La Rivista L’Ombra delle Parole augura a tutti i lettori serene festività e un nuovo anno ricco di nuove esperienze e comunica che rimarrà chiusa dalla data odierna fino al 3 gennaio 2019 quando riaprirà i lavori

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46 risposte a “La Rivista L’Ombra delle Parole augura a tutti i lettori serene festività e un nuovo anno ricco di nuove esperienze e comunica che rimarrà chiusa dalla data odierna fino al 3 gennaio 2019 quando riaprirà i lavori

  1. Oronzo Liuzzi

    Ringrazio e ricambio gli Auguri!
    Oronzo Liuzzi
    ________________________________

  2. Aurelio Buletti

    Grazie! Buoni giorni natalizi! Aurelio Buletti, Lugano

    Inviato da iPhone

    >

  3. Rosa Raffaella Lafronza

    Tantissimi Auguri a voi. Grazie per le belle pubblicazioni che leggo con molto interesse. Buon Natale 🎼 🎅 ⛄ ❄ 🦄

    Il giorno dom 23 dic 2018, 08:29 L’Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internaziona

  4. Mariella Bettarini

    Caro Giorgio e cari amici de “L’ombra delle parole”, grazie degli auguri, che ricambio sentitamente per la vostra preziosa attività.
    Un saluto caro anche da parte delle amiche e degli amici della redazione de “L’area di Broca”.

  5. gino rago

    Unisco a quelli di Mariella Bettarini, di Rosa Raffaella Lafronza, di Aurelio Buletti, di Oronzo Liuzzi i miei ringraziamenti agli auguri de L’ Ombra con alcune meditazioni intorno quesito:

    “L’Ombra è essenziale per la sopravvivenza della parola e di un certo linguaggio poetico?”,

    con brevi riflessioni sul nuovo libro di Giorgio Linguaglossa,
    “Critica della Ragione Sufficiente” Ed. Progetto Cultura – 2018

    e un pensiero su una poesia di Mario Gabriele da In Viaggio con Godot
    ——————————————————-
    A- Critica della ragione sufficiente, è un titolo esplicito. Con il sotto titolo: «verso una nuova ontologia estetica». Uno spettro di riflessione sulla poesia contemporanea che punta ad una nuova ontologia, con ciò volendo dire che ormai la poesia italiana è giunta ad una situazione di stallo permanente dopo il quale non è in vista alcuna via di uscita da un epigonismo epocale che sembra non aver fine. I tempi sono talmente limacciosi che dobbiamo ritornare a pensare le cose semplici, elementari, dobbiamo raddrizzare il pensiero che è andato disperso, frangere il pensiero dell’impensato, ritornare ad una «ragione sufficiente». Non dobbiamo farci illusioni però, occorre approvvigionarsi di un programma minimo dal quale ripartire, una ragione critica sufficiente, dell’oggi per l’oggi, dell’oggi per ieri e dell’oggi per domani, un nuovo empirismo critico.Ecco la ragione sufficiente per una «nuova ontologia estetica» della forma-poesia: un orientamento verso il futuro, anche se esso ci appare altamente improbabile e nuvoloso, dato che il presente non è affatto certo.
    ————————————————————————-
    B -Indice nomi di ALCUNI AUTORI CONTEMPORANEI
    Alfredo de Palchip.213
    Helle Busacca(1915-1996) p.217
    Maria Rosaria Madonna(1942-2002) p.220
    Giorgia Stecher(1940-1996) p.224
    Roberto Bertoldop.227
    Mario M. Gabrielep.239
    Steven Grieco-Rathgebp.261
    Letizia Leonep.284
    Ubaldo De Robertisp.287
    Gino Ragop.294
    Antonio Sagredop.298
    Anna Venturap.303
    Lucio Mayoor Tosip.311
    Sabino Caroniap.315
    Franco Di Carlop.320
    Salvatore Martinop.324
    Luigi Fontanellap.328
    Elio Pagliaranip.333
    Elio Pecorap.335
    Biancamaria Frabottap.347
    Maurizio Cucchip.352
    Milo De Angelisp.354
    Paolo Ruffillip.364
    Valerio Magrellip.368
    Flavio Erminip.372
    Vincenzo Mascolop.375
    Donatella Bisuttip.378
    Daniela Marcheschip.384
    Paolo Valesiop.389
    Giuseppe Contep.392
    Valentino Zeichen(1938-2016) p.398
    Patrizia Cavallip.405
    Edith de Hody Dzieduszyckap.407
    Donatella Costantina Giancasperop.411
    Alfredo Rienzip.420
    Giuseppe Talìap.423
    Eugenio De Signoribusp.427
    Stefanie Golischp.430
    Annamaria De Pietrop.432
    Annalisa Comesp.434
    Francesca Donop.436
    Chiara Catapanop.440
    Luciano Nota. 443

    ————————————————–

    C- G. Rago-G. Linguaglossa
    Breve conversazione su alcuni aspetti del fare oggi poesia

    1- Gino Rago:
    Vorrei che dicessi un tuo pensiero sull’uso degli aggettivi in tanta poesia contemporanea

    Giorgio Linguaglossa:
    Ecco, siamo arrivati al punto dolente: L’impiego degli aggettivi e degli attanti concreti. Se chiedete ad un poeta italiano come si regola dinanzi a questa cosa qui al massimo ti guardano come un marziano.

    2- Gino Rago:
    Perché, secondo te. Dove cerchi e trovi una spiegazione

    Giorgio Linguaglossa:
    Il fatto è che ben pochi poeti del secondo Novecento si sono posti il problema della de-fondamentalizzazione della «forma-poesia» (intendo dire delle ripercussioni che tale fenomeno ha avuto all’interno della forma-poesia), fenomeno intervenuto in Europa (non so in America ma mi sembra che lì le cose non siano state diverse).

    3- Gino Rago
    Perché non provi a suggerirci quelli che per te sono ancora problemi non risolti nella nostra poesia…

    Giorgio Linguaglossa:
    Ecco una serie di problemi:
    Che cosa significa decostruzione in poesia?
    Che cosa significa la dis-locazione dell’io?
    Che cosa significa dis-locazione dell’oggetto?

    4- Gino Rago:
    Rebus sic stantibus…

    Giorgio Linguaglossa:
    Ecco, un poeta che non si pone questi problemi è un «poeta di fede», dobbiamo credergli sulla parola, dobbiamo credere che lui sia veramente un poeta anche se non capisce niente di che cosa significa la tridimensionalità in poesia e il quadridimensionalismo in poesia. Come disse una volta Brodskij: «dal modo con cui metti un aggettivo capisco che poeta sei»[…]
    gr
    ——————————————————————-
    D- Un mio pensiero su una poesia di Mario Gabriele, da In viaggio con Godot, Progetto Cultura, 2017

    Gino Rago
    […]nei 69 pezzi de In viaggio con Godot (Progetto Cultura, 2017) ho sentito vibrare un’adesione gentile, consapevole, cordialissima alle dinamiche contorte del mondo e della vita che l’autore (Mario Gabriele) interpreta e segnala giocando sulla asimmetria spaziotemporale, all’insegna della indeterminazione del vivere e altro…L’esito estetico finale è una poesia, rubando le parole a Giorgio Linguaglossa, autore del saggio introduttivo, “atetica, non-apofantica, pluritonica, vario ritmica.”
    Ne è paradigmatico il componimento numero 51.
    Questo componimento numero 51 della raccolta gabrielana si lega strettamente agli altri 50 che lo precedono e d’altro lato prepara il terreno agli altri diciotto che lo seguono, pur presentando e possedendo ciascuno dei «pezzi» convocati nel libro una propria finitezza stilistico-emotiva, una propria compiutezza tematico-etico-stilistica.
    Ecco la
    poesia di Mario M. Gabriele da In viaggio con Godot:
    (51)
    “Dora scrive versi.
    Sorprendono le metafore e i giorni della resa.

    Al Circolo Heidelmann
    si replica il Partigiano Johnny.

    Con Le Demoiselles d’Avignon
    siamo andati a cercare Le Illuminazioni.

    Il tempo è in agguato. Ci minaccia.
    Dora alle sette apre le imposte.

    Toglie i ragni sui muri. Chiude la porta.
    Benn l’accompagna alla stazione.

    -Milano- dice.- è una grande città
    con tante Silicon Valley.

    Puoi contattare qui la M.G.M.
    per un lavoro part-time.

    Poi si vedrà se andare a Boston.
    C’è però un problema ed è la famiglia Salomon

    che parla sempre di decaloghi
    e di colombe che tornano dopo il diluvio-.

    Un’altra stagione è alle porte
    con lampi di sole sulle tavolette di Lucio.

    Domani è di scena Mrs Dalloway,
    ma senza Virginia Woolf.”
    ———————————————–
    Buon 2019 a tutti/tutte
    gr

  6. gino rago

    Un polittico, una postilla, un tentativo di interpretazione

    A- Giorgio Linguaglossa
    (poesia inedita da La notte è la tomba di Dio)

    Il bacio è la tomba di Dio

    La torre del faro nella pianura di neve.
    «Il bacio è la tomba di Dio».

    C’erano scritte queste insensate parole
    sopra l’ingresso della torre…

    Ma forse non era quella la torre ma un’altra
    che si trova in Siberia, nei pressi del polo artico

    dove sorge un’isba; nell’isba c’è Evgenia Arbugaeva
    sulla sedia a dondolo, osserva la distesa di neve.

    Un pianoforte a coda nella neve suona Lux Aeterna di Ligeti.
    C’è scritto: «Hic incipit tragoedia» e, nello spartito,

    le parole di Ubaldo de Robertis sull’universo ad anelli.
    [Nell’universo c’è un punto. Uno solo, così trascurabile…]

    La musica incontraddittoria si solleva dalla neve eterna.
    Diventa luce.
    […]
    La gondola è vestita a lutto. Carica di morti. Affonda.
    Nella picea onda del Canal Grande.

    Ponte degli Scalzi.
    L’appartamento di Anonymous sul Canal Regio.

    Uno spartito aperto sul leggio: La lontananza nostalgica.
    Il vento sfoglia le pagine dello spartito.
    […]
    Tre finestre. Lesene bianche. Canal Regio.
    Due leoni all’ingresso divaricano le mandibole.

    [Se ti sporgi dalla finestra puoi quasi toccare
    il filo dell’acqua verdastra. Laguna di vetro.]
    […]
    Madame Hanska si spoglia lentamente nel boudoir.
    Ufficiali austriaci giocano a whist mentre il Signor K. asserisce:

    «il tavolo cammina e non cammina perché la contraddittorietà
    non può violare il principio di non contraddizione.

    Il PNC è auto contraddittorio, non potrebbe essere altrimenti;
    mi creda, Herr Cogito, anche i suoi pensieri,

    picchi di luce eterna, sono auto contraddittori, collidono,
    a sua insaputa, con altri suoi pensieri antecedenti…».
    […]
    «L’universo è il cadavere di Dio e noi i suoi vermi.
    Anche le parole che ora diciamo, il vento nella sua rovina

    le porta via».
    […]
    Sulla parete a sinistra del soggiorno e in alto sul soffitto
    è ritratta la Peste.

    La Signora Morte impugna una pertica
    che termina con una falce.

    Ammassa i morti e taglia loro la testa.
    E ride.

    Ritto sulla prua il gondoliere afferra il remo.
    E canta.
    […]
    Lassù, in alto, strillano gli uccelli e brindano le stelle.
    Wagner e List giocano a dadi

    in un bar nel sotoportego del Canal Grande.
    Tiziano beve un’ombra con la modella

    dell’«Amor sacro e l’Amor profano».
    […]
    Madame Hanska al Torcello riceve gli ospiti
    nel salotto color fucsia.

    I clienti della locanda del buio brindano alla felicità
    i calici di Murano scintillano.
    […]
    Dio bussa alla porta d’ingresso; dice:
    «posso aggiustare il rubinetto,

    sistemare la lavastoviglie, riparare il frigorifero,
    darle l’indirizzo di una casa di appuntamenti,

    ho anche dei numeri per il Lotto…».
    Incredibile, disse proprio così.
    […]
    Ed entrammo in una stanza bianca, un pianoforte nero al centro.
    Un bambino vestito di bianco suonava qualcosa

    che i miei cinque sensi non percepivano.
    Una voce dal parlatorio diceva:

    «Il re morto è un dio vivente, il dio morto è un re che vive,
    la tomba del re è la casa del dio

    che si è dimenticato di essere un dio…».
    Fu a quel punto che quelle parole inaccessibili risuonarono in me

    mentre calpestavo il pavimento di linoleum bianco…
    […]
    Una grande vetrata si affaccia sul mare veneziano.
    “Non c’è anima più viva”, pensai, ma scacciai subito

    quel pensiero molesto.
    Una sirena cantava dalla spiaggia dei morti:

    «Non c’è più lutto tra i morti».
    «Non c’è più lutto tra i morti».

    B- *[Una postilla dell’autore]

    Paul Valéry scrive : «le gout est fait de mille dégoûts».
    Definizione provocazione choc che ci introduce all’interno del concetto di «gusto», concetto che racchiude in sé la massima incontraddittorietà del contraddittorio, ovvero, il «gusto» è un atto incontraddittorio (Kant parlava del “giudizio estetico a priori”) proprio perché contiene in sé tutte le contraddittorietà possibili e pensabili. Io la metterei così: tutte le contraddittorietà possibili e pensabili formano la incontraddittorietà del giudizio di gusto, il quale è in sé una aporia, ma non per un errore del nostro intelletto quanto perché il suo interno è un «luogo» incontraddittorio che chiama la massima contraddittorietà.In questa accezione, in questa mia poesia ho tentato la confluenza e convergenza della massima possibile estensione del contraddittorio che dà luogo alla incontraddittorietà complessiva. Non so se ci sono, almeno in parte, riuscito, ma il tentativo andava fatto e l’ho fatto nell’orizzonte di una «nuova poesia», la quale non può essere interpretata con le categorie con cui si è soliti interpretare la poesia del novecento italiano, essendo essa estranea a quelle categorie critiche.La conclusione mi sembra chiara a questo punto: una poesia se è nuova richiede sempre la costruzione di nuove categorie ermeneutiche, altrimenti diventa incomprensibile. Anzi, la poesia tende a sottrarsi a qualsiasi atto di intellezione che pretenda di inoltrarsi al suo interno. In questo senso, ogni poesia, se è nuova, si presenta con le vesti dell’Enigma, non essendo essa pensabile con le categorie della vecchia metafisica.Si tratta di un «polittico», parola che ritengo idonea, la poesia si compone di più poesie tenute insieme da un misterioso filo conduttore presente nella mia mente.

    Ed ora un aneddoto:
    cinque anni fa fui trasferito in un ufficio nel circondario del carcere di Rebibbia di Roma. L’ufficio era situato molto lontano, all’interno del circondario del carcere e dovevo ogni giorno fare a piedi un lunghissimo percorso all’interno del comprensorio del carcere, tra il muro di cinta e l’inferriata che dà sulla strada pubblica. E così, ogni giorno camminavo avendo alla mia sinistra il lugubre muro di cinta grigio di calcestruzzo con le torrette di avvistamento, e a destra il prato che confinava con la lunghissima inferriata che perimetra il complesso carcere, il più grande complesso carcerario d’Italia perché comprende ben 4 carceri con 4 direzioni distinte. Camminare accanto a quel muro lunghissimo è stata una esperienza fondamentale, con il sole e con la pioggia, sentivo il freddo del grigio del muro di calcestruzzo, di là i dannati, i detenuti, di qua gli uomini liberi…All’improvviso, un giorno mi viene in mente il verso di inizio della poesia «Il bacio è la tomba di Dio» che non capii da dove fosse uscito, ma lo capii in seguito: il verso era la risposta che la mia mente dava per documentare la condizione spirituale del lunghissimo muro di calcestruzzo alla mia sinistra. La risposta mi era stata data con il verso di inizio; poi tutto il seguito della poesia non è altro che una serie di cripto citazioni e di rimandi a versi di altri poeti che nei successivi cinque anni mi venivano in mente, in modo da costituire un vero e proprio polittico, con salti spazio temporali, interventi di personaggi veri e di fantasia. La poesia – posso dirlo – si è venuta costruendo da sola, senza l’intervento del mio «io», o meglio, io mi sono occupato soltanto della regia esterna, tutto ciò che c’è dentro alla composizione si è formato da solo. Penso che ad un certo punto la poesia abbia iniziato ad esercitare una forza di attrazione verso tutto ciò che essa riteneva di dover attrarre ed ingurgitare, e così spezzoni di citazioni, frasi e icone immaginarie sono state attratte dalla frase di inizio: «il bacio è la tomba di Dio» che, in sé non significa un bel nulla perché vuole significare qualcosa che sta oltre le possibilità espressive del linguaggio ma che è contenuto nel linguaggio.
    In un certo senso, la poesia non sarebbe venuta fuori se non avessi accettato di far fare al mio «io» un passo indietro e di porre come orizzonte della significazione e del senso l’indicibile come compito precipuo della poesia.
    Soltanto qualche giorno fa il mio ultimo tocco è stato di suddividere la poesia in distici. E il lavoro lo considero ormai ultimato. Dunque, cinque anni di lavoro.
    (giorgio linguaglossa)

    C- Gino Rago
    Un tentativo di interpretazione del Polittico
    Il bacio è la tomba di Dio

    Come ha lavorato Giorgio Linguaglossa per costruire questa architettura che non esito a definire “di frontiera” e a “frammenti”?

    Di frontiera, poiché ricorda un po’ l’acqua dolce quando sta per entrare nel mare e non è più dolce ma non è ancora salata:
    Di frontiera, perché i versi giocano tra un ‘non più’ e un ‘non ancora’:

    “[…]Una grande vetrata si affaccia sul mare veneziano.
    “Non c’è anima più viva[…]

    A frammenti poiché ormai è stato acquisito lo stato di consapevolezza che
    il mondo contemporaneo è fatto di frammenti, come di frammenti si compongono le storie di frontiera. E anche i nostri sguardi si compongono di frammenti.
    E che dire dei nostri incontri, incontri umani, se non che quasi sempre sono una successione di frammenti.
    Ma poi nel corso della composizione poetica nel frammentismo serpeggia l’atto estetico del poeta e ricostruisce l’unità del tessuto poetico, riprendendone il filo misterioso che lo riconduce a un’unica maglia, ma non facendolo calare dall’alto, come una entità astratta ed estranea, bensì attraverso le parole del dettato poetico:
    sono le parole stesse dell’autore che si organizzano a struttura unita, è l’idea di poeta-artifex. Ed è un unico corso d’acqua, dalla sorgente al mare.

    Ne derivano andamenti plurali, ibridi, stratificati, tenuti coesi attraverso il parlato, attraverso i colloqui o i dialoghi diffusi nei versi.

    Trovo efficace questo modo linguaglossiano di procedere, anzi mi spingerei a dire che forse questa è l’unica maniera di procedere per fronteggiare il vivere nel mondo e il suo giocare con gli specchi.

    Il gesto estetico del poeta determina l’architettura unitaria della poesia raccattando i materiali sparpagliati nella mente del poeta, materiali di luoghi, di tempi, di storie, di avvenimenti, di eventi stampati come percezione del passato in un presente che Giorgio Linguaglossa assume come Memoria e così la poesia si fa ‘mito’ e vince l’oblio della memoria.

    Ma bisogna per me introdurre anche una terza chiave di lettura per una interpretazione organica del Polittico Il bacio di Dio, vale a dire il panorama della postmodernità, rivisitato nel campo espressivo integrale:

    “[…] Lassù, in alto, strillano gli uccelli e brindano le stelle.
    Wagner e List giocano a dadi

    in un bar nel sotoportego del Canal Grande.
    Tiziano beve un’ombra con la modella

    dell’«Amor sacro e l’Amor profano»
    […. ]”

    In tale panorama, il postmoderno, la dimensione culturale che continua a caratterizzare la nostra stagione di vita, si delineano scenari in grado di rompere con i tradizionali modelli ai quali la modernità ci aveva abituati, di riscrivere le coordinate spazio-temporali, di imporre pensieri liquidi e combinazioni tra mondi reali e mondi fittizi, moltiplicando le identità in nuove forme di conversazioni, anche attraverso la pervasività del digitale, ecc.,

    Da qui le ri-scritture adottate da Giorgio Linguaglossa nel suo Polittico per collages, ibridazioni, citazioni, mescolamenti di spazi e di tempi, di personaggi veri e finti, di luoghi reali e non-luoghi, di stratificazioni di storia della letteratura, di storia dell’arte e storia della musica, e altro…
    (gino rago)
    ————————————–
    Sereno anno nuovo a tutte/i
    gr

  7. Marina Petrillo

    Un augurio carissimo a tutti i poeti e lettori dell’Ombra
    .Anche se tardivo, un ringraziamento commosso a Gino Rago per le sublimi parole che ha rivolto alla mia poesia e un pensiero di puro affetto per Giorgio.
    Marina P.

  8. A più tardi per gli auguri…

    Galline.

    La poesia dell’ubriaco esce di nascosto
    attraverso le tubature, va in strada e si perde

    le stelle, le damigelle del governo freddo
    che fu di Dio ma ora chissà. Anche un topo marcio,

    un serpente di campagna, perché no una vipera…
    Ma dove siete tutti? I poeti, uno dopo l’altro

    cadono al tirassegno. Poi ricompare Montale
    che per agilità non lo puoi prendere al primo colpo.

    Pasolini in una sigaretta. Pavese troppo distante
    a De Palchi che scrive al chiuso; ma gli scorre un fiume

    e tutti noi pochi a guardare. Che ci sarà mai da vedere,
    io che da un ponte su quel fiume buttai l’unico libro di poesia

    di uno che mi stava sullo stomaco. Ben fatto!
    Non si è poeti solo perché trasgressivi. Bisogna

    averci un flauto tra le caviglie. Qualcosa che ti fa
    tornare indietro. Contro tutti. Contro la ritirata

    dove in guerra sono galline in allevamento. Famiglie
    di lavanda e saponette. Finché muore il capo

    e nessuna poesia d’amore gli verrà dedicata;
    nemmeno quando i morti si siedono sul davanzale

    della finestra; per prenderti in giro, tu e il mondo
    deodorato dalle bugie.

    May – dic 2018

  9. I miei auguri per un 2019 migliore…

    mi hanno detto che il pesce puzza dal cuoio capelluto . Dalle uniche branchie fibrose e acide.

    La gente se lo tiene ugualmente in casa. Con i tendini legati ai tacchi bassi. Tre macchie a destra.

    Due a sinistra per ogni piatto arruolato dalle piccole squame feroci. Quella più lucida mi è stata attaccata al petto.

    Nella monotonia dei giorni . A denti stretti . Schizzi semiplananti di nero.Il fischio dell’erba s’intrecciava alla luce imbrattata di fumo.

    Agli aceri blood and bone. Un tocco raffinato di natura morta. Portato dalle dita flessibili di Van Gogh alla tele di canapa grezza.

    Lei intanto si conserverà piacevole sui corpi strappati dal tempo. Cellula lenticolare della polvere.

  10. Il distico tra Logos e Phoné
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2018/12/23/la-rivista-lombra-delle-parole-augura-a-tutti-i-lettori-serene-festivita-e-un-nuovo-anno-ricco-di-nuove-esperienze-e-comunica-che-rimarra-chiusa-dalla-data-odierna-fino-al-3-gennaio-2019-quando-riap/comment-page-1/#comment-48657
    caro Lucio,

    la tua poesia in distici mi convince, sei sulla buona strada (un suggerimento: io però toglierei la parola «dell’ubriaco» del primo verso, mi sembra che stoni).
    In sostanza, a mio avviso, chi adotta il distico (Mario Gabriele mi corregga se vado fuori binario), lo fa nella piena consapevolezza di impiegare una forza impositiva, astringente, costrittiva che esercita pressione sulla libertà e la sregolatezza della «voce», la quale invece è una forza dirompente, esplosiva, che tende a rompere, spezzare la pressione che il distico esercita con il semplice fatto della presenza della «gabbia».

    Scrivere in distici implica la coscienza di mettere in competizione due forze contraddittorie e divergenti, implica la scommessa che le forze in competizione trovino un punto di equilibrio, sempre mutevole e sempre temporaneo, punto di equilibrio quindi fragile, precario. Sono quindi portato a pensare che una tale struttura sia particolarmente adatta a filtrare i contenuti stilistici (gli spezzoni stilistici) del post-post-moderno (non saprei come chiamarlo in altro modo), spezzare l’andamento elegiaco di cui purtroppo è zeppa la poesia italiana di questi ultimi decenni.

    Gli elegiaci e i neo-veristi nostrani invece non hanno alcuna consapevolezza del problema costituito dal plesso storico delle forze stilistiche in competizione; letteralmente: non vedono il problema, e quindi procedono dritti verso l’elegia e verso la poesia direzionata dall’io con una sensibilità monocorde e acritica.

    Non dico che la struttura in distici sia l’unica struttura a nostra disposizione, dico solo che è una struttura «regolativa», «normativa», «pattizia» che, per esistere, ha bisogno della forza contraria costituita dalla «voce» (la phoné). Il Logos per esistere ha bisogno della phoné, ma è vero anche il contrario. Il poeta dotato di senso critico e di senso storico non può sottrarsi alla sfida della complessità che le due forze in competizione gli offrono. La nuova ontologia estetica non fa altro che sondare le possibilità espressive che si dischiudono con questo modo di intendere la struttura regolativa del distico.

    • caro Giorgio,
      citando il post del 21 dicembre 2018 con l’incipit:”Gino Rago. due poesie inedite da: I platani sul Tevere”, introduci una significativa e inappuntabile spiegazione del fare poesia in distici,assieme a quest’ultimo tuo commento, dopo aver accettato le tue indicazioni, in quanto il frammento bene si inserisce nel distico, come taglio di pensiero e “di più forze divergenti, all’interno di un bel puzzle” anche se poi, operare in questo modo, non determina alcuna imposizione “operativa”, ma solo “regolativa”.In questo senso sto operando sul prossimo volume dal titolo “Registro di bordo” in fase di “Si Stampi” .

  11. gino rago

    Gentile Redazione de L’Ombra delle Parole,
    Gentili Poeti, Gentili lettrici e Gentili lettori de L’Ombra,
    ma che mestieri fanno davvero i poeti italiani?

    Se esistesse una classifica dei luoghi comuni dell’editoria, “gli italiani non leggono poesia” sarebbe al secondo posto, subito dopo “gli italiani non leggono proprio”. Su quotidiani e blog letterari il luogo comune riappare a ondate senza mai consumarsi, ogni volta che bisogna commentare le voci sulla possibile chiusura della collana Lo Specchio della Mondadori o sulla morte in povertà di Valentino Zeichen (Giuseppe Mario Moses).

    Il problema dei luoghi comuni non è se sono veri o non lo sono – spesso sostanzialmente lo sono – il priblema è che per diventare comuni devono necessariamente semplificare per diventare ciechi alle differenze e di conseguenza alla realtà dei fatti.

    Negli ultimi venti anni qualcuno mi informa che molti dei più importanti editori di poesia hanno rinunciato quasi completamente a pubblicare poeti italiani contemporanei ( Guanda, Garzanti, Marsilio, anche la collana All’insegna del pesce d’oro di Scheiwiller non esiste più).

    Né le cose cambiano in casa Marcos y Marcos ( nata con la poesia e sulla poesia punta sempre con la collana diretta da Fabio Pusterla), Donzelli, Fazi, il Saggiatore, Crocetti, Manni, Passigli, Interlinea, Transeuropa, Miraggi, Neo, d’If e Aragno.

    Mediamente i libri di poesia di autori italiani viventi fanno numeri molto bassi – difficilmente superano le mille copie –, ma lo stesso si può dire per la maggior parte dei romanzi e dei saggi.
    Nella serie bianca di Einaudi, La bambina pugile di Chandra Candiani, pubblicato nel 2014, ha venduto settemila copie, cioè come un romanzo andato discretamente, mentre Le giovani parole di Mariangela Gualtieri è arrivato a seimila, potendo contare anche sulla vendita durante i reading dell’autrice che è anche attrice di teatro.

    Essere famosi per altri motivi diversi dalla poesia forse aiuta, ma questo vale per ogni tipo di libro. Gli scrittori di romanzi di una certa notorietà partono in vantaggio rispetto ai poeti puri: gli ultimi libri di poesie di Aldo Nove (A schemi di costellazioni e Addio Novecento) hanno venduto circa seimila copie, Cento poesie d’amore a Ladyhawk di Michele Mari ha superato le tredicimila copie a cui ogni anno se ne aggiungono altre duemila e Opera sull’acqua di Erri De Luca è intorno alle 35 mila, quasi quanto Alda Merini che ha venduto 45 mila copie di Vuoto d’amore.
    I bestseller – sempre nella Bianca Einaudi – rimangono classici e stranieri: La voce a te dovuta di Pedro Salinas è quasi a 100 mila copie, Poesie di Pablo Neruda ha superato le 115 mila, Cesare Pavese pure, i libri di Konstantinos Kavafis sono intorno alle 60 mila, quanto Le elegie duinesi e le Poesie di Rainer Maria Rilke, La Terra desolata di T. S. Eliot o La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge.
    (Centroquattro poesie, di Emily Dickinson, invece, è ferma intorno alle tremila copie…). Per la maggior parte, poi, sono libri fuori diritti di cui esistono decine di edizioni, e quindi questi numeri vanno moltiplicati.
    Il luogo comune sugli italiani che “non leggono poesia” forse è quindi semplicistico.

    Sempre qualcuno bene informato mi suggerisce che la poesia segue un suo ritmo, un ritmo più lento di quello dell’editoria in prosa, essendo la poesia quasi fuori dal mercato…

    Anche per questo gli editori di poesia che resistono e vendono devono puntare sulle ristampe, più che sul lancio, devono cercare di sostenere i titoli a lungo, come se quello che in poesia si scrive fosse ancora fatto per restare e non per colpire. (Qualcuno sostiene che questa è la politica editoriale anche della Serie Bianca di Einaudi e di editori più piccoli, un poco meno di quella dello Specchio di Mondadori).

    Nessun poeta può pensare di vivere di poesia…Ed è ciò che qui conta.
    Ecco la situazione di alcuni poeti italiani viventi, con una breve nota sui loro libri e sui mestieri che “fanno” per vivere.

    Antonella Anedda. Insegna all’Università della Svizzera italiana, dopo averlo fatto a Siena e alla Sapienza di Roma, dove è nata nel 1955. Il suo primo libro è Residenze invernali, pubblicato da Crocetti nel 1992. Da una decina d’anni pubblica con Mondadori. La sua ultima raccolta è intitolata Salva con nome.

    Luigi Ballerini è nato a Milano nel 1940. Ha insegnato letteratura italiana moderna e contemporanea all’UCLA di Los Angeles, traduce, cura mostre di arte contemporanea italiana e si è occupato di storia della gastronomia curando le edizioni inglesi dei libri di cucina di Pellegrino Artusi e del Maestro Martino, un cuoco del Rinascimento. Una selezione delle sue Poesie 1972-2015 è pubblicata da Mondadori.

    Alfonso Berardinelli è nato a Roma nel 1943. Oggi vive a Tuscania, collabora con alcuni giornali, Il Foglio, Il Sole 24 ore e Avvenire e scrive libri di critica letteraria. Anche Berardinelli è stato professore universitario – Letteratura contemporanea a Venezia – ma si è dimesso nel 1995 per protestare contro il corporativismo accademico.

    Franco Buffoni è ordinario di Critica Letteraria e Letterature comparate all’università di Cassino. È nato a Gallarate, in provincia di Varese, nel 1948. Ha lavorato come traduttore e, oltre alla poesia, ha scritto quattro romanzi e una ventina di saggi. La selezione Poesie 1975-2012 è pubblicata da Mondadori. L’ultima raccolta è Avrei fatto la fine di Turing, uscita per Donzelli nel 2015.

    Chandra Candiani è nata a Milano nel 1952 e ha esordito nel 2005 con la raccolta Io con vestito leggero. Il suo ultimo libro, La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore, è stato un bestseller, ma si mantiene traducendo e tenendo seminari di poesia nelle scuole elementari.

    Patrizia Cavalli è nata a Todi nel 1947 e vive a Roma. La sua ultima raccolta si intitola Datura, la prima Le mie poesie non cambieranno il mondo. Ha tradotto Sogno di una notte di mezz’estate e Otello di Shakespeare, e Anfitrione di Molière, ma per lungo tempo si è mantenuta giocando a poker e vendendo quadri.

    Maurizio Cucchi è nato a Milano nel 1945. È uno dei più noti poeti italiani. Il volume delle sue Poesie (1963-2015) è pubblicato da Mondadori, di cui da molti anni è consulente e per cui ha curato l’antologia Poeti italiani del secondo Novecento, uscita nella collana I Meridiani nel 1998. Oltre al lavoro editoriale di consulenza e di traduzione, scrive per La Stampa.

    Stefano Dal Bianco (Padova, 1961) è un professore universitario. Per la precisione, ricercatore e professore aggregato di Critica letteraria e Letterature comparate all’università di Siena. Ha curato l’opera di Andrea Zanzotto per Mondadori e tradotto poeti contemporanei. Il primo dei suoi quattro libri di poesie, La bella mano, è del 1991, l’ultimo, Prove di libertà, del 2012.

    Milo De Angelis è nato a Milano nel 1951. Ha esordito nel 1976 con la raccolta Somiglianze, pubblicata nella collana dei Quaderni della Fenice di Guanda, allora diretta da Giovanni Raboni. La raccolta delle sue Poesie è pubblicata da Mondadori. Ha tradotto molti libri dal francese, greco e latino, ma il suo lavoro è insegnare nel carcere di massima sicurezza di Opera, un comune vicino a Milano.

    Gianni D’Elia tiene corsi come libero docente all’Università di Urbino, traduce (per esempio Lo Spleen di Parigi di Baudelaire), collabora da sempre con il manifesto, ha scritto vari saggi su Pasolini e ha scritto i testi di alcune canzoni di Claudio Lolli. È nato a Pesaro nel 1953. Ha incominciato negli anni Settanta, anche grazie al rapporto con Roberto Roversi, poeta e per una fase determinante collaboratore di Lucio Dalla. Il suo ultimo libro è Fiori del mare. Einaudi ha pubblicato la raccolta Trentennio. Versi scelti 1979-2009.

    Claudio Damiani insegna latino in un liceo di Roma. È nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo, Foggia, ma vive a Roma fin da bambino. Fazi ha pubblicato una sua antologia di Poesie curata dallo scrittore, e insegnante, Marco Lodoli. La prossima raccolta, Cieli celesti, uscirà a ottobre.

    Andrea De Alberti esordirà con Einaudi con la raccola Dall’interno della specie. Si mantiene lavorando come oste all’Osteria alle carceri di Pavia, città dove è nato nel 1974.

    Umberto Fiori – che è nato a Sarzana nel 1949 ma vive da sempre a Milano – negli anni Settanta è stato cantante e chitarrista degli Stormy Six, dopodiché si è messo a insegnare lettere in una scuola superiore, tenendo corsi anche all’Università Statale di Milano. Un’antologia delle sue Poesie è pubblicata da Mondadori. Con Marcos y Marcos ha pubblicato cinque libri tra cui Chiarimenti ed Esempi.

    Mariangela Gualtieri (Cesena, 1951) è un’attrice di teatro. Ha fondato con Cesare Ronconi il Teatro Valdoca. Ha esordito nel 1992 con Crocetti – ma il libro, Antenata, non è più in stampa – e oggi pubblica con Einaudi. Vende piuttosto bene, anche grazie ai reading delle sue poesie.

    Vivian Lamarque, il cui vero nome è Vivian Daisy Donata Provera Pellegrinelli Comba, è di origini valdesi ed è nata in provincia di Trento nel 1946. Si è trasferita presto a Milano, data in adozione a una famiglia in quanto illegittima. Ha incominciato a scrivere poesie dopo essere venuta a sapere dell’esistenza della madre naturale. Ha insegnato letteratura in licei privati e italiano agli stranieri, tradotto dal francese e collaborato con il Corriere della sera. Scrive anche libri per bambini. Una sua raccolta è pubblicata da Mondadori.

    Franco Loi è nato a Genova nel 1930, ma da bambino si sposta a Milano per seguire il padre ferroviere. Ha incominciato come contabile allo scalo merci della stazione di Lambrate e, poi, fino al 1950, del Porto di Genova. Nel 1955 ha conosciuto Vittorio Sereni e ha iniziato a lavorare nell’ufficio stampa della Mondadori, lavoro che allora consisteva essenzialmente nel selezionare, ritagliare e archiviare articoli di giornali. Esordisce soltanto nel 1972 con la raccolta di poesie in dialetto I cart. L’antologia Poesie scelte 1973-2002 è pubblicata da Einaudi.

    Giancarlo Majorino è nato a Milano nel 1928. Nel 1956 entra a lavorare in banca e tre anni dopo pubblica per Schwarz il suo primo libro – La capitale del nord –, vince un concorso di filosofia e inizia a insegnare nei licei, prima a Crema, poi all’Ottavo liceo scientifico, oggi Liceo Bottoni, di Milano. Dagli anni Novanta almeno fino al 2015 ha insegnato Estetica al Naba, la Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. Ha scritto moltissimo: alcune sue poesie sono raccolte nell’Autoantologia 1953-1999. L’ultima raccolta è Torme di tutto, pubblicata da Mondadori nel 2015.

    Valerio Magrelli, Roma, 1957, è professore ordinario di Letteratura francese all’Università di Cassino e scrive su Repubblica. Ha iniziato a pubblicare poesia nel 1980 con Ora serrata retinae uscito per Feltrinelli, e ha diretto la collana di Einaudi Scrittori tradotti da scrittori.

    Franco Marcoaldi, 1955, di Guidonia, vive ad Orbetello, in provincia di Grosseto. Il suo primo libro di poesie è A mosca cieca del 1992, l’ultimo Il mondo sia lodato del 2015. È inviato di Repubblica.

    Roberto Mussapi, di Cuneo, 1952, vive a Milano. Per molti anni ha lavorato per Jaca Book come ufficio stampa e responsabile della collana I poeti. Ha tradotto molti grandi autori tra cui Coleridge, Herman Melville, Robert Louis Stevenson, François Villon, Patricia Highsmith. Lavora anche come lettore di poesia, sia in pubblico che per audiolibri (La grande poesia del mondo, Salani), e come conduttore di programmi di Radio Rai. Ha appena pubblicato con Mondadori la raccolta La piuma del Simorgh.

    Giampiero Neri è lo pseudonimo di Giampietro Pontiggia, fratello dello scrittore Giuseppe Pontiggia. Nato a Erba nel 1927, a vent’anni viene assunto nella banca dove lavorava suo padre e lì rimane fino alla pensione. Esordisce nel 1976 con L’aspetto occidentale del vestito, uscito per Guanda. La sua ultima raccolta – Paesaggi inospiti – è stata pubblicata nel 2009 da Mondadori, che nel 2012 ha anche pubblicato il suo ultimo libro, un poemetto in prosa intitolato Il professor Fumagalli e altre figure.

    Umberto Piersanti è nato nel 1941 a Urbino dove insegna Sociologia della letteratura e dove è ambientata tutta la sua opera. Ha scritto vari libri di poesia, oltre a saggi, romanzi, ha lavorato per la televisione e girato tre film sulle sue poesie. L’ultima raccolta è L’albero delle nebbie, pubblicata da Einaudi nel 2008.

    Fabio Pusterla è svizzero di Mendrisio, dove è nato nel 1957. Insegna al Liceo Cantonale di Lugano e all’Università della svizzera italiana. Oltre all’insegnamento dirige la collana di poesia di Marcos y Marcos, editore per cui ha pubblicato sette libri. L’ultimo, Argéman, è uscito l’anno scorso.

    Stefano Raimondi, nato a Milano nel 1964, lavora come editor nella casa editrice di filosofia Mimesis. È uno studioso di Vittorio Sereni. Il suo ultimo libro, uscito per Transeuropa, si intitola Per restare fedeli, il prossimo uscirà per Marcos y Marcos con il titolo Il cane di Giacometti.

    Antonio Riccardi, nato a Parma nel 1962, è stato direttore della narrativa di Mondadori fino al 2015 e sta per fondare una nuova casa editrice, insieme all’ex amministratore delegato della Mondadori Riccardo Cavallero. Ha pubblicato tre libri di poesie: Il profitto domestico uscito per il Saggiatore nel 1996, Gli impianti del dovere e della guerra e Aquarama e altre poesie d’amore, pubblicati da Garzanti nel 2004 e 2009. Vive a Sesto San Giovanni in provincia di Milano.

    Davide Rondoni tiene corsi di poesia e letteratura in varie università, scrive su Avvenire e Il Sole 24 ore e da dieci anni conduce il programma di poesia Antivirus su TV2000, la televisione vaticana. La sua prima raccolta di una certa notorietà è Il bar del tempo pubblicata da Guanda nel 1999. È nato a Forlì nel 1964.

    Francesco Scarabicchi è un poeta, traduttore e studioso di pittura nato ad Ancona nel 1951. Tra le sue raccolte L’esperienza della neve e L’ora felice, entrambe pubblicate da Donzelli.

    Enrico Testa, genovese, 1956, è professore ordinario di Storia della lingua italiana all’Università di Genova. Ha esordito nel 1988 con Le faticose attese (edito da San Marco dei Giustiniani) e pubblicato varie raccolte nella Serie Bianca di Einaudi, tra cui In controtempo (1994) e Ablativo (2013). Sempre per Einaudi ha scritto vari saggi sulla lingua italiana e la teoria della letteratura, e curato l’antologia Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000 (2005).

    Patrizia Valduga ha tradotto John Donne, Mallarmé, Paul Valéry e il Riccardo III di Shakespeare, ha collaborato con vari giornali e si occupa del fondo del poeta Giovanni Raboni, che fu suo compagno dal 1981fino alla morte, avvenuta nel 2004. Valduga ha curato e scritto la postfazione della raccolta degli Ultimi versi di Raboni. È nata a Castelfranco Veneto nel 1953. Medicamenta, il suo esordio, risale al 1982. Uscì nella collana i Quaderni della Fenice di Guanda, ma oggi è pubblicato da Einaudi.

    Cesare Viviani, nato a Siena nel 1947, a 25 anni si trasferisce a Milano dove incomincia come giornalista per poi lavorare come psicologo e psicanalista nelle istituzioni pubbliche. Il suo primo libro L’ostrabismo cara uscì per Feltrinelli nel 1972. Le sue ultime raccolte sono pubblicate da Einaudi e Mondadori

    Buon anno nuovo anche a loro.
    gr

  12. caro Gino,
    dicono che siano tramontate le categorie sociali e politiche del Novecento, può darsi, io non lo credo, le categorie ci possono aiutare a capire… senza categorie la società diventa ancora più liquida, anzi, gassosa. Il punto ora è tentare di fermare la deriva, invertire al più presto la tendenza alla marginalizzazione cognitiva della nostra democrazia. Che i libri di poesia dei letterati vendano o meno, importa alla fine ben poco, quello che dovrebbe importare è la qualità di poesia che oggi viene fabbricata, e quella che si pubblica non è gran che. Non la democrazia è in pericolo, ma, quel che è più grave è l’idea stessa di democrazia che è in pericolo, di questo si dovrebbe occupare un poeta degno di questo nome… ma io leggo solo parole neutrali e neutralizzate… da qui capisco che è l’idea stessa di democrazia ad essere in pericolo… ad essere un ricordo lontano e sbiadito…

    • E’ così, caro Giorgio, ma la democrazia è un ideale tra gli idealismi che stanno venendo meno – l’idea comunista e del capitalismo liberale. E questo strano governo, che stando ai vecchi canoni sarebbe un coacervo di sinistra e destra, non è altro che la risultante del pastrocchio creato da chi strada facendo si è perso l’identità storica da cui proviene. Una democrazia decisa in alto, calata sulla popolazione prima o poi dovrà fare i conti con l’equità sociale. A ben vedere non vi è nulla di nuovo in tutto questo.

      Ti ringrazio per il commento alla poesia “Galline”. Sono d’accordo su tutto, anche perché so di averla scritta con l’impeto di chi vuole attraversare in linea retta i territori della ragione, qualunque essi siano. Ma per scriverla mi sono servito, come spesso mi accade, dello slang a modo mio secondo l’insegnamento di Cesare Pavese, prima maniera. Vedrò cosa fare con quel “ubriaco”, se stona all’ orecchio sensibile delle persone che stimo e che mi fanno da guida.

  13. gino rago

    Giorgio caro,

    C O N D I V I D O
    pienamente
    il tuo P E N S I E R O

  14. gino rago

    Due pensieri di Alfonso Berardinelli su una Antologia poetica, su “certa” critica letteraria e sulla ‘democrazia letteraria’

    “[…]Lo si vede bene se si legge l’antologia “Parola plurale” (pp. 1177). Un’antologia così voluminosa per poeti degli ultimi trent’anni, come pure i troppi Meridiani dedicati a Pasolini e a Calvino, fanno capire che in diversi casi cruciali la critica sembra paralizzata, non riesce a decidersi, è incapace di selezione.
    Più che scegliere si tende a fotografare tutto quello che c’è, a restituirlo al lettore così com’è, con sovrabbondanti introduzioni, chiose e glosse.
    Forse è nata una nuova etica letteraria politicamente corretta, che consiste nel togliere ai critici ogni delega, perché si pensa che nessuno abbia il diritto di giudicare al posto di altri, il lettore è libero e sovrano, sarà lui a decidere che cosa gli piace e che cosa no, di chi fare un mito e chi ignorare.

    La Democrazia Letteraria di cui parlava anni fa Vittorio Spinazzola è in corso di realizzazione progressiva. Non si possono accusare i curatori dell’antologia “Parola plurale” di non aver fatto scelte e di non aver selezionato.
    Mi sono accorto subito di alcune assenze che credo ingiuste[…]

    Eppure, anche così, siamo a ben sessantaquattro poeti, (64 poeti).

    Non pochi, se si pensa che la classica antologia di Pier Vincenzo Mengaldo ne includeva cinquantuno, partendo dall’inizio del Novecento e arrivando a Giovanni Raboni[…]”.
    (alfonso berardinelli)
    ———————-
    Dunque, altro per me innegabile ‘merito’ de L’Ombra, della sua Redazione, del suo fondatore e coordinatore, è certamente quello di avere operato una iperselezione di voci almeno intorno al nucleo quadridimensionalista della NOE…
    gr

  15. Una voglia astratta medesima all’acqua,
    quella sublime sonnolenza. Gli echi

    stranamente si sovrappongono. Non aver paura piccolo. Taci nella luce. Non parto

    e quindi stranamente attendo. Questo Infisso
    ha una lunga cornice, una parola piana.

    Un chiodo fisso che la febbre viola. Sei pure
    un vento fradicio le cui radici in senso inverso

    hanno smesso di crescere, sei dilapidato, solare, nessun merito alla parola.

    GRAZIE OMBRA.
    Auguri, tanti!

  16. una mia frase:

    “Il secchio della immondizia è la mia libreria preferita.”

  17. https://lombradelleparole.wordpress.com/2018/12/23/la-rivista-lombra-delle-parole-augura-a-tutti-i-lettori-serene-festivita-e-un-nuovo-anno-ricco-di-nuove-esperienze-e-comunica-che-rimarra-chiusa-dalla-data-odierna-fino-al-3-gennaio-2019-quando-riap/comment-page-1/#comment-49017
    Antonio Sagredo

    Viaggio eleusino

    I cembali dei presentimenti a te, Eleusina, incantata
    che muori nella neve imminente e risorgi al primo fiore
    e il mito ti è fedele ancora, e le tue labbra ora
    sono spente da cingolati che radono l’Oriente – svegliati!

    Sui divani hai appreso il mistero che ti sostiene intatta,
    sei lontana da quei riti che il Fato abbandona al tuo diniego,
    e ai tributi di chiodi e di lavande ricordano un sangue
    appestato dall’oblio – ossuto è l’imbrunire su tumuli boemi.

    Ma quest’alba è in cenere! Il suo cammino australe è putrescente!
    Con un torbido decreto ha prescritto il tramonto d’ogni nostalgia, per Te!
    e il pianto che tu, gioiosa, trattieni non è il tuo – l’orbita è una tinozza
    vuota! – quadrante e meridiana hanno confuso le colombe del Moncayo.

    Bèccati questi simulacri di ghiacciai da un recinto orfico e spettrale!
    Traccia i passi d’Alessandro che non ha sogni, né specchi su cui sputare,
    e non su un greco nulla, ma ride, farfuglia d’estinzioni e stragi, starnazza
    di stermini fra stanze e canzoni, larve di torce umane e legioni di testuggini!

    Eleusina, non sei che un avanzo, di non so – cosa! Non ricordo di volto
    e d’anima! Non un’afa ti sorvola, né oscurità, né neve, né secca foglia,
    né un bocciare di – di cosa? Alberi, che sono? Altari di catastrofi!
    E se mai vi fu un canto tuo, o un grido, non fu di gola, o labbra umane,né di bestie
    (Vermicino, 12 aprile 2007)

  18. antonio sagredo

    Gli aggettivi? Mai usati! –
    Se mai sono loro che usano me, come contenitore di ….. immondizia !
    ———————————————————————————————
    LA GORGIERA E IL DELIRIO stanno per arrivare.
    Auguri a tutti.

  19. https://lombradelleparole.wordpress.com/2018/12/23/la-rivista-lombra-delle-parole-augura-a-tutti-i-lettori-serene-festivita-e-un-nuovo-anno-ricco-di-nuove-esperienze-e-comunica-che-rimarra-chiusa-dalla-data-odierna-fino-al-3-gennaio-2019-quando-riap/comment-page-1/#comment-49114
    una poesia di Ewa Lipska (2017)

    La storia

    Fermo. Non scappare davanti a lei.
    Non la provocare.
    Non fare
    movimenti bruschi.
    Non voltarti dall’altra parte di colpo.

    Lei non ti farà del male
    fino a che
    non le toglierai
    la scodella con il suo cibo.

  20. gino rago

    [A ricordo della Pagina de L’Ombra delle Parole del 21 dicembre 2018]

    Gino Rago (a cura di)

    Antologia poetica
    “…il vuoto si può costruire,
    come al silenzio si può insegnare a parlare…”

    Poeti NOE verso il Quadridimensionalismo

    (Alfonso Cataldi, Giuseppe Gallo, Giorgio Linguaglossa, Marina Petrillo,
    Lidia Popa, Gino Rago
    )

    Prefazione

    Caro Gino Rago,

    Sono convinto anch’io che la poesia debba puntare tutto sul Quadridimensionalismo, partire dalla tridimensionalità del mondo + la Memoria* (Mnemosyne) per arrivare alla quarta e alla quinta dimensione. E pensare che senza memoria non potremmo neanche parlare…
    Infatti, come ci vengono le parole nella mente? Tramite la memoria! La risposta è semplice.
    Del resto lo dice anche Andrea Emo (di cui consiglio di leggere i volumi che sono in commercio) che l’Assoluto e Dio dimorano soltanto nella memoria…
    Perché in ogni poesia c’è qualcosa di scandaloso e di favoloso. La poesia che non fa scandalo viene subito dimenticata. La poesia che non è fabula viene anch’essa subito dimenticata.
    I piccoli poeti tentano disperatamente di fare scandalo, ma quello si rivolta come un boomerang contro di loro, quantunque forte sia il loro megafono.
    Che fare?, in tempi di sordità il megafono è inutile.
    Si ha sempre il sospetto che le parole non dette ci perseguitino… Anche le parole dette e scritte ci perseguitano con la superfluità e la vacuità con cui sono state pronunciate.
    Perché le parole sono sagge, loro lo sanno di essere melliflue e superflue e di essere nate da un difetto di pronuncia del demiurgo, il quale avrebbe voluto pronunciare un’altra parola…
    Il poietès è il più grande positivo perché porta le cose all’essere dal nulla, ma è anche il più grande negativo perché sa che le cose sono un nulla.
    Che vergogna la parola creata apposta per sbalordire e fare scandalo!
    Lo sai anche tu, lo dicono i tuoi versi, che l’evento viene prima dell’essere, è più antico e originario dell’essere, e questo dipende da quello, come la possibilità viene prima dell’evento e lo fonda[…].
    (giorgio lingua glossa)

    1- Alfonso Cataldi

    «Con monete sonanti… » suggerisce SwiftKey
    ma non prosegue – consapevolmente –

    Nel cuore della nascente incisione si festeggia l’originalità.
    Lontano dalle mura è giusto che si paghi?

    La comunità ha l’imbarazzo della scelta
    «Chi di però perisce, di però ferisce.»

    Ruth è schiacciata dai pensieri laterali
    dà il suo primo bacio al ghetto, a un giovane radical chic.

    In un caffè di Sderot Rothschild
    Rosanna si mette le mani nei capelli

    ha tagliato la frangia e se ne compiace
    spiega a un militare già vestito per il fronte

    la startup che misura la caducità di Amos Oz
    e l’arte necessaria alla ricerca dei finanziamenti.

    «Quick, get up, Open The Post
    and find the last self-evidence.»

    2- Giuseppe Gallo
    T A C t.b.

    Alice:
    l’inverno sta arrivando nel paese delle meraviglie.

    Si approssima in segreto tra i cespugli scarniti
    e sui vetri annebbiati dei semafori.

    … l’annuncio è sceso di prezzo.
    Passato e futuro a confronto: Mosca da €159 a/r

    Anche se fosse estate o il giorno del rientro
    “Dio, che incubo!”

    I manifesti scollati entrano a destra e a sinistra del cervello.
    E Dio a ripetere. “Gli uomini! Gli uomini sono il mio incubo!”

    Inevitabili come i mocassini
    e l’acqua alta e lo scioglimento dell’Artico.

    Contatta Contatta
    Ristrutturazione etico-linguistica.

    A ripetizione a iosa a penzoloni in piedi
    sfiorando l’ombra che ti graffia gli occhi.

    Quando scavi trovi sempre e solo superfici
    a sghimbescio laterali, pareti d’altri vuoti.

    I social network e il lutto della memoria,
    l’immortalità dell’illusione. Vista mare…

    L’arte come terapia
    l’illusione dell’immortalità. Un bonus.

    Ristrutturazione integrale
    T A C t. b.

    Santi di pietra a schermare l’occidente di novembre
    e gli sciami dei capperi verde vescica sulle mura aureliane.

    Alice mail:
    smarriti ancora dentro un altro rigo.

    3- Giorgio Linguaglossa
    (poesia inedita da La notte è la tomba di Dio)
    Il bacio è la tomba di Dio

    La torre del faro nella pianura di neve.
    «Il bacio è la tomba di Dio».

    C’erano scritte queste insensate parole
    sopra l’ingresso della torre…

    Ma forse non era quella la torre ma un’altra
    che si trova in Siberia, nei pressi del polo artico

    dove sorge un’isba; nell’isba c’è Evgenia Arbugaeva
    sulla sedia a dondolo, osserva la distesa di neve.

    Un pianoforte a coda nella neve suona Lux Aeterna di Ligeti.
    C’è scritto: «Hic incipit tragoedia» e, nello spartito,

    le parole di Ubaldo de Robertis sull’universo ad anelli.
    [Nell’universo c’è un punto. Uno solo, così trascurabile…]

    La musica incontraddittoria si solleva dalla neve eterna.
    Diventa luce.
    […]
    La gondola è vestita a lutto. Carica di morti. Affonda.
    Nella picea onda del Canal Grande.

    Ponte degli Scalzi.
    L’appartamento di Anonymous sul Canal Regio.

    Uno spartito aperto sul leggio: La lontananza nostalgica.
    Il vento sfoglia le pagine dello spartito.
    […]
    Tre finestre. Lesene bianche. Canal Regio.
    Due leoni all’ingresso divaricano le mandibole.

    [Se ti sporgi dalla finestra puoi quasi toccare
    il filo dell’acqua verdastra. Laguna di vetro.]
    […]
    Madame Hanska si spoglia lentamente nel boudoir.
    Ufficiali austriaci giocano a whist mentre il Signor K. asserisce:

    «il tavolo cammina e non cammina perché la contraddittorietà
    non può violare il principio di non contraddizione.

    Il PNC è auto contraddittorio, non potrebbe essere altrimenti;
    mi creda, Herr Cogito, anche i suoi pensieri,

    picchi di luce eterna, sono auto contraddittori, collidono,
    a sua insaputa, con altri suoi pensieri antecedenti…».
    […]
    «L’universo è il cadavere di Dio e noi i suoi vermi.
    Anche le parole che ora diciamo, il vento nella sua rovina

    le porta via».
    […]
    Sulla parete a sinistra del soggiorno e in alto sul soffitto
    è ritratta la Peste.

    La Signora Morte impugna una pertica
    che termina con una falce.

    Ammassa i morti e taglia loro la testa.
    E ride.

    Ritto sulla prua il gondoliere afferra il remo.
    E canta.
    […]
    Lassù, in alto, strillano gli uccelli e brindano le stelle.
    Wagner e List giocano a dadi

    in un bar nel sotoportego del Canal Grande.
    Tiziano beve un’ombra con la modella

    dell’«Amor sacro e l’Amor profano».
    […]
    Madame Hanska al Torcello riceve gli ospiti
    nel salotto color fucsia.

    I clienti della locanda del buio brindano alla felicità
    i calici di Murano scintillano.
    […]
    Dio bussa alla porta d’ingresso; dice:
    «posso aggiustare il rubinetto,

    sistemare la lavastoviglie, riparare il frigorifero,
    darle l’indirizzo di una casa di appuntamenti,

    ho anche dei numeri per il Lotto…».
    Incredibile, disse proprio così.
    […]
    Ed entrammo in una stanza bianca, un pianoforte nero al centro.
    Un bambino vestito di bianco suonava qualcosa

    che i miei cinque sensi non percepivano.
    Una voce dal parlatorio diceva:

    «Il re morto è un dio vivente, il dio morto è un re che vive,
    la tomba del re è la casa del dio

    che si è dimenticato di essere un dio…».
    Fu a quel punto che quelle parole inaccessibili risuonarono in me

    mentre calpestavo il pavimento di linoleum bianco…
    […]
    Una grande vetrata si affaccia sul mare veneziano.
    “Non c’è anima più viva”, pensai, ma scacciai subito

    quel pensiero molesto.
    Una sirena cantava dalla spiaggia dei morti:

    «Non c’è più lutto tra i morti».
    «Non c’è più lutto tra i morti».

    4- Marina Petrillo
    Come fosse digiuno della mente

    il perseverante fluire in divina forma
    scissura dello Spirito

    colto in metafisica roccia.
    Non teme alcuno sforzo

    il pallido pensiero
    se vigile trasecola in alto spazio

    sino a giungere al limite sognante.
    Io diffuso ad Uno.

    Lì giunge il morituro Ego
    ad irrorare l’esteso campo delle Anime Uniche

    piccole erbe vegetate in temporali estivi
    brevi singulti adiacenti

    il vuoto transito ad altra sponda.
    Partenogenesi in siderea notte

    delle cui stelle in vacuo solco
    non permane chiarore.

    5- Lidia Popa
    Dall’oblio, una colpa o forse una maledizione

    Se ti manca un punto o una virgola
    per favore, scrivi con la mente quando mi leggerai.

    Non farmi colpa per gli occhiali
    quelli che ho dimenticato sul tavolino sotto il portico.

    Hanno lasciato che gli occhi si contrattassero con le ombre
    ritoccando le pareti in cerca di una rima.

    Si ritroveranno in un verso bianco
    al braccetto con la luce delle iridi

    Non si vogliono in attesa.
    Un unicorno mostra la via.

    La poesia non ha il corpo di fata,
    accelera come una nebbia attraverso i secoli.

    Fa una reverenza al giorno come una croce di legno
    galleggiando sull’acqua, si consuma, diventa una riva.

    Dalla costa crescono radici e rami,
    sui rami una maledizione di testi.

    Per sapere chi eri. Per sapere chi sei.
    Quando l’eternità ti chiederà di scioglierti insieme a lei.

    6- Gino Rago
    La pipa di Jaroslav Seifert

    Cara Signora Lipska,
    ho lasciato da poco anche Vienna,

    la Vienna di Klimt che mi hai fatto amare.
    L’Impero mi taglia in quattro parti il respiro.

    Sto cercando i segni della protagonista del racconto
    del mio amico*.

    Ho toccato Amburgo e Amsterdam.
    Ho sfiorato Budapest. Ho visitato Venezia.

    Ho evitato Praga, le guglie di stare mesto,
    le colombe senza testa e senza ali

    sui castelli costruiti
    con il fumo della pipa di Seifert.
    […]
    Nella borsetta il necessaire per il trucco,
    nessun odore della cipria

    che usava per coprire le rughe del viso.
    Ora sono alla periferia di Berlino.

    Un poeta-indovino mi guida,
    lo seguo in direzione della Berlin Alexanderplatz.

    L’italiano di Wolfgang traballa
    ma il suo scritto sul biglietto è chiaro:

    «Le pietre restano pietre. Le tastiere detestano i suoni.
    I fogli non riescono a frusciare.

    Vogliono assenza e silenzio».

    7- Gino Rago
    Quadridimensionalismo

    La madeleine*. Il selciato sconnesso.
    Il tintinnio di una posata.

    Le chiavi di casa perdute in un prato.
    Diventano in noi la resurrezione del passato?

    Fanno riapparire il tempo nello spazio?
    […]
    Il passato si ripete nella materia grazie alla memoria.
    Il tempo perduto esce dalle profondità delle quattro dimensioni.

    Perché l’uomo è spaziotempo,
    al profondo, nel lungo e nel largo

    soltanto l’uomo lega ciò che è stato,
    il tempo perduto, il tempo passato.

    Gli infiniti punti dello spazio e gli infiniti istanti del tempo
    possono vibrare insieme solo nella Memoria.

    E il presente è la scheggia di tempo che ricorda il passato.
    La morte qui non c’entra.

    *La «madeleine» è il dolce di Marcel Proust

    I N D I C E
    dei nomi
    1) Cataldi, Alfonso Con monete sonanti

    2) Gallo, Giuseppe Alice: l’inverno sta arrivando

    3) Linguaglossa, Giorgio La notte è la tomba di Dio

    4) Petrillo, Marina Io diffuso ad Uno

    5) Popa, Lidia Dall’oblio, una colpa o forse una maledizione

    6) Rago, Gino La pipa di Jaroslav Seifert

    7) Rago, Gino Sul quadrimensionalismo

    Retro di copertina

    […]se dico che la poesia di Gino Rago, come quella della nuova ontologia estetica in generale, pesca nel concetto di costruzione quadridimensionale, non penso di dire una sciocchezza. La differenza tra una poesia di scuola tardo novecentesca italiana e, in genere, occidentale e quella della nuova ontologia estetica sta tutta qui: che la NOE costruisce con un concetto quadridimensionale dell’essere.
    Cogliere d’un colpo d’occhio: il passato, il presente e l’avvenire, non solo, ma anche il mio, il tuo, il nostro, il vostro «reale» in un unico flusso. Per riuscire in questo obiettivo occorre modificare non solo la semantica, ma forzare la sintassi, agire in profondità sulla modellizzazione secondaria del verso, ridimensionare fino ad annullare il ruolo dell’«io», quell’Ego puntiforme di stampo cartesiano che oggi è soltanto un antico ricordo; significa abolire il tempo lineare e aggiungerne altri, moltiplicare i tempi e gli spazi, moltiplicare le prospettive e i punti di vista.
    Scrivere una poesia secondo i principi della nuova ontologia estetica è infinitamente più difficile che scriverla secondo le categorie della ontologia unidirezionale della poesia italiana del secondo Novecento
    (Giorgio Linguaglossa)
    —————————————————-
    Un Anno Nuovo 2019 fecondo e sereno per tutti
    gr

  21. Il factum loquendi, il mero fatto che qualcuno parli in una lingua o in un’altra, è un fatto misterioso, che non può essere spiegato ma deve essere dato per presupposto. Se si dà il factum loquendi ciò implica che vi sia un soggetto parlante, solo la voce, la phoné può dar luogo al factum loquendi, la phoné significante, non il puro suono, il suono animale, il quale non significa nel senso del linguaggio umano.
    Il factum loquendi che avviene in poesia comporta il fatto che qualcuno parli e che parlando un linguaggio esso non significa propriamente quella cosa che indica perché il linguaggio poetico mostra ma mai indica, come avviene invece per il linguaggio referenziale. Il linguaggio poetico mostra il factum loquendi di un mondo che si apre alla comprensione.

  22. E’ vero, il distico sfronda senza per questo interrompere le descrizioni. In un certo senso sottolinea l’importanza del punto, che può rendersi atteso più che nel semplice frammento. Grazie al distico si possono ottenere sfondamenti nei campi semantici, che il frammento obbligherebbe a rendere brevi.
    Le immagini non avrebbero misura di parole. Per me il punto cruciale sta nel quid di poesia, più che nel senso; il quale comporta l’uso forsennato del linguaggio, oggi prosastico, in direzioni che sono indifferenti alla poesia.

  23. Dentro spazi regolari, Cézanne inizia
    la scansione del tempo.

    Le parole suore avanzano serie. Quei colori
    cosa vorrebbero dire?

    L’incubo di una ricerca senza scampo.
    Siamo alla fine di una storia. Ma non la conosco.

    Mi chiamano Cézanne perché mi vogliono bene.
    In realtà io dipingo solo mattonelle

    frammenti di giudizio universale. Non conosco
    l’imputato. A volte sono foglie, marine, fichi

    di una pianta di mimose. Percezioni, lampi
    di comprensione. Il mondo si attorciglia

    selvatico nell’equilibrio. Il tempo cambia colore
    quando passa da una dimensione all’altra.

    A cento metri da dove mi trovo adesso
    una muraglia di nero infinito.

    Il locale resterà aperto “fino alle ventuno”.
    Uno, due al bar. Poi se ne parte una motocicletta.

    Scintilla il traffico in lontananza. Resta
    una foresta di rumori acquatici.

    Singhiozzi di una poesia scritta in rosso:

    Ricordo le scale, il ballatoio.
    Te non ti si vede.

    C’è dell’acqua. Oltre il bicchiere un filare
    di alberi in controluce.

    Disegno l’abbozzo di uno sguardo tra le guance.
    Mi portano un vassoio con prese della corrente.

    Città sospesa. Navi nell’ombra.
    Il quarto fiammifero. La buia notte dei mutanti.

    • Tre giorni per scrivere questa poesia. Una volta non era così, scrivevo e basta. Invece adesso devo aspettare, anche se ho pause tranquille e fiduciose. Saranno i punti, il montaggio, sarà l’Ombra che di giorno in giorno si fa più esigente. Una certa maniera di rendere compatta la materia, cose da Gabriele. Il sound, che non è musicalità, di un linguaggio sferico, immateriale…

      • Alfonso Cataldi

        Il distico funziona un po’ come l’impasto per la pizza che fa la mia compagna. Ha una lievitazione di circa 48 ore, ma ogni tanto è necessario prenderlo, fare le pieghe, poi rimetterlo a riposare. Un rituale.

  24. Sì, ma il distico non è ragguagliabile al lievito di 48 ore, non bastano 48 ore per mettere a posto una poesia. Possono essere necessari 48 giorni, 48 mesi o 48 anni… ci sono in giro autopoeti che scrivono una, due, tre, quattro, cinque poesie al giorno, ma costoro non sono poeti, sono dei giocatori di pallone!, dei ciarlatani!, degli illusi! –

    Un aneddoto:
    Ricordo che il poeta coreano Ko Un (candidato al premio Nobel) riferì, durante una presentazione a Roma che durante un viaggio in treno da Firenze a Roma scrisse ben 5 poesie. Io che mi trovavo in platea ad ascoltare pensai subito che si trattava di un poeta di serie B, altro che candidato al Nobel! Per il semplice dato di fatto che non conosco nessun poeta del 900 che abbia scritto 5 poesie in un’ora e mezza di tempo. Ne dedussi che potevo fare a meno di leggere le sue poesie perché si trattava di un povero illuso e basta, uno degli innumerevoli letterati che circolano in tutti i continenti.

    In verità, non c’è nessuna ricetta che garantisca, come il lievito, la riuscita della focaccia, perché nessuno può sapere in anticipo quale sia la giusta durata del lievito. E se viene qualcuno che vi dice che la durata del lievito è questa o quella, si tratta di un buffone, di un ciarlatano né più né meno.
    Io, per mio conto e regola aurea, mi limito ad osservare il mio periodo di tempo di attesa di lievitazione, che varia da 5 o 6 anni in su…

    • Alfonso Cataldi

      Caro Giorgio,
      in effetti ti confermo che nemmeno la pizza viene uguale a quella precedente, perché ogni volta si ha voglia di cambiare qualcosa nell’impasto: il tipo di farina, la quantità di lievito, la tecnica (ce ne sono decine) e il bello sta proprio nello scoprire ogni volta cosa esce fuori. In quanto alla prolificità, credo di essere tra i meno produttivi dell’umanità. Conosco bene quei lunghi tempi di attesa, a me capita spesso di sentire l’attrazione tra un verso nuovo ed uno di anni prima, improvvisamente tornano a chiamarmi e con forza non so se sia questa la quarta dimensione.

  25. una poesia di Tadeusz Różewicz

    La caduta ovvero elementi verticali e orizzontali nella vita dell’uomo contemporaneo

    Tanto
    tanto tempo fa
    c’era un solido fondo
    che l’uomo poteva
    toccare

    l’uomo che vi giaceva
    grazie alla sua sconsideratezza
    o grazie all’aiuto del prossimo
    era guardato con spavento
    interesse
    odio
    gioia
    era additato
    ma egli a volte
    si alzava
    si risollevava
    macchiato e grondante
    .
    Era un solido fondo
    si potrebbe dire
    un fondo borghese

    un fondo era per le signore
    e un altro per i signori
    in quei tempi c’erano
    ad esempio donne corrotte
    screditate
    c’erano bancarottieri
    un genere oggi quasi
    sconosciuto
    il suo fondo aveva il politico
    il prete il commerciante l’ufficiale
    il cassiere e l’erudito
    un tempo c’era anche un altro fondo
    oggi esiste ancora un vago
    ricordo
    ma il fondo non c’è più
    e nessuno può
    toccare il fondo
    o restare in fondo

    Il fondo che rammentano
    i nostri genitori
    era una cosa costante
    sul fondo
    tuttavia
    si era
    specificati
    l’uomo perduto
    l’uomo smarrito
    l’uomo che
    si risolleva
    dal fondo

    dal fondo si potevano anche
    tendere le braccia chiamare “dal profondo”
    adesso questi gesti non hanno
    alcun senso
    nel mondo contemporaneo
    il fondo è stato rimosso

    l’incessante caduta
    non favorisce atteggiamenti
    pittoreschi posizioni
    salde

    Dedalo e Icaro W.H. Auden
    La Chute la Caduta
    è ancora possibile
    solo in letteratura
    nel sogno nella febbre
    ricordate il racconto

    sull’onestuomo
    non corse in aiuto
    sull’uomo che praticava la “dissolutezza”
    mentiva era schiaffeggiato
    per questa fede

    il grande defunto forse l’ultimo
    moralista francese contemporaneo
    ricevette nel 1957
    il premio

    com’erano innocenti le cadute

    ricordate
    le antiche
    Confessiones
    del vescovo di Hippo Regius

    C’era un pero nelle vicinanze della nostra vigna,
    che non allettava né per l’aspetto, né per il sapore.
    Noi giovani ignobili dopo aver tirato in lungo i
    nostri scherzi per le strade, secondo un’infame
    abitudine, ci recammo là, nel cuore della notte,
    per scuotere la pianta e raccogliere le pere.
    Ne cogliemmo una quantità enorme, ma non per
    farne una scorpacciata, ma per gettarle ai porci.
    Anche se ne assaggiammo qualcuna, fu solo per
    il gusto della cosa proibita. Ecco il mio cuore, Dio,
    ecco il mio cuore di cui hai avuto pietà, quando
    esso si è trovato in fondo all’abisso…

    “in fondo all’abisso”

    peccatori e penitenti
    santi martiri della letteratura
    agnelli miei
    siete come bimbi al petto
    che entreranno nel Regno
    (peccato che esso non ci sia)

    – Lei, padre, crede in Dio? – gridò di nuovo Stavroghin
    – Credo.
    – È stato detto che la fede sposta le montagne. Se uno
    crede e ordina alla montagna di spostarsi, quella si
    sposterà…mi scusi l’indiscrezione, ma m’interessa
    sapere se lei, padre, farà spostare la montagna
    .
    simili domande faceva il “mostro” Stavroghin
    e ricordate il suo sogno
    il quadro di Claude Lorraine
    alla Galleria di Dresda
    “qui vissero uomini bellissimi”
    Camus
    La Chute la Caduta
    Ah, mio caro, per l’uomo che è solo, senza
    dio e senza padrone, il peso dei giorni è terribile

    quel lottatore dal cuore di bambino
    immaginava
    che i canali concentrici di Amsterdam
    fossero un girone dell’inferno
    dell’inferno borghese
    naturalmente
    “qui siamo nell’ultimo girone”
    diceva a un compagno occasionale
    nel bar
    l’ultimo moralista
    della letteratura francese
    prese dall’infanzia
    la fede nel Fondo
    Doveva credere profondamente nell’uomo
    Doveva amare profondamente Dostojevskij
    doveva soffrire perché
    non c’è l’inferno il cielo
    l’Agnello
    la menzogna
    gli sembrava di aver scoperto il fondo
    di giacere sul fondo
    di essere caduto

    Invece

    il fondo non c’era più
    lo capì senza volerlo
    una signorina di Parigi
    e scrisse un componimento
    sul coito buongiorno tristezza
    sulla morte buongiorno tristezza
    e i lettori riconoscenti
    da entrambi i lati
    di quella chiamata allora
    cortina di ferro
    lo compravano
    a peso d’oro
    quella signorina signora
    quella signorina quella signora
    ha capito che il Fondo non c’è
    che non ci sono i gironi dell’inferno
    che non c’è il risollevamento
    e non c’è la Caduta
    tutto si svolge
    nel noto
    limitato spazio
    tra
    Regio genus anterio
    regio pubice
    e regio oralis

    e ciò che un tempo era
    il vestibolo dell’inferno
    fu trasformato
    da una letterata di moda
    in vestibulum
    vaginae

    Chiedete ai genitori
    forse ricordano ancora
    l’aspetto del vecchio Fondo
    il fondo della miseria
    il fondo della vita
    il fondo morale

    la “Dolce vita”
    o Cristina Keller
    viveva nel fondo
    il rapporto di lord Denning
    afferma
    tutto il contrario
    Il Mons pubis
    da questa vetta
    si stendono vasti
    crescenti orizzonti
    dove sono vette
    dov’è l’abisso
    dov’è il fondo

    a volte ho l’impressione
    che il fondo dei contemporanei
    si trovi poco sotto la superficie
    della vita
    ma forse è un’ulteriore illusione
    forse esiste ai “nostri giorni”
    la necessità di costruire
    un nuovo
    Fondo adatto
    alle nostre necessità

    Mondo Cane
    perché questo quadro mi fece
    una grande impressione che cresce ancora
    che cresce sempre
    Mondo Cane ein Faustschlag ins Gesicht
    Mondo Cane film senza stelle
    Mondo Cane
    dove si mangia si balla si uccidono gli animali
    “si fa l’amore” si balla si prega si muore
    colorito reportàge
    sull’agonia
    sull’agonia dei vecchi
    sulla cucina cinese
    sull’agonia di uno squalo
    sui condimenti
    sull’uccisione delle vecchie
    automobili
    ricordo lo schiacciamento delle forme
    lo schiacciamento del metallo
    il frastuono e lo stridore
    l’annientamento delle carrozzerie
    le viscere metalliche dell’automobile
    il cimitero delle automobili
    un altro modo di dipingere
    i quadri a ritmo di musica celeste
    a Parigi l’impronta del corpo su tele bianche
    il velo di santa Veronica
    i volti dell’arte
    le bocche dei milionari e delle loro donne
    la frittura di formiche insetti e larve
    neri mucchietti in scodelle d’argento
    le labbra di chi mangia
    labbra rosse in Mondo Cane
    grandi lucide labbra rosse
    si muovono in Mondo Cane

    Poi è iniziata la discussione
    sul capitolo III dello schema relativo alla Chiesa
    al popolo di Dio e al laicato

    Il cardinal Ruffini
    ha spiegato
    che il concetto di Popolo di Dio
    è assai impreciso
    poiché il III capitolo
    non ha ottenuto la maggioranza qualificata
    dei voti è stato rinviato
    alla Commissione Liturgica
    per essere riesaminato

    C’era un pero nelle vicinanze della nostra vigna, che non
    allettava né per l’aspetto, né per il sapore…confessò Agostino

    avete notato che
    gli interni delle moderne case di Dio
    rammentano
    la sala d’aspetto di una stazione
    ferroviaria di un aeroporto

    Cadendo non possiamo
    assumere la forma
    di una posizione ieratica
    le insegne del potere cadono di mano

    cadendo coltiviamo i nostri giardini
    cadendo alleviamo i figli
    cadendo leggiamo i classici
    cadendo eliminiamo gli aggettivi

    la parola cade non è
    la parola adatta
    non chiarisce il movimento
    del corpo e dell’anima
    in cui scorre l’uomo contemporaneo

    le persone ribelli
    gli angeli dannati
    cadevano all’ingiù
    l’uomo contemporaneo
    cade in tutte le direzioni
    contemporaneamente
    in giù in alto di lato
    a forma di rosa dei venti

    un tempo si cadeva
    e ci si rialzava
    verticalmente
    adesso si cade
    orizzontalmente

    (1963 in Volto terzo, 1968)

  26. Una poesia che improvviso qui: durata di composizione, 5 minuti

    il sombrero verde brillante con nastri blu
    qualcuno lo aveva mandato via posta

    alla sorella Tatiana in un pacco decorato
    con foglie di acanto ed iris…

    lo vidi poi sui capelli di Madame Hanska
    mentre suonava il pianoforte nel boudoir, intorno le case

    bruciavano tra i lampi… «Sua Altezza può provarlo»,
    disse il maggiordomo, lo ripetè in tedesco

    «Durchlaucht können anprobieren!»…
    l’ampia vetrata ricamata dava sul giardino in fiamme.

    «Fumo soltanto le Astor con filtro», replicò il tenente
    mentre piegava il biglietto tra le dita

    «tutto è perduto, tranne l’onore,
    o forse anche quello…»; «non so, non saprei,

    chiudi la porta, chiudi sempre la porta alle spalle,
    c’è sempre una porta, da qualche parte…»

  27. Giuseppe Talia

    Ho sognato i pipistrelli.
    Erano dei menestrelli con ali ripiegate.

    La stanza bianca, poco illuminata.
    Una seggiovia di broccato.

    La sera indosso sempre il kefiah.
    La dishdasha da fashion man.

    Perché? Perché Tony è volato a Istanbul
    mentre io smonto l’albero di Natale.

    (Dieci minuti circa, per la scrittura. E dire che sono immagini di sogno che ho sognato veramente)

  28. Vedi come le cose ci aiutano. In questo caso l’albero di Natale. Altrimenti chissà dove andremmo a parare, la mente è insondabile. Complimenti, Giuseppe.

  29. l’ultima volta che lo vidi fu a Marsiglia,
    all’hotel “Bella vista” in compagnia di H.; mi domandò:

    «se tutto va storto, hai qualcosa da perdere?».
    In quei giorni noi tutti avevamo qualcosa da prendere…

    gli mostrai le tasche: «sì, ho 62 compresse di lipofil.
    possono bastare?»;

    il giorno prima della mia partenza, lo salutai alla stazione
    «non dimenticare di prenderle»,

    gli sussurrai all’orecchio…

    [tempo di stesura, 7 minuti]

  30. Trabocca di vin brulè anche l’asfalto. Il freddo
    nelle ossa dei bimbi è insopportabile.

    Ma siamo sullo stesso tranvai. – Capodanno!
    disse il conduttore. Siamo arrivati.

    A quel punto, Marta e io ci levammo di torno.
    Ciascuno nel proprio dormitorio. – Scrivimi…!

  31. A questo punto perché non scrivere gli haiku che richiedono meno di 5 minuti? La poesia la si può lasciare nel freezer per anni e ricomporla d’accapo, irrobustendola con altri pensieri. Ma è sempre un lavoro di grande impegno.Ciò che ho letto può essere ulteriormente allargato, con varie simultaneità intrecciate.Non abbandonate questi versi, anche se vi siete divertiti! La poesia non è un gioco.

  32. Giuseppe Talia

    Per mia personale esperienza, gli haiku richiedono ben più di 5 minuti per la composizione. Più corti sono i versi e, paradossalmente, più lunga è la gestazione e la scrittura stessa, sempre se si vuol scrivere roba di qualità.

    Ho iniziato a scrivere le Vocali Vissute nel 1992, dopo aver capito che bisognava tenere la barra dritta. Pubblicate nel 1999. Dal 1992 al 1999, ogni rilettura confortava e qualche volta sconfortava e i pochi sedimenti venivano via via eliminati.

    Thalia, invece, l’ho scritto in 15 giorni, come un flusso. In origine era un lunghissimo poema. Poi sezionato. Ci ho messo circa un anno per raggiungere la destinazione finale. E la domanda principale che mi ponevo ogni qual volta aprivo il file era: resisterà nel tempo questa ovvietà?

    Altra cosa La Musa Last Minute, tre mesi di lavoro serrato. Ma avevo dalla mia il plot, sapevo dove andare a parare e, inoltre avevo un referente, Giorgio Linguaglossa, che ha messo mani in alcuni testi, tanto che ripeto sempre che egli è molto, molto più spregiudicato di quel che io potessi pensare.

    Ultimamente, ho sottoposto un testo a Giorgio, scritto di getto in pochi minuti (quando lo stato di grazia, o la Musa), che era un magma. Un testo dalle alte potenzialità, lo sentivo, ma troppo carico, per cui nella eccitazione iniziale, inviatolo a Giorgio, Giorgio ha pesato bene di epurarlo dai rami secchi.
    Questo per dire che il poeta può avere uno stato di grazia. Che lo stato di grazia deve necessariamente passare per un confronto: che sia una sedimentazione oppure un suggerimento da un altro terzo.

    E la poesia, certo, non è un gioco.

  33. condivido il pensiero di Mario Gabriele,
    le cose che ho improvvisato sopra, sono delle tracce, degli esercizi, delle tessere di un futuro «polittico» molto più complesso; tutti questi spezzoni linguistici devono dormire (o lievitare) per molto tempo, anche per anni, devono entrare in altre composizioni più vecchie, chi lo sa, oppure devono uscire dal vecchio e indirizzarsi verso composizioni che ancora non abbiamo scritto, ma che scriveremo… il Tempo, il Fattore T., è un protagonista attivo della poesia contemporanea, così anche lo Spazio, il Fattore S…. Così anche la molteplicità degli Spazi, i Fattori S., il Tempo interno e il Tempo esterno… tutti questi Fattori sono elementi attivi della poesia contemporanea, se non si entra in questo ordine di idee si fa epigonismo, maniera, si continua a scrivere delle cose già scritte da altri innumerevoli volte con il beneplacito degli innumerevoli epigoni e la benedizione del gusto corrente…

    • La struttura del distico è la più elementare struttura relazionale, è la base di tutte le altre strutture, è anzi la superstruttura che tutto struttura. All’interno delle due linee, c’è il vuoto, quel vuoto che «sostiene» le linee delle parole. Voglio dire che può scrivere in distici soltanto chi percepisce nitidamente la presenza del vuoto tra le due linee. Soltanto un poeta della nuova ontologia estetica può avere quella sensibilità che gli permette di scrivere in distici, perché lui sa per istinto, percepisce per istinto la presenza del vuoto.

      Così ho scoperto che moltissime tra le mie poesie riuscivano molto meglio se le suddividevo in distici perché con quella struttura il testo acquistava maggiore leggibilità e forza polisemantica, e mi erano più chiare anche le zeppe o le parole di troppo che avevo messo in precedenza; in sostanza, la struttura mi forniva la guida per la iscrizione delle parole, una guida molto più funzionale di altre strutture che invece mi complicavano la scrittura e non mi permettevano di distinguere là dove avevo detto troppo o troppo poco. E così ho scoperto che il distico mi forniva un regolo formidabile.

      L’effetto di straniamento è l’esercizio spirituale del poeta della nuova ontologia estetica, accondiscendere attivamente alla pratica dell’effetto di straniamento sancisce la ingovernabilità dello stato di estraniamento permanente, un vero e proprio abito di vita, una pratica ascetica di vita.

  34. Oggi, mentre spaccavo legna per la stufa, pensavo ai tre anni di poesia che dovrei rivedere. Sarebbe l’ennesimo tentativo… Quindi sono stato attento a tagliare ceppi di uguale misura, li ho impilati in bell’ordine lungo il muretto dell’orto, sono rientrato e…
    Mi capita spesso di voler fare qualcosa di utile per l’uomo che sarò tra un’ora, tra un giorno o tra un anno. Quando accade, vedo intorno a me tante facce dubbiose. Quindi ho pensato all’opera di Maurizio Cattelan, Charlie don’t surf…
    Le opere d’arte visiva nascono, si fanno e ti dicono loro quando sono finite. Dopodiché non si lasciano più toccare, nemmeno dall’autore. Dovrebbe essere così anche per la poesia. Che razza di artista è quello che sempre rivede, cancella…

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