
L’artista è l’uomo senza contenuto, che non ha altra identità che un perpetuo emergere sul nulla
Scrive Giorgio Agamben:
«Ciò di cui l’artista fa esperienza nell’opera d’arte è, infatti, che la soggettività artistica è l’essenza assoluta, per la quale ogni materia è indifferente: ma il puro principio creativo-formale, scisso da ogni contenuto, è l’assoluta inessenzialità astratta che annienta e dissolve ogni contenuto in un continuo sforzo per trascendere e realizzare se stessa. Se l’artista cerca ora in un contenuto o in una fede determinata la propria certezza, è nella menzogna, perché sa che la pura soggettività artistica è l’essenza di ogni cosa; ma se cerca in questa la propria realtà, si trova nella condizione paradossale di dover trovare la propria essenza proprio in ciò che è inessenziale, il proprio contenuto in ciò che è soltanto forma. La sua condizione è, perciò, la lacerazione radicale: e, fuori di questa lacerazione, in lui tutto è menzogna.
Messo di fronte alla trascendenza del principio creativo-formale, l’artista può, sì, abbandonandosi alla sua violenza, cercare di vivere in questo principio come un nuovo contenuto nel generale declino di tutti i contenuti, e fare della sua lacerazione l’esperienza fondamentale a partire dalla quale una nuova stazione umana diventi possibile; egli può, come Rimbaud, accettare di possedersi soltanto nell’estrema alienazione, o, come Artaud, cercare nell’al di là teatrale dell’arte il crogiolo alchemico in cui l’uomo possa rifare il proprio corpo e conciliare la propria lacerazione; ma, benché creda di essersi così portato all’altezza del proprio principio, e, in questo tentativo, sia realmente penetrato in una zona dove nessun altro uomo vorrebbe seguirlo, in prossimità di un rischio che lo minaccia più profondamente di qualsiasi altro mortale, l’artista resta tuttavia ancora al di qua della sua essenza, perché ha ormai definitivamente perduto il suo contenuto ed è condannato a dimorare, per così dire, sempre a fianco della propria realtà. L’artista è l’uomo senza contenuto, che non ha altra identità che un perpetuo emergere sul nulla dell’espressione ed altra consistenza che questa incomprensibile stazione al di qua di se stesso».1
1] G. Agamben L’uomo senza contenuto, Quodlibet, 1994, pp. 83-83
Appunto di Giorgio Linguaglossa:
L’affermazione di Agamben dell’artista come «l’uomo senza contenuto» si attaglia in maniera mirabile alla poesia di Mario M. Gabriele e a quella di Lucio Mayoor Tosi, e in genere, alla poesia della nuova ontologia estetica che ha convertito la mancanza di contenuto in forza propositiva, in propellente. Ad esempio, Gabriele e Tosi adottano nella loro poesia esclusivamente le parole rigorosamente morte, ibernate, esclusivamente gli stracci, bottoni di cadaveri, tessere dell’Atac, biglietti dell’autobus, minutaglie, rigatterie… il poeta di Campobasso e il pittore di Milano sono dei veri rigattieri, commercianti di cadaveri, chirurghi di organi morti, trafficanti di reperti in disuso. Ma, non si limitano a ciò, pongono nella rigatteria dei bottoni demodé anche l’«io» con tutto il repertorio di pessima metafisica e dei suoi corollari servizievoli che la pessima letteratura ha impiegato, riutilizzandone i cimeli come carta assorbente, incartapecorita, carta da tappezzeria invecchiata e fuori uso. Ecco la ragione perché li considero come esempi maturi della nuova ontologia estetica. La soggettività della loro poesia parla del vuoto, sa di vuoto, se così possiamo dire è totalmente occupata dall’inessenziale in quanto ingombra di masserizie, di referti di cadaveri, di scarti, di isotopi dismessi e radioattivi; la loro poesia è talmente composta da ciò che è inessenziale da apparire effimera, melliflua, antimetafisica, situazionale, posizionale in quanto mancante totalmente di essenza, di posizione, anzi, che aborrisce qualsivoglia essenza, qualsiasi posizione privilegiata o punto di vista altometrico o altolocato; poesia composta da una attrezzeria inutilizzabile, infungibile, massimo esempio di nichilismo compiuto, Buster Keaton dell’epoca della recessione ad oltranza, impermeabile alle lusinghe delle poetiche impegnate sul senso o sul decoro del cosiddetto «parlato» e del «quotidiano», o sulle soperchierie da guida Michelin della ricerca del «fare anima» e della ricerca del «senso» con tanto di stellette dei ristoranti à la page.

una contraddizione assoluta che soltanto la metafora assoluta può racchiudere
Giorgio Linguaglossa:
Non è Aristotele che nel De memoria sostiene che gli umani sono: «coloro che percepiscono il tempo, gli unici, fra gli animali, a ricordare, e ciò per mezzo di cui ricordando è ciò per mezzo di cui essi percepiscono [il tempo]»?. Dunque, possiamo dire che la Memoria sarebbe una funzione della coscienza del tempo. Anzi, dopo Heidegger si dovrebbe parlare di una funzione della temporalità nel suo rapporto con l’esserci, la nostra esistenza si situerebbe negli interstizi tra le temporalità dell’esserci. La temporalità immaginaria e quella empirica. Meister Eckhart ci ha parlato del «vuoto» quale esperienza interiore essenziale per accedere alla dimensione spirituale, ovvero, fare «vuoto» come distacco dai propri contenuti personali per poter accedere ad una dimensione più vera e profonda.
È da qui che ha inizio la riflessione poetica dei poeti nuovi dei poeti esistenzialisti della nuova ontologia estetica, dal punto di congiunzione tra temporalità e memoria. Quel punto opaco, insondabile dove hanno avuto luogo gli eventi significativi, paradossalmente opachi, quei momenti di lacerazione dell’esistenza che noi percepiamo distintamente attraverso la lente della memoria. Ma che cosa sia quella lacerazione e che rapporti abbia con la memoria, è davvero un mistero.
Bene illustrano questa condizione spirituale i tropi adottati dalla nuova ontologia estetica, in particolare i concetti di disfania e di diafania, in una certa misura, concetti gemelli che indicano il «guardare attraverso» della diafania e il «guardare tra» della disfania. La parola poetica si situerebbe dunque «tra» due manifestazioni (Phanes è il dio della manifestazione visibile, la luce,) e «attraverso» esse. È in questo guardare obliquo, in diagonale che si situa il discorso poetico della «nuova ontologia estetica», dove il tempo dello sguardo indica la temporalità dell’esserci.
La metafora è il non identico sotto l’aspetto dell’identità.
I grandi poeti lavorano incessantemente per tutta la vita attorno ad alcune poche metafore, ma per giungere alle metafore fondamentali occorre un pensiero poetico che speculi intorno alle cose fondamentali, ecco perché soltanto il pensiero mitico riesce ad esprimersi in metafore, perché nel mito la contraddizione e la metafora sono di casa e tra di esse non c’è antinomia e una medesima legge del logos le governa. In questa a quartina di Zbigniew Herbert è rappresenta una metafora fondamentale:
il proiettile che ho sparato
durante la grande guerra
ha fatto il giro del globo
e mi ha colpito alle spalle
perché istituisce una contraddizione assoluta che soltanto la metafora assoluta può racchiudere, dove l’assurdo della denotazione collima con il rigore del pensiero intuitivo. Nella metafora viene immediatamente ad evidenza intuitiva l’eterogeneo e il contraddittorio che permea l’esistenza quotidiana degli uomini. «Veri sono solo i pensieri che non comprendono se stessi», scrive Adorno in Dialettica negativa, assunto che viene invalidato dal pensiero della communis opinio ma che è inverato dall’esperienza della metafora nella poesia, dove essa si rivela essere un concentrato di impossibilità drasticamente verosimile ed immediatamente intuitiva.
T.W. Adorno, Dialettica negativa, Verlag, 1966, trad. it. Einaudi di Carlo Alberto Donolo, 1970 p. 42

L’esistenza ridotta a «nuda vita», la «pancia» e la «Selbstständigkeit delle cose» nei paesi post-democratici dell’Occidente
Domanda di Giorgio Linguaglossa:
L’esistenza ridotta a «nuda vita», la «pancia» e la «Selbstständigkeit delle cose» nei paesi post-democratici dell’Occidente
La traduzione di «Selbstständigkeit delle cose» è: Stabilità per se stesse delle cose. Fin quando le «cose» ci appaiono ferme e stabili, la nostra esistenza può apparire anch’essa ferma e stabile, siamo rassicurati nel nostro esserci, siamo consolati e avviluppati in questa stabilità e nei suoi codici. L’esistenza dell’esserci non potrebbe verificarsi se non fossimo certi della Selbstständigkeit delle cose, quelle cose che possiamo toccare ogni minuto, ogni giorno e rassicurarci che esse sono lì per noi, per sempre… e tra le cose ci sono le credenze, le ideologie, gli ideologemi, le opinioni, le religioni… tutto ciò che ci appare stabile in realtà non è stabile affatto, la stabilità che noi vediamo è un atto di auto illusione, un fantasma che ci rassicura. L’esserci vuole sempre essere rassicurato e curato dalle proprie credenze, l’esserci non può sopravvivere senza «credenze», ogni comunità umana non potrebbe sopravvivere se privata delle sue «credenze».
Ma, all’improvviso, si apre il vuoto. Vuoto di senso, di significato, vuoto intorno alle parole, all’interno delle parole, vuoto all’interno del soggetto e dell’oggetto… e tutto sprofonda nel vacuum del vuoto. L’esserci ha terrore del vuoto, e cerca di riempirlo in tutti i modi e con tutti i mezzi, di esorcizzarlo e lo sostituisce con le credenze (Trump, Orban, Putin, Salvini, papa Francesco, Cristianesimo, Islam, Lega, 5Stelle, PD, Unione europea, Cina, Russia, Mondo etc… una infinitudine di «credenze» che costituiscono la sostanza della civilizzazione)
Oggi, nelle società post-democratiche dell’occidente l’esistenza dell’esserci è stata ridotta a «nuda vita», a vita vegetativa, biologica, e il cosiddetto «privato» riflette questa condizione di animalità diffusa, dove l’esserci è stato ridotto alla condizione animale, non per nulla la politica dei paesi post-democratici dell’Occidente fa riferimento alla «pancia» non alla «testa» degli elettori, è la «pancia» quella cosa che rende evidente la degradazione sub-umana a cui la vita nel mondo capitalistico e post-comunista è stata ridotta. La «nuda vita» corrisponde alla «pancia» e ai suoi appetiti perfettamente comprensibili. Nelle nostre società post-democratiche è la retorica che sa parlare alla «pancia», la retorica ridotta a sofisma e a «chiacchiera». Per esempio, ciò che si legge nel romanzo e nella poesia di oggi altro non è che «chiacchiera della pancia», «chiacchiera» di esistenze ridotte a «nuda vita».
Ha risposto Giorgio Agamben in una recente intervista:
«Una ricerca filosofica che non ha la forma di un’archeologia rischia oggi di finire nella chiacchiera. E non solo perché l’archeologia è la sola via di accesso alla comprensione del presente, ma perché l’essere si dà sempre come un passato, ha costitutivamente bisogno di un’archeologia. I due concetti che lei ha menzionato, avevano il loro posto e il loro senso in una ricerca archeologica sulla struttura del potere e non possono essere separati da questa. Certo, al loro apparire a metà degli anni novanta, questi due concetti suscitarono polemiche e scandalo, e faticai non poco per far capire in che senso la produzione della nuda vita definiva l’operazione fondamentale del potere e perché il campo e non la città fosse il paradigma politico della modernità. Oggi, negli spazi integralmente depoliticizzati delle nostre società postdemocratiche, in cui lo stato d’eccezione è diventato la regola, quei concetti sono diventati quasi banali. Comunque si preferisce spesso usarli in modo generico, al di fuori del contesto in cui erano stati creati e dal quale sono inseparabili; alcuni hanno perfino semplicemente rovesciato la nuda vita e la biopolitica in categorie positive, operazione quanto meno incauta.»
Giorgio Linguaglossa
Interrogatorio dell’imputato Jeshua Hanozri
[Interrogatorio dell’imputato Jeshua Hanozri durante il ministero del sommo sacerdote Caifa. Il mattino del 14 del mese di Nisan Ponzio Pilato entra nel palazzo di Erode il Grande, il Governatore si siede nell’aula del Tribunale, indossa una sgargiante toga rossa, è visibilmente annoiato e di malumore…]
Sala della pietra quadrata. Fa ingresso il Signor K.
imbraccia il manico di una vecchia scopa, l’impugnatura
si trasforma nelle sue mani in una spada,
una racchetta da tennis, una stecca da biliardo,
un bastone da passeggio con il manico di avorio,
in un ombrello colorato, in una maschera veneziana,
in un signore con il cappello sulle ventitré
seduto nella sala d’attesa d’un barbiere mentre beve
un succo d’albicocca, in un signore con la giacca a quadretti
che impugna un bastone da golf…
«L’accusato Jeshua Hanozri è qui».
«L’imputato si alzi e si mostri al Governatore Ponzio Pilato».
«Sei tu Jeshua Hanozri?».
.
Mauro Pierno
Le finestre socchiuse, riposte sul margine
destro. La facciata sorride. Sul tavolo
si esaltano le patate bollite,
il profumo schiacciato ne carezza la stanza.
Il profilo è un odore contratto, connesso.
Alle guance non porti il rispetto che
al viso si addice, lo spelli come fosse un pensiero,
né poni un rimedio alle sedie malferme,
ti risiedi al margine opposto e t’osservo parlarmi.
*
Il tempo aperto
Punto in discesa.
Divincola. Divampa. prende alla gola
arretra, si ferma. All’angolo
opposto è li che aspetta. È ombra o roulette
poi tenta di entrare. Quella sbatte
si chiude e riparte a girare.
Non sfugge a se stessa l’uscita
che chiude una porta di fronte alla Storia.
La pallina è lontana ha un balzo, soltanto felice.
.
Giuseppe Talia
Perché sono qui?
Chi ha deciso che io debba stare qui?
Mia madre se ne è andata e non è più tornata!
Perché mi aggiro tra questi rettangoli di cemento?
Qual è la via d’uscita?
Sterminio? Che significa sterminio?
Chi e perché mi ha separato?
גט et גיטים.
.
Edith Dzieduszycka
Alle porte del tempo sta bussando fremente
un altro inverno
un altro inverno o
l’Inverno?
di grisaglia lamé ingobbito sull’uscio avanza
prepotente
ha smembrato le foglie
fuggite qua e là intasando i tombini
ossa nere branditi i rami denudati
terrazzati gli alberi mikado gigantesco
tra roghi divoranti se la ride
Nerone, noi blaterando certi che il folle sia lui
perdiamo i capelli ci divora la fretta
l’oro nero scarseggia compensiamo con armi
sprofondiamo nel buio delle contraddizioni in cui
uno uguale uno non canta ma nitrisce
sull’uscio della mente sta bussando
l’Inverno ma nessuno che sembri essersene accorto
persa parola chiave
la Consapevolezza dentro cunicoli dove fischia il vento
smarrita nullificata a lei connessa
l’altra parola – Assurdo – incisa sulla cornice.
(novembre 2018)
.
Sabino Caronia
Memoria d’altri inverni,
di tramontati soli.
Luce d’altri mattini
consegnati alla notte.
Fuoco d’alberi vivi
già diventati legna.
.
Marina Petrillo
La luce in obliquo spegne l’ansimato giorno.
Vettore di assenza tra parole
infisse al filo spinato dell’intelletto.
Vacuo il ragionare su altra sponda
ove, solo a tratti, si intercetta
il nesso causale.
Canone inverso dell’apologo
sottratto al rumoroso tedio
dell’esatta misura.
Un cenno
e, ancora resta sospesa in arco
la comprensione, cubico assenso
evocato a schema logico.
Apostrofo, il suo doppio,
in raggio sovramentale.
Ad inciampo rovina
il peregrinante concetto.
Si dissipa in lampo l’ovvia
intuizione che, china,
scorge il calco di ciò che è stato
in smarrita poesia.
(Non sono mai esistita abbastanza)
Seguire questo Post significa rimanere a casa rinunciando a leggere i quotidiani e le indicazioni politiche, in quanto ciò che ha riportato Giorgio, si correla alla Nuova Ontologia Estetica, impegnando il lettore per ore attraverso i percorsi, le giunture estetiche, i frasari, le pezzoline linguistiche attaccate ai frammenti e ai distici, con pensieri supportati dai testi poetici. Digitando il termine “correlati” si trova di tutto: dall’incrocio al viadotto critico ed estetico. Una attenta selezione delle poesie rende più significativo l’uso della NOE. Certamente un contraddittorio è sempre possibile farlo, ma qui, considerate le recenti e passate documentazioni di pensiero e di “risentimento”, credo che non valga la pena affrontare.Siamo molto lontani dal linguaggio novecentesco, che pure ha fatto storia. Ci stiamo avvicinando ad un nuovo modo di fare poesia. E’, in altre parole, la sostituzione del percorso linguistico e formale fuori dalla linea sabania e ungarettiana e via dicendo. Oggi sono andato a rileggere Montale, e devo dire che i suoi Ossi di Seppia, pur rimanendo un monolite poetico, presenta un alone giallognolo del linguaggio, mentre rimane inalterato il cosiddetto “male di vivere”. Con la NOE si sono rimosse le condizioni astrattive,i vincoli sostenuti dai vari “ismi”, le radici della stabilità fonometrica, e i dettagli geoambientali alla Sinisgalli e alla Parronchi.Che si voglia o meno, è nata una nuova estetica che sta creando una avversione e una carica conflittuale tra i vari lettori e tra i critici un po’ troppo abbarbicati al lirismo semanticamente morto.E’ stata una fortuna per Giorgio aver recuperato tutti i File apparsi sulla Rivista,.per una rilettura,. sempre presente, dopo l’attacco dell’hacker.
Una poesia di un nuovo autore, Francesco Paolo Intini
6-SI IMPARA DALLE LAVATRICI A LEGGERE IL FUTURO
Sapeva l’epoca di funghi marci
ogni nuvola un carico
di locuste
era maggio a generare novembre
incastrato nel Michelangelo
Come trofei voodoo
quei tanti che competono con i calcoli
contro i libri contabili
della competizione
il climax dei cartelloni ha fatto
il resto
Si contano gli infelici:
Forse una rondine
priva di scambiatore di calore
O un nido di gazza nel vuoto
E su tutto
la programmazione tivu
l’audience tra i rimestatori di etica
i rettili che alzano
la testa quando annusano “SUCCESSO”
nel topo alla portata
Se un cane è fuori progetto sia tolta
almeno la testa
Se un gatto produce uova di coccodrillo
sia benvenuto
perché partorirà
la specie con i denti a sciabola
Hai richiesto con verbale regolare
l’orario ridotto ai pochi sorsi brevi
sul ripiego pigro di due giunture labili
sussurranti al sottofondo dei mattini
tutte le loro incombenze cedute
fra i biscotti integrali rimasti freschi
per la prima consolazione quotidiana
che non dona deroghe ai tuoi giorni ordinati.
di Francesco Lorusso-Incroci n.38
da 37 Peddiseque Istuzioni
scrive Maurizio Ferraris:
«…sono persuaso che ben lungi dall’essere un fenomeno ovvio e marginale, o precocemente obsoleto, la postverità aiuti a cogliere l’essenza della nostra epoca, proprio come il capitalismo costituì l’essenza dell’ottocento e del primo novecento e i media sono stati l’essenza del novecento maturo
[…]
la postverità è l’inflazione, la diffusione e la liberalizzazione del post-moderno fuori dalle aule universitarie e dalle biblioteche, e che ha come esito l’assolutismo della ragione del più forte.
[…]
tutte le categorie del capitale sono ormai rimpiazzate da altre. Le merci, su cui Marx aveva costruito la sua analisi, sono ora sostituite dai documenti (che possono farsi veicoli di postverità); il lavoro retribuito, carattere fondamentale dell’ontologia marxiana, ha ceduto il passo a una mobilitazione non retribuita, a un’immane produzione gratuita di messaggi veri, postveri e il più delle volte irrilevanti.
[…]
propongo l’alternativa della “mesoverità”, da intendersi non come una via di mezzo tra ipo- e iperverità, bensì come una prospettiva che mette in relazione l’ontologia e l’epistemologia e la tecnologia, quello che facciamo: e che garantendo il transito dall’ontologia all’epistemologia, ci permette di ottenere delle proposizioni vere, ossia di fare la verità».1]
Le Trombe di Trump, di Putin e di Salvini-Di Maio possono essere ascritte alla categoria della postverità, cioè quelle verità che le nuove masse della documedialità vogliono sentirsi dire e che riconoscono.
I romanzi, le poesie, i quadri, le istallazioni, le sculture dei nostri tempi sono da ascrivere alla categoria della post-verità, sono le confetture dei nostri tempi documediali, rispondono al bisogno di riconoscimento reciproco tra le élite al potere e le masse documediali.
1] Cfr, M. Ferraris Postverità e altri enigmi, Il Mulino, 2017 pp. 10 e segg.
…
Giorgio, il tuo discorso sulla poesia si arricchisce in questo tuo intervento di una riflessione antropologica che non solo condivido, ma che vedo ben rappresentata nel testo poetico di Franco Intini,
E’ una poesia che leggo e ammiro da tempo, quella di Intini, e credo che pochi, tra i quali tu in primis , possano comprenderne il valore e la portata innovativa. Mi è molto piaciuto Caronia, coinciso e coinvolgente. Ciao.
Per Sabino Caronia, Oggi, nel retino, metto i tuoi versi :”Fuoco
d’alberi vivi/già diventati legna”,Dice tutto sull’inesorabile tramontare delle cose,sulla banalità delle nostre remote giovinezze,quando ab biamo avuto l’ingenuità di credere a qualunque sciocchezze, purchè mettesse ali alla nostra fantasia,E’ quasi un miracolo, se ancora vogliamo credere che, da quella legna arsa, possa germogliare ancora qualche foglia,
Da Giorgio Linguaglossa a Edith Dzieduszycka, da Mauro Pierno a Giuseppe Talia, da Marina Petrillo a Sabino Caronia è il caso di parlare di anabasi poetica, un plotone linguisticamente ben attrezzato che dalle coste disseminate dei relitti del Novecento si muove verso il centro della Lingua della poesia per spingerla verso nuovi paradigmi di etica e di estetica.
A un certo punto del ‘900 il Novecento finì ma Giovanni Raboni non se ne accorse o fece finta di non accorgersene per restare ancorato per sempre al suo epigonismo.
Con questi versi di Linguaglossa, di Dzieduszycka, di Pierno, di Talia, di Petrillo e Caronia, cui aggiungerei quelli di Intini, l’epigonismo di Raboni viene definitivamente superato.
I 6 poeti oggi proposti, Giorgio Linguaglossa, Edith Dzieduszycka, Mauro Pierno, Giuseppe Talia, Marina Petrillo, Sabino Caronia, che diventano 7 con Intini, e arrivano a 8 con Francesco Lorusso, nella chiarezza della distinzione fra tempo interiore e tempo esteriore, propongono una poesia ‘altra’, una poesia nuova, irreversibilmente.
gino rago
Una poesia deve avere il coraggio di sfiorare l’insondabile, di osare l’inosabile, di arrischiare se stessa, di rischiare di non esser compresa e respinta, deve suscitare meraviglia e stupore, malinconia e inquietudine…
Giorgio, ma quanto fa male non essere compresi e in aggiunta respinti . Fa troppo male. E, in tal modo, la solitudine del poeta si dilata a dismisura.
Condivido parola per parola. Senza questa prerogativa della poesia ” di avere coraggio di sfiorare l’inosabile, di osare l’inosabile…”non c’è strada da percorrere. Strano come certi acronimi si corrispondano per vie misteriose. NOE sta per “Nuova Ontologia Estetica” ma nel mondo chimico che frequento è uno dei più potenti strumenti d’indagine del regno molecolare (Nuclear Overhauser Effect). Il fascino dell’ uno è pari all’altro per me. Felice di essere qui. Ciao e grazie a tutti dell’ospitalità .
Saint-John Perse
(Nobel per la Letteratura, 1960)
Exil
A nulles rives dédiée, à nulles pages confiée la pure amorce de ce chant…
D’autres saisissent dans les temples la corne peinte des autels:
Ma gloire est sur les sables! ma gloire est sur les sables!…
Et ce n’est point errer, ô Peregrin,
Que de convoiter l’aire la plus nue pour assembler aux syrtes de l’exil un grand poème né de rien, un grand poème fait de rien…
Sifflez, ô frondes par le monde, chantez, ô conques sur les eaux!
J’ai fondé sur l’abîme et l’embrun et la fumée des sables.
Je me coucherai dans les citernes et dans les vaisseaux creux,
En tous lieux vains et fades où gît le goût de la grandeur.
[…]
(Paris. 1946)
Prego Edith Dzieduszycka di cimentarsi nella traduzione in italiano di questi versi Saint-John Perse, ricordando che si sono misurati con la poesia di Perse nell’esercizio della traduzione T.S. Eliot, R.M. Rilke, G. Ungaretti e altri.
La gloria del poeta è sulle sabbie…
gr
L’ha ribloggato su RIDONDANZEe ha commentato:
Mario M. Gabriele su 11 marzo 2019 alle 11:32
Seguire questo Post significa rimanere a casa rinunciando a leggere i quotidiani e le indicazioni politiche, in quanto ciò che ha riportato Giorgio, si correla alla Nuova Ontologia Estetica, impegnando il lettore per ore attraverso i percorsi, le giunture estetiche, i frasari, le pezzoline linguistiche attaccate ai frammenti e ai distici, con pensieri supportati dai testi poetici. Digitando il termine “correlati” si trova di tutto: dall’incrocio al viadotto critico ed estetico. Una attenta selezione delle poesie rende più significativo l’uso della NOE. Certamente un contraddittorio è sempre possibile farlo, ma qui, considerate le recenti e passate documentazioni di pensiero e di “risentimento”, credo che non valga la pena affrontare.Siamo molto lontani dal linguaggio novecentesco, che pure ha fatto storia. Ci stiamo avvicinando ad un nuovo modo di fare poesia. E’, in altre parole, la sostituzione del percorso linguistico e formale fuori dalla linea sabania e ungarettiana e via dicendo. Oggi sono andato a rileggere Montale, e devo dire che i suoi Ossi di Seppia, pur rimanendo un monolite poetico, presenta un alone giallognolo del linguaggio, mentre rimane inalterato il cosiddetto “male di vivere”. Con la NOE si sono rimosse le condizioni astrattive,i vincoli sostenuti dai vari “ismi”, le radici della stabilità fonometrica, e i dettagli geoambientali alla Sinisgalli e alla Parronchi.Che si voglia o meno, è nata una nuova estetica che sta creando una avversione e una carica conflittuale tra i vari lettori e tra i critici un po’ troppo abbarbicati al lirismo semanticamente morto.E’ stata una fortuna per Giorgio aver recuperato tutti i File apparsi sulla Rivista,.per una rilettura,. sempre presente, dopo l’attacco dell’hacker.
Grazie alla straordinaria Anna Ventura per il suo commento così profondo, giusto e straordinariamente penetrante. E un grazie di cuore anche a Nunzia Binetti, concisa e coinvolgente. Ne sono davvero gratificato.
«… i problemi filosofici vengono dal mondo, non dai seminari e dagli articoli pubblicati sulle riviste di fascia A.».1]
Stamane, Sabino Caronia mi ha chiesto lumi sulla mia poesia pubblicata in questo post.
Rispondo dicendo che la poesia tratta dell’interrogatorio di Ponzio Pilato a Jeshua Hanozri tenutosi nel Palazzo di Erode il Grande nell’anno…;
vorrei sommessamente far presente che la poesia tratta come personaggio centrale un altro personaggio, il convenuto di pietra, il Signor K., il quale è la personificazione del cosiddetto «male», cioè il diavolo, il quale interviene, di quando in quando, nella storia degli uomini imbrogliando le carte e gli avvenimenti, mescolando il sacro col profano e mandando in aria tutti i birilli che gli uomini coscienziosamente mettono insieme dritti sul teatro del mondo e che finiscono sempre, inesorabilmente, con i piedi all’aria…
Considero il diavolo una autentica genialata del cristianesimo, senza di esso si faticherebbe anche a pensare quella cosa che i cristiani chiamano Dio.
1] M. Ferraris, op. cit. p. 23
giorgio linguaglossa
3 febbraio 2018 alle 10:02
https://lombradelleparole.wordpress.com/2018/02/02/salvatore-martino-poesie-sintesi-critica-su-autoantologia-cinquantanni-di-poesia-progetto-cultura-2014-pp-1000-e-25-presentazione-critica-di-mario-m-gabriele/comment-page-1/#comment-30624
La nuova ontologia estetica – le parole sono diventate «fragili» e «precarie», si sono «raffreddate»
caro Salvatore Martino,
sappiamo che stai lavorando su queste poesie, sappiamo che stai introducendo in esse delle idee nuove… e non possiamo che augurarti buon lavoro.
Portiamo un esempio. Nelle immagini sovrapposte della poesia di Mario Gabriele, in quelle sue storie interrotte inserite una dentro l’altra e l’una accanto all’altra, nelle sue frequentissime lateralizzazioni e dis-locazioni del discorso poetico… l’autore induce nel lettore un effetto ipnotico, lo induce in uno stato di trance, il lettore è costretto ad aprire una epoché, deve sospendere l’atto della comprensione, della «adesione» al testo per aderire ad un diverso modo di ascolto: deve lasciarsi andare al flusso delle immagini e dei personaggi; non può fare altrimenti, non ha scelta che mettere l’io auto organizzatorio, l’io del discorso raziocinante, da parte, lo deve spostare di lato perché è diventato ingombrante e impedisce la comprensione profonda del testo.
Ad esempio, tu, Salvatore Martino inizi spesso le tue poesie con l’avverbio «Quando». Ecco, quest’impiego del linguaggio è una tipica procedura della poesia elegiaca, induce il lettore ad entrare nel discorso temporalizzato del poeta, nella dimensione temporale indicata dall’autore, introduce una familiarità e una prossimità tra i fatti narrati (per lo più vicende dell’io) e l’«io» del lettore. A questo punto, il lettore non può che seguire docilmente e benevolmente l’autore nello svolgimento del discorso poetico, ma questa docilità e benevolenza ottundono e diminuiscono le facoltà critiche, le facoltà attive del lettore, inducendolo in uno stato sonnambolico, di debolezza, di passività risvegliando in lui le facoltà permissive ed elegiache. Questa è una caratteristica di tutta la poesia a pendio elegiaco del novecento, da Giovanni Pascoli, il maggiore responsabile di questa deriva agnostica, fino ad Attilio Bertolucci e agli odierni rappresentanti della linea elegiaca: Antonella Anedda ed epigoni.
Di frequente, anche autori criticamente consapevoli di quello che stanno facendo, come [Omissis], adottano questa procedura (che è anche una visione del mondo e delle cose), che è una tecnica che sicuramente nel novecento ha dato «ottimi» risultati, che consente di andare sul sicuro, di tenersi su un terreno «stabile», di tenersi all’interno dei marciapiedi di sicurezza di una ontologia dell’io e del soggetto posto di fronte all’oggetto, dentro la sicurezza di una presunta «stabilità» del mondo, di un mondo in cui le relazioni sono pensate come «stabili» ed immutabili.
Ma il prezzo di questa «credenza» in questa presunta «stabilità» è una poesia ancorata ad una ontologia poetica, permetteteci di dirlo, ancora pascoliana, una ontologia che non contempla la possibilità di una «sospensione» della condotta dell’io, che impedisce di pensare la possibilità di una diversa ontologia poetica che invece richieda la «sospensione», l’epoché, la lateralizzazione dei discorsi, la molteplicità dei discorsi (quel pluristilismo e quel multilinguismo invocato da Pasolini poco prima della sua morte prematura)… insomma, oggi si tratta di fare una poesia che sia (anche) metalogia, discorso che si fa «fuori» del discorso dell’io poetico ritenuto «stabile», fuori dell’io dell’autore e del lettore (ritenuti punti di riferimento stabili ed eterni); una poesia che non sia soltanto «rivelazione» da un altrove indefinito ma che sia apparizione del logos.
«Lacan parla di parentesi, però ci dice che l’effetto dell’inconscio (l’eco del significante) si dà solo quando il soggetto, il soggetto parlante, gli lascia spazio: il che porta a un evento improvviso, viene tuttavia preparato da un “viaggio” che non si annuncia mai troppo breve e dove ci sarà da penare contro tutte le difese dell’io, in quell’apprentissage che è l’analisi. […] Se ci disponiamo in questa prospettiva, scopriamo molti modi di pensare, e anche saperi, che ci invitano ad esitare alle soglie di un medesimo luogo, e ci propongono sul serio alle soglie di un medesimo luogo, e ci propongono, perché quel luogo cominci a parlarci, di prendere sul serio l’esitazione: che non sarà né semplice incertezza, né un nudo abbandono, ma l’esercizio di un distanziamento… Dove non è importante che cosa abbiamo da nascondere o ci impediamo di osservare, ma il modo di guardare, la possibilità di distoglierci da un occhio in più e di troppo».1]
Il fatto è che le parole sono diventate «fragili» e «precarie», si sono «raffreddate», di contro alla volontà della tecnologia dispiegata del mondo di oggi. Il mondo è cambiato, non è più quello di ieri. Anche le parole sono cambiate, hanno mutato colore e tonalità, e la poesia non può non fare altro che adottare le parole che trova, siano esse fragili, precarie, raffreddate o altro ancora…
(Giorgio Linguaglossa)
1] Pier Aldo Rovatti Abitare la distanza Milano, Raffaello Cortina Editore, 2007, p. 14
Trovo la replica di Giorgio molto esaustiva nel colloquio con Salvatore Martino, circa i diversi modi di operare in poesia. Riconosco che scrivere in distici richiede preparazione e responsabilità nel riportare i flussi energetici della nostra esperienza ed esistenza.
Ho precisato in altri interventi, che la poesia non ha un proprio Paradigna. Ognuno è libero di scrivere secondo la propria preparazione e sensibilità.
Dice bene Giorgio quando afferma che” il distico è un certo tipo di poesia di carattere aforistico, gnomico, o narrativo, ma non altre scritture che non hanno queste caratteristiche.”
Il frammento, chiuso nel distico, opera molto bene e consente una millimetrica estensione del pensiero dalle diverse provenienze. Si potrebbe paragonare ad una sorta di implantologia di corpi diversi innestati su un corpo che alla fine non risente del rigetto. Spesso è l’inconscio personale a venir fuori in quanto ”formato essenzialmente da contenuti che sono stati un tempo consci, ma sono poi scomparsi dalla coscienza”. Da qui il loro recupero. Dopo la fine delle metanarrazioni del 900, occorreva giungere ad una flessione e riduzione filosofica del dire poetico e della metafisica, già ridotte, a suo tempo, dal pensiero debole di Gianni Vattimo. Si potrebbe operare, citando alcune stesure di Samuel (poesia.it/stranieri/inalesi/europei/beckett/SB), in cui vi si legge: “
“Grigio cenere cielo riflesso della terra riflesso del
cielo. Aria grigia senza tempo terra cielo confusi grigi
come le rovine spazi senza fine. Nelle sabbie nessun
appiglio ancora un passo verso spazi senza fine IO
farsa-Albeggerà di nuovo cadrà la notte su di lui gli
spazi l’aria cuore batterà di nuovo”.
Su codesti esempi è possibile creare qualsiasi schema. Importante è trarre gli spunti necessari per “cesellare” il frammento, tenendo presente “la consapevole teoria critica del proprio prodursi”, come affermava Mario Lunetta nella sua prefazione a Poesia Italiana Oggi, altrimenti si corre il rischio di rimanere impaludati nell’insufficienza estetica, fuori dalla nuova ontologia.
Un esempio ne è questa mia poesia e di cui chiedo scusa a Giorgio se la porto a sostegno della mia poetica, come atto probatorio. per l’intrusione .Trattasi di un insieme linguistico polivalente, tipo everyday life, dove la sequenzialità dei dati si accumulano, diventando recupero di realtà e luoghi con immagini e voci evaporizzate dal tempo.
Tocca a Jeffry scegliere i Gospel Singers
e non un solista tzigano.
Signora Ingeborg, cosa si aspetta da questo concerto?
E’ un’operetta su un ultimo mon amour!
L’uomo che un giorno si riconobbe baco da seta
oggi indossa vestiti Jersey.
Benny non badò alle spese
nei giorni neri di Hebron e di Soweto.
Nella mansarda sono rimasti i posters
e le vecchie biciclette martin-martin.
Sembrava una cineteca
con il ritratto di Bruno Ganz nel film La casa di Jack.
Padre Hubert cura il giardino di albicocche,
salva le ragazze venute da Santa Cruz.
Cita da Samuele 1: -Il Signore fa morire e fa vivere,
rende povero e arricchisce-.
Kriss propone un open day
sulle equivalenze estetiche.
Se non ci saranno avvisi di Warning
continueremo a cercare Laura Palmer sotto i ponti.
Jodie vive di malinconia a Norwich.
Scopre le carte per trovare il Jolly.
-Qui- dice, – passo i giorni tra il metrò e il London Eye.
Curo le metonimie e le ali degli angeli abbattuti-
La Meridian House, alle sette di sera, apre il repertorio
con il canto degli invisibili e delle rimembranze.
caro Mario Gabriele,
leggendo questa tua poesia mi viene in mente che per tanti anni io ho scritto poesie in colonna perché la mia coscienza estetica era ancora indietro rispetto al mio inconscio estetico il quale era molto più in avanti… così ho scritto le mie ultime poesie in questi dieci anni senza rendermi conto che la colonna unitaria era inidonea, era una soluzione stilistica errata ad un problema non stilistico perché mi accodavo supinamente all’incolonnamento in una unica colonna, magari con più strofe, che comunque costituivano una unica colonna, una unica anti sinfonia, quando invece un anno fa o giù di lì mi accorsi proprio conversando con te e gli altri amici e interlocutori che quelle poesie messe in distico riuscivano molto più probanti e riuscivano ad esternare un valore semantico molto maggiore di quello che si otteneva con la messa in colonna.
Il distico è forse la forma più antica della poesia occidentale, forse già gli oracoli delfici erano scritti in distici, e anche quelli di prima. Il distico risponde ad una esigenza cogente e costrittiva, costringe il poeta a immettere in quei binari, in quelle due linee un contenuto semantico debordante, questo è il suo segreto, che ci costringe a ripulire, ad alleggerire le frasi di tutto il superfluo e l’ornamentale, ciò che rimane è l’essenziale. Via i verbi inutili, via gli aggettivi esornativi e decorativi, via tutto ciò che collide con il distico.
Vorrei consigliare Francesco Intini di riscrivere le sue poesie in distici e si accorgerà di quante parole esorbitanti e pleonastiche ci siano nelle sue poesie, anche nelle sue poesie. Ne trarrà sicuramente beneficio.
Come ha scritto Alfonso Cataldi, per scrivere in distici occorre pensare in distici.
Ma è proprio questo che dovremmo evitare.
Di pensare un forma. Che poi è lo stesso del
pensare elegiaco. La stessa poesia in distici sopra esposta se lette al contrario con il telefonino in verticale ne prende unaltra. La presunzione dei distici è la presunzione delle citazioni. Prima o poi una la azzecco. Il frammento ti semplifica la poesia. Penso al pensiero poetico.
Grazie OMBRA
Semplici meditazioni su una poesia di Carlo Michelstaedter (1887-1910)
Quali fenomeni linguistici possono proporsi o semplicemente affacciarsi nel far poesia allorché una più o meno lunga tradizione letteraria e anche un intero sistema stilistico cadono d’un tratto in frantumi determinando un vuoto?
Questo vuoto può dar luogo all’avvento di nuovi linguaggi? Tale vuoto è determinato da un qualcosa dentro la letteratura o al di fuori di essa?
Dalla critica più agguerrita e competente abbiamo appreso che al mutamento della società cambia anche la vita stessa degli scrittori e dei poeti e cambia perché cambia il pubblico della letteratura. La conseguenza più diretta ed inevitabile è la rottura di quello che viene indicato come ‘patto comunicativo’
fra poeta e scrittore: cioè, allo sgretolarsi di questo patto si assiste alla rottura di quella sorta di intesa, di accordo fra autore e pubblico.
E’ ciò che si è verificato anche nel Novecento letterario-poetico italiano dopo la comparsa e il passaggio di coloro che vengono definiti Autori-Evento, Autori che con la loro opera ( per esempio Baudelaire, Whitman, Dostoevskij, Rimbaud, Nietzsche, Freud) spezzano l’accordo preesistente letteratura-pubblico e niente , romanzo, estetica, filosofia, poesia, rimane come prima.
In tale scenario, in Italia 2 Autori vengono indicati come significativi sintomi della interruzione definitiva della continuità del patto comunicativo e/o dell’accordo letteratura-poesia-pubblico e sono Carlo Michelstaedter e Dino Campana, suicida a soli 23 anni Michelstaedter, morto in manicomio Campana a meno di 50 anni nel 1932 dopo quasi 15 anni di degenza.
(All’autore dei Canti Orfici qui su L’ombra delle Parole più di una volta Giorgio Linguaglossa e la redazione hanno dedicato importanti pagine).
Carlo Michelstaedter
RISVEGLIO
Giaccio fra l’erbe
sulla schiena del monte, e beve il sole
il mio corpo che il vento m’accarezza,
e sfiorano il mio capo i fiori e l’erbe
ch’agita il vento
e lo sciame rombante degl’insetti.
Delle rondini il volo affaccendato
segna di curve rotte il cielo azzurro,
e trae nell’alto vasti cerchi il largo
volo de’ falchi…
Vita?! Vita?! Qui l’erbe, qui la terra,
qui il vento, qui gli uccelli, qui gl’insetti,
e pur fra questi sente vede gode,
sta sotto il vento a farsi vellicare,
sta sotto il sole a suggere il calore,
sta sotto il cielo sulla buona terra
questo ch’io chiamo io, ma ch’io non sono.
No, non son questo corpo, queste membra
prostrate qui fra l’erbe sulla terra,
piu ch’io non sia gl’insetti o l’erbe o i fiori,
o i falchi su nell’aria o il vento o il sole.
Io son solo, lontano, io son diverso.
Altro sole, altro vento, e più superbo
volo per altri cieli, è la mia vita….
Ma ora qui che aspetto?
E la mia vita
perchè non vive,
perchè non avviene?[…]
Michelstaedter sembra che mediti e scriva, come rilevato dalla critica più competente, restando sempre “alle soglie della vita”, intende la vita così carica di pienezza che sceglie di non viverla restandone alla soglia, ma nella fedeltà irriducibile anche allo spirito che aleggia nella sua tesi di laurea La persuasione e la rettorica il cui nucleo ideale e morale è l’antitesi tra esistenza individuale e storicità sociale che è in grado di travolgerla o di negarla o di deviarla dal suo corso e da se stessa.
Per tanti poeti nati fra il 1880 e il 1890 l’arrivo del ‘900 non fu avvertiro come un fenomeno liberatorio (lo fu soltanto, qualcuno ha scritto, per i futuristi), fu sentito al contrario come qualcosa di luttuoso al punto che malinconia e destabilizzazione, angoscia e smarrimento, disobbedienza e senso di solitudine non risparmiano nessuno dei nuovi poeti.
Una intera generazione di poeti è stretta in uno stato quasi di necessità di un nuovo modo di esprimersi, di sentire la poesia e di scriverla.
Cambia l’esistenza degli autori e cambiano metodo e impiego del linguaggio. ma in Michelstaedter l’esigenza della modernità poetica assuse la forma del rifiuto della modernità sociale.
Né gli bastarono i due estremi poetici delle scenografie ottocentesche di Gozzano, da un lato, e delle innovazioni di Ungaretti, dall’altro.
(gino rago)
Una nota di Alfonso Berardinelli su Michelstaedter
“[…]
La persuasione e la rettorica
è filosofia dell’esistenza e poema filosofico in prosa per l’eccezionale tensione e condensazione stilistica in formule, figure, parabole e allegorie.
Non molte le sue poesie, che non fanno pensare a nessuna tendenza riscontrabile nei poeti della sua generazione, pur avendo qualcosa in comune con Rebora e Sbarbaro.
Ma la sua filosofia è così autobiografica che ha più lo statuto della poesia che della filosofia professionale.
Nato a Gorizia da famiglia ebraica nel 1887, studiò matematica all’Università di Vienna e poi lettere e filosofia a Firenze. La sua tesi di laurea nasce come studio su Platone e Aristotele, per trasformarsi in un’analisi della vita nel mondo contemporaneo.
Il suo stile poetico è più immaturo, ma anche potentemente scolpito. Sembra non avere precedenti se non in Leopardi e qualche affinità con l’espressionismo tedesco[…]”
gr
Una breve nota a margine:
Tutta l’ opera di Carlo Michelstaedter è stata pubblicata postuma.
Carlo Michelstaedter è sepolto nel cimitero ebraico di Rožna Dolina,
oggi nel comune sloveno di Nova Gorica, a poche centinaia di metri dal confine con l’Italia.
gr
Diverse intelligenze e sensibilità concorrono a creare un daimon positivo e collettivo. Come ogni daimon è disturbante, ma è il frutto del lavoro di miniera che ciascuno di noi ha praticato in questi ultimi anni di frequentazione della rivista.
Mario M. Gabriele dà lezione di stile, pillole di Céline ma soprattutto Burroughs. Per quel che mi riguarda, in merito allo stile, non saprei dire esattamente; mi considero un pessimo letterato, quindi mi arrangio; faccio il conto delle consonanti e mi mantengo consapevolmente affrancato al mio linguaggio; che è povero ma forse proprio per questo mi consente di aggirare il dramma della corretta dizione… per non dire di verbi e aggettivi.
Ringrazio Giorgio per il travolgente apprezzamento che dà al mio lavoro, questa volta addirittura ponendomi al fianco a Gabriele, cosa per me piuttosto imbarazzante.
La bella del meccanico seduta su una nuvola
fa vedere le calze nere. E un poco sopra il reggicalze.
Svenuta e a terra, anche la prosa puttana più bella
mette in mostra i suoi infiniti territori.
Il quadro si fa rosa. Gatta Susy mischia
il colore. Indaco.
May- feb 2019
https://lombradelleparole.wordpress.com/2019/03/11/dialogo-con-giorgio-agamben-e-giorgio-linguaglossa-poesie-di-edith-dzieduszycka-mauro-pierno-sabino-caronia-giuseppe-talia-marina-petrillo/comment-page-1/#comment-54259
due poesie inedite, in distici, di Giorgio Linguaglossa tradotte in romeno da Lidia Popa
da “Risposta del Signor Cogito”
La polizia segreta interroga il Signor Cogito
I
Si annuncia con il tinnire di monete false,
un flash al magnesio, un sentore di uova marce: il Signor K.
La redingote del Signor Cogito
si siede di fronte alla finestra. Attende.
Il Signor K. si siede sulla sedia rossa,
emana un profumo di cipria la sua parrucca
impolverata, parla nella lingua dei corvi:
eptaedri, triedri, dodecaedri.
La polizia segreta interroga il Signor Cogito.
Chiedono notizie intorno al «suo occhio sincipitale».
Un riflettore illumina il volto del Signor Cogito.
Un trisma percorre a ritroso il volto del Signor Cogito.
Cogito osserva attraverso la finestra.
La finestra è aperta su un paesaggio
di colline verdi, ondulate e di tigli in fiore.
Il Signor K. indugia.
Il Signor Cogito attende.
Cogito sceglie con cura le parole,
sa che possono essere rivolte contro di lui,
attende che il buio entri dalla finestra.
II
Il Signor Cogito dice:
«Electa una via non datur recursus ad alteram».
La tigre sorride.
«Nomina sunt consequentia rerum».
La tigre sorride.
«Dunque seguono, non possono precedere le cose».
La tigre continua a sorridere.
«Le cose le avete fabbricate ma le parole…».
.
La lampada al neon illumina la faccia dell’imputato.
«No, quelle non potete fabbricarle».
****
Giorgio Linguaglossa două poezii nepublicate de la
Răspunsul Domnului Cogito
traducere de/ traduzione di Lidia Popa
Poliția secretă interoghează Domnul Cogito.
I
Se anunță cu zumzet de monede false,
Un flash de magneziu, un indiciu de ouă stricate: Domnul K.
Redingota Domnului K.
Stă în faţa ferestrei. Aşteaptă.
Domnul K stă pe scaunul roşu,
Radiază un miros de pudră peruca sa.
Prăfuită, vorbeşte în limba ciorilor:
Eptaedri, triedri, dodecaedri.
Poliția secretă interoghează, Domnul Cogito.
Ei vor să știe despre “ochiul lui sincipital”.
Un reflector luminează faţa Domnului Cogito.
O trismus traversează faţa Domnului Cogito.
Cogito observă prin fereastră.
Fereastra este deschisă spre un peisaj
de dealuri verzi, ondulate şi tei în floare.
Domnul K. persistă.
Domnul Cogito aşteaptă.
Cogito alege cu grijă cuvintele,
știe că pot fi împotriva lui, el aşteaptă
ca întunericul să intre pe fereastră.
II
Domnul Cogito spune:
«Electa una via non datur recursus ad alteram».
Tigrul zâmbeşte.
«Nomina sunt consequentia rerum».
Tigrul zâmbeşte.
“Aşa încât vor urma, nu pot să preced lucrurile”.
Tigrul continuă să zâmbească.
“Lucrurile pe care le-ați făcut, dar cuvintele…”.
Lampa de neon luminează faţa acuzatului.
“Nu, pe acelea nu le puteți fabrica”.
Due poesie di Donatella Costantina Giancaspero tradotte da Lidia Popa
Canto
di Donatella Costantina Giancaspero
Dove si scrosta l’asfalto
e il dissesto degrada certezze già erose
di strade.
Dove una stenta sterpaglia umilia la terra
e dirada speranze già vane
di case.
Dove il cielo trascina
una gonfia materia di ombra,
che sosta al mattino dubbiosa,
si agita, a un tratto,
se offesa da un soffio di gelo.
E, percossa dal tuo crudo pensiero,
nella notte s’incrina.
*
Cântec
de Donatella Costantina Giancaspero
traducere de Lidia Popa
Unde asfaltul stă să crape
iar perturbarea degradează certitudini deja erodate
de drumuri.
Unde o așa zisă desertăciune a umilit pământul
și rărește speranțe deja zadarnice
de case.
Unde cerul trage după sine
o materie umflată de umbră,
ce oprire de dimineaţă îndoielnică,
se agită, dintr-o dată,
este ofensată de o respirație de gheaţă.
Iar, parcursă de gândul tău crud,
în noaptea în care cedează.
*
Non potevamo mancare
di Donatella Costantina Giancaspero
Non potevamo mancare
all’appuntamento con il tramonto,
in questo giardino severo
di alberi soli,
tesi, come accuse al cielo.
Non potevamo non esserci
dopo molti giri a vuoto,
fuggendo i veleni, le trappole urbane,
tentando una falla, il filo sfilato,
nella trama del tempo, che ci contiene.
È un sollievo questa tregua di terra e rami
e l’ora che chiude il giorno.
Lento il respiro, se è per cedere
anche l’ultimo chiaro, a ovest,
e la sera ci salva.
*
N-am putut rata
de Donatella Costantina Giancaspero
traducere de/ traduzione di Lidia Popa
N-am putut rata
întâlnirea cu apusul de soare,
în această grădină severă
de copaci singuri,
încremeniți, precum acuzațiile adresate cerului.
N-am putut să nu fim acolo
după multe ture goale,
scăpând de otrăvuri, capcanele urbane,
încercând un defect, un fir deșirat,
în complotul timpului care ne conţine.
Este o uşurare acest armistiţiu al pământului şi al ramurilor.
și ora care închide ziua.
Respiraţie lentă, dacă e să renunţi
chiar şi ultimul lucru clar, la vest,
și seara ne salvează.
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Francesco Paolo Intini
09:34 (1 ora fa)
Mettere in distici non è affatto semplice e nemmeno l’azione di potatura dei versi. Qui sotto ci sono tre tentativi in questa direzione, non so quanto riusciti, a cui unisco un testo a suo tempo già pensato in distici. un caro saluto
Franco
1-BARI, POMPA DI RIFORNIMENTO GAS, 29 MAGGIO
Adoro fermarmi sulla circonvallazione, respiro
suoni eterni e tocco con mano l’ attrito volvente
benzina e fumo danno il senso universale
una pompa estrae luce, un’altra la eleva al quadrato
e tutto scorre in un’ onda
che fa vero il mondo
Squilla o clackson, un tizio fa un gesto d’angelo:
c’è stata una gran battaglia nel firmamento
La massa è rimasta spenta per un istante
un dubbio d’impotenza si è messo di traverso
-tutto sommato si tratta
di non guardare in bocca Hubble-
Maggio non mi perdonerà
di aver sciupato uno dei suoi concorsi di bellezza
mettendo una bolla vuota nel motore
senza pietà di certo
11-ATTRATTO DA UNA GRU
Quello delle gru è un silenzio assurdo
Come si fa a non discutere con Dio al terzo cielo?
Perché salire alla cattedra di Paolo
se non s’ascolta l’eco di una nuvola?
L’operaio che cammina sul braccio lungo
ha per mano l’ onnipotenza
L’estrema sfida alla grettezza dei tombini
non ricorda il cavallo rivoltato
Tu la chiamavi per nome l’attrazione verso il basso
dove le macchine masticano l’asfalto
e vivono accidiosi felici
di succhiare il nemico
Questa gru ha un’ala storpia, vola in un universo di assenze
Nessuna umiltà lo distingue dal ragno
Niente in comune con la cecità
e il ritorno di luce nelle pupille
10-INVERTENDO GINSBERG
Cercare consolazione in Ginsberg
vergare, recitare versi
Come Dio comanda
Senza sex, amfetamine
Qualcosa insomma che ricordi Pascoli e non le insegne luminose
i canini, il culo ed il viaggio senza fine
Non giudicare, ma fornica…
Non indietreggiare ma metti le mani nell’orinatoio…
C’è l’autunno che avanza –una foglia in più o in meno-
Ma cos’è il napalm se tutto è già stato distrutto e scritto?
Si ha l’impressione di un presente che arriva in ritardo
agli inizi di una guerra già finita
è questo voler combattere sul Mekong
mettere fosforo sul Vietnam
e tornare indietro di pellicola in pellicola
invertendo Ginzburg
fino a Yalta o Metternich
azzardo Tordesillas
NERO OSTIENSE
Anche questo compiacere si mischia alla polvere
La mandibola, l’imponenza viola della pagina
Andrò nel rosso della colpa
Ad abbracciare il ciano
Successe tutto così veloce
L’apparato della bellezza ne fu sconvolto
State tramutando il luogo del delitto
Fate parte del Cristo morto nel fango
la crusca del visibile abbraccia qualche generazione
ma quella più pesante non smette di vibrare assassinii
Bisogna portare tutto avanti non lasciare che la gravità
abbassi lo sguardo su lunghezze di siepi e orizzonte
Così girano i crani negli obitori
cercando indizi nelle pieghe del cervello.
Nella scissura di Rolando non c‘è traccia di omosessualità
Eppure la corteccia deve custodire la prova schiacciante
Cristo è stato geniale fino al punto di prevedersi
La colpa si nasconde negli uffici di una sfinge
Non l’avete ascoltato ma c’era abbastanza rumore
nel disporre il fiato a lutto e poi che discorsi sono
un Isaia della lotta di classe avrebbe previsto passione e autopsia
non questo riversare i veleni della natura
Pasolini è morto
E persino gli uccellini hanno brama di passeracci
Le rose alzino il tiro della bellezza
Si torni ad innaffiare i petali, non c’è suburra nel fiore di spine
Dai cassonetti si passi alle stelle cadenti
Ciascuno per suo conto batta uno stelo sul tamburo dell’io
Una poesia in distici di Gino Rago
tradotta in rumeno da Lidia Popa
Gino Rago
La poesia, la caccia, la parola-preda
Caro Signor G. R.
sono Jolanda W., di nuovo irrompo nella Sua vita
senza preavviso.
La Signora Lipska è sempre in giro
ma ha lasciato un biglietto.
Mi prendo la libertà di spedirlo
all’indirizzo riservato che è qui, sulla sua scrivania.
Forse la Signora desidera dare a Lei
il suo manifesto poetico.
Lo conosco da tempo, glielo anticipo.
Per la Signora
la poesia è andare a caccia,
un’orma dopo l’altra
con i battitori dietro i latrati delle parole.
[…]
So che Lei e il Suo amico di Istanbul
seguite nei versi
la rapace fonetica del bosco,
ma con il colpo in canna.
[…]
Tenete nel mirino del fucile la parola-preda,
inseguite la lingua
ma mai nel sottobosco romano o milanese.
Riconosciuta la parola prendete la mira,
sparate, la preda mirata è là,
ridotta in polvere
(le parole non tenute sotto mira si disperdono)
*
Traduzione in rumeno di Lidia Popa
Poezia, vânătoarea, cuvântul-pradă
de Gino Rago
(traducere in limba română de Lidia Popa)
Stimate domn G. R.
Sunt Jolanda W., mă năpustesc din nou în viața Dumneavoastră
fără notificare.
Doamna Lipska este mereu în preajmă
dar a lăsat o notă.
Îmi iau libertatea să o trimit
la adresa rezervată care este aici, pe biroul său.
Poate că Doamna vrea să vă dea Dumneavoastră
manifestul său poetic.
Am cunoscut-o de ceva timp, o vă confesez în avans.
Pentru Doamna
poezia este vânătoare,
o urmă după alta
cu baterea în spate a latrăturilor de cuvinte.
[…]
Știu că Dumneavoastră și prietenul Domniei sale de la Istanbul
urmăriși în versete
fonetica prădătoare a pădurii,
dar cu cartușul pe țeavă.
[…]
Păstrați cuvântul „pradă” în vizorul puștii,
urmăriți limba
dar niciodată în subpătrunderea romană sau milaniană.
Recunoscut cuvântul vă fixați ținta,
trageți, prada țintă este acolo,
redusă în pulbere
(cuvintele care nu sunt ținute sub țintă se rătăcesc)
———————————————————————-
gr
Per L’Ombra delle parole, le mie poesie e un cordiale saluto a tutti.
Umbra clapelor vertebrelor cu silabe reci
testo originale in rumeno de Lidia Popa
În liniștea serii, cântecul pustiului, mireasma ploii pe umerii goi,
pândesc cu spaimă peste umbre, dorul și amiezile celor ca noi.
M-am întors pe călcâie către orizont, un salut,
cu silabe reci îmbrățișez primăvara ce tămăduie sufletul.
Am rămas singură într-o lume străină, amintirile mă dor,
amprentele pe suflet, o redingotă roșie uitată, joacă șotron
cu liniștea, ce îmi făcea semn cu mâna adăpostindu-se în cotlon,
surâzând cuvintelor zgomotoase ce vorbeau neîncetat de amor.
Doar ei palmierii, frunzele lor verzi, pe cerul cenușiu și departe,
trăiesc și speră, pânzele albe ale corăbiilor neștiute,
doi cormorani roșii cântă cu slove aurii dintr-o carte.
Ai rămas pe clapele vertebrelor ca o mângâiere de degete
anatomică umbră a carcasei fragile a ochiului sferic,
luminează putregaiul tâmplelor fosforescente în întuneric.
L’ombra dei tasti delle vertebre con sillabe fredde
traduzione di un testo originale in rumeno di Lidia Popa
Nella quiete della sera, la canzone del deserto, il profumo della pioggia sulle spalle nude,
con paura si aggirano oltre le ombre, nostalgia e i pomeriggi di quelli come noi.
Sui tacchi mi sono girata verso l’orizzonte, un saluto,
con le sillabe fredde abbraccio la primavera che guarisce l’anima.
Sono rimasta sola in un mondo straniero, i ricordi mi hanno ferita
le impronte sull’anima, una tonaca rossa dimenticata, giocano a campana
con il silenzio, che mi faceva cenno con la mano nascondendosi nell’antro,
sorridono alle parole rumorose che parlano continuamente dell’amore.
Solo loro le palme, le loro foglie verdi, sul cielo grigio e lontano,
vivono e sperano, le tele bianche delle navi sconosciute,
due cormorani rossi cantano con le parole dorate da un libro.
Rimasti sui tasti delle vertebre come una carezza delle dita,
anatomica ombra della carcassa fragile dell’occhio sferico,
illuminano il marciume delle tempie fosforescenti nell’oscurità.
Lidia Popa
Così tra questa/ ottusità s’annega il pensier mio:/ e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Caro Giorgio, ho presentato a un concorso la mia poesia “Settenari per lavastoviglie”, ora a votazione sui social. Se vorrai votarla, potrai farlo cliccando sul link indicato..
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grazie mille
antonietta
grazie mille
Il giorno lun 11 mar 2019 alle ore 09:09 L’Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internaziona
Buonanotte a tutti amici e ben ritrovati.Mi fa enormemente piacere avere finalmente la possibilità di tornare a postare un mio commento su “L’Ombra” dopo un periodo di assorbimento negli impegni lavorativi che purtroppo finiscono spesso per imbrigliare il nostro substrato poetico, avvinghiandolo nei meandri più infausti della nostra vita quotidiana. Ho continuato in realtà in questi mesi a leggere la maggior parte degli articoli, traendo sempre spunto ed alimento per i miei “cimenti versificatori”, ma questo articolo in particolare mi sollecita ad un breve intervento perché leggendolo mi è tornato in mente il titolo di un celeberrimo disco di Bob Dylan:”Bringing it all back home” è esattamente la sensazione che ho provato leggendo la riflessione propostaci dal nostro Giorgio, quella inserire le chiavi nelle toppa della porta d’ingresso della casa natìa, ritrovando la dimora comune che ci raccoglie davanti al al proprio focolare, avvolti da un tepore innovatore, quello della Noe e della sua opera di palingenesi del linguaggio, dei contenuti ontologici, dei terreni espressivi della poesia italiana,il cui scenario globale si è ormai impaludato in una cornice caratterizzata dalla dimensione del cenacolo letterario o di insulsi premi legati ad una visione corriva della poesia stessa. Incontrare in quest’articolo alcune voci tra le più significative in assoluto di della Noe, a me care – poiché in questi tre anni di frequentazione del blog mi hanno spalancato nuovi lidi di approdo poetico, più scoscesi e meno agevoli delle false certezze pregresse, ma infinitamente più stimolanti nella ricerca di un canone espressivo rispondente ad un modello di poesia “antropologica”, come amo definirla – è ritemprante, come il vento di fine agosto che spazza via le polvere ammorbante dell’afa estiva.Addentrarmi in questo percorso di letture serali tra i brani di Giorgio stesso, di Edith Dzieduszycka, Mauro Pierno, Sabino Caronia, Giuseppe Talia, Marina Petrillo, di Gino Rago, nonché di Franco Intini e Lidia Popa (arricchiti da una cornice linguistica a me particolarmente cara), leggere l’intervento di Mario Gabriele – poeta la cui qualità versificatoria mi dischiude quotidianamente orizzonti poetici immensi ed affascinanti – mi ha permesso di riappropriarmi appieno della malìa della eggere l’intervento di Mario Gabriele – poeta la cui qualità versificatoria mi dischiude quotidianamente orizzonti poetici immensi ed affascinanti – mi ha permesso di riappropriarmi appieno della malìa della parola prodigiosa della poesia e della “weltanschaaung” che tratteggia il mio universo poetico. Ancora una volta,non posso che ringraziare Giorgio per il suo meritorio lavoro diuturno di divulgazione poetica e per la occasioni di stimolo poetico che ci offre. Lunga vita alla Noe!!