Giorgio Stella, Poesie da Sterpia 2011, con una Lettera di Giorgio Linguaglossa, Il soggetto si scopre mero luogo retorico, luogo tropologico, operatore linguistico

 

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Il soggetto si scopre mero luogo retorico, luogo tropologico, operatore linguistico

Giorgio Stella è nato a Roma il 30 aprile 1975, dove vive, ha pubblicato, Sterpia (2011) L’arco del cerchio (2011), Harlem (2011), Rom (2012) e varie plaquettes di testi poetici.

caro Giorgio Stella,

la poesia italiana di questi ultimi decenni ha, di fatto, abdicato alla sua funzione problematizzante, si è rifugiata nella referenzializzazione in modo tale che l’oggetto non diventava più questione perché inglobato nel discorso del soggetto. Nella misura in cui il rapporto con il reale si s-problematizzava, la forma-poesia tendeva alla referenzializzazione e diventava narrativa. E il soggetto si scopriva quale operatore ecologico privilegiato del discorso poetico. Ciò implicava che si parlasse molto di più del soggetto e dei suoi ruoli e delle sue funzioni e del suo posto nell’universo situandolo al centro del sistema solare copernicano.

La poesia italiana da Bertolucci de La capanna indiana (1951) a Montale di Satura (1971) fino a Bacchini e agli ultimi continuatori di quella impostazione è ancora tutta incentrata, come raggomitolata sull’io, quel soggetto che la psicoanalisi e la filosofia avevano messo fuori questione. E il soggetto veniva automaticamente ri-messo in questione proprio perché si pensava in modo acritico che fosse la questione principe, la questione incipitaria; ma, nella misura in cui il soggetto cessava di funzionare come principio, il principio cessava di essere tale e diventava mero luogo locutorio, tropo, mero luogo retorico. Il principio rispetto a se stesso e al mondo si scopriva essere un luogo fittizio. E il mondo diventava un pallido riflesso di quel soggetto-principio che aveva cessato di funzionare come principio.

Con l’insorgere e il proliferare dei linguaggi del mondo globale, quella identificazione con il referente era irrimediabilmente spezzata, infranta, e la catena dei significanti veniva ad occupare la posizione centrale ed esclusiva; di qui l’imperialismo del panlogismo dello sperimentalismo del secondo novecento e l’autonomia dell’articolazione proposizionale.

Il soggetto si vedrà ormai subordinato al logos, un logos le cui leggi finivano per autonomizzarsi. La relazione significante-significato stigmatizzava in positivo il negativo, cioè che il garante di quella relazione, il soggetto, aveva fatto fiasco. Con la sua iscrizione semantica il locutore cessava di essere il fondatore, con la conseguenza che sarebbe stato sufficiente fare un altro passo in avanti per scoprire che quella relazione che garantiva l’iscrizione semantica, aveva perso di validità, e la significazione diventava un problema dell’ordine proposizionale. Così, il processo della significazione si scopriva altamente vulnerabile alle scalfitture, alle lacerazioni dovute alla avvenuta scissione tra il significante e il significato, una scissione dirompente che finiva per aprirsi a dismisura nella quale il soggetto egolalico rischiava di periclitare e annegare definitivamente.

Il soggetto si scopriva essere un mero luogo retorico, luogo tropologico, operatore linguistico privo di legittimità e di alcuna garanzia fondazionale. Il soggetto, lungi dall’essere risposta problematologica e antropologica, diventava chiusura del discorso, si referenzializzava, diventava luogo retorico, si retoricizzava.

Il tuo linguaggio poetico vive tutto nella e sulla linea di demarcazione di questa scissura che si apre a dismisura tra il significante e il significato, è un operatore problematologico che indica la chiusura di qualsiasi legato di senso della proposizione poetica.
L’io che interroga se stesso nella tua poesia diventa lacerazione, strappo, scucitura, ulcerazione, viaggio con una lente di ingrandimento intorno alla scissione dell’io e alla de-localizzazione del soggetto retorizzato. La NOE chiude definitivamente alla introspezione esistenziale del soggetto ripiegato su di sé alla ricerca di un briciolo di «autenticità».

La nuova ontologia estetica è un discorso altamente finzionale, come dice Lucio Mayoor Tosi, altamente artificiale e artificioso. E non può che esserlo stante le premesse del discorso. E la forma-poesia diventa un discorso altamente artificioso e artificiale. Parlare di «autenticità» del viaggio dell’io, nei termini della nuova ontologia estetica, è un contro senso, perché quella chiave di accesso al reale si è rivelata spuntata, che poi la grandissima parte del linguaggio poetico di oggi continui su quella falsariga, è, precisamente, un non argomento.

(Giorgio Linguaglossa)

Giorgio Stella, Poesie da Sterpia, 2011

(pag. 82)

Era un orfanotrofio… lo riconosco
dal getto cieco nell’occhio spento:
“Tu sai
padre mio
il boia che hai esistito
cessando di nascermi…”
ora nel vento è l’atto –

(pag. 92)

Una volta, da bambino,
lo portò al museo
d’arte per il giorno
del suo compleanno –
l’opera più grande che
vide fu la
sua maschera, lunga nell’anima dell’ombra.
Fu il primo compleanno
da uomo libero
di tradirlo –
(così cantava il disco:
“Com’è triste la notte,
un anno dopo il sole…”)

Elèna Gutturale (pag. 17/18)

Io non ho paura
Guardo il buio
E piango bianco
E fanno le
Cose che muoino
La fronte muta
Non è più mia la
Colpa di uccidere
E vivere un gesto
Padre che prega il padre
Attraverso il vetro vitale
Oltre la rosa
La stanza accartocciata
Di rosa rosa
Dove si paga l’aria
Un occhio nell’altro roso
Piangono i santi
Ammutoliti dai
Santini dentro la chiesa
Resta la preghiera
Un ricordo: tagliavo…
Ho tagliato il sangue
Da bambino sburro
Da adolescente sborro
Da uomo la sborra
Poi l’uomo e la donna
Il frenulo del glande
Appare tra nuvole –
Dio ha parlato una volta sola
Sullo scoglio di scroto
Ora volo dove vola il volo.
Confesso: senza l’amore tra
Le vene sarei morto senza
Amore e andammo oltre.

A Paul Celan (pag.19/20)

Mi trovo nel non luogo,
qui vengono e partono in continuazione
coloro che restano nell’ambiente del luogo,
e l’acqua e la terra non fanno tanta differenza
tra loro e il vuoto
qui sono nella parte d’ombra che si trova al centro del sole
qui sorgo e tramonto nel medesimo cielo
cardinale dell’incrocio natante dell’aere,
qui sono qui, mi trovo a te
nella zona d’essere stato
persona vostra, storia mia,
solo per voi, Eric e Gisèle
l’acqua non affonda.

Lezioni di vento (pag. 26/27)

Nulla crea il giorno, la luce viene dal buio,
poi l’ombra del mare, lezioni di vento,
soltanto i bambini muoiono felici,
le loro bare non prendono fuoco
e restituiscono il vento partendo,
loro, gli orfani del tempo,
che hanno perduto tutto
per recuperare il sangue ancestrale
lasciando la madre, cancellando il padre –
così vidi l’onda arrivare
fino alle cabine, poi la bandiera
rossa issata come la ruggine del sole che vaccina le ombre
e la stuoia accartocciarsi in tomba
verso una natura morta dove non cerco aiuto:
oggi l’ultima volta
quel bambino che saluta
gli altri bambini che vanno
verso la bomba atomica
e sorridono,
dal finestrino nella gita –
sul ponte d’acciaio
la neutrale
realtà dell’elmo,
dall’altra parte
nelle orme del vento
una riva di rose
ci informa che
il sangue è arrivato,
profumato di morte il mare più calmo
quand’è passata la ronda nel fiume Rom
uccidendo tutti loro – i pescatori hanno remato acqua e sangue
e poi si sono svolti i funerali; i corpi su giacigli
di legno legati ai pali di un ponte,
un macete che ha tagliato le corde fatali
a tutte quelle zattere che s’abbandonavano
nella torbida fontana, con tutte le statue
che guardavano la scena col muso all’orizzonte
dando le spalle al niente
e più lontano già si udiva una raffica di mitra
che faceva a pezzi i morti, oh madre nella notte!
Che sai quando nasce vive e muore
La solitudine, questa sorella pazza che cavalca
Due cuori, quello che è
Nato e quello che deve ancora morire, saldati,
riconoscenti ad un comando
che il cielo alto non vuole riferire al nemico
al silenzio che entra nella porta del vuoto
le serpi e le sirene
verso il bagno nudo della spuma fragile dov’è sepolto Dio.

(pag. 96)

Quando morii fui sveglio e eterno
come il regno di sabbia nel castello di vento.
Né rimpianto rimorso odio compassione,
solo me stesso
cineripreso accanto a Dio
nella camera oscura in eterno,
come quei filmini, quei vecchi filmini
che ridono la stessa storia d’amore
dall’inizio alla fine come quando finisce –
ricomincia la strofa della vita –
– solo che questa volta sono talmente dentro dio
che sgorgo all’infinito il sangue del finito,
e non piango, non rido, io nel mentre di me stesso,
ed io?
Io venni meno al mio destino
come del resto già sapevo,
già io sapevo il volto,
il volto rado mio, quel volto,
quel volto baciato
fino all’osso
materno sogno

17 commenti

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17 risposte a “Giorgio Stella, Poesie da Sterpia 2011, con una Lettera di Giorgio Linguaglossa, Il soggetto si scopre mero luogo retorico, luogo tropologico, operatore linguistico

  1. Dove le parole accorrono come sciami di insetti, lì mi piace la poesia di Giorgio Stella. E anche dove si pone, da quale luogo la sua osservazione – “qui sono nella parte d’ombra che si trova al centro del sole.” è un verso che a me dice molto, antropocentrico ma come potrebbe essere per un bambino.

  2. cari amici,
    vi devo confessare che ultimamente mi sento un po’ in imbarazzo, e un po’ in difficoltà. Vengo inondato tutti i giorni da dozzine di libri di autori di oggi, tutti uguali, tutti affetti dal virus della ipertrofia dell’io, una superinvasione, una inflazione di versificatori di tutte le risme, un drammatico truismario di facezie e di quisquilie ai quali rispondo che io mi occupo esclusivamente della poesia che segue un indirizzo di ricerca, tutto quello che esula dalla ricerca, ovviamente non mi interessa. Il fatto è che tutti scrivono per un bisogno fisiologico, corporale… mi dispiace, ma la poesia non è iscrizione di polinomi frastici messi in bella mostra…

    • Talìa

      Caro Giorgio,
      come ti capisco. Da quando sono nella redazione dell’Ombra anche a me arrivano proposte di lettura e di invito a recensire, non tantissime, devo dire.
      Io faccio così, analizzo: 1) il titolo del libro; 2) salto la prefazione 3) salto le citazioni dei vari poeti o filosofi 4) leggo la prima poesia, la seconda… poi cestino e mi trincero nel SILENZIO.

      Però attendo il Poeta.

  3. Marina Petrillo

    Quando morii fui sveglio e eterno

    – solo che questa volta sono talmente dentro dio
    che sgorgo all’infinito il sangue del finito,

    Io venni meno al mio destino
    come del resto già sapevo,
    già io sapevo il volto,
    il volto rado mio, quel volto,
    quel volto baciato
    fino all’osso
    materno sogno

    Un flusso di coscienza, una memoria ridondante che non si placa. Un io gestatorio decaduto, morto al concetto di eterno. Non rimane alcun frammento, solo cellule amebiche poste ai limiti di un firmamento finito. Inibita ogni azione, anche la nascita. Memorie dissolte in operoso dialogo interiore, lo sguardo volto e avvolto, a stele di vento acido. Inquieti i bambini vivono in universi paralleli , gestatori, di cui smarrita è la memoria. Non regna ascensione,solo litania prossima al vivere. Il mistero, nel piangere bianco, inclinato asse nella acquiescente vita abdicata. Pericola il cardine posto a suggello di un dio imploso:catastrofe morta al suo stesso suono.
    Marina Petrillo

    • cara Marina, faccio un esperimento con il tuo (presumo) consenso. Metto in versi, in distici severi, questa tua prosa:

      Un io gestatorio decaduto, morto al concetto di eterno.
      Non rimane alcun frammento,

      solo cellule amebiche poste ai limiti di un firmamento finito.
      Inibita ogni azione,

      anche la nascita. Memorie dissolte
      in operoso dialogo interiore, lo sguardo volto e avvolto,

      a stele di vento acido.
      Inquieti i bambini vivono in universi paralleli,

      gestatori, di cui smarrita è la memoria.
      Non regna ascensione,solo litania prossima al vivere.

      Il mistero, nel piangere bianco,
      inclinato asse nella acquiescente vita abdicata.

      Pericola il cardine posto a suggello di un dio imploso:
      catastrofe morta al suo stesso suono.

  4. http://www.michelangelomodica.com/2019/04/de-la-serie-le-chemin.html#links

    http://www.michelangelomodica.com/

    Ecco il link di un pittore di oggi, si chiama Michelangelo Modica, siciliano. Mi sembra che il pittore siciliano stia perseguendo una sua ricerca tutta votata all’essenziale: impiego di terra e pigmenti su superfici. Quanto di più astratto e concreto insieme. Cosa c’è di più concreto della terra? In poesia come in pittura è la direzione di ricerca quello che conta, perseguire una direzione e non abbandonarla per nessuna ragione al mondo; se non per seguirne un’altra che nel frattempo si è manifestata. Anche i colori di Michelangelo si presentano essenziali e con ottime credenziali di autorevole astrattezza.

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2019/05/22/giorgio-stella-poesie-da-sterpia-2011-con-una-lettera-di-giorgio-linguaglossa-il-soggetto-si-scopre-mero-luogo-retorico-luogo-tropologico-operatore-linguistico/comment-page-1/#comment-57228

  5. giorgio stella

    gentile, (giorgio stella) grazie di questo libro che linguaglossa sa io considero neppure una prova d’autore semmai un errore di gioventù ma ovvio lo ringrazio. se mi da un recapito la mia meil è giordanstiller75@gmail.com glielo regalo.

  6. giorgio stella

    caro linguaglossa scusi la malversazione in corso tra di noi in effetti sterile dal ‘canto mio’… pubblicamente la ringrazio nn so cosa sia ‘inserisci in url’ e per forza senza offesa x nessuno la somma è stata necessaria la divisione se accettano il mio regalo. un abbraccio a lei un abbraccio a voi amici miei
    giorgio stella

  7. giorgio stella

    gentile linguaglossa la ringrazio pubblicamente, il dettato è addio la mia missione no. un abbraccio e scusi x la malvesazione in corso tra di noi dal “canto mio” giorgio stella

  8. Talìa

    Ecco, anche in questo caso, come sopra, il SILENZIO. Perché? Perché c’è un Dio di troppo, c’è troppo Dio. Anche se la materia potrebbe essere trattata dal punto di vista, diciamo, dell’analisi, come anche di analisi strutturale, di analisi descrittiva.

  9. caro Giorgio Stella,
    non posso condividere il tuo giudizio liquidatorio della tua opera di esordio, c’è in essa un discorso, strappato e lacerato, sulla dissoluzione dell’io con venature di maledettismo che comunque non inficiano il valore dei testi nel suo complesso. Io al tuo posto non sarei così severo verso il tuo primo libro di poesia. Ricordo quello che Wittgenstein scrisse in un appunto. In fin dei conti noi tutti scriviamo, ci rivolgiamo a quei pochi, quei pochissimi che sono già sulla nostra medesima strada. Soltanto loro potranno comprendere il nostro lavoro:

    “Per una prefazione” (da un manoscritto di Wittgenstein)

    Questo libro è scritto per coloro che guardano con amichevolezza allo spirito in cui è scritto. […]

    Infatti, se un libro è scritto per pochi soltanto, questo lo si vedrà proprio dal fatto che saranno in pochi a capirlo. Il libro deve operare automaticamente la separazione fra coloro che lo capiscono e coloro che non lo capiscono. […]

    Se dico che il mio libro è destinato solo ad una piccola cerchia di persone (se così la si può chiamare), non voglio dire, con questo, che, per me, tale cerchia sia l’élite dell’umanità; sono però le persone cui mi rivolgo, e non perché migliori o peggiori delle altre, ma perché formano la mia cerchia culturale, in certo modo sono gli uomini dalla mia patria, a differenza degli altri che mi sono stranieri.

    (L. Wittgenstein, Pensieri diversi, ed. it. a c. di M. Ranchetti, Milano: 1980, pp. 24, sgg.)

    Giorgio Linguaglossa 26 marzo 2019 alle 9:44

    Una domanda al filosofo Michel Meyer:

    L’attività della critica letteraria si può ricondurre alla «critica del linguaggio» in quanto il linguaggio è il «riduttore» mediante il quale si possono rinnovare i linguaggi artistici.

    I linguaggi artistici sono quei tipi particolari di linguaggi che sono stati sottoposti ad una intensa problematizzazione interna. È attraverso la problematizzazione interna che i linguaggi si rinnovano, e una attività ermeneutica dei linguaggi artistici ha il compito di mettere in evidenza questa problematizzazione.

    In assenza o in latenza di «problematizzazione interna dei linguaggi», i linguaggi artistici risulteranno parassitari, epigonici, acritici.

    La nuova ontologia estetica è il risultato di una intensa «problematizzazione interna del linguaggio poetico» e, in generale, dei linguaggi artistici dei nostri tempi. In un momento storico come il nostro in cui la spinta al rinnovamento delle forme artistiche è indebolita e la stagnazione delle forme estetiche ne è la conseguenza, è sempre più necessario intensificare la spinta al rinnovamento mediante una intensa problematizzazione delle strutture estetiche, poiché si dà stagnazione ogni qual volta le strutture estetiche tendono a perdere la spinta al rinnovamento.

    Risposta:

    «Wittgenstein dirà che: “Tutta la filosofia è critica del linguaggio” (T. 4.0031) nella misura in cui esso è il “riduttore” del domandare. Il linguaggio rende possibile l’interrogazione autentica e l’importante è delimitarla in rapporto a quella che è tale solo in modo fallace. Il domandare non deve essere teorizzato in quanto tale perché esso è di competenza di un riduttore. il linguaggio, che gli conferisce tutta la sua portata e le sue proprietà fondamentali. “Che dubbio può sussistere solo ove sussista una domanda; domanda, solo ove sussiste una risposta; risposta, solo ove qualcosa può essere detto” (T. 6.51). Il ragionamento di Wittgenstein è chiaro: di fronte al problema dell’impossibilità della filosofia a darsi un fondamento per risolvere appunto i propri problemi, occorre decostruirli e vedere per che motivo sono insolubili. Il linguaggio, attraverso la teoria del senso e del non senso, è la chiave riduttrice, in quanto rappresenta la condizione di possibilità della differenza problematologica impensata. Wittgenstein infatti è privo di problematologia e quindi ritiene un fatto scontato che, quando “non resta più domanda alcuna, appunto questa è la risposta” (T. 6.52)».1

    1 M. Meyer, De la problématologie. Philosophie, science et langage, Bruxelles, 1989 trad it di Mario Porro, Problematologia. Filosofia, scienza e linguaggio, Pratiche, Parma, 1991 p. 61

  10. Raccoglie una carta. La depone nel secchio.
    Tovarisc è solo una foglia.

    Con la stessa distanza il piazzale è un ombra,
    l’ora che cambia. Un De Chirico.

    Nel torso un lamento di corpo. La pioggia
    un tratteggio obbliquo dall’alto del cielo.

    Era nel corpo un ricordo con una semplice benda. Porta la barba.

    In faccia la solitudine
    rimette a posto il contorno.

    Dispone la linea sottile di case distratte. Cammina dormendo.

    La statua non ha interesse per l’orizzonte.
    Sul ciglio un rombo rallenta.

    Grazie OMBRA.

    • annaventura36@çhotmail.com

      M i piace questo verso:”La statua non ha interesse per l’orizzonte”; esprime certi individui che non usciranno mai da se stessi,paghi della propria tuttità,dell”hic et nunc”di se stessi.Sono quelli che arrivano prima degli altri, e meglio degli altri.Ma non servono al cammino della civiltà.

  11. “I linguaggi artistici sono quei tipi particolari di linguaggi che sono stati sottoposti ad una intensa problematizzazione interna. È attraverso la problematizzazione interna che i linguaggi si rinnovano, e una attività ermeneutica dei linguaggi artistici ha il compito di mettere in evidenza questa problematizzazione.”

    In ordinate il tempo

    [la probabilità]Un po’ scontata quasi immobile nelle risposte
    Apparve la probabilità

    Isabella sparì nel mare dei sargassi.
    Che senso aveva somigliare al nulla?

    Non sembrò rilevante il limite
    in confronto alla memoria di un elettrone.

    La premessa era che il complemento oggetto
    diventasse soggetto. Occorreva uno stratagemma.

    Sul ponte si provarono a risolvere equazioni.
    Mettere il tempo in ordinate risollevava la prua.

    Anche gli uomini sospirarono
    quando videro San Salvador

    corrispondere al 12 ottobre 1492
    con probabilità maggiore del 95%.

    ***

    [il porto ] Cominciò a sotterrarsi. Sembrava una marea
    ma veniva divorato da una moltitudine di cefali.

    Vennero a raccontare
    il rodeo tra gli ami.

    La pausa germogliò sulla lingua
    e l’orizzonte si annodò a un peschereccio.

    Perché colava acido dagli orologi?

    Si trattava di organizzare una fuga
    Ma gli uccelli non collaboravano.

    Avrebbero dovuto?
    Le panchine sciolsero i colombi.

    Potevano portarsi
    la memoria del cemento.

    I bambini vennero sepolti e dimenticati
    I palloncini si sgonfiarono e l’elio

    Tornò nelle bombole senza dire nulla.
    Monaco nelle visceri della terra.

    Il sole si rifugiò in un acino di uva nera
    L’opera contro le maestranze era iniziata.

    I marescialli ordinarono
    una strage dopo l’altra.

    Si diffuse voce di pallottole kamikaze.
    Ma non fu compreso il sacrificio.

    La totalità delle guance si rigirava
    mentre erano schiaffeggiate e sparivano.

    I ricci ripresero i gusci
    I polpi la schiuma sugli scogli.

    ***

    [il meccanismo] Scricchiolò.
    Perfino il palco avrebbe sparato proiettili

    Dopo il nulla osta dell’impalcatura
    Una formica lesse il suo dolore nel costato

    Fu quello il momento dell’imbarazzo.
    Il fuori scena immaginava Patty Smith

    Ora si presentava con chele e abbondanza di tette
    gridando la sua appartenenza al Diritto Universale.

    Tra una fumata e l’altra si elesse un papa.
    Dioniso in campo mise tutti d’accordo

    Sgozzare un capro
    non è soddisfare il bisogno di un Dio.

    Aprì i microfoni
    l’idra le sette teste da cui versò i dadi.

    Si sarebbe ascoltato Lou Reed
    o uno degli XI pilastri del marxismo.

    Sfilarono per Berlino Est un’ultima volta
    non s’erano mai visti becchini e carri funebri

    nella stessa orgia lungo il muro.
    A Piazza della Loggia il regime

    a Piazza Fontana una teoria di ballerini e suicidi.
    Il meccanismo prevede che le bombe esplodano.

    Si è espanso l’universo
    La luna è rimasta nuda nella deflagrazione.

    Bomba sexy e napalm sull’Italia.
    Alla fermata scende dal treno.

    Schegge dai finestrini,
    sul predellino, nel respiro di un frate.

    Una metà del cielo contiene tutte le nuvole
    L’altra metà esatta, l’oro.

    ***

    [la tigre] Dilagarono le belle notizie.
    Raccontavano di cocci tornati bottiglie

    Molte vedove continuarono a sperare
    Che i mariti tornassero dalla Russia.

    Tanti si sono dispersi perché non hanno riconosciuto
    la stazione di Bologna.

    Maggio è il mese delle maledizioni

    Se rimane attaccato un papavero al suolo
    bisogna strapparlo con le unghie.

    Il frutto non ha diritto di successione
    soltanto un’interpretazione a svantaggio del giglio.

    Il freddo:
    una lezione di caccia raccontata dai notai.

    Il calore invece rovescia i piedi al di sopra del ghiaccio
    La testa inchiodata al pack della glaciazione successiva.

    Una punta di muffa nel pane annuncia
    La tigre da mangiare.

    (Francesco Paolo Intini)

    • giorgio stella

      gentile Francesco Paolo intini, compagno di questa tragedia, di questa sventura che c’é accaduta, la Poesia, leggo il suo poema e di certo non lo scordo; il dettato lo so, costa caro qui addirittura si sublima nei fossili di fatti storici di un’talia quasi da lei confinata nel suo inutile valore geografico, la passerella alla miss-italia ‘sfilarono per Berlino Est un’ultima volta’… in effetti se ‘Una punta di muffa nel pane annuncia / La Tigre da mangiare’ la fotografia non ha altri punti di fuga in questo suo alveare che mi pare possa proporre un’alternativa a tutto il miele che soffoca il bene nostro ancora di scrivere versi per i posteri bilocali che se risaliranno alla nostra specie da questi si interrogheranno se tanto sacrificio valse la pena a noi di trattenerci in quegl’ambienti

  12. ‘Una punta di muffa nel pane annuncia / La Tigre da mangiare’

    Eh si è un verso amaro, tra i più duri di quelli osati sin qui. Che sia la poesia un osare di ferocia? Affacciarsi e trovare le piramidi in costruzione o uno shuttle di ritorno da una gita su venere non fa alcuna differenza? Il tempo ha davvero questa natura vigliacca di assistere il viaggio della luna triste e non alzare un dito? Chi serve il tempo, quale dio mescola eroina al latte di madre? cosa \dove osa questo dire che non dice. Dio è morto e dunque i capri non sanno cosa farsene di Dioniso, né dei suoi dadi? Metà esatta è assegnata alla sposa, l’altra metà ai non sposi, quanti sono? L’uno non comprende l’altro. L’interregno consiste di bosco d’ombra impura, senza cornice, sgorga spontaneo perché l’animale ha la sua mano. Senza volerlo sparpaglia i dadi da questa parte e dall’altra del Vetro. Resta l’ ermeneutica. Impossibile se ci aggiungi che esso è inter\rotto da una sutura del tempo.

    Selavy

    Col grado della perfezione al petto
    nacque Duchamp.

    Il secolo scodinzolò attorno.
    Non dire, dire. Pensare piuttosto.

    L’assist era partito:
    E con tutta probabilità qualcuno avrebbe fatto goal

    Legarono il 1917 perché non rimanesse senza merito
    Era consuetudine premiare le capacità

    Quella visibile nei trattati è la sua più probabile vittoria
    Apparire in veste nobiliare lo sguardo perturbante

    Ma poi si apprende, senza averne certezza
    che preferiva il gioco degli scacchi

    e dunque a fotogramma d’amante corrisponde
    una mossa di Re

    Ebbe questo in premio per aver rasentato
    la massima incertezza

    che i marmi del sepolcro tornassero rocce
    e non morì mai
    (Francesco Paolo Intini)

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