Possiamo partire dalla considerazione di fondo che vi sono molti haiku che pur presentando tutte le caratteristiche basilari di uno haiku non sono, ugualmente, veri e propri haiku proprio perché manca in essi un quid: lo “spirito dello haiku”. Con “tutte le caratteristiche basilari di uno haiku” intendo:
- Il kigo o il kidai, ossia il termine stagionale (kigo) o il tema stagionale (kidai) perché, come sappiamo, uno haiku, per esser considerato tale, deve essere contestualizzato in un determinato periodo dell’anno a meno che non voglia essere considerato un muki (uno haiku senza riferimento stagionale).
- Il metro di 5/7/5 sillabe per verso usando il conteggio sillabico metrico o quello ortografico.
- Toriawase (giustapposizione d’immagini). In uno haiku, infatti, troviamo, nella maggior parte dei casi, due immagini collegate fra esse in vario modo, le quali possono armonizzarsi fra esse (torihayasi) o entrare in contrasto (nibutsu sougheki).
- Il taglio (kire) il quale rende possibile il cambio d’immagine della toriawase. Esso è espresso in italiano attraverso i segni interpuntivi (punteggiatura) o alla fine del kamigo (primo verso) o alla fine del nakashichi (secondo verso). È grazie al taglio che abbiamo una pausa, una cesura mediante la quale il lettore viene preparato al cambio d’immagine.
su un ramo morto
un corvo si è posato –
crepuscolo d’autunno
(Basho)
In questo esempio troviamo tutte le caratteristiche testé citate di uno haiku: il kigo diretto (crepuscolo d’autunno), il metro di 5/7/5 “on” (nella versione originale giapponese), il taglio espresso dal trattino alla fine del secondo ku, una toriawase ben strutturata e sviluppata (l’immagine del corvo che si posa su un ramo secco e il crepuscolo).
Lo spirito dello haiku non è un concetto facile da spiegare, mi vengono in mente, a tal proposito, le parole che ebbe a scrivere Sant’Agostino a proposito del tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so bene ma se volessi darne spiegazione a chi me lo chiede non lo so più”. Una delle difficoltà connesse al voler spiegare cosa sia lo spirito dello haiku credo derivi dalla nostra mentalità occidentale: siamo stati così tanto influenzati del verso libero in base al quale tendiamo a voler dire troppo, a voler spiegare più del necessario al lettore. Bisognerebbe riscoprire il valore del “non-detto” così caro alla poesia orientale (e non solo allo haiku), è risaputo che, per scrivere un buon haiku, è necessario suggerire piuttosto che dire esplicitamente: è negli spazi bianchi fra le parole che vive lo spirito dello haiku!
In realtà molti così detti haiku sono semplicemente degli scritti in metro 5/7/5 non veri e propri haiku perché non presentano la minima traccia dei canoni estetici tipici dell’arte giapponese i quali li ritroviamo anche in letteratura. Tali canoni estetici sono fondamentali per capire lo spirito dello haiku: in primis il wabi-sabi, lo hosomi, la hanayaka solo per citarne alcuni e i corollari di questi canoni estetici (shiori, yugen, karumi, mono no aware, ecc.) purtroppo la trattazione di questi canoni estetici necessita di ampi approfondimenti ed esula dallo scopo di questo articolo. A titolo di esempio possiamo citare questo haiku di Basho in cui è evidente il canone estetico dello hosomi, la “sottigliezza” contemplativa:
una rosa di montagna –
sembra nata
da un filo di salice
Altro errore ricorrente, e in un certo senso assai temibile, che sovente (ahimè) capita è quello di dare tre immagini distinte in uno stesso haiku, una per ciascun verso. Salvo rari casi in cui questa tecnica è consapevolmente e volutamente usata, questa condizione fa sì che l’Autore si allontani dallo spirito dello haiku e mini seriamente la scorrevolezza dello scritto. E’ quindi una forma sicuramente da evitare almeno all’inizio quando il principiante si avvicina a questa forma di poesia.
Esempio da NON seguire:
notte di luna
cicale rumorose
prato di stelle
Come possiamo vedere questo haiku non ha la minima traccia dello spirito dello haiku perché, oltre a dare tre immagini in tre versi, non ha toriawase, non possiede neppure un canone estetico dell’arte giapponese, non lascia posto al non-detto ed al qui ed ora (hic et nunc). Continua a leggere