l’acuta percezione, la consapevolezza che siamo entrati in un nuovo «dominio» (per dirla con un termine del lessico mediatico).
Poesie di Carlo del Nero
In questa stagione non si appendono più
panni all’attaccapanni
L’ingresso è nudo e tagliato
dalla finestra assolata che ribolle il passo
L’Arlecchino nudo è in tinta unita
in tinta erotica Colombina
Ma l’amore stenta nel sudario
regalando l’imbarazzo di un’inutile attesa
Questo silenzio ci insegna
il traffico là fuori
Questo tempo ci indica stanchezza
serena di bastarsi almeno per adesso.
*
In quella foto di un gruppo in un interno
mi piace pensare a quello arrivato tardi
entrato dalla porta dopo il clic.
Li vede scomporsi allegramente
dopo l’attesa dell’istante da immortalare
qualcuno si volta e lo nota
senza aver prima notato l’assenza.
“Vieni, ne facciamo un’altra”
ma tutti sono già affaccendati.
“Ne facciamo una insieme io e te”
dice una ragazza dagli occhi di folgore
e la camicetta leggera.
Allora
pensi
ne valeva la pena.
*
Viste da qua
sembra quasi di non passarci in mezzo
ti stupiresti a scoprire una via
fra quelle case
i tetti bizzarri e accalcati
guardano in ogni direzione
rustici, sgualciti e scorbutici perfino
ma a testa alta rivolti al nulla
quasi umilmente altezzosi.
Pochi occhi muti hanno il giorno
il colore della notte,
al primo rabbuiare si vestono di luce e
si concedono
un poco
prima che tutto dorma.
(A proposito di come nasce un diario:
questa mi è venuta a commento di una foto che avevi inserito nella tua pagina…)
*
Non potevamo uscire
pioveva a dirotto
e il dì era davvero rotto
restituito intero nel calore di casa,
alla finestra, e
una sottile incertezza primordiale
vinta dalla tua pelle morbida
occupava il corpo e la stanza.

Carlo Del Nero
La vita ha soluzione nel sesso
che è risposta senza domande
non serve nominare le cose come Adamo
né come Eva barattare incoscienze.
L’urgenza senza fretta dell’essere,
tutto lì, totalizzante fino al nulla,
drammatica e puntiforme
come assente.
L’unico sviluppo ecosostenibile della parola
è nei fragili intervalli degli occhi
che si scambiano l’ammirazione
dei corpi.
*
– piccolo stratagemma –
La tecnologia impone l’ora esatta
ma tu in un angolo di casa
tieni il tuo orologio antico
di qualche minuto indietro;
giusto il tempo di riparare a qualche errore.
*
Ho acceso il fuoco,
sguaina il tuo corpo
che l’inverno protegge ancora,
scaglialo ai miei occhi
che possa morirne pieno.
*
Fendente tridente mordente
Un rebbio di fame e di sete
Un rebbio di bomba o machete
Il terzo conteso
Da simili così diversi
Perché diversi e così simili
Se il caso rivoltasse la storia
Tranne gli uguali
Che solo l’occasione può dire
E ci salveranno come un liberi tutti
Nel nascondino del futuro.
*
Qui sono distanti
ma ci sono luoghi,
che ho visti,
dove sono cittadine
e quando la giornata è giusta
ti salutano con un sorriso.
Un sorriso e un saluto
te lo possono regalare
per il resto non basta una promessa.
Ecco,
e non dite che non l’ho scritto.
*
Ti incrocio e mi bisbigli l’antefatto
con l’abito cucito alla pelle
scivoli nel ricordo lontano
di un delitto innocente.
Era troppo tempo fa per peccare ancora.
Il tempo è un ciarlatano senza promesse.
Cercherò fra le foto come fu
oltre quella storia sbiadita che resta,
un indice che ha perso il romanzo e
un’immagine in copertina che incrocio
e bisbiglia un antefatto che
forse non fu.
*
Ci abbracceremo ancora sai?
Ci abbracceremo attenti a non cadere più.
Forse non lo faremo noi,
ma qualcuno sarà a farlo.
Forse noi non ci saremo
ma altri ci saranno
e diranno di noi, dei giusti e no
e useranno lodi per gli uni e
indulgenza per gli altri
perché questo vorrà il nuovo mondo.
Lo sai vero?
Ci abbracceremo ancora.
(questa forse non sembra, ma è una poesia politica)
*
Le parole le ho prese in prestito
dalle voci dei cortili,
da salotti ho preso silenzi
dai sogni gli amori
dagli inciampi la rabbia e
dalla paura i perdoni.
La vita ho preso a prestito dal nulla
che non ne ha abbastanza per tutti
ma un po’ ne ha trovata per me
perché gli ero simpatico forse.
Non temete,
restituirò tutto.
*
Anche senza indicazioni
tutte le strade portano ovunque
se non hai fretta di morire.
Il senso di una polaroid,
sta nascosto nella formazione poetica di Carlo Del Nero.
Il particolare è l’ultimo frammento.
Non sfugge mai l’intero.
Nel senso che è apprezzabile la poetica della disillusione fatta a pezzi che si ricostruisce nella poesia, nel tentativo di lettura dell’insieme…”Un indice che ha perso il romanzo…”
Bello il quadro. E la frammentazione che ne seguirà.
Ho capito cosa suggerisce Giorgio Linguaglossa: a differenza dei romani e dei milanesi il nostro almeno ha la consapevolezza
del personale che è sopratutto frammento,
il cambio di paradigma non essere al centro dell’universo. Esserne consapevole.
Il basso profilo NOE?
Grazie OMBRA
La verità, Vi prego, su Euridice e ,indirettamente, su Orfeo
Proviamo a riceverne qualche frammento dai 3 poeti Marina Cvetaeva, Margaret Atwood, Salvatore Quasimodo, i quali, per storie, geografie, biografie, sensibilità linguistiche differenti con Euridice si sono, in tempi e gusti diversi, confrontati. Propongo i 3 poeti e le 3 poesie pensando a taluni versi tra neo-orfismo e post-elegiaco di Carlo Del Nero, proprio quando ai lettori confida:
“[…]
Le parole le ho prese in prestito
dalle voci dei cortili[…]”
pur avendo Del Nero, come rivela nel suo commento l’amico Linguaglossa, già chiaro il rapporto frammento/collage.
(gino rago)
1 – Marina Cvetaeva
Euridice a Orfeo
Per chi ha sciolto gli ultimi brandelli
del velo (né guance, né labbra!…)
non è forse abuso di potere
Orfeo che scende all’Ade?
Per chi ha slegato gli ultimi anelli
del terrestre… e sul talamo ha lasciato
l’alta menzogna del vedere in volto
e in dentro guarda – il nuovo incontro è spada.
È già pagato – con tutte le rose
del sangue – questo netto taglio
d’immortalità…
Fino all’alto Lete
amante tu – io chiedo a te la pace
della non memoria… Giacché in questa casa
illusoria tu, vivo, sei fantasma, e vera
io, morta… Che posso dirti – oltre:
“Dimentica e abbandonami!”
Non riuscirai a turbarmi! Non mi farò portare!
Non ho neanche mani! Né labbra
da posare! Dal morso di vipera dell’immortalità
la passione di donna prende fine.
È già pagata – ricorda le mie urla! –
questa distesa estrema.
Orfeo non deve scendere a Euridice.
I fratelli – turbare le sorelle.
2- Margaret Atwood
Euridice
Tu camminavi davanti a me
mi trascinavi di nuovo fuori
alla luce verde che un giorno
aveva messo zanne per uccidermi.
Io ero obbediente, ma
torpida, come un braccio
indolenzito; ritornare al tempo
non era mia scelta.
Ormai abituata al silenzio
come una cosa tesa tra noi
un sussurro, una fune:
il mio nome precedente,
ben tirato.
Tu avevi le tue vecchie catene
con te, amore potresti chiamarle,
e la tua voce di carne
davanti agli occhi tenevi fissa
l’immagine di come volevi
mutarmi: viva di nuovo.
Era quella tua speranza che mi spingeva a seguirti.
io ero la tua allucinazione, in ascolto
e fiorita, e tu mi cantavi:
già nuova pelle si stava formando su di me
dentro il luminoso sudario di nebbia
dell’altro mio corpo; già
si riformava polvere sulle mie mani e avevo sete.
Io riuscivo a distinguere solo i contorni
della tua testa e delle spalle,
nere contro la bocca della caverna,
quindi non ho potuto vedere affatto
il tuo viso, quando ti sei voltato
e mi hai chiamato perché già mi avevi
perduta. Ultima cosa
di te, un ovale scuro.
Pur sapendo quanto ti avrebbe ferito
questo fallimento, ho dovuto
chiudermi come falena grigia e cadere.
tu non riuscivi a credere che ero più della tua eco.
(Traduzione di Maria Luisa Vezzali)
3- Salvatore Quasimodo,
Dialogo
“At cantu commotae Erebi de sedibus imis
umbrae ibant tenues simulacraque luce carentum”
Siamo sporchi di guerra e Orfeo brulica
d’insetti, è bucato dai pidocchi,
e tu sei morta. L’inverno, quel peso
di ghiaccio l’acqua l’aria di tempesta
furono con te, e il tuono di eco in eco
nelle tue notti di terra. E ora so
che ti dovevo più forte consenso,
ma il nostro tempo è stato furia e sangue:
altri già affondavano nel fango,
avevano le mani, gli occhi disfatti,
urlavano misericordia e amore.
Ma come è sempre tardi per amare;
perdonami dunque. Ora grido anch’io
il tuo nome in quest’ora meridiana
pigra d’ali, di corde di cicale
tese dentro le scorze dei cipressi.
Più non sappiamo dov’è la tua sponda;
c’era un varco segnato dai poeti
presso fonti che fumano da frane
sull’altopiano. Ma in quel luogo io vidi
da ragazzo arbusti di bacche viola
cani da gregge e uccelli d’aria cupa
e cavalli, misteriosi animali
che vanno dietro l’uomo a testa alta.
I vivi hanno perduto per sempre
la strada dei morti e stanno in disparte.
Questo silenzio è ora più tremendo
di quello che divide la tua riva.
“Ombre venivano leggere”. E qui
l’Olona scorre tranquillo, non albero
si muove dal suo pozzo di radici.
O non eri Euridice? Non eri Euridice!
Euridice è viva. Euridice! Euridice!
Nota.
I 3 poeti e i 3 componimenti proposti mi furono proposti da Rossana Levati all’interno di un dibattito sul “metodo mitico” nella poesia moderna e contemporanea, in verità.
(gino rago)
“Cosa abbiamo fatto, rilasciando questa Terra dal suo Sole? Dov’è essa presa adesso? Dove siamo noi stessi presi? Lontani da tutti i soli? Non stiamo incessantemente precipitando? All’indietro, di lato, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non vaghiamo come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non fa freddo? Non si sta facendo notte, sempre più notte?”
(F. Nietzsche, La Gaia Scienza, §125).
Facciamo un accenno al filosofo tedesco Peter Sloterdijk il quale svolge un discorso in molteplici excursus attingendo alla letteratura, alla psicanalisi e alle diverse forme d’arte figurativa, guardando all’arte non come qualcosa di omogeneo e fondato, non più possibile per la nostra epoca, ma come ciò in cui può ritrovarsi un atteggiamento autopoietico che non si lasci invischiare nella transitività dell’azione produttiva e del pensiero rappresentativo e dia mostra di sapersi convertire in una prassi esemplarmente decentrata e oblativa.
Il discorso di Sloterdijk è importante perché fornisce una sponda filosofica alla ricerca della nuova ontologia estetica per un’arte che non corrisponda più alla classica convenzione di una forma d’arte rappresentativa.
La poesia italiana, se vuole rinnovarsi, non può non prestare ascolto alla filosofia di oggi.
« Sloterdijk sostiene che in ambito estetico «l’opera d’arte può ancora dire qualcosa perfino a noi, che abbiamo disertato la forma, perché essa, in
maniera del tutto palese, non fa propria l’intenzione di opprimerci».1
I titoli dei volumi mostrano fin dall’inizio un’attenta sensibilità per le immagini materiali discusse nell’analisi psicanalitica del filosofo francese Gaston Bachelard, le cui opere vengono citate direttamente da Sloterdijk come una delle fonti principali dell’immaginario da cui vengono estratti i concetti psichici e filosofici di sfere. 2
La matrice dell’immagine è il fondamento del pensiero con cui Sloterdijk sviluppa il suo discorso, e lo accompagna per tutta la sua opera. Dalle immagini archetipiche, Sloterdijk ritrova un tesoro di espressioni da cui il pensiero attinge mantenendo sempre una visione d’insieme mediata dal vissuto psichico della dimensione inconscia. Sloterdijk attinge in diversi modi e tempi a tutta l’esperienza umana e non, contraddistinta, nel suo aspetto
essenziale e più accademico, da una ripresa ed estensione del volume heideggeriano Essere e Tempo, per completare quel lavoro di ricerca del dove, che a detta dell’autore Heidegger ha interrotto bruscamente, preferendogli un chi . Sloterdijk quindi si preoccupa prima di tutto di fondare un
Essere e Spazio, e di farlo non solo attingendo alla filosofia e alla poesia, ma anche, tra gli altri, alla psico-ontologia di Jung. 3
Il suo scopo risulta nella presentazione di una filosofia ibrida alla ricerca di un fondamento archetipico oggettivo comune a tutti gli uomini, che ricalchi allo stesso tempo tutta la storia dell’Homo Sapiens, intesa come storia degli spazi psico-ontologici, dai primi sussulti di vita dell’embrione nell’utero materno ai grandi eventi cosmologici, trasformatori dei luoghi umani.
Il filosofo di Karlsruhe riprende l’immagine della sfera introducendo la sferologia (Sphärologie ): lo studio di tutta l’esistenza umana, (pre-)individuale e collettiva, intesa come forma psicoantropologica sferica. Nella sferologia vengono distinte tre aree di studio, una per ogni volume. La
microsferologia (Mikrosphärologie) è lo sviluppo degli spazi dell’intimità e dell’interiorità, chiamati bolle, ricercati a partire dall’unità originaria
prenatale tra embrione e grembo materno, precedente la costituzione di un vero e proprio soggetto. Sloterdijk si concentra qui brevemente sul
noggetto (Nobjekte), una nuova classe ontologica di oggetti introdotta dal collega Thomas Macho, per indicare il rapporto mediale e bipolare che interessa il soggetto non ancora formatosi. Una relazione archetipica che va oltre la fenomenologia, esplorata attraverso la mistica indiana e la psicologia prenatale, che offre la struttura originaria su cui si modellerà poi la costituzione psichica dell’individuo e la sua esistenza nel mondo.
[…]
La prerogativa dell’immaginale è particolarmente rilevante qui, dato che Jung, Bachelard e Sloterdijk, ma anche Nietzsche e Heidegger, parlano e raccontano con immagini non nel senso di metafore o allegorie, ma di realtà effettive che formano direttamente l’esperienza del mondo del soggetto.
L’immagine è incorporazione del reale, nella propria I interiorità come nel mondo esterno.5
[…]
Tra le immagini dell’archetipo del Sé legate alla terra, si vedrà che in particolare sono i motivi materni a sorgere. Questo perché, come già sosteneva
Jung, l’archetipo si sviluppa nello spazio attraverso il comportamento animale, come pattern of behaviour , una delle definizioni che ha sviluppato in particolare la collaboratrice e psicanalista Jolande Jacobi.
In perfetto parallelismo con Sloterdijk, che riprenderà lo stesso discorso, l’uomo riceve l’impressione archetipica del rotondo a partire da reminiscenze inconsce prenatali.
Dall’utero materno, esperito attraverso l’unione mistica e il processo di individuazione, si ricava la forma originaria per organizzare l’abitare umano.
Il tutto viene esposto sulla base dell’unus mundus, cioè la corrispondenza psichica tra soggetto e oggetto, interiorità ed esteriorità, una medialità di completa co-interdipendenza e relazione estetica tra singolo, paesaggio e mondo, microcosmo e macrocosmo.
[ Cfr. J. J. Wunenburger, Filosofia delle immagini, tr. it. di S. Arecco, Einaudi, Torino, 1999; Id., La vita delle immagini , tr. it. di R. Castoldi, Mimesis, Milano, 2007; Id., L’immaginario, tr. it. di V. Chiore, Il nuovo melangolo, Genova, 2008. Id., L’immaginario , cit., p. 32. ]
P. Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita, tr. it. di S. Franchini, Raffaello Cortina, Milano, 2010, p. 25.
2,3,4,5https://www.academia.edu/39314505/Immagini_Archetipiche_nella_trilogia_Sfere_di_Peter_Sloterdijk?email_work_card=view-paper
Carlo del Nero nei suoi componimenti esercita l’esercizio a essere esercitato, del resto l’ersercizio è una probabilità, l’allenamento una supponente derivante: polivalente. Io c’ho messo 44 anni prima di arrivare alla NOE, coincidenza propizia per me incontrare tali palestre. Penso che la casualità pure nel verso coincida a queste urgenze.
Un abbraccio fratello di cui ancora comunico il difetto, l’aid’s dell’anima chiamata poesia a cui nn possiamo tirarci indietro pur volendo.
A proposito del cinismo e della poesia posiziocentrica di oggi
https://lombradelleparole.wordpress.com/2019/06/02/carlo-del-nero-poesie-con-una-dichiarazione-di-poetica-giorgio-linguaglossa-verso-un-nuovo-paradigma-poetico/comment-page-1/#comment-57393
Il quadro dipinto da Carlo Del Nero (che potete vedere nel post), mosaico di tessere che verrà smembrato in tante tessere singole e non esisterà più, è emblematico del modo di fare poesia dell’autore: la poesia è un assemblaggio di parole effimere, così come un quadro, che esiste adesso, qui ed ora, ma può non esistere più domani mattina, o stasera. La certezza, la consapevolezza di questo fatto in noi della nuova ontologia estetica non produce nessun rancore, nessun dolore, nessuna albagia, noi lo sappiamo da sempre che le parole scompariranno, che sono friabili e transeunti e che il loro destino sia quello di scomparire presto o tardi, e che oggi non significano più nulla …
Se c’è un aspetto che la nuova poesia non possiede è il cinismo. I cinici di oggi scrivono una poesia comunicazionale e istrionica, pensando di apparire à la page. Gli autori della nuova poesia non sono cinici e neanche disperati, sono semplicemente neutri, raffreddati, siamo tutti quanti affetti da raffreddore, un raffreddore invisibile, impalpabile, incorporeo… un po’ come le parole che abitiamo ed impieghiamo: parole neutre, raffreddate, congelate se non ibernate. Noi sappiamo che con quelle parole non possiamo costruire che cattedrali di carta che un alito di vento sgomitola…
La poesia posiziocentrica che fanno i cinici e che va di moda oggi è piena di un io ipertrofico e ricca di ironia e di sarcasmo narcissico, quella poesia non ci appartiene, come non ci appartiene il gesuitismo destrista e postruista dei «poeti» di comunione e liberazione che abbracciano ideologie e politiche razziste…
«…una sindrome sociale psicopatologica che è stata definita dal filosofo tedesco Peter Sloterdijk col nome di Zynismus per distinguerla dalla corrente della filosofia antica che in tedesco si chiama Kynismus.
Il cinico dei giorni nostri sarebbe, secondo Sloterdijk, un melanconico ancora in grado di controllare i suoi sintomi depressivi, mantenendo una capacità produttiva. Mentre il cinismo antico era una forma estrema di individualismo in lotta con la società del suo tempo, il cinismo moderno è qualcosa di così capillarmente diffuso nella società occidentale da costituire la vera garanzia di integrazione in qualsiasi ambito d’attività. Quanto al rapporto che l’individuo ha con sé, esso si riduce a un lavoro di autorappresentazione, di costruzione di un’immagine di se stessi che sia conforme ai modelli suggeriti dalla pubblicità, dalla moda e dall’industria culturale.
In questo vuoto intellettuale, spirituale e affettivo sono le provocazioni del consumismo sfrenato e del neonazionalismo ad avere la meglio su qualsiasi progetto razionale…»,1
1 M. Perniola, Miracoli e traumi della comunicazione, Einaudi, 2009, p. 107
caro Giorgio, a parte che non finirò mai di ringraziarti della tua attenzione, i tuoi commenti suscitano sempre ulteriori riflessioni.
In questo caso è la tua prima parte del tuo commento ad avermi dato modo di rilevare una contraddizione. Una contraddizione tutta in me, non nelle tue parole.
Come ho scritto in precedenza ad ognuno dei cugini è stato consegnata una tessera. Però ad ognuno è stata anche consegnata una foto dell’intero, più grande e meglio dettagliata di questa.
Dunque ripensandoci, sì, ho smembrato, ma forse scavando viene fuori questa contraddizione di aver voluto comunque mantenere vivo il ricordo dell’intero.
Allora forse con l’effimero io lotto ancora, non sono così serenamente rassegnato.
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poi ti avevo inviato una mail e mi avevi chiesto di riportarla in questi commenti. Purtroppo alla mail avevo allegato 3 immagini che non posso riportare qua per motivi tecnici. Ma giacché ogni tuo desiderio è un ordine(!), copio e incollo quanto scritto:
Caro Giorgio, rileggendo i tuoi commenti mi sono trovato a rileggere anche me stesso. Questa volta non a rileggere le mie poesie, ma le immagini che ho creato nel corso di tutti questi anni.
Tu hai scritto:
“Possiamo immaginare che Del Nero abbia dovuto anche lui attraversare il deserto di ghiaccio degli anni ottanta, novanta e dieci del nuovo millennio”
e dunque ho riguardato i miei disegni e ho pensato che forse qualcosa di quello che intendi c’è anche lì:
– Un primo disegno che ho “caparbiamente” conservato è stato realizzato sul retro di un volantino ai tempi del liceo. Un volantino contro qualcosa che non so più;
– il secondo si intitola “dal padrone” è non ha bisogno di spiegazioni. E’ anche questo degli anni ’70.;
– il terzo è del 1985 ed è la rappresentazione di una cattedrale fatta solo di facciata, con almeno due possibile letture: una religione svuotata nei comportamenti, ma anche un’opera dell’uomo che loda se stesso fingendo di lodare la divinità.
Naturalmente scegliere alcune cose fra tutte è sempre un po’ truffaldino, significa ricostruire col senno di poi, però certo aver iniziato le superiori proprio nell’anno scolastico 68/69, aver a 12 anni abbandonato la religione di famiglia, aver a 13 lasciato Gianni Morandi sostituendolo con Hendrix e Zappa
…e considera che a 14 anni comprai “Aus den sieben tagen” di Stockhausen, un cofanetto di 7 LP che mi costò quello che allora era per me un capitale (all’epoca, anche vivendo in una famiglia benestante, non era uso mettere soldi in tasca ai figli!!)
beh, tutto questo probabilmente non è indifferente…
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E allora anche la vita è un insieme di tessere sparse per il mondo e che il mondo ci ha regalato/offerto/gettato in faccia, e quello che tentiamo con la memoria e le nostre “costruzioni” quotidiane, è l’illusione di regalarci quella foto dell’intero; l’intero di noi stessi. E se siamo abbastanza peccatori, anche la speranza che duri.
L’indicibiile è quando nessuno ti può capire, tranne al bar. Dove vivo io, e spiego che sono un intellettuale e non capisco il dialetto piemontese, cosa significhi che la cipolla di Breme sia dolce, voglio dire, nel discorso. Gli altri ridono ma qualcuno sa cosa sia una metafora. Allora si impegnano. Io dico: ma come, siate qui in maggioranza con le stampelle e ancora fumate sigarette… Perché è il male minore, rispondono. Così la truppa si confonde col tramonto e a me sembra di morire in compagnia. Per alcune risposte bisogna uscire dal discorso, verso un altro discorso che è inconscio. Bisogna anche dire che normalmente, nei sogni, i discorsi sono pochi. Prevale l’immagine. Per le parole, non esiste che esse aspettino il momento per uscire allo a scoperto, l’inconscio non è così sofisticato. L’ìinconscio improvvisa.Subito ti mette cento parole a disposizione. E’ un fatto d’amore.
Foto dell’intero e foto del dettaglio. Sono sciocchezze. La stessa composizione avrebbe valore se scomposta improvvisando. O si fa arte del frammento o si frammenta, che è un’altra cosa. L’intero è morto, almeno così penso io. Bansky a Venezia ha dipinto una nave all’attracco, e non si è nemmeno preoccupato di confondere. Giusto che stia fuori dalla BIenneale, quelli non sono fessi. Ogni frammento deve poter dire di sé, ovunque lo si voglia mettere. Smettiamola di vivre con le melodie.
Caro Lucio, dici bene quando scrivi:
https://lombradelleparole.wordpress.com/2019/06/02/carlo-del-nero-poesie-con-una-dichiarazione-di-poetica-giorgio-linguaglossa-verso-un-nuovo-paradigma-poetico/comment-page-1/#comment-57434
«Per alcune risposte bisogna uscire dal discorso, verso un altro discorso che è inconscio. Bisogna anche dire che normalmente, nei sogni, i discorsi sono pochi. Prevale l’immagine. Per le parole, non esiste che esse aspettino il momento per uscire allo a scoperto, l’inconscio non è così sofisticato. L’inconscio improvvisa.Subito ti mette cento parole a disposizione.»
È vero l’inconscio ti mette non cento ma diecimila cose a disposizione, ma poi deve intervenire una opzione cosciente o semi cosciente per selezionare quello che l’inconscio ti riversa addosso ogni notte durante i sogni e ogni giorno, senza che ce ne accorgiamo, perché l’inconscio è in azione in ogni istante della giornata, la coscienza non ne ha contezza ma c’è, come ci ha insegnato Freud.
Carlo Del Nero riesce bene, ha imparato il segreto di catturare le immagini dell’inconscio senza chiuderle, senza costiparle in una sintassi risolutoria e in un discorso dell’io, ideologicamente compatibile con l’ideologia dominante. Quando Del Nero scrive:
In questa stagione non si appendono più
panni all’attaccapanni
L’ingresso è nudo e tagliato
dalla finestra assolata che ribolle il passo
mi convince, riesce a percepire l’impercepibile, coglie il dato inconcusso (che d’estate non si appendono gli abiti sull’attaccapanni) e ne fa un frammento, che così com’è contiene un totum. Ma «il totum è falso, il tutto è un totem», come ci ha ricordato Adorno, e allora che fare? E allora occorre andare a de-costruire il frammento, occorre ardimento e fortuna, occorre andare a prendere il vello d’oro di un frammento significativo e spacciarlo quale frammento non-significativo. Carlo Del Nero riesce bene ad andare a caccia di perle; e poi qualcuno dirà che pesa le perle con la bilancia dei mercati generali. È che non abbiamo altra bilancia che quella dei mercati generali, dobbiamo arrangiarci con quello che abbiamo e quello che passa il convento.
Certo è che continuare a fare una poesia con l’io e le adiacenze dell’io (Cucchi, Magrelli, Marcoaldi ed epigoni vari) oltre che essere una cosa noiosissima perché sono cinquanta anni che si suona le medesima chitarra è fare ideologia senza misericordia…
Per l’opera pittorica di Del Nero non so dire, vederne una è poco, si ha soltanto l’impressione. Quindi ho tentato di precisare, che, a mio modo di vedere, l’insieme dei frammenti dovrebbe portare a un diverso insieme, perché nessun intero li ha scaturiti. Oppure, meglio, che l’enigma sta proprio nell’intero. E non uno, ma tanti possono essere gli enigmi, sicché l’intero non può che offrire di questi la superficie. Me ne resi conto osservando il modo in cui osservavo (ero al cospetto di un Caravaggio) e la mia attenzione per i dettagli, il senso di meraviglia che ne ricavavo; ben superiore all’effetto “storico” dell’insieme.
Ma queste poesie di Carlo Del Nero mi sono piaciute. Ha attenzione per gli aspetti minimi, che è un modo femminile, se mi passate il termine, o anche un modo dell’infanzia di considerare il mondo; ad esempio si guarda un tavolo dopo aver considerato la maniglia del cassetto. E così la vita. E poi scorre la sua scrittura, con leggerezza. Ed è gentile.
premesso che non sono un pittore, puoi trovare qualcosa di più qua:
https://www.instagram.com/zarvizart/
ma grazie Lucio, perché hai scritto “modo femminile” e “modo dell’infanzia”, e te ne sono grato perché significa che non tutto è perduto. Avevo scritto dell’ingenuità come conquista e credo che il tuo commento mi dia conforto di esser almeno in parte riuscito nell’intento. Per altro questa interpretazione mi sembra stia a pennello (proprio il caso di dirlo!) anche, o forse soprattutto, per i miei quadri. Una mia cara amica sostiene che io abbia una parte femminile molto sviluppata, dunque tutto torna, e francamente mi piace.
visto che ero partito con un quadro, concludo girando ancora intorno alla pittura. E’ un esperimento, perché pubblico questa cosa appena 2 minuti dopo averla buttata giù di getto. Il risultato? non so, ma vale la pena sperimentare!
…
-a Simonetta Vespucci-
La clessidra pensa
il suo pensiero fisso
Non discute il prima e dopo
lo danza
Come il gonfiature di palloncini
fino all’ultimo fiato
C’è ammirazione nella stanza,
sorpresa che non dura e paura
Paura che resta
paura che cresce
C’è una piccola clessidra nella stanza
sempre di fretta verso il suo nuovo piccolo giorno.
…
gonfiatore sorry