Boris Sluckij (1919-1986) e Iosif Brodskij (1940-1996) – Una lontana familiarità – di P. Gorlik e N. Eliceev – Sluckij, quasi da solo, ha cambiato il suono della poesia russa del dopoguerra – traduzione di Donata De Bartolomeo e Kamila Gayazova

 

Iosif brodskij 5

Iosif brodskij a Venezia

Negli anni ’60 Sluckij conosce i versi di Brodskij. Riguardo ai tempi della loro conoscenza personale ci sono due testimonianze.
Di una ricorda Lev Losev: “Nell’aprile del 1960 Brodskij andò a Mosca per conoscere Sluckij e, evidentemente, Sluckij gli disse qualcosa di molto favorevole. La poesia “Meglio di ogni dove/si dormiva nella stazione Saviolovskij“ (1960) finisce con parole di gratitudine verso il poeta:

Arrivederci, Boris Abramic.
Arrivederci. Per le parole – grazie.

Un’altra testimonianza della loro amicizia si trova nell’intervista concessa da Evgenij Rejn a Tatiana Bek nel 1992.

T.B.: Brodskij conosceva Boris Abramovich? So che Sluckij era forse l’unico poeta “sovietico” che Brodskij valutava positivamente.
E.R.: Si,li ho presentati io.

…Sluckij ha sempre straordinariamente interessato Brodskij, straordinariamente. Non so perché ma lo chiamava alle spalle in un modo tra il familiare e l’ironico “Boruch” e, essendo una persona molto perspicace, vedeva più lontano e più profondamente degli altri. Ad esempio, egli era certo che Sluckij aveva una natura estremamente ebrea, da cui deriva il suo essere democratico e la fedeltà agli ideali rivoluzionari e la franchezza. Vedeva in lui un profondo e forte carattere ebreo. Un carattere biblico, profetico, messianico, comprendi? Forse era il ‘71 o il ‘ 72, Brodskij aveva già una grande notorietà, addirittura la fama. Ogni volta che mi incontravo con Sluckij (di regola, casualmente – a volte nella Casa del Letterati, a volte ospite di amici) egli mi chiedeva con attenzione di Brodskij. Una volta gli dissi: “La prossima volta che Iosif verrà, vi farò conoscere”: Iosif venne, Sluckij lo chiamò al suo strano telefono – attraverso il centralino interno, ricordi? – e ci fissò un appuntamento alla Casa Centrale dei Letterati al mattino prestissimo. Arrivammo, Sluckji fu molto ospitale, ci incontrò senza nessuna formalità sovietica: comprò dei viveri al buffet, molte bottiglie di birra, venti panini al formaggio, dieci dolcetti. Non come un abituale frequentatore che avrebbe consumato cognac e caffè nero ma come uno zio buono che desiderava sfamare i giovani.
Li presentai. Sedemmo. Ed ecco… un tragico dettaglio. Egli all’improvviso se ne uscì: “Prima che cominciamo a parlare, voglio subito dirvi che sono stato allora sul palco per due minuti e mezzo in tutto”.

T.B.: Non può essere. Si ritiene che Boris Abramovich non abbia mai parlato con nessuno dei suoi interlocutori del fatto che aveva preso parte alla persecuzione di Pasternak.
E.R.: Giuro solennemente che disse all’improvviso questa frase – è la pura verità.

Forse è la testimonianza del fatto che avvertiva Brodskij in modo particolare e con molta emotività. Io addirittura non mi resi subito conto di cosa si stesse parlando, solo dopo alcuni secondi capii. E allora compresi quale impatto avesse avuto su tutta la sua vita questa storia e che ne era ostaggio vita natural durante”.
Brodskij non nascondeva che Sluckij era stato l’unico poeta sovietico che non solo apprezzava e stimava profondamente ma era anche quello da cui aveva preso molto. Alla domanda di Solomon Volkov: “Quale è stato l’impulso che vi ha stimolato a comporre versi?” Brodskij rispose: “Il primo è stato quando qualcuno mi ha mostrato la Literaturnaja Gazeta dove erano stati pubblicati i versi di Sluckij. Avevo forse sedici anni allora. A quei tempi ero autodidatta, andavo per biblioteche … Mi piaceva da morire ma non scrivevo nulla di mio e addirittura non pensavo di farlo. Ed ecco, mi mostrarono i versi di Sluckij che mi produssero una impressione molto forte”.

iosif brodskij sulla scrivania

Brodskij ripetè questo altre volte: “In generale penso che ho iniziato a scrivere versi perché lessi le poesie di un poeta sovietico abbastanza dotato, Boris Sluckij.
K.K. Kuzminskij ricorda quando mostrò a Brodskij le sue prime poesie. Invece di apprezzamenti e consigli Brodskij gli lesse “La fossa di Colonia” di Sluckij: ecco come si doveva scrivere.

Partecipando nel 1975 al simposio “Letteratura e guerra” Brodskij disse esattamente:

“Proprio Sluckij, quasi da solo, ha cambiato il suono della poesia russa del dopoguerra. Il suo verso era pieno di burocraticismi, di gergo di guerra, di espressioni popolari e slogan. Con pari leggerezza utilizzava assonanze, rime dattiliche e visuali, un ritmo traballante e cadenze popolari. La percezione della tragedia nei suoi versi spesso si spostava, suo malgrado, dal concreto e lo storico verso l’esistenzialismo – fonte finale di tutte le tragedie. Questo poeta parla con la lingua del ventesimo secolo … il suo tono – crudele, tragico ed imperturbabile – è lo strumento grazie al quale un sopravvissuto racconta pacatamente, se ne ha voglia, quello che ha vissuto.”

Lev Locev osserva: “Come fosse un inchino deferente al maestro, che gli ha insegnato ad usare il verso giocoso per compiti seri e non giocosi, si pose l’inizio del poema di Brodskij “Isacco e Abramo” (giugno 1962). Là si sfrutta la differenza tra il nome biblico Isacco e la sua variante russificata. (Allora, come non ricordare la famosa poesia di Sluckij “Abramo, Isacco e Giacobbe”…). Tuttavia, l’aspetto più sostanziale che Brodskij ereditò da Sluckij o, almeno, da quello che Brodskij vide in Sluckij, è la comune tonalità del verso, quel dominante stilistico, che documenta la posizione assunta dall’autore come atteggiamento nei confronti del mondo”.

Brodskij ricordò Sluckij per tutta la vita. Lo stesso Lev Locev scrive che, come regola, quando si parlava di Sluckij, Iosif recitava a memoria “La musica sul bazar”.
Sono interessanti e sintomatici i ricordi di Tatiana Bek, che aveva incontrato Brodskij in America:

“Sul palcoscenico – noi quattro “autori sovietici” (ndt: in inglese nel testo) e Brodskij. Grazie ad una traduttrice rispondevamo a domande scritte. Io, in particolare, ricevo questa: ”Perché nella Russia contemporanea la poesia è innaturalmente politicizzata?”
Sì, come spiegare! Rispondo: poiché il giornalismo, la pubblica amministrazione della giustizia, l’arte oratoria negli anni del potere sovietico sono stati distrutti dalla censura totalitaria e sembrerebbero diventati un tutt’uno, la poesia onesta ha iniziato inconsapevolmente ad assorbire in se stessa funzioni non liriche…
Qualcosa del genere. Guardo: ascoltano … con attenzione e comprensione. Penso: o la va o la spacca – leggerò la mia poesia preferita di Sluckij, che risponde esattamente alla loro domanda americana:

Finché piangono sulle poesie,
finché le denigrano sui giornali,
finché le nascondono in un cassetto lontano,
finché sono destinate ai lager –

fino a quel momento non si è impoverita,
non ha smesso di risuonare la nostra causa.
Non è scomparsa come la Polonia
sebbene abbia subito tre spartizioni.

Iosif brodskij 6

E all’improvviso Iosif balza dal posto, corre al centro della scena, mi sposta con un gesto teatrale (“Non posso tacere!”) e attaccando a mezza frase, con la sua inimitabile pronuncia dalle erre moscia:

Per quelli che sono ghiotti di paragoni,
io non conosco precisione maggiore
del paragonare il verso russo con un Polacco,
la poesia natale – con la Polonia.

La sala esclamò: bene! bene! E Iosif, dopo aver recitato i versi, sorride e dice: “I miei versi preferiti del mio amato Sluckij”. E, senza farsene accorgere, mi sorride allegramente facendomi l’occhiolino (Dai, ci è andata bene anche se non ci eravamo messi d’accordo, no?)
La sala scoppiava dagli applausi.
…Ma i versi di Sluckij terminavano così:

Soltanto ieri correva,
si torceva le mani nel terrore,
soltanto ieri giaceva quasi fosse al decimo patibolo.

Ed ecco amoreggia
e scoppia in una risata sfacciata.
E quello che è stato
e quello che sarà –
di questo non ne vuole sapere.

(1960)

Nella poesia “Meglio di ogni dove/si dormiva nella stazione Saviolovskij”, Brodskij scrive sul “pianeta angoloso”:

Questa notte
non intendo indovinare
Il mio destino personale
dal pianeta angoloso.

È la verità. Il pianeta di Sluckij era davvero “angoloso”.

“Qui negli angoli si sente odore di un ex Dio” (ma Brodskij non si sa se obietta o conferma: ”Nel villaggio Dio vive non negli angoli”).*

*(Era tipico delle case dei villaggi russi il “krasnij ugol’=angolo rosso” nel quale si trovavano le icone ndt)

E là, soffiano venti, per quanto forti/non riescono a superare le frontiere/ in un angolo buio/dove in silenzio hanno nostalgia…”
“Che voglia di elencare alcuni/ dei più aguzzi e scomodi angoli, dove mi cacciavano…”
“E Dio che è luce e canto/e silenzio e fragranza/nell’angolo, fatto il pieno di pazienza,/guardava come distruggono la sua casa”
“Nell’angolo più abbandonato/tra feticci e spaventapasseri/io ti misi/Signore, mi hai perdonato?”
“Era più intelligente e crudele di quell’altro/di nome Geova/che buttò giù/sterminò, carbonizzo’/e dopo tirò fuori dall’abisso/e gli diede un tavolo e un angolo…”

Si possono trovare ancora altre citazioni da poesie di Boris Sluckij: sarà dovunque evidente che per lui l’”angolo” è planetario. Per lui “angolo” è sinonimo di debolezza, assenza di una via d’uscita, disperazione, povertà, sconfitta ma anche…di libertà, poesia, creazione, posizione di Dio e personalità.

In una parola, nei versi dedicati a Boris Sluckij ”il pianeta angoloso” è naturale. Molti anni dopo questa dedica Sluckij scrisse la poesia “La patria angolosa” come se avesse compreso, come si doveva, quanto valesse la pena di rispondere ai versi nei quali appariva “il pianeta angoloso”:

Verso il sud – è più alto il volo dell’aquila
ma verso i mari polari il paese
era in pendenza, angoloso
e ricco a dismisura di angoli.

Ho scelto, nell’enorme stato
l’angolo più oscuro, appartato <…>

Sono belle le leggi del paese:
chiare, semplici, rette.
Tutti noi dobbiamo sottometterci
alle leggi inconfutabili della Russia.

In un angolo oscuro mi nasconderò. Mi sottometterò.
Mi inchinerò dinanzi alla legge chiara.

Attaccare magari una lampadina in un angolo.
Mettere un tavolo. Sistemare un letto.
Si può vivere –
Non intorbidire le acque,
onorare la Patria angolosa.

(1972-1977)

Non si tratta di una discussione né di una polemica. È precisamente una reazione, un’eco. Una obiezione ironica che significa assenso. La stessa eco è la poesia “Ai confini della città e dello stato…” che rispondeva a due righe della “Lettera ad un amico romano” di Brodskij (“Se ti è capitato di nascere nell’impero, è meglio vivere in una provincia remota vicino al mare”):

Ai confini della città e dello stato
tutto è più crudele e più semplice.
Ecco un pastore. Questo è un pascolo. Questo – un gregge.
Non ci sono soldi nella tenda e nella coperta.
La tenda alla finestra.
Ecco tutto quello di cui è coperto il destino.
Quelli visibili, come microbi sotto il microscopio,
strisciano dalla culla alla tomba.
E la periferia più velocemente verso la punizione. E l’amicizia.
Pochi quelli che vanno in ufficio.
Vanno al lavoro. Nella fabbrica più vicina.
E le antenne sui tetti
e le croci del vicino cimitero
e i pali del telegrafo
formano la verticalità
che rattrista e rallegra
ma che va verso l’alto.

Sluckij ancora due volte ricordò e rammentò il suo più giovane contemporaneo:

Ci rivedremo forse un giorno?
La terra è troppo ampia
e noi due troppo impegnati,
ci diremo addio per sempre.

In una qualche enciclopedia
la somiglianza dei cognomi farà incontrare
il tuo canto da usignolo
e il mio eloquio quotidiano.

Ed in qualche ricordo,
negli accenni dei vicini
ricorderanno Voi e me
e negli indici ci menzioneranno.

[Boris Sluckij]

“La terra è troppo grande” significa che si parla della partenza, dell’emigrazione che per un sovietico è il commiato per sempre. “La somiglianza dei cognomi” – i cognomi che finiscono per “skij” e “ckij” sono cognomi polacco-ebrei. Si aggiunga che Brody e Sluck sono città di zone “riserva” degli ebrei. Così “una qualche enciclopedia” probabilmente è l’enciclopedia “Gli Ebrei nella poesia russa del XX secolo”. “Il canto da usignolo” in tal senso si riferisce alla lettura rapita e singhiozzante dei suoi versi fatta da Brodskij e “l’eloquio quotidiano” alla lettura tranquilla e senza pretese dei propri versi fatta da Sluckij.

“Voi”, testimonianza di rapporti non intimi ma rispettosi ma nel testo appare “il tuo”, testimonianza di un riconoscimento del talento poetico. Con una persona poco conosciuta si parla col ”voi” ma ad un poeta si può parlare col “tu”. E alla fine, “i ricordi” grossolanamente fanno ostentatamente e facilmente rima con “accenni”. Il destinatario della poesia stava in quegli stessi gruppi che anche Sluckij frequentava, nelle stesse redazioni. È sottinteso che a nessun poeta poteva venire in mente che tra il “parassita” Brodskij ed il sovietico classico fosse possibile alcun legame. Nessuno poteva addirittura pensare che il premio Nobel tra tutto “lo splendore della nostra poesia” avrebbe scelto e definito proprio lui “semplice come l’orzo perlato”, avrebbe messo in risalto il suo “eloquio quotidiano”.
Tutto qui. La poesia è in codice. E la stessa cifratura è corretta: “vicinanza dei cognomi”. L’alfabeto collocherà Brodskij e Sluckij in parti diverse dell’enciclopedia così come la situazione politica li aveva collocati in parti diverse della Terra. Per questo è quasi impossibile indovinare, se lo stesso Sluckij non avesse attirato l’attenzione dei suoi attenti lettori su quanto fosse importante per lui la terminazione polacco-ebrea del suo cognome:

Ricordo il tuo carattere brutale
e tra molti discorsi
uno. Camminavamo noi due per Charkiv.
Tacevamo. Ognuno assorto in sé stesso.
Tu pensavi e pensavi. E con un sogghigno
mi dicesti: “Ma pensaci, aspetta un po’,
un poeta con questo cognome con “ckij”
come te, non è pensabile… <…>

…Io spalancai la bocca – Taci, “ckij”.
-No, non tacerò. Il cognome Kul’cickij
come il mio finisce in “ckij”!
Per la prima volta alzai le mani su un amico.

(1971)

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iosif brodskij

La lite giovanile con l’amico, che morì in guerra e per il quale negli anni della assoluta disperazione e cupezza Sluckij scrisse la sua poesia preferita “Dopo la rissa, dai alziamo i pugni”, si fa sentire nei versi sul poeta che se ne è andato dall’altro lato della Terra. La “somiglianza dei cognomi” in “ckij” e “skij” è una conseguenza di quella lontana lite. Proprio questa somiglianza doveva situare il vecchio ed il giovane poeta “in una qualche enciclopedia”.
C’è una seconda poesia il cui destinatario si indovina con una certa difficoltà ma pure si indovina. È la poesia “Il caso”.
Il “caso” è anch’esso una immagine costante nella poesia di Sluckij come “l’angolo”. Sluckij scrisse anche una poesia “Ode al caso”. Ma questa poesia di cui si parla non è un’ode. Sì, e il caso non si può dire che sia solo un caso.

Questo caso è stato progettato in circoli di peso
e ponderato in conseguenze e vastità
e per questo– sei fritto.
Vai via, finché sei vivo.

La poesia è stata scritta alla fine degli anni ’60. A chi si rivolge? Forse Sluckij ricordò “l’angolo remoto del tempo” (anno 1952) quando preparavano il processo dei “medici-assassini” e la profonda indignazione del popolo intero in tutte le città? Quali altri “casi” erano stati pianificati nei circoli di peso? Ricordava che l’apparato era rimasto lo stesso di prima e il 1937 e il 1952 potevano anche ripetersi.
Vladimir Ognev ricordava che il poeta gli raccontava i suoi sogni, nei quali veniva arrestato. Tuttavia la poesia non è retrospettiva, non si rivolge al passato. Ancora di più, non è rivolta a sé stesso. È dedicata ad un amico a cui si da’ un terribile, sgradevole, crudele ma sicuramente salvifico consiglio e per questo gli viene dato di proposito sgarbato, brusco perché non si sentano parole di gratitudine.

Questo caso avverrà, succeda quel che succeda
e per questo non affidarti alla benevolenza
del destino finora propizio.
Io ho detto quel che ti aspetta nel futuro.

Nel 1952 Sluckij non poteva “andarsene” da nessuna parte. La possibilità di un “andar via” era stata stroncata. Ricordava perfettamente e scriveva in un saggio memorialistico su quel tempo:” Non c’erano speranze. E non solo prossime, cosa comprensibile, ma nemmeno lontane. Non si pensava ad un futuro luminoso. Io e quelli della mia cerchia supponevamo di non aver futuro”. Nei versi sul ‘Caso’ si intravvede una speranza. È spaventosa – questa speranza, poiché questa speranza si basa …sulla fuga, sull’andar via sia pure all’inferno ma…andare via:

Vattene, finché sei vivo.
Raccogli armi e bagagli.
Cambia il tuo scopo.
Fatti monaco.
Scompari, dissolviti, corri, perditi!
Vattene!

A Sluckij erano rimasti non pochi amici negli organi giudiziari. Sebbene non avesse dato l’esame per giurista, tuttavia studiò nell’Istituto giuridico di Mosca con la medesima dedizione di quanto fece in quello di Letteratura. Dopo il XX Congresso gli mostrarono una soffiata proprio su Brodskij che cominciava con le parole: ”Assai conosciuto in circoli ristretti…”. Potevano dare ad intendere compiutamente alla fine degli anni ’60 che per un ragazzo che scriveva versi e che già scontava (non fino al termine) una pena per parassitismo, qui non c’era vita. Era meglio andarsene, sparire, correre, farsi monaco. Emigrare. Ma potevano anche non dare ad intendere. Lo stesso Sluckij poteva comprendere che il “caso” Brodskij non era affatto un caso ma una politica pianificata:

Non c’è eccezione da questa regola.
Rotola, come una moneta in una fessura invisibile,
Infestati come un sentiero, perditi nella folla,
ecco, è tutto quello che ti si può consigliare.

Soviet Poet Joseph Brodsky In Exile

“la noia… è una finestra sul tempo” (I. Brodskij)

Tre parole in tutto (ma quali parole!) che sono una testimonianza: la poesia si rivolge ad un poeta e ad un grande poeta. Ecco le tre parole: “Infestati come un sentiero”. E di nuovo una citazione sbagliata, riformulata, da antologia in cui Sluckij era un maestro. “Verso di me non si infesterà il sentiero popolare” (cfr. Puskin, Exegi monumentum ndt), invece qui “infestati come un sentiero” per salvarsi.
Si comprende, allora, diversamente un appunto di David Samojlov: “Parlavamo del processo a Brodskji. Domandai come mai, eccetto Marshak e Cukovskij, nessuno di quelli che erano stimati scrittori era sceso in campo a suo favore. Disse – di quelli come lui ce ne sono tanti -. Parlò in quel caso non di poesia ma di sociologia. Parlava non del poeta Brodskij ma di un determinato strato sociale. – Di quelli come lui ce ne sono tanti – significa: gli succede quello che è stato pianificato a livelli alti e sembra non solo a lui”.
Il verbo “vattene”, ripetuto quattro volte, come supplica ardente, riecheggia nell’espressione “va’ via” ripetuta per quattro volte in un’antica poesia di Brodskij:

Va’ via, va’ via, va’ via
così che resti poco di te,
nella calda tazza della morte mescola
questo amaro e la fame e il sole.
Che ne sarà dell’amore per te stesso,
nulla, verserai fino all’ultima goccia, non ti stancherai,
non lascerai nulla al destino,
hai troppa sete nel Kazakistan.
Così lontano che la mente
non riesce a comprendere, ma almeno ricordare,
va’ dietro le parole, le case,
le spalle larghe dei conoscenti.

(1961)

Il rimando non è evidente ma micidiale.
“Vattene” perché in caso contrario (lo aveva scritto proprio lui nel 1961) ti toccherà andartene, ad esempio nel Kazakistan, dove “hai troppa sete”. Il richiamarsi dei due poeti è impercettibile, non è vistoso, non è pilotato, ma a maggior ragione sostanziale, raggiunge il suo apogeo nel “Grido autunnale di un falco” di Brodskij e “Come una rondine in catene” di Sluckij, poesia che la censura escluse da due raccolte del poeta, secondo le sue parole “con un ruggito e grida”.
Conviene estrapolare dal testo, che si pone come un classico, alcuni pezzi perché diventi più percettibile la reazione, la risposta a questo scritto da parte di quello cui una volta aveva cupamente consigliato: “Vattene”.

…un flusso ascendente lo solleva in alto
sempre più su. Nelle soffici piume del ventre
pizzica il freddo. Guardando in giù,
vede come l’orizzonte si offusca…<…>

Ehi, dove sono andato a finire!
Avverte, mischiato all’ansia,
l’orgoglio. <…>

Ma l’elastico strato
dell’aria lo riporta in cielo
in uno specchio di ghiaccio senza colore.

Nella gialla pupilla spunta un malvagio
bagliore. È un ibrido tra l’ira
e il terrore. <…

….ma come contro il muro – un pallone,
come la caduta del peccatore – di nuovo nella fede
lo respinge indietro.
Lui, che è ancora caldo!
Al diavolo, sempre più in alto. Nella ionosfera.
Nell’oggettivo inferno astronomico

degli uccelli, dove l’ossigeno è assente. <…>

E allora grida. Dal becco ricurvo
come un gancio, simile al guaito delle Erinni,
si sprigiona e vola al di fuori
il suono meccanico, insopportabile
dell’acciaio che penetra nell’alluminio. <…>

Noi sentiamo, qualcosa risuona in alto…

(1975)

Così scrive Brodskij. Ed ecco come risponde il poeta dal cognome simile:

Io sento il suono e so esattamente dove si trova
e mi perdoni pure un romantico:
non di campane né di angeli né di demoni,
una rondine in catene
risuona di ferri. <…>
Ma il blu, ma tutto l’azzurro
Oh, come è luminosa la sua prigione!
Ma lo splendore ha i suoi confini:
tu voli, tocchi con l’ala
ed ecco – una parete.

In catene, ma comunque una rondine, ma comunque in catene
sia tre volte una rondine, sia tre volte un uccello
le tocca vivere fino alla morte
stretta qui,
nella sfera dell’attrazione terrestre.

(Zvezdà- luglio 2009)

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12 risposte a “Boris Sluckij (1919-1986) e Iosif Brodskij (1940-1996) – Una lontana familiarità – di P. Gorlik e N. Eliceev – Sluckij, quasi da solo, ha cambiato il suono della poesia russa del dopoguerra – traduzione di Donata De Bartolomeo e Kamila Gayazova

  1. copio e incollo dal blog di Paolo Statuti

    Evgenij Aleksandrovič Evtušenko (1932-2017)
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2018/09/11/boris-sluckij-1919-1986-e-iosif-brodskij-1940-1996-una-lontana-familiarita-di-p-gorlik-e-n-eliceev-sluckij-quasi-da-solo-ha-cambiato-il-suono-della-poesia-russa-del-dopoguerra-traduz/comment-page-1/#comment-37784
    Preghiera prima di un poema

    Il poeta in Russia è più che poeta.
    Qui è dato nascere poeta
    solo a chi è vero cittadino,
    chi non ha rifugio né quiete.

    Qui il poeta è lo specchio del tempo
    e il falso prototipo del futuro.
    Il poeta sicuro tira le somme
    di ciò che fino a lui è accaduto.

    Ed io? La mia cultura non basta…
    E non serve profetizzare…
    Lo spirito russo è su di me
    e mi dice devi provare.
    In ginocchio e a bassa voce,
    pronto alla vittoria e alla morte,
    o grandi poeti della Russia
    vi affido umilmente la mia sorte…

    Dammi, o Puškin, il tuo canto,
    la tua lingua libera e veemente,
    il tuo destino affascinante –
    che anch’io infiammi la gente.

    Dammi, o Lermontov, lo sguardo astioso,
    dammi il tuo sdegno velenoso
    e la cella della tua anima chiusa,
    dove respira, nel silenzio reclusa,
    la sorella della tua animosità –
    la lampada della segreta bontà.

    Dammi, Nekrasov, placato il mio ardore,
    la pena della tua musa intagliata –
    nei portici, negli atri, nei binari
    e nei boschi e nei campi riversata.
    Dammi la forza della tua espressione,
    la tua azione così tormentosa,
    per trascinare la Russia intera
    come i bardotti con la fune penosa.

    Dammi, o Blok, la profetica nebbia,
    dammi altresì due ali spioventi,
    perché, svelando l’eterno enigma,
    nel corpo la musica io senta.
    Dammi, Pasternak, il cambio dei giorni,
    dammi dei rami il turbamento,
    l’unione di odori e ombre
    col secolare tormento,
    perché ciò che borbotta il giardino
    fiorisca ancora e maturi,
    e sempre il fuoco della tua candela
    in me arda e perduri.

    Esenin dammi la tenerezza
    per le betulle, gli animali, la gente
    e per ogni altra cosa al mondo,
    che tu come me ami impotente.

    Dammi, Majakovskij,
    la corpulenza,
    il furore,
    il tuo basso,
    la severa intransigenza per la feccia,
    affinché io possa
    attraverso il tempo passare
    e ai compagni-posteri
    di questo parlare…

    1964

    (Versione di Paolo Statuti)

  2. Ringrazio per queste testimonianze. L’amicizia tra poeti dà l’idea del clima culturale che si respirava in Russia; ma si si avverte anche la solitudine, e ci si chiede se l’idea di paese corrisponda a un sentimento diffuso tra la popolazione. Certo che scrivendo versi come questo di Brodskij un po’ ci si espone all’accusa di parassitismo:

    Pochi quelli che vanno in ufficio.
    Vanno al lavoro. Nella fabbrica più vicina.

    Alla gente piace che qualcuno li osservi, ne racconti e si faccia loro interprete? Ai governanti piace che grazie anche ai poeti il mondo venga a conoscenza dell’anima russa? Quanta responsabilità… questo scrivere sentendosi osservati, questo costante dar prova di sé, dover essere di esempio… Mentre qui, liberi ma nell’anonimato, più spesso nell’inutilità, ci si interroga sulla poesia come pratica di libertà.
    In tutto il mondo è così. Anche noi, modestamente, quando ci inventiamo cose nuove per avanzare nella tradizione e nel modo di pensare e vivere; un qualche sentimento collettivo, tra le macerie, portandolo in essere… ma interpreti del nulla, declassando il significato e portandolo a mezzo del percorso…

  3. Lo spirito dei poeti russi è inestinguibile! E… se “canto da usignolo” fosse proprio riferito alla voce poetica di Brodskij?

  4. per chi legge con attenzione e sa leggere, apparirà chiaro che Evtusenko è un poeta minore, dalla poesia postata qui sopra questo è chiaro. Si noti come Evtusenko tratta il tema del «poeta russo», poeta per diritto di nascita… si noti il parlato, il colloquiale nel quale il poeta russo è stato un maestro, come quel parlato sia un ottimo strumento per veicolare pensieri populisti e demagogici, come si direbbe oggi, pensieri sulla tematica mitica del poeta che nasce poeta e altre fantasmagorie insulse e raccogliticce; e poi quel parlato spezzettato che mi dà veramente ai nervi, che risulta respingente.

    Il problema posto da questo articolo io lo riassumerei così: Brodskij riprende il testimone della poesia dalle mani di Sluckij, il dialogo tra le generazioni che si era interrotto a causa del regime comunista staliniano, adesso può riprendere, un poeta sovietico e un poeta del Samisdat possono dialogare e continuare l’uno il lavoro dell’altro. Brodskij come poeta non sarebbe esistito senza Sluckij poeta, questo mi sembra incontrovertibile, così come è incontrovertibile che dopo Satura di Montale la poesia italiana si sia infilata in un tunnel oscuro e senza via di uscita. Quella via aperta da Montale con Satura era una via con un passaggio a livello, occorreva superare la barra del passaggio a livello che era restata e resterà nei decenni successivi a Satura permanentemente chiusa. Il fatto è che quella porta chiusa è restata chiusa per cinquanta anni e la poesia italiana è rimasta come insabbiata in quelle sabbie mobili…

    Penso che sia molto importante ricollegare gli anelli della catena della poesia italiana che in tutti questi anni è rimasta interrotta…

  5. Penso che un compositore (un poeta è di fatto un compositore) si debba dare una procedura della composizione che può essere la più varia, ma è chiaro che in assenza di una procedura della composizione un compositore che si affidi all’immediato e alla immediatezza della ispirazione o a chissà quale altra diavoleria orfico-magica, non potrà che comporre delle composizioni già composte, codificate e legiferate. In parole povere, una nuova composizione richiede sempre una nuova filosofia della composizione.
    Ascoltiamo ancora una volta Salvatore Sciarrino.
    Ascoltiamo le parole di un maestro della musica contemporanea, Salvatore Sciarrino, Della «composizione»:

    «…è come se io partissi a rovescio, immaginassi il punto di arrivo e poi studiassi come arrivarci, e questo secondo me rovescia un po’ il modo di procedere della composizione così come la conosco io attraverso la scuola… per me l’immaginazione sonora è la prima cosa, il che non vuol dire soltanto immaginare un suono ma immaginare il modo verso il quale tu vai e dentro il quale tu vuoi visitare e che contiene delle cose che ti attirano e ti danno la voglia di prenderle con te e mostrarle agli altri… se non avviene dentro di noi uno sforzo molto forte di superare, non gli ostacoli, ma proprio di bucare i muri… aprire porte dove non ci sono porte, noi non otteniamo nessun risultato. Un pezzo di musica in più o in meno non ci serve, noi abbiamo bisogno di cose che ci sorprendono, che ci rapiscano e ci trasformino. Quindi, la prima fase ideativa, è decidere in quale parte dell’universo noi ci stiamo recando… dentro quale parte ci vogliamo avventurare, questa è la prima cosa, il resto è già scontato, perché se c’è la immaginazione di una nuova opera, il resto riguarda più i dettagli o come realizzarla…»

    In analogia con quanto affermato da Salvatore Sciarrino, una riflessione sulla «composizione» non può sottrarsi all’obbligo di Pensare l’impensato (dal titolo di un libro di Enrico Castelli Gattinara), cioè pensare qualcosa che è posto al di là del nostro pensiero presente, qualcosa che sta oltre la soglia del pensiero, qualcosa che non è indicibile né dicibile, ma che non sfugge alla nominazione, qualcosa che sta tra il dicibile e l’indicibile, in una zona neutra che non è ancora stata nominata. Questo momento è appunto il gettare il guanto della sfida oltre il limite estremo del pensiero per forzare il pensiero, costringerlo allo s-profondamento, allo s-fondamento, in quanto lo s-fondamento è, appunto, la nuova fondazione; assecondando il pensiero che vuole che non ci sia fondazione senza un previo sfondamento del pensiero. Bisogna pensare «a rovescio», immaginare «il punto di arrivo» prima di pensare come arrivarci. È questo il compito principiale della nuova ontologia estetica. Perché, come scrive la Giancaspero: Al quadro manca una ragione, dobbiamo andare alla scoperta della «ragione» mancante, dell’anello che non tiene, e che tirandolo viene giù il mondo, avviene lo s-fondamento.

  6. da una lettrice, Antonella Argenti copio e incollo questa sua poesia giunta alla mia email:
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2018/09/11/boris-sluckij-1919-1986-e-iosif-brodskij-1940-1996-una-lontana-familiarita-di-p-gorlik-e-n-eliceev-sluckij-quasi-da-solo-ha-cambiato-il-suono-della-poesia-russa-del-dopoguerra-traduz/comment-page-1/#comment-37798
    “Se veniste da queste parti,
    Prendendo la strada che verosimilmente prendereste
    Dal posto da cui verosimilmente verreste,
    Se veniste da queste parti nel tempo di maggio, trovereste le siepi
    Di nuovo bianche, in maggio, di voluttuosa dolcezza.
    Sarebbe lo stesso alla fine del viaggio,
    Se veniste di notte come un re spezzato,
    Se veniste di giorno senza sapere perché siete venuti,
    Sarebbe lo stesso, quando lasciaste la strada sconnessa
    E giraste dietro la porcilaia fino alla sciocca facciata
    E alla pietra tombale. E ciò per cui credevate di essere venuti
    È solo un guscio, una buccia di significato
    Da cui lo scopo erompe solo quando è adempiuto
    Se mai. O non avevate uno scopo
    O lo scopo è oltre la fine che immaginavate
    Ed è alterato nel compimento. Ci sono altri posti
    Che sono anch’essi la fine del mondo, alcuni alle fauci del mare,
    O sopra un lago oscuro, in un deserto o in una città –
    Ma questo è il più vicino, nello spazio e nel tempo,
    Ora e qui nell’ombra delle parole.“

    • Antonella

      Gentilissimo Giorgio,
      T.S.Eliot ringrazia (!) di essere ricordato in questo nostro tempo oscuro e privo di grazia.
      E io ringrazio lei per la sua Ombra necessaria.

      Antonella

  7. donatellacostantina


    Ornella Vanoni, L’appuntamento

    Ho sbagliato tante volte ormai che lo so già
    che oggi quasi certamente
    sto sbagliando su di te. Ma una volta in più
    che cosa può cambiare nella vita mia…
    accettare questo strano appuntamento
    è stata una pazzia!
    Sono triste tra la gente
    che mi sta passando accanto
    ma la nostalgia di rivedere te
    è forte più del pianto:
    questo sole accende sul mio volto
    un segno di speranza.
    Sto aspettando quando ad un tratto
    ti vedrò spuntare in lontananza!
    Amore, fai presto, io non resisto…
    se tu non arrivi non esisto
    non esisto, non esisto…
    E’ cambiato il tempo e sta piovendo
    ma resto ad aspettare
    non m’importa cosa il mondo può pensare
    io non me ne voglio andare.
    Io mi guardo dentro e mi domando
    ma non sento niente;
    sono solo un resto di speranza
    perduta tra la gente.
    Amore è già tardi e non resisto…
    se tu non arrivi non esisto
    non esisto, non esisto…
    Luci, macchine, vetrine, strade
    tutto quanto si confonde nella mente,
    la mia ombra si è stancata di seguirmi
    il giorno muore lentamente.
    Non mi resta che tornare a casa mia
    alla mia triste vita
    questa vita che volevo dare a te
    l’ hai sbriciolata tra le dita.
    Amore perdono ma non resisto…
    adesso per sempre non esisto
    non esisto, non esisto…

    In english:

    I was wrong so many times till this point and I already know it
    that today almost certainly
    I am wrong on your behalf but one more time
    what can change in my life
    accept this strange date
    was madness
    I am sad between the people
    that go by me
    but the nostalgia to see you again
    is more powerfull than crying
    this sun lights up on my face
    a sign of hope
    I am waiting when suddenly
    I will see you appear from affar
    Love, hurry up, I can’t resist…
    if you don’t arrive I don’t exist
    I don’t exist,I don’t exist…
    the weather has changed and it rains
    but I keep on waiting
    I don’t care what the world thinks of me
    I don’t want to go away
    I look inside me and I ask
    but I don’t hear anything
    I am only a left-over of hope
    lost between the people
    Love it’s already late and I don’t resist
    if you don’t arrive I don’t exist
    lights, cars, shop-windows, roads/streets
    everything gets mixed up in my mind
    my shadow is tired to follow me
    the day dies slowly
    There is nothing else left than going back home
    to my sad life
    this life that I wanted to give to you
    you have crumbled her between your fingers
    Lve, excuse me but I can’t resist
    now forever I don’t exist
    I don’t exist, I don’t exist

  8. donatellacostantina

    Al fine di non voler generare equivoci, desidero puntualizzare che le parole di una canzone non possono considerarsi poesia. La differenza tra le due forme è sostanziale.

  9. donatellacostantina

    Nella canzone, il testo, anche il più “impegnato”, per così dire, si avvale del supporto musicale; la musica aggiunge alle parole una forza in più. Perciò, quando ci troviamo di fronte al solo testo, privato della veste musicale, abbiamo la sensazione che le parole “suonino” diversamente e ciò che all’ascolto aveva suscitato in noi emozione, ora appare indebolito, elementare, a tratti perfino banale. Nella canzone, la musica ha un ruolo suggestivo fondamentale capace di arricchire anche un testo povero. Del resto, si sa, i testi delle canzoni hanno schemi piuttosto semplificati, impiegano molto la rima, il ritornello… Qualche metafora introdotta è breve e priva di particolari complicazioni. Tutto questo perché le parole della canzone devono poter essere comprese e ricordate facilmente dal più vasto pubblico.
    Tutto ciò che vale per la canzone non vale più per la poesia: il quadro si ribalta. Perciò, prima di definire poesia una canzone, attenzione a non farci trasportare e confondere da una musica accattivante, o dalla bella voce e dal fascino dell’interprete… Le parole in poesia sono un’altra cosa, ben distante dalle parole di una canzone. E quanto leggiamo su questa Rivista ce lo insegna ogni giorno.

  10. Grazie Costantina,
    le tue precisazioni sono calzanti… nessuno, tranne la giuria del Nobel che ha premiato un cantautore come Bob Dylan, può confondere una poesia con un buon testo di una canzone, e l’esempio riportato ne è l’ennesima prova. Però io vorrei citare questi tre versi in inglese e poi nella versione italiana, perché a leggerli non sfuggirà la sottile influenza esercitata dalla poesia di Eliot su alcune parti del testo. Si tratta di una percezione della città con uno sguardo esistenzialistico, è il primo sorgere dell’esistenzialismo nella canzone italiana di qualità. Questi versi non sarebbero stati scritti senza l’influenza de The Waste Land (1922) di Eliot.

    lights, cars, shop-windows, roads/streets
    everything gets mixed up in my mind
    my shadow is tired to follow me

    Luci, macchine, vetrine, strade
    tutto quanto si confonde nella mente,
    la mia ombra si è stancata di seguirmi

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