
Caro […] le idee sono gratis, chi vuole se le piglia, le idee esercitano seduzione, nascono, si diffondono, dilagano, chi pensa di arrestarle è un ingenuo, e anche uno sciocco…
Sandro Penna «chiude» la tradizione lirica del primo novecento, quella facente capo a Saba e al primo D’Annunzio di Primo vere (1880). Il suo spazio espressivo è fondato sulla tradizione melodica e sulla sintassi lineare, sfruttando di queste componenti le qualità melodiche ed eufoniche. È il tipico poeta che viene dopo una grande tradizione melodica, che vive e prospera sulla immediatezza melodica ed eufonica di questa tradizione portandola al suo livello più compiuto.
Lo schema metrico è fondato sugli endecasillabi, due strofe di cinque versi, con assonanze dissonanti (veduto-sentito) e opposizioni concordate (l’azzurro e il bianco).
Una poesia Sandro Penna
La vita… è ricordarsi di un risveglio…
La vita… è ricordarsi di un risveglio
triste in un treno all’alba: aver veduto
fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell’aria pungente.
Ma ricordarsi la liberazione
improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l’azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore.
(da Poesie, a cura di C. Garboli, Garzanti, Milano, 1989)
Più che parlare di «spazio espressivo integrale» io qui parlerei di una omogeneizzazione stilistica che proviene da una lunga e felice tradizione melodica.
Tenterò di spiegare il nuovo «spazio espressivo integrale» nella poesia di Tomas Tranströmer. Quando parlo di «spazio espressivo integrale», intendo una costruzione poetica che «apre» ad uno sviluppo stilistico, cioè ad una forma-poesia fondata sulla eterogeneità lessicale, pluristilistica, multiprospettica, multitemporale e multispaziale; intendo un nuovo tipo di poesia che è stata inaugurata in Europa, come sappiamo, da Tomas Tranströmer con 17 poesie (1954) una forma non più lineare melodica ma fondata sulla profondità spaziale e temporale del costrutto, in cui le immagini sono collegate in modo da enuclearsi l’una dall’altra. Leggiamo una strofa di Tranströmer:
Il risveglio è un salto col paracadute dal sogno.
Libero dal turbine soffocante il viaggiatore
sprofonda verso lo spazio verde del mattino.
Tranströmer non scrive: «La vita è un ricordarsi di un risveglio», ma salta la perifrasi e va direttamente al «risveglio». Scrive: «Il risveglio è un salto col paracadute dal sogno». Qui siamo all’interno di una costruzione multiprospettica: l’equivalenza introdotta dalla copula «è» introduce non una identità ma una dissimiglianza, una non-identità: è il «sogno» che viene ad occupare il posto centrale della composizione, il suo peso specifico all’interno della composizione è talmente forte da deformare la composizione stessa facendola sbilanciare verso la significazione dell’inconscio. Infatti, il secondo verso non si muove più lungo la linea della dorsale unilineare della melodia monodica (tipica di una certa tradizione cui appartiene Sandro Penna), ma introduce una complessificazione, il soggetto diventa «il viaggiatore» (anche questo attante dislocato a fine verso), il cui peso specifico viene molto accentuato dalla dislocazione a fine verso. Il risultato è che l’equilibrio dinamico e semantico (la significazione primaria e secondaria) del primo distico viene ad essere sbilanciato verso la fine verso. Il terzo verso introduce una formidabile amplificazione e intensificazione multi prospettica nel componimento, lo spazio della composizione si apre a ventaglio come a seguire il moto discendente del «viaggiatore» che si è lanciato dal paracadute, o che si è lasciato cadere dal e col «paracadute» nel vuoto dell’atmosfera.
Ma qui il poeta non nomina affatto il vuoto e l’atmosfera che si aprono davanti al volo del «paracadute», è sufficiente aver articolato la composizione intorno ai due attanti «pesanti» («sogno» e «viaggiatore»), sono essi ad aprire la composizione verso una pluralità di punti di vista spaziali, infatti il lettore vede con i propri occhi il discendere del «viaggiatore» che si getta col «paracadute» «dal sogno» verso le insondabili profondità dell’inconscio. Il «viaggiatore» non può che scendere in verticale: «sprofonda»… dove? «verso lo spazio verde del mattino». Qui, con una formidabile accelerazione Tranströmer indica il lento affiorare della coscienza che si riprende gli abiti del giorno e scaccia nell’oscurità i fantasmi del «sogno», ricaccia indietro il mondo multiprospettico e labirintico dell’inconscio. La parola che chiude la terzina è «mattino». Il «mattino» ricaccia indietro il mondo di fantasmi dell’inconscio e restituisce alla coscienza il dominio sull’io.
Da questa breve analisi si rende evidente che in questo caso lo «spazio espressivo integrale» della poesia trastromeriana non è più fondata sulla equivalenza del principio di identità («è») e sulla simiglianza dissimiglianza tra tutti gli attanti come nella poesia eufonica e melodica di Sandro Penna, in Tranströmer lo «spazio espressivo integrale» trova applicazione dal, se così possiamo dire, principio di multiprospettiva e di non-identità tra tutti gli attanti (sogno, viaggiatore, mattino) i quali obbediscono ad una diversa ed evidente filosofia della composizione. Con 17 poesie di Tranströmer la poesia europea è cambiata per sempre, penso che i lettori non possano che convenire.
Leggiamo quest’altra strofa:
Entrammo. Un’unica enorme sala,
silenziosa e vuota, dove la superficie del pavimento era
come una pista da pattinaggio abbandonata.
Tutte le porte chiuse. L’aria grigia.
Lascio ai lettori la lettura di questa strofa secondo i nuovi criteri ermeneutici della «nuova ontologia estetica», ovvero, secondo il nuovo concetto di «spazio espressivo integrale».
(Giorgio Linguaglossa)

Carlo Livia, Aleph, Roma, 2017; seduti: Antonio Sagredo, Sabino Caronia, Salvatore Martino
Carlo Livia
La prigione celeste
Dalla finestra di Mozart vedo la donna nuda che beve lacrime divine in un cielo di astri divelti
e un vecchio bambino pazzo che trascina ridendo l’anima del Grande Assente.
A forza di dormire sull’orlo del precipizio, la mia anima si è mutata in sette serafini ciechi
che baciano in sogno l’infelice sposa dell’Ultradio.
Ho attraversato tutto l’universo, cercando quella fessura del tempo da cui affiora la morte
ma ho trovato solo lo splendore delle madonne silenziose votate al blu.
Tutti i tabernacoli sospesi in alto mare s’inclinano lottando contro un vento di frasi fatte
e versano in cielo una musica di carezze e desidèri di fanciulla,
tristi come la voce che mi sfiora in sogno
per dirmi che non è più qui.
Lucio Mayoor Tosi
Anche i lettori con mentalità distorta avrebbero diritto a una poesia
a loro familiare. Moderna, coi mobili a soffitto,
la ruota gravitazionale, i robot che fanno colazione a letto.
L’Arma dei Carabinieri.
Figurativamente, l’interno di un televisore. Tieni fermo il cane.
Si abbracciano le cose intorno. Il lento affermarsi della gratuità.
Un gruppo di pennelli dentro il loro vaso di vetro aspetta
l’arrivo del pascià. Il quale con lo sguardo giallo di un gatto nero
sta fissando la punta sopra di una mezza luna.
Ancora un graffio, un’unghia…
(may-nov 2018)
*
“Uno” è la goccia di luna licantropa che si nasconde
nel perfetto buio della notte di Halloween.
La notte che ti guarda dai vetri.
Uno sta piangendo forte.
Va capito. Aspettiamo che finisca; anche se,
in quanto vivi in una bolla gelatinosa d’aria,
abbiamo poteri limitati. Uscire da noi stessi
per dare soccorso, ad esempio.
Uno si lascia toccare le spalle dagli esseri onnipresenti
che abitano tutte le dimensioni dell’universo;
esseri che farebbero di tutto pur di darsi nelle forme
desiderate da chiunque. Due mani di vento, il soffio
di lunghe carezze; quelli che tornano a cercarti
travestiti da ricordi – segno che ti sono ormai vicini.
Tu sei fatto di ricordi. Non sei umano,
sei una scultura. Per questo dicevo prima di un palazzo.
E ci sono al mondo palazzi vuoti, disabitati. Alcuni
vere galere. E non hanno porte. Ma tanti altri sono abitati.
Dalle mie parti siamo folletti. E ora
che ci siamo divertiti. E ora che ci siamo divertiti.
(may-ott. 2018)
Guido Galdini
[Un contributo ciclistico cultural politico]
era uscito dal gruppo nel 63
per tirare la volata al capitano
ma quando si è girato alle sue spalle
non era rimasto più nessuno
così è stato costretto
a vincere la tappa il tour il premio Nobel
la presidenza del consiglio si è
congratulata (a quei tempi ce n’era una).
.
Giuseppe Gallo
Ai tempi di Internet
COLESTtab 10. Avvertimenti medici.
Nessun io, nemmeno un dio.
È inutile che cerchi divagando
dentro il garage. È partita per Marrakech.
Nel bagagliaio cianfrusaglie e riviste.
La linguaccia di Einstein. Uragani di aguglie.
Gli scarti dei lamenti e delle emicranie
nelle scatole rosse e bianche degli scaffali.
Gli effetti collaterali. I soffocamenti,
la dispersione dei fonemi tra i rossori e i formicolii sulla pelle.
Lilli ha nuovi fantasmi, nuovi inferni nella testa.
Agiografie di martiri, le croci inginocchiate.
Camule sul dorso di draghi
pelurie sradicate sulla guancia di destra e di sinistra.
Ai tempi di Internet
la lastra a raggi x per l’enfisema già antiquata.
LEGALON E
Non escono all’aperto neanche i gatti dei cani
Sui litorali i delfini, gli africani berberi insabbiati.
Deficienza dell’orientamento.
II robot nella sala d’attesa dello psicologo.
Gli schemi, gli ologrammi. Gli angeli spiumati.
Qui non si fanno favori né sconti alle emozioni.
Siamo entrati in questa sala per vedere il niente.
Era solo un precipizio di sentieri ininterrotti!
Autostrade che procedono all’infinito contorcendosi su se stesse.
In spirali anaformiche in dirottamenti periferici
craking e dissonanze, convergenze casuali.
Ai tempi di internet
i sorrisi della giostra defunta.
Lo specchio, una plastica, un fiore da incartare e poi scartare
Eutirox ® 50 microgrammi.
Delirare per una tazza d’azzurro.
Desiderio di ombre senza polvere addosso.
Ed il pensiero germina? Agonizza?
O c’è qualcosa antecedente che lo costringe ad essere?
“Brutta storia!”
“Non brutta, bruttissima!”
Ai tempi di internet obsolescenza programmata.
Lapidi per chi inarca cavalli e insegue automobili.
Forse resiste il gufo invisibile e oscuro
e l’illusione del fuoco per continuare a bruciare…
.
Edith Dzieduszycka
Alle porte del tempo sta bussando fremente
un altro inverno
un altro inverno o
l’Inverno?
di grisaglia lamé ingobbito sull’uscio avanza
prepotente
ha smembrato le foglie
fuggite qua e là intasando i tombini
ossa nere branditi i rami denudati
terrazzati gli alberi mikado gigantesco
tra roghi divoranti se la ride
Nerone, noi blaterando certi che il folle sia lui
perdiamo i capelli ci divora la fretta
l’oro nero scarseggia compensiamo con armi
sprofondiamo nel buio delle contraddizioni in cui
uno uguale uno non canta ma nitrisce
sull’uscio della mente sta bussando
l’Inverno ma nessuno che sembri essersene accorto
persa parola chiave
la Consapevolezza dentro cunicoli dove fischia il vento
smarrita nullificata a lei connessa
l’altra parola – Assurdo – incisa sulla cornice.
novembre 2018
Marina Petrillo
[20 novembre 2018 alle 16:37]
La luce in obliquo spegne l’ansimato giorno.
Vettore di assenza tra parole
infisse al filo spinato dell’intelletto.
Vacuo il ragionare su altra sponda
ove, solo a tratti, si intercetta
il nesso causale.
Canone inverso dell’apologo
sottratto al rumoroso tedio
dell’esatta misura.
Un cenno
e, ancora resta sospesa in arco
la comprensione, cubico assenso
evocato a schema logico.
Apostrofo, il suo doppio,
in raggio sovramentale.
Ad inciampo rovina
il peregrinante concetto.
Si dissipa in lampo l’ovvia
intuizione che, china,
scorge il calco di ciò che è stato
in smarrita poesia.
(Non sono mai esistita abbastanza)
.
Sabino Caronia
La bona nova
Se sa, l’amico se la lega ar dito
ma mo, dice, se so pacificati;
che casino, ma mo tutto è finito,
mille scuse e se so pure abbracciati!
Tra tante delusioni e fallimenti
sta bona nova proprio me consola;
me dispiaceva che, tra pene e stenti,
sta pora fija me restasse sola.
C’è chi dice che, prima de fa pace,
l’amico nostro j’ha fatto l’esame
pe’ vede’ se sta donna era verace.
Dice che ne lo scritto è annata male
però, va mormoranno quell’ infame,
che s’è sarvata co la prova orale.
.
Gino Rago
L’eco di Eeva-Liisa Manner
[la cicatrice del tempo nello specchio]
Cara Signora Manner,
Se non a Lei a chi altri confidare
che la flanella dell’infanzia era morbida
quando il Tempo di Newton non ci disturbava.
Dalla Finlandia un sibilo nel mio dormiveglia:
«La Poesia è l’eco che si ascolta quando la vita è muta».
E’ Lei ogni notte quell’eco.
[…]
Il mio amico di Istanbul in un verso ha scritto:
«La notte è la tomba di Dio e il giorno la cicatrice del dolore»
La cicatrice del dolore,
è quella di Ewa, la stessa cicatrice che vede nel suo specchio?
[…]
«Quale specchio?» Lei giustamente chiede,
«Lo specchio dove il tempo si incrina
e Greta Garbo assomiglia a Socrate…»
Non mi dà la risposta, che importa,
importante è che io ponga domande
.
Giuseppe Cornacchia
[Ho smesso da tempo ma ci provo, riorganizzando in distici una mia passata che forse sta a tono. Saluti e di nuovo buon lavoro con la NOE. Giuseppe]
*
L’ardore risuscita i morti, galvanizza,
trasfigura merdine in condottieri,
piante rigogliose di floride radici;
l’argilla nella betoniera, il silicio,
il pietrisco inconsistente, il legamento,
l’acqua piovana in taniche assai coraggiose.
L’amore sventra, osservò Delacroix,
bisogna cogliere il suicida mentre cade
per rubargli la vita sulla tela.
Delacroix sventra, rimarcò Baudelaire.
“È la maitresse più esigente che conosca”
-l’arte- ammetteva, non voleva amanti.
Povero Warhol che se ne riempiva,
povero Bohr nel suo modulo astratto
e povero Einstein, veloce, troppo,
dovendo fare l’occhio a tante cose
mentre Cassano intossica pazienti
con intrugli da stregone (meccanicista!).
— da Cinquanta Poesie, 2015, Lampi di Stampa —
.
Mauro Pierno
Si incantano incompetenti.
Le ore sovrapposte a ridosso delle porte
intessono coperte patchwork. Nei ghirigori
della costruzione onirica ti sei addormentato
anche tu! Dopo aver saltellato un canguro si ripose nell’astuccio dei colori. Rideva.
Tutti ridevamo nel sonno profondo del letargo.
La storia era allora un fossile disperso.
Giorgio Linguaglossa
Il bacio è la tomba di Dio
La torre del faro nella pianura di neve.
«Il bacio è la tomba di Dio».
C’erano scritte queste insensate parole
sopra l’ingresso della torre…
Ma forse non era quella la torre ma un’altra
che si trova in Siberia, nei pressi del polo artico
dove sorge un’isba; nell’isba c’è Evgenia Arbugaeva
sulla sedia a dondolo, osserva la distesa di neve.
Un pianoforte a coda nella neve suona Lux Aeterna di Ligeti.
C’è scritto: «Hic incipit tragoedia» e, nello spartito,
le parole di Ubaldo de Robertis sull’universo ad anelli.
[Nell’universo c’è un punto. Uno solo, così trascurabile…]
La musica incontraddittoria si solleva dalla neve eterna.
Diventa luce.
[…]
La gondola è vestita a lutto. Carica di morti. Affonda.
Nella picea onda del Canal Grande.
Ponte degli Scalzi.
L’appartamento di Anonymous sul Canal Regio.
Uno spartito aperto sul leggio: La lontananza nostalgica.
Il vento sfoglia le pagine dello spartito.
[…]
Tre finestre. Lesene bianche. Canal Regio.
Due leoni all’ingresso divaricano le mandibole.
[Se ti sporgi dalla finestra puoi quasi toccare
il filo dell’acqua verdastra. Laguna di vetro.]
[…]
Madame Hanska si spoglia lentamente nel boudoir.
Ufficiali austriaci giocano a whist mentre il Signor K asserisce:
«il tavolo cammina e non cammina perché la contraddittorietà
non può violare il principio di non contraddizione.
Il PNC è auto contraddittorio, non potrebbe essere altrimenti;
mi creda, Herr Cogito, anche i suoi pensieri,
picchi di luce eterna, sono auto contraddittori, collidono,
a sua insaputa, con altri suoi pensieri antecedenti…».
[…]
«L’universo è il cadavere di Dio e noi i suoi vermi.
Anche le parole che ora diciamo, il vento nella sua rovina
le porta via».
[…]
Sulla parete a sinistra del soggiorno e in alto sul soffitto
è ritratta la Peste.
La Signora Morte impugna una pertica
che termina con una falce.
Ammassa i morti e taglia loro la testa.
E ride.
Ritto sulla prua il gondoliere afferra il remo.
E canta.
[…]
Lassù, in alto, strillano gli uccelli e brindano le stelle.
Wagner e List giocano a dadi
in un bar nel sotoportego del Canal Grande.
Tiziano beve un’ombra con la modella
dell’«Amor sacro e l’Amor profano».
[…]
Madame Hanska al Torcello riceve gli ospiti
nel salotto color fucsia.
I clienti della locanda del buio brindano alla felicità
i calici di Murano scintillano.
[…]
Dio bussa alla porta d’ingresso; dice:
«posso aggiustare il rubinetto,
sistemare la lavastoviglie, riparare il frigorifero,
darle l’indirizzo di una casa di appuntamenti,
ho anche dei numeri per il Lotto…».
Incredibile, disse proprio così.
[…]
Ed entrammo in una stanza bianca, un pianoforte nero al centro.
Un bambino vestito di bianco suonava qualcosa
che i miei cinque sensi non percepivano.
Una voce dal parlatorio diceva:
«Il re morto è un dio vivente, il dio morto è un re che vive,
la tomba del re è la casa del dio
che si è dimenticato di essere un dio…».
Fu a quel punto che quelle parole inaccessibili risuonarono in me
mentre calpestavo il pavimento di linoleum bianco…
[…]
Una grande vetrata si affaccia sul mare veneziano.
“Non c’è anima più viva”, pensai, ma scacciai subito
quel pensiero molesto.
Una sirena cantava dalla spiaggia dei morti:
«Non c’è più lutto tra i morti».
«Non c’è più lutto tra i morti».
Francesca Dono
Facevano bingo e altre stronzate ogni giorno della settimana. Porca puttana tutti attorno a un solo tavolo. Sotto la polvere dei numeri. -Hei, datti una mossa _ dice il capo.
La Bambi con il naso screpolato ha perso le scarpe all’improvviso. Anche lo smalto e il fondotinta sul pavimento opaco. Seccature d’inverno. Il terzo uomo tossisce dietro la tenda.
Le micropalline sulle unghie rimbalzanti . Chiedi al vecchio Cash un pezzo d’osso . La guardia diamantina della porta. I giocatori non mollano niente.
Appena un perimetro affollato. In pianura l’ hinterland è stato confuso al resto del presepe. Una volta c’era il verde.
Carissimi amici, posto qui di seguito alcuni testi che, almeno nelle intenzioni, rientrano pienamente nel registro di ricerca che ci coinvolge e accomuna (pur sempre ognuno nella fedeltà al proprio mondo e stile).
Qui in particolare, in testi tratti dal mio ultimo lavoro Viola norimberga (Progetto Cultura 2018), apparirà chiaro come il tema etico è, congiuntamente, un tema ontologico se è vero che il rispetto della realtà è il fine ultimo dell’etica…
Letizia Leone
Dal libro ti chiamo
Ore undici e venti di un martedì del 2016.
In una sala d’aspetto planetaria sette persone in attesa rischiano l’assideramento per luce. Luce bianca che tiene svegli.
Ogni cinque minuti mi assesto dentro lo scafandro dei vestiti invernali.
Questa grande stanza a Roma est è come un vecchio ufficio di Scotland Yard dove all’incrocio di due sedie si può deporre qualche chiacchiera democratica. Sul tavolo riviste e giornali ma dalla libreria di noce in fondo alla parete è saltato un libro: “Medicina disumana”. Ho allungato una mano.
La libreria è infestata di sabbie mobili. Si apre la via ai morti mentre aspetto di entrare dal mio medico curante. Si apre la via ai morti sebbene questa non sia la luce dei sotterranei gotici, torce e topi ma luce assiderata del 2016.
Io e qualcuno che non c’è.
Ci sussurriamo all’orecchio cose inconfessabili da un secolo all’altro.
Dire ciò che accadde ben protetti da questa parte. Dal vetro anti-proiettile del tempo che ci separa dagli spari.
La Poesia è in grado di restare viva e in piedi di fronte alla Storia.
“I miei pensieri succhiano il sangue alle immagini”: resto sgomenta di fronte a questa mia frase che Heiner Müller ha scritto prima di me.
Voglio complimentarmi con Carlo Livia per aver saputo declinare quel suo surrealismo, che per me era fin qui di maniera e piuttosto decorativo, in forma narrativa e frammentata. Il connubio tra frammento e narrazione crea l’estetica NOE, almeno su questo non ho dubbi.
L’Invito a postare una propria poesia è rivolto a tutti coloro che, in varia misura, pensano di poter condividere il tragitto fin qui fatto o il percorso che rimane da fare verso una «nuova poesia» che in Italia stenta a prendere piede. Pensiamo in modo nuovo la «nuova poesia», diamo uno scossone alla poesia di scuola…
Pagina, questa odierna de L’Ombra, destinata, per forza poetica presente in tutti i versi pubblicati, a lasciare una traccia indelebile nella storia della poesia contemporanea.
Complimenti a tutti gli autori, a tutte le autrici antologizzati/e. Un pensiero particolare a Letizia Leone per il suo ritorno al vero ovile della poesia italiana, vale a dire L’Ombra delle Parole, fucina permanente di poesia.
gr
Un caro saluto a tutti. Da novellino posto questo mio testo. Lascio a voi i commenti, i consigli eccetera eccetera… Ecco qui:
Luccichio in neon. Una lampada.
Come di scontro con l’interno di carte da snack
in un orticello infantile.
-Piroga rinchiusa indentro un bottiglione
-debellata con branchie di piranha-, di vino
benché risiedano residui goccioli.
Pelle di selvaggina. Chiodi. Fili di ferro la piroga-.
-Cenotafio o semenza per colture?-. Il Dottore.
Il paziente ribadisce ciò su cui s’è concentrato.
-Lei ha un pugno di mosche-.
Sulla scrivania i reperti sovraccarichi a macchiette,
sfogliati dall’aria condizionata. Bach al di là della stanza.
-E lei non ha compreso le gocce
scordate dai piranha-.
Bravo Bedin! Vedo che hai lasciato il progetto a cui eri affezionato.
Grazie. Si è vero, credo che il distacco si sia verificato magnificamente benché ci sia ancora tanta strada da percorrere. Posso chiedere come le sembra il testo?
Il testo poetico è ben riuscito. Rientra nei canoni della nuova ontologia. Con questo codice d’accesso puoi sviluppare ulteriori testi, introducendo pezzi di frammenti e connessioni ad un pensiero breve e conclusivo, secondo gli scatti di illuminazione, ma tutto all’interno di una impalcatura strutturale, resistente ad ogni fragilità estetica.
Seguendo le istruzioni del caro Gino Rago, che invita sempre a far parlare i testi, partecipo a questo ensemble della NOE
Il condono delle parole
«Il grillo parlante in emojitaliano è un cappello da laurea più una tromba»
La docente di non-matematica interpreta l’umore della classe
scrivendo le non-equazioni di primo grado multiculturale
il glossario si aggiorna tutti insieme a fine ricreazione.
La comunità scientifica si stringe virtualmente
attorno al cambio di rassegnazione.
Un flash mob negli uffici del lavoro intona “bella ciao”
e nessuno degli astanti oppone resistenza.
L’enormità è un compito inglorioso.
la perìstasi implode sulla nuda necessità.
L’insegnante di danza contemporanea è entusiasta della lezione di prova
«Sua figlia è un portento, ha linee pulite che tagliano i fondi a parole traballanti»
18/11/2018
Gino Rago (3 Inediti)
3 Lettere (mai spedite) di Fiorenza M.
a Giorgio Linguaglossa e a Rossella Farnese
1) Prima Lettera
Caro Giorgio Linguaglossa, cara Rossella Farnese,
sono Fiorenza M., ho ereditato le carte
della mistica della perfezione, della donna filocalica,
come in certi ambienti si diceva di Cristina Campo.
Le carte di Cristina-Vittoria sono rubini.
Eccone uno per voi due,
la lettera datata 25 giugno 1956.
“Mi scusi se ho tardato a risponderle.
Ho voluto vedere quasi ogni giorno la Signora Alvaro.
[…] Di Alvaro mi è sempre più difficile dire.
Tento appena di decifrare questa storia,
che mi ha travolta in 2 mesi fino al limite di una vita.
Ero là l’ultima notte, per molte ore sola con lui.
La signora, quella notte, non era in grado di assisterlo.
Ebbe il grande eroismo ( per una donna della sua tempra)
di rimanere quasi sempre distesa, nella sua stanza, pregando.
Fu una notte molto lunga.
Ho ancora negli orecchi il brusio della pioggia e il tuono del suo respiro,
fino alle 4,50. Non so dirle se se n’è andato sereno.
Dalle 8,30 non era più cosciente
( non almeno alla nostra presenza).
Se n’è andato ad occhi chiusi,
dopo una lotta che appariva una suprema concentrazione.
Certo l’agonia non è che il simbolo di ben altro e non sapremo,
finché viviamo, in quali zone si svolga.
Aveva, quando è spirato, la febbre a 41,7.
Lo tenevo tra le mie braccia, già esanime,
mentre la donna che ci aiutava gli infilava il pigiama azzurro,
e ancora bruciava,
bruciava tutto – come i bambini che dormono con la febbre…
All’alba era tutto in ordine.
La signora ha potuto vederlo nella sua bellezza,
giovane come ai tempi del loro matrimonio.
Lo ricopriva una coperta bianca,
il sole giocava fra le rose sul comodino.
I ragazzini già si rincorrevano, sui gradini della Trinità dei Monti.
Qualcuno ha preso la maschera del suo viso.
Ma lei lo troverà in un suo racconto, come l’ho visto io,
Come un luogo sacro ed amato,
qualcosa di terribile e di maestoso,
che ci ha fatto soffrire …
La signora lo baciava sulle labbra, gli diceva con un sorriso.
Arrivederci caro.
Alvaro è morto stamattina, alle 4,45.
Aveva 41,7 di temperatura,
eravamo soli, lui, l’infermiera e io.
Pioveva forte…”
2) Seconda Lettera
Cara Rossella Farnese, caro Giorgio Linguaglossa,
sono ancora io, Fiorenza M.,
dal tesoro di carte di Vittoria-Cristina
ora ecco uno smeraldo.
Ma di questo, vi prego, non parlatene per ora.
Gli ho portato tre rose, un vaso di confettura,
un libro che il Dr. Schlemmer mi ha mandato per lui.
E’ curioso. A poche persone ho pensato tanto negli ultimi mesi
come a questo bruttissimo ometto,
che potrebbe essere mio padre
e non fa nulla,
proprio nulla, per rendersi indimenticabile.
Per fortuna l’altro ieri la primavera è esplosa.
In poche ore Roma s’è avvolta nei colori,
mille verdi, e soprattutto mille gradazioni di rosso,
lilla, rosa pallido, viola.
Alberi di Giuda, siepi di rododendro, pergole di glicine, lillà.
Il fioraio dove ho comprato le rose per Alvaro
ha voluto farmi un « complimento»:
un mazzetto di ciclamini e myosotis.
E’ così bello intriso ancora di pioggia.
[…]
Due preti all’alba sui gradini di Trinità de’ Monti.
Dicono che a quell’ora vanno a dire Messa per i poveri.
3) Terza Lettera
Cara Rossella Farnese, caro Giorgio Linguaglossa,
Sono di nuovo io, Fiorenza M.
Dallo scrigno delle carte-tesoro di Cristina-Vittoria
ecco un altro diamante.
Ma, vi prego, anche di questo non parlatene a nessuno,
attendiamo insieme tempi più maturi.
Solo a pochi parlai di Alvaro,
lo avevo visto il Giovedì Santo.
Era il primo nella lista ristretta
Dei collaboratori all’ “Attenzione”.
Per lui non vedevo l’ora di tornare a Roma
Sono arrivata alla Trinità, era già malato,
ora i medici lo dicono moribondo.
Vado con fasci di rose
ma non riesco a parlare che di speranza.
Sua moglie Vi piacerebbe,
ricorda un personaggio di Hofmannstahal,
senza una lacrima
negli occhi come stelle.
Sappiamo entrambe
cosa intendere per “ speranza”,
tutto e niente,
il probabile e l’inverosimile.
Sotto le finestre
la scalinata della Trinità scompare tra le azalee.
Una cascata di fuoco e neve,
il nostro possibile , il nostro impossibile.
[…]
E’ l’ ora sorda dell’alba, sono già passati i passerotti
e il merlo che qui è di casa a raccattare molliche di pane.
Un uomo-barba-lungua raccoglie cicche
negli interstizi del travertino.
GR
Grazie, caro Lucio, anche nelle tue composizioni, specie nella seconda qui proposta, la rappresentazione onirica, logicamente decomposta e dislocata, acquista maggiore risultanza icastica se condotta per frammenti narrativi; l’epos, la diegesi è dimensione imprescindibile, che tende ad eclissarsi nell’eccessiva introspezione e concettualizzazione analitica della lirica moderna; ma è in forma narrativa che si esprime l’inconscio nei sogni, ed è stato riprodotto in tutte le mitologie, religiose e letterarie.
Ci si potrebbe chiedere quale prospettive possa aprire, nell’evoluzione culturale, antropologica, anche in senso extra-letterario, questa crescente attenzione all’inconscio e alle sue forme di rappresentazione e inferenza col pensiero. Io continuo ad auspicare una rivoluzione nella gerarchia psichica attuale, come è stata teorizzata da Freud, in cui l’istanza psichica e morale prevale su quella affettiva-emozionale: è l’uomo socratico, post-mitico, per cui la saggezza consiste nel dominare le passioni, nel cercare la verità nel dialogo condotto in forme verbali, razionali, con l’inevitabile sottovalutazione della dimensione emotiva. Una condotta euristica che culmina nell’idealismo, in cui le strutture logiche vengono proiettate nella dimensione ontologica, fino a coincidere col divino. L’estrema deriva è la schiavitù alla tecnologia asservita al consumismo, all’ideologia vuota di senso e valori, all’umanità senza desideri ( non artificiali) , passioni, sogni, utopie, che De Andrè definiva un mostro biologico, come ” un cinghiale laureato in matematica pura”, e contro cui insorge Nietzsche, rivendicando un ritorno allo spirito del dionisiaco.
Ti dedico un testo, anch’esso composto da frammenti onirici-narrativi.
IL GRAN GALA DELLE MERAVIGLIE
“…egli ci lasciò la sua tristezza
seduta sull’orlo del cielo come un angelo obeso
(Juan Larrea)
In basso era tutto illuminato
Ma la notte restava minacciosa
L’abito della festa era bagnato di lacrime
Fra tante nuvole quale azzurro ci aspettava
Era l’amore l’ospite tanto atteso
Quanti sospiri di ragazze prima che si levi una canzone
Forse perché nessuno crede più all’eterna melodia
Entrando nel giardino bisogna recitare la preghiera
Davanti alla statua infelice ci si prende per mano
La luna restava in attesa
L’oscurità si riempiva di domande e di sorrisi
Una volta entrati la porta si richiude per sempre
Il desiderio ci rendeva leggeri come nuvole
Una macchina solitaria si lasciò sfuggire un gemito
Entrando nel salone celeste si vedeva un coccodrillo
addormentato sotto la grande acquasantiera
Un uomo che aveva rinnegato Dio
sedeva in un angolo col mal di testa
Un violino muto scacciava le ombre dell’aldilà
Fra i candelabri era cominciata una battaglia di sguardi
Una timida preghiera era scivolata sul sofà
La ragazza bionda aveva racchiuso nello sguardo
un frammento di Paradiso
Tutti sospiravano vedendola passare
Alcune anime erano così sottili che si potevano vedere tutti i loro peccati
A volte scendeva il silenzio e si sentiva il pianto delle creature impossibili
rinchiuse nelle cantine
Nei corridoi ristagnava un triste odore di orfanotrofio
In fondo al profumo della danza restava una lacrima nascosta
Un ubriaco fece piangere le fanciulle dipinte sopra l’altare
Lo sguardo del signor Delirio lasciava nell’anima
una ferita pallida e vacillante
Qualcuno rimasto solo finì per scomparire
La donna vestita di bianco aveva un sorriso fresco
come una rosa sotto la rugiada
Lo offriva come un gioiello
In fondo allo specchio apparve la figura turchina
che avevo visto in sogno
Un richiamo da un’altra eternità
O era l’ultimo angelo custode
“Potrei restare solo con lei per una notte ? “
“ E’ tutto così antico ma non ricordo quando sono stata già qui “
Qualcuno mi ha sfiorato l’anima coi suoi pensieri ed è scomparso
L’uomo e la donna si sono amati segretamente
Al mattino li hanno trovati addormentati insieme
Per sempre
Oggi, la chat-poetry occupa il centro della forma-poesia
Retrospettivamente, la poesia è, da Baudelaire, anzi, dagli Idilli di Leopardi (1821) in poi, qualcosa che si «presenta» fuori luogo e fuori tempo. La poesia contemporanea invece appartiene al genere chiassoso della comunicazione tra un emittente ed un ricevente, o della «chiacchiera» che si fabbrica oggi in miliardi di esemplari.
Nella storia degli uomini (Geschichte) non c’è una scelta ma un destino (Geschick), e l’età della tecnica è il nostro destino, il destino dell’Occidente. L’oblio dell’essere, e il conseguente nichilismo, sono stati determinati dall’assentarsi dell’essere che, alla manifestazione (alétheia), ha preferito il nascondimento (léthe), e il dimorare nella custodia di ciò che è stato obliato. La poesia ha questo compito ontologico: di dover interrogare il custodito, di sospingerlo ad uscire all’aperto, di renderlo manifesto. Ma per far ciò la «parola» deve essere accolta così com’è, come la troviamo, come la incontriamo in quell’attimo in cui la «parola» ci parla. La presenza dell’essere è condizione della presenzialità di tutte le cose, ma proprio per questo l’essere è incondizionato in quanto esso è la condizione affinché tutte e cose e le parole vengano alla «presenza». Ergo, la presenza dell’essere è assenza rispetto alla presenza delle cose e delle parole. L’assentarsi dell’essere è la condizione della presenza delle cose e delle parole. La dimensione più propria della poesia è questo venire in presenza dell’assentarsi dell’essere, della sua nullificazione che è la condizione stessa del venire alla presenza degli enti.
Il Signor Nulla ha preso stabile dimora nella forma-poesia
Ho suddiviso una volta in distici una poesia di Montale per sottolineare come il poeta ligure, pur con delle simiglianze notevoli con i poeti della nuova ontologia estetica, tuttavia è un poeta pre-NOE. Lui poeta dal punto di vista di un «soggetto» ancora ben stabilizzato nel mondo che si concede l’arma appuntita dell’ironia. Quindi è un «io ironico» che prende la parola, un «io» che sta ancora al centro del suo universo di parole, al centro del suo discorso poetico. È ancora un «io» centrato.
Al contrario, nei poeti della nuova ontologia estetica o nuova fenomenologia estetica come alcuni dicono, è avvenuto che l’«io» si è decentrato, assottigliato, il «centro» locutorio se l’è preso qualcun altro, l’«io» è divenuto eccentrico, ex-centrato, si è de-centrato. E questo è senz’altro dovuto al processo storico che è intercorso dal 1971-72, data di inizio della stesura di Satura di Montale e il 2018, data di composizione delle nostre poesie in distici. È la storia che fa la differenza, o, se si vuole, il Fattore T (il tempo), che interviene attivamente scardinando le forme pregresse.
Durante questo interregno del Fattore T (il tempo), la crisi globale ha colpito in modo perentorio e aspro il nostro Paese ed ha investito anche la poesia, determinando le mutazioni interne della forma-poesia. In particolare, vorrei osservare che la condizione del nichilismo in Italia si è nel frattempo aggravata, il Signor Nulla è entrato con prepotenza nella forma-poesia decentrando il soggetto e confinandolo in luoghi periferici, eccentrici, non concedendogli alcuna funzione all’interno della forma-poesia. Ecco la ragione che ha condotto alla «debolezza della ragione poetica» della «nuova ontologia estetica», la «debolezza», come un cancro maligno, si è stabilita nei polmoni della forma-poesia determinando la dissoluzione e il de-centramento del soggetto. Non a caso la tematica centrale della nuova poesia è il «nulla»; ormai i mocassini di questo «ospite ingombrante» (dizione di Heidegger) scricchiano sul parquet della nostra abitazione un po’ ovunque, e noi «non possiamo fare altro che guardarlo bene in faccia», come dice Heidegger, al quale lascio la parola:
«Esser-ci vuol dire: essere tenuto immerso nel niente (Da-sein heisst Hineingehaltenheit in das Nichts). Tenendosi immerso nel niente l’esserci è già sempre oltre l’ente nella sua totalità. Questo essere oltre noi lo chiamiamo trascendenza (Transzendenz). Se l’esserci, nel fondo della sua essenza, non trascendesse, ossia, come ora possiamo dire, non si tenesse immerso fin dall’inizio nel niente, non potrebbe mai riferirsi all’ente, e quindi neanche a se stesso. Senza un’originaria rivelazione del niente non c’è un esser-se-stesso, né una libertà. Si è così ottenuta la risposta alla questione sul niente.. Il niente non è un oggetto, né in generale un ente. Il niente non si presenta per sé, né accanto all’ente a cui pure inerisce. Il niente è la condizione che rende possibile la rivelazione dell’ente come tale per l’esserci dell’uomo. Il niente non esprime solo il concetto opposto a quello di ente, ma appartiene originariamente all’essenza dell’essere stesso. Nell’essere dell’ente avviene il nientificare del niente (das Nichten des Nichts)».1
Nei tempi moderni, la «parola» ha perduto la sua qualità denominativa, è divenuta forma astratta, grammaticale, vuota, priva di eco, esangue. La «parola» perde la sua essenza nominante, assume la funzione di rinvio ad altra «parola» diventando perifrastica, perdendosi nella fraseologia descrittiva. Nietzsche, senza reticenze, ha parlato dell’«ultima esalazione di una realtà che svanisce».2 Di fronte alla determinatezza della «parola» sempre più esangue l’essere tende a scomparire come parola vuota, questo processo risulta massimamente evidente nella evoluzione della poesia moderna che si esplica in una narrativizzazione ad oltranza che adotta inconsapevolmente le categorie della prosa.
1] M. Heidegger, Was ist Metaphysik? (1929); tr. it. Che cos’è metafisica?, in Segnavia, Adelphi, Milano 1987 pp. 70-71
2 F. Nietzsche, Götterdammerung, oder: Wie man mit dem Hammer philosophiert (1889); tr. it. Crepuscolo degli idoli, ovvero: come si filosofa col martello, in Opere, Adelphi, Milano 1970, vol. VI, 3
Vedo tutto ciò come un laboratorio poesia, di cui subisco il fascino, come pecora senza pastore. Penso alle posate d’argento di Transtromer, sul fondo dell’oceano, a quegli abitatori nascosti nell’inconscio che hanno sempre alimentato la poesia di tutti i tempi. Nella nostra epoca, coscientemente non si farà a meno di creare per frammenti, raccogliendo resti. E’ probabile che sia già così. Ci siamo tutti dentro. Lasciamo spazio però, anche per il mondo di superficie, in cui è necessario affiorare e nuotare. Complimenti a tutti, per il coraggio e le scelte (coraggio da poeti, s’intende).
Costantina Donatella Giancaspero
Al quadro manca una ragione
Da qualche giorno, il sospetto che il mare è là dietro.
Dietro lo schermo sbavato di case.
Tra loro si afferrano ai fianchi, come sostegno.
Qui, la persiana ha una fessura puntata sulla scala di ferro battuto.
Sale a chiocciola. Dal cortile, al terrazzo condominiale – testimonia la foto
scampata al massacro dei ricordi –.
Una perfezione fonda, inconoscibile, è forse oltre.
Lo lasciano intendere i gabbiani – stanno qui, da poco tempo, dentro i muri
Più grandi, sul terrazzo condominiale. Sforano la luce.
Ma non è concesso di seguirne i voli. Dall’alto ci sorvegliano.
Se intuiscono uno sguardo intento, scendono in picchiata.
Rasentano gli occhi.
*********************
gr
https://lombradelleparole.wordpress.com/2018/11/21/antologia-di-poesia-di-10-autori-che-si-riconoscono-nel-nuovo-orientamento-di-ricerca-denominato-nuova-ontologia-estetica-carlo-livia-lucio-mayoor-tosi-giuseppe-gallo-marina-petrillo-sabino/comment-page-1/#comment-39744
E’ impensabile un’Antologia poetica NOE del Grande Progetto senza la presenza di Costantina Donatella Giancaspero.
Questa sua recentissima composizione,
Al quadro manca una ragione
è un vero gioiello.
Da qualche giorno, il sospetto che il mare è là dietro.
Dietro lo schermo sbavato di case.
Tra loro si afferrano ai fianchi, come sostegno.
Qui, la persiana ha una fessura puntata sulla scala di ferro battuto.
Sale a chiocciola. Dal cortile, al terrazzo condominiale – testimonia la foto
scampata al massacro dei ricordi –.
Una perfezione fonda, inconoscibile, è forse oltre.
Lo lasciano intendere i gabbiani – stanno qui, da poco tempo, dentro i muri
Più grandi, sul terrazzo condominiale. Sforano la luce.
Ma non è concesso di seguirne i voli. Dall’alto ci sorvegliano.
Se intuiscono uno sguardo intento, scendono in picchiata.
Rasentano gli occhi.
Commento di Gino Rago
“La remora, piccolo per statura e grande per la Potenza, costringe le superbe fregate del mare a fermarsi; avventura che, come ci racconta Plinio, toccò alla quinquereme dell’imperatore Caligola.
Mentre questi ritornava ad Anzio, il pesciolino, lungo mezzo piede, si attaccò succhiando al timone della nave, provocandone l’arresto.
Plinio non finisce mai di stupirsi del potere della remora.
La sua meraviglia evidentemente impressionò gli alchimisti al punto di indurli a identificare il pesce rotondo del nostro mare proprio con la remora.
La remora divenne così il simbolo dell’estremamente piccolo nella vastità dell’inconscio.
Che ha un significato tanto fatale: esso è infatti il Sé, l’Atman, quello di cui si dice che è il più piccolo del piccolo, più grande del grande.”
Carl Gustav Jung, Ricerche sul simbolismo del Sé
In questi tuoi versi recentissimi, Costantina Donatella Giancaspero mostra di avere sconfitto la remora. Brava.
GR
Maria Rosaria Madonna
Alle 18 in punto il tram sferraglia
Alle 18 in punto il tram sferraglia
al centro della Marketplatz in mezzo alle aiuole;
barbagli di scintille scendono a paracadute
dal trolley sopra la ghiaia del prato.
Il buio chiede udienza alla notte daltonica.
In primo piano, una bambina corre dietro la sua ombra
col lula hoop, attraversa la strada deserta
che termina in un mare oleoso.
Il colonnato del peristilio assorbe l’ombra delle statue
e la restituisce al tramonto.
Nel fondo, puoi scorgere un folle in marcia al passo dell’oca.
È già sera, si accendono i globi dei lampioni,
la luce si scioglie come pastiglie azzurrine
nel bicchiere vuoto. Ore 18.
Il tram fa ingresso al centro della Marketplatz.
Oscurità.
da Stige, Tutte le poesie (1990-2002), Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2018 pp. 150 € 12
Introduzione di Giorgio Linguaglossa
Dalla Sez. 1
“Il Vuoto, il Tempo, gli scampoli, la plastica, gli stracci, le piazze, gli specchi”
del mio libro I Platani sul Tevere diventano betulle, NOE, Edizioni Progetto Cultura, Roma, introdotto da Giorgio Linguaglossa con Postfazione di Rossana Levati, due poesie
Gino Rago
1- Dio chiede una recensione…
Il femminile di Dio il suo lato destro
ha chiesto una recensione ai poeti della «nuova ontologia estetica».
di certo le poetesse dell’ombra lo sanno che Dio è dappertutto,
che rovista con garbo nella pattumiera
Il maschile di Dio il Suo lato sinistro
frequenta le bische clandestine, i ricoveri
aperti tutta la notte, staziona tra le vetrate,
tra i bassifondi dei porti
e gli slums delle periferie di Hopper.
Ci ha provato anche con Lucio Mayoor Tosi, Grieco-Rathgeb e Talia
ma non gli hanno dato retta, andavano di fretta,
per una recensione sulla sua creazione
perché i tre lasciano di sé frammenti dappertutto
e cercano il tutto in ogni frammento,
un seme di cocomero, un chiodo, un filo di spago.
Dio si è rivolto ai cacciatori di immagini
perché i tre in poesia rapinano banche,
la poesia è una rapina in banca: si entra, si spiana la rivoltella,
si cattura l’ attenzione, si prendono i soldi e si scappa,
si scompare, per poi ricomparire in altre banche
ebbene, questi versi annoiano Dio, l’Onnipotente
non sopporta questi ladruncoli che giocano a fare
scaccomatto.
Cicche e carte stracce sui marciapiedi,
dalla tavola calda aperta tutta la notte odore di cipolle,
un fiore nel vaso parla con lo specchio:
«è perfettamente inutile che Lei caro signore si ecciti,
faccia quello che sa fare. Faccia lo specchio»
2- Ciò che ci ha amato non ha una via di uscita
L’onda esala odori di libeccio e nei marosi tremano i pontili.
A noi di terra serve per partire nello sgomento della vastità.
Chi valica i fili degli ultimi orizzonti forse più non torna.
Chi s’imbarca per l’esilio farà ritorno come un’ombra,
ciò che ci ha amato non ha una via di uscita.
.
L’ha ribloggato su RIDONDANZEe ha commentato:
L’Invito a postare una propria poesia è rivolto a tutti coloro che, in varia misura, pensano di poter condividere il tragitto fin qui fatto o il percorso che rimane da fare verso una «nuova poesia» che in Italia stenta a prendere piede. Pensiamo in modo nuovo la «nuova poesia», diamo uno scossone alla poesia di scuola…
Montepulciano da Woodstock. Quinta stagione.
Ne vorremmo sette. Ma non siamo gatti.
E’ l’inverno dei capelli bianchi. L’uomo che cammina
e affini. Come se parte del corpo volesse fermarsi
per un abbraccio. Che manca. E allora ci si sente
avvolti dalle cose, in una fiaba da finestre sorridenti
al mezzo sole; alla mezza notte; alla via di mezzo,
diceva Buddha; per definizione mortali, quindi morenti.
Ma questo avanzare è con la testa a terra e le gambe
per aria. Va da sé che ridano le finestre – City Square –
se gli sputi una poesia; se il mondo non fosse lasciato
in corridoio a patire perché schiacciato dal cuoio
di scarpe sconosciute. Padri Tall Figure. Comandanti,
più ammirati che innamorati. E quindi l’abbraccio
che manca è un cercarsi. E tutte quelle parole, quelle
parole sono rivolte alla parte destra. Quella senza cuore.
Profilo di braccio, gamba e occhio. Finito. Sì. Meno
di un triangolo. E senza ali.
May nov 2018 – Dedicata alle sculture di Alberto Giacometti.
Due minuti e lei dice : non sono cambiata. Ad ogni modo lui neanche risponde. Cinque hamburger al vapore. Un cronometro. La poesia non aveva la luce giusta. L’aroma vivente.
Scivolammo a tempo pieno sul menù Mcdonald . Nei vassoi non più puliti. Capi di abbigliamento dal sapore pungente. Scarpe di consumo. L’olio è sgorgato bruciato dagli aculei continui.
Dal pan dei morti concentrato nel cartone a colori.- Embè? Urla un coltello a serramanico- Non abbiamo niente per voi- . Pulci a tracolla.Ognuno con un guanto da lavoro.
Alle cinque lui si era chiuso in bagno. Lei dentro la grotta di stagnola e con le granate al seno. Un volto termonucleare nel fiato freddo del bue. Auf wiedersehen kleine Hirte!
Dolcetti di neve bianca. Il buio splende.
Come dici bene, Francesca:” il buio splende”:racchiude la vita segreta di tanti cuori incompresi,di tante vite vissute nel silenzio e nell’abbandono Eppure anche lì, “il buio splende”,L’ho pensato tante volte, senza riuscire mai a formularlo con una intensità così esatta.L’ho pensato, molte volte, anche in riferimento a me stessa,alla mia vita di monaca prestata al secolo per una concatenazione di eventi incontrollabili.
Cara Anna,
chi non ha mai avuto eventi gravi e incontrollabili ? Quasi tutti. Chi più , chi meno. Eppure siamo qui a scrivere per essere meno soli. Insieme agli amici più cari. Non arrendiamoci. Ti abbraccio forte e con tanto affetto
Aspettative di vita
di Lidia Popa
Uno Pantorc da 20, Dottore, per brindare
alla salute dello stomaco ogni mattina.
Non dimenticare i diuretici che sono importanti
per far funzionare i reni e l’intestino fino a cent’anni.
Dicono che le persone maggiori di età hanno una prospettiva
alta di vita, e vogliono prendere le contromisure.
Con gli anziani vogliono fare una carneficina?
Ah, sì? Loro, quelli che decidono rimangono sempre giovani?
Quanto devo attendere?
Oggi l’autobus ha cambiato l’orario. È passato prima.
Le nuvole sono di gelso. Sembra che abbia smesso di piovere.
La morte può aspettare o vuol fare contenti i politici?
Il prossimo autobus, ora è arrivato.
Forse, se non trova traffico, si fa in tempo.
Quello che fa pensieri strani sulle donne, pensa di campare
cent’anni? Non ha mai bisogno di un flebo di vita?
Gli allunni hanno saltato la prima lezione.
L’autobus è pieno di zaini e voci stridule.
“Non c’è più silenzio.” dice una nonna, sotto voce.
“Non c’è più rispetto.” risponde un suo coetaneo.
Loro reggono i loro anni alla sbarra, come tutti over sessanta.
I giovani alunni stanno nei posti riservati.
Nessuno si alza, solo il volume degli I-pod. Una voce strilla:
“Oggi non mi va di andare a scuola!” La folla applauda.
(inedita di oggi)
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Brigida Gullo
Istruzioni per l’uso
Il lievito madre ti ha lasciato orfano
e ora non c’è più aria nell’impasto dei tuoi desideri.
Sole e sale quanto basta
Ma se ti chiedono l’extra
entri a gamba tesa nell’officina dei poveri.
Ieri hai dimenticato l’ombrello nella capsula del caffè, hai lasciato pisciare il cane su un vassoio di smancerie, tu chi credi d’essere
-stanotte un compasso ha tracciato visioni in una camera sfitta- il claim dei sogni proibiti
-Mi piace mi piace mi piace- fino a sfinirsi.
L’anice stellato è nemico dello chef,
Annusalo!
E poi fai zapping al semaforo:
un’ evoluzione di macchie nella lavatrice.
Hai giocato troppo a Majiong,
ti conviene ingoiare le pedine
con gli occhi la prossima volta.
Per lo sporco ostinato
Strofina il cuore su una spugna d’asfalto e se sanguina
chiedi i danni alla casa produttrice.
Nota biografica:
Davide Morelli è nato a Pontedera nel 1972. Si è laureato in psicologia con una tesi sul mobbing. Alcuni suoi testi sono apparsi su “Nazione indiana”, “Poetarum silva”, “La mosca”, “Il filo rosso”, “Nugae”, “Poesia da fare”, “La clessidra”, “Il segnale”. 48 sue quartine sono state pubblicate su “Italian poetry review” x(rivista di poesia italiana della Columbia University). Ha pubblicato due ebook su LaRecherche.it: “Dalla finestra” e “Varie ed eventuali”. Quasi tutti i suoi componimenti si trovano nel sito Larecherche.it. Oltre a componimenti poetici (o aspiranti tali) ha scritto anche recensioni, saggi brevi e racconti brevi. È comparso in alcune antologie della Lietocolle. Ha collaborato al blog letterario “Le stanze di carta”(lestanzedicarta.blogspot.com). Gestisce il blog ironico e riflessivo Also sprach(alsosprachsite.wordpress.com).
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Autoantologia di Davide Morelli:
Da “Impercezioni”(1994/1997)
[ndr. la suddivisione in distici è un esperimento del redattore]
1/
Appare la coda bifida di una lucertola,
compare il dorso, rivestito di squame
e… negli interstizi della siepe già non la vedo…
come se con un guizzo fulmineo, un lesto
strascicare di zampe si fosse divincolata in un cunicolo;
come se il crocicchio dei colori lividi del tramonto, il riverbero
di un fievole sfarfallio di raggi l’avesse resa invisibile.
Forse è sgusciata in una fessura, in un anello d’ombra,
in una zona morta dei miei occhi, forse in una crepa nascosta,
dove cade l’intonaco e affiora la calce,
sfuggendo alla mia vista, ormai inafferrabile.
2/
Per un attimo:
* Per un attimo ti sembra
di raggiungere il nervo delle cose.
Ma un battito di ciglia non è
un colpo d’ali che ti solleva
ed è vana ricerca aspirare
al sillogismo dell’esistenza.
Così ritorni nell’orbita della vita
come una favilla, ormai incasellata
in una goccia, come in un’impronta
di luce un tremito d’ombra.
3/
Il disco:
Da un comignolo si leva il fumo.
I termometri segnano lo zero.
Un vecchio sfoglia il calendario dal barbiere.
Una vedova ferma sugli zigomi le lacrime.
Una ragazza al bar beve il caffè e fissa la testa
di un cinghiale imbalsamato.
Da un appartamento si diffonde musica classica.
Poi la puntina si ferma, il disco si incanta.
*
4/
Un amaro sorteggio
Piove sul becco di un usignolo e sugli appuntamenti di lavoro. La solitudine di quella donna con la sporta della spesa non cova segreti incommensurabili, ma un amaro sorteggio. Non credo sia didascalico questo discostarsi da un paesaggio monotono, che disubbidisce per ogni fibra e ad ogni lato alle labbra asserragliate della luna.
5/
Passato:
Uomini specchiatevi nel vostro passato remoto, quando il sangue
fecondava la terra e le semine e i raccolti scandivano la vita. Uomini
specchiatevi nel vostro passato remoto quando i giovani morivano
in guerra e le donne morivano di parto.
*6/
La fuga:
Il riflesso della luna
è smosso dal flusso del fiume,
scalfito da acini di pioggia.
Pioggia, che scende sulle case,
incanalata in grondaie ossidate. Vapore e nebbia.
Qua e là indistintamente calano grumi di lumi sul corpo della linfa,
sulle dita adunche dei rami. È l’ora in cui gli insetti intravedono
in un’angusta fessura e gli uomini in una scia d’aereo la fuga.
È l’ora in cui cresce la ferita di una ruga,
immaginando cento mondi di idee, mille amori finiti nel dimenticatoio
o sbiaditi in un logoro matrimonio, onde di generazioni susseguitesi tra loro.
7/
*
Parmenide
La mente spesso porta a pensare a ciò che non è. Così sosteneva
Parmenide nei suoi ventuno frammenti geniali
appena letti, pensavo che forse non esiste un prima ed un dopo,
un inizio e una fine, ma tutto è Essere, anche se poi non tutto
l’Essere è rischiarato dalla vita.
Gino Rago
Le Interviste Immaginarie
Conversazione con Alfonso Berardinelli
G.R.
La prima domanda che desidero porLe è, con un gioco di parole:
Cosa si scopre passando in rivista le riviste letterarie cartacee?
A. B. Le riviste esistono e forse qualcuno le legge. Voglio dire le riviste cartacee, quelle che molti ormai danno per agonizzanti o morte, perché tutto sarà (e quindi deve essere) on line. Noto tuttavia che nelle riviste sia povere che affermate i giovani redattori e autori abbondano. Il futuro è già cominciato, ma non è detto che il passato sia finito.
G.R.
Vuole soffermarsi in particolare su qualche rivista precisa?
A. B.
Ho trascorso recentemente intere mezze giornate a leggere “Nuovi Argomenti”, “Lo Straniero”, “Micromega”, “Il Verri” e altro. E pensavo, leggendo, che potrei perdere meno tempo con i giornali, da cui si ricava un decimo di quello che contengono, a meno che non si leggano come si leggerebbe un mensile, ritagliando articoli e collezionandoli non si sa come. Una rivista invece è quasi un libro. Te la porti dietro almeno per un mese, spesso due o tre mesi, qualche volta sei, secondo la periodicità.
G.R.
Vuole cominciare con una, in particolare?
A. B.
Comincio con “Nuovi Argomenti” (n. 32, ottobre-dicembre), che porta in copertina una foto di Pasolini e contiene un breve testo inedito del 1951 sui trulli di Alberobello, un pezzo perfetto che fa pensare alla prosa di Emilio Cecchi o a quella di Roberto Longhi. Quando non ideologizza, Pasolini descrive. E (sia in prosa che in versi) descrive spesso la realtà fisica come se descrivesse un quadro. Chi non ha scritto, letto e parlato di Pasolini nel corso di questo 2005 lo confessi e si penta. A tre decenni dalla sua morte, quest’anno sembra proprio che Pasolini abbia surclassato Calvino.
G.R.
E’ rimasto ancora qualcuno che parli di Calvino? E questo qualcuno come ne parla?
A. B.
Chi parla di quest’ultimo sono soprattutto i letterati: si ammira lo stile impeccabile, ma le sue idee, prudentemente nascoste, raramente vengono discusse.
Calvino per primo non amava le discussioni e difatti ci mise “una pietra sopra”.
G.R.
E Pasolini?
A.B.
Pasolini viceversa ha dimostrato un’imprudenza esibizionistica e drammatica e una versatilità così sfrenatamente polimorfa che cineasti, politici, giornalisti, storici, poeti, critici letterari e in definitiva tutti possono discutere le sue idee, cioè parlare di lui anche parlando d’altro.
G. R.
Secondo Lei esiste “Il mito trasversale di P.P.P.”?
A. B.
Molte sono le strade che portano a Pasolini. Per quanto incerta possa essere la qualità e la riuscita artistica delle sue singole opere, in esse troviamo ancora oggi molti problemi del presente, o l’annuncio di quello che sarebbe avvenuto. La dissociazione e il conflitto fra Sviluppo (quantitativo, economico, tecnologico) e Progresso (qualitativo, civile, sociale, morale) è un vecchio tema della modernità: ma Pasolini è stato capace di riprenderlo con tale passione da farlo sembrare nuovo. Di fatto lo ha reso davvero nuovo, perché nessuna idea si conserva identica a se stessa senza che qualcuno la faccia rinascere, la attualizzi e la incarni.
Pasolini aveva ragione? Pasolini si sbagliava? Può essere vero sia questo che quello.
Le sue ragioni e i suoi torti sono presenti comunque nelle sue pagine con una tale energia raziocinante, retorica e visionaria che è difficile non restare colpiti dalle sue parole ogni volta che le ascoltiamo. Durante il recente festival internazionale del cinema che si è svolto a Cuba, ho visto un ottimo documentario su Pasolini realizzato dal giovane Matteo Cerami, in cui le immagini, per quanto forti e suggestive, sono messe al servizio delle parole, dei testi scritti, di tutto quello che Pasolini ha detto e voleva che fosse ascoltato e letto.
G. R.
Desidera dire una parola chiara come è solito fare sulla idea di arte in Pasolini?
A. B
Per Pasolini l’arte era un mezzo di comunicazione morale e politica, lo stile era un strumento, a volte provvisorio e semilavorato, per trasmettere un messaggio e dialogare con i contemporanei.
Come scrive Enzo Golino, nell’artista Pasolini c’era un “maestro”, un pedagogo: “Lo spirito di un legislatore rivoluzionario ha guidato la mano di Pasolini scrittore, ha incendiato la sua immaginazione […] Le sue tavole della legge non sono altro che un trattato pedagogico ora dissimulato nella dimensione estetica, ora suggerito nella forma del simbolo, ora esplicitamente dichiarato.
Anche la sua vita è percorsa da una divorante ansia didattica”
Cito a tale proposito “Pasolini. Il sogno di una cosa”, Bompiani 2005, pp. 291, euro 8,5.
G. R.
Vuole citare qualche altra rivista che ha inteso dedicarsi a Pasolini?
A. B.
A Pasolini è anche dedicata un’intera sezione dell’ultimo numero di “Micromega” (6/2005), che contiene tra l’altro un dibattito fra Piergiorgio Bellocchio, Adriano Sofri e Walter Veltroni e due saggi di Walter Siti e Andrea Cortellessa. Curatore per i Meridiani Mondadori dei dieci volumi delle opere di Pasolini e senza dubbio il maggiore conoscitore di ogni aspetto della sua attività, Walter Siti analizza qui il “mito Pasolini”.
G. R.
Quale secondo Lei la questione centrale su P. P. P.
e sul suo ” mito trasversale “?
A. B.
Questione fondamentale per capire non solo quello che è stato fatto di questo scrittore dopo la sua morte, ma quello che lui stesso ha fatto di sé, per il modo in cui compare nella sua opera anche come personaggio, nonché “regista” della propria presenza pubblica. Ad un certo punto però Siti diventa sarcastico e secondo me eccede aggressivamente nel mettere sul conto di Pasolini la responsabilità del consenso equivoco da cui oggi è circondato e sommerso: “Il mito Pasolini è, politicamente, un mito trasversale. Mentre il mito Pavese, fin che è durato, era tipicamente un mito di sinistra, il mito Pasolini è bipartisan. La televisione può fare trasmissioni su Pasolini senza doverle ascrivere a una parte politica […] I fruitori di massa del mito sono rassicurati dal sapere che tra gli ammiratori di Pasolini ci sono intellettuali di destra e di sinistra, da Goffredo Fofi a Marcello Veneziani. La sua situazione bipartisan lo rende particolarmente caro agli assessori alla cultura, perché è un fiore all’occhiello e un sicuro richiamo: le piazze si riempiono e se qualcuno si oppone in Consiglio ci fa lui una brutta figura. […] Che fare? Difendere Pasolini dal suo mito? Rimproverare a Pasolini di essersi ‘prefabbricato’ per il mito?”
G. R.
Vuole dire una parola delle Sue su qualche poeta italiano contemporaneo, per esempio …. (Faccio due nomi che in questa intervista immaginaria non cito)
A. B.
Non mi parli La prego di costoro…
Berardinelli a questo punto si alza dalla poltrona, con garbo mi accompagna alla porta.
G:R:
UNA PIZZA IN MACCHINA
Come una tenaglia
il freddo ci attanaglia
noi poveri chiodini
di pioggia
meteo ideale
per l’ispirazione nella notte fonda
Si sente il sibilante ronzio
di artificiali satelliti
se ci presti attenzione
e il rassicurante sciabordio
del sorriso delle barche
sui perigli delle acque
se ci fai caso
Dalle valli che versano sulla città
venti rimbombano liquidi
i muggiti delle vacche munte
e lo stridio dei denti degli asini
e i ritmi incessanti delle produzioni
se ci fai attenzione
Mattoni intonacati
osservano allibiti
l’asfalto gemere
per l’incontro con le gomme
se ci fai caso o presti attenzione
La pioggia lenisce i dolori
come a una seduta di agopuntura
dei litisconsorti familiari
Siamo in macchina e
bilance impazzite
con gli aghi perforiamo le ruote
ma la gomma ci ingloba
perché da lei fummo generati
Avremmo bisogno di una grande e salvifica avventura
Ma poi
mangiando una pizza al chorizo
c’ho riso sopra
e tutto s’è scongelato