
Il distico è un’imposizione. Punto. Fattene una ragione.
Ora sei nella merda. Ma questo io non lo scriverei.
Mayoor Lucio Tosi è nato a Gussago, vicino a Brescia, il 4 marzo dell’anno 1954. Dopo essersi diplomato all’Accademia di Brera è entrato in pubblicità. Ne è uscito nel 1990, quando è diventato sannyasin, discepolo di Osho (da qui il nome Mayoor: per esteso sw. Anand Mayoor = bliss peacock). Ha trascorso più di vent’anni facendo meditazione e sottoponendosi a ogni sorta di terapia psicanalitica: sulla nascita e l’infanzia, sul potere, sulle dipendenze affettive ecc. Di particolare importanza, per la realizzazione di Satori, sono stati alcuni ritiri zen dove ha potuto lavorare sui Koan (quesiti irrisolvibili).
Vive a Candia Lomellina (PV), nel mezzo delle risaie, dove trascorre il tempo dipingendo e scrivendo poesie.
Sue poesie sono state pubblicate on line su Poliscritture, L’Ombre delle Parole, e su alcune antologie tra cui I Quaderni di Erato. E’ tra i finalisti al premio Opera prima 2015 di Poesia 2.0.
a Maria Rosaria Madonna
Il distico è un’imposizione. Punto. Fattene una ragione.
Ora sei nella merda. Ma questo io non lo scriverei.
«L’ennesima azione inutile. Che non mi procurerà denaro.
Che inizio e non finirò».
Devo poter leggere mentre scrivi. Non esistono prima o poi.
Non avanzare scuse.
Invece che all’aeroporto mi trovo davanti alla stazione ferroviaria
in disuso. Indosso un cappellino beige, ho trent’anni.
Oltre all’ora segnata sull’orologio della stazione, ho in mente
i numeri di molte pagine. Libri e giornali.
5,5 – Pagina 5, a metà del quinto rigo: “Infatti decisi di pubblicare
senza indugio”.
Perché di monti e nuvole non resta un’impronta. Spariscono
anche i cadaveri. Nessun treno qui arriverà mai.
Aspetterò seduta in un bar immaginario, sorseggiando
il Tè dei morti scritto da quella tua amica.
E tu sbrigati ad arrivare.
…
«Di chi sei figlia, e di chi sei madre?»
Del vento in arrivo all’aeroporto. Non ho valige. Ho attraversato
velocemente il piazzale dei taxi. Un gatto.
Gli occhiali da sole nel taschino del blazer. Passato, futuro
e nel mezzo una croce.
Ti vedo malmesso. Hai piombato d’oscurità il tuo destino.
Non farlo con me.
Per me respira. Io sceglierò parole profumo di fiori del cimitero.
Finte banconote ti lascerò sul comodino
affinché ti possa disperare in libertà. E tu gli ultimi papaveri
di primavera. Ma cha siano veri.
…
Mentre si fa le unghie solleva lo sguardo paziente. Ironica.
Le gambe accavallate, con ai piedi dei mocassini.
Amelia Rosselli si vestiva con abiti pop anni ’60, logori
e fuori tempo. Quand’era in trasferta. Mangiava niente.
Le donne della tua vita, se sono andate una volta a Parigi
fu perché ce le portasti tu.
«Oh, ma io quasi non ricordo i luoghi dove sono stato.
Non una via, il nome di una piazza…»
«Solo imparo le immagini a memoria. La pietra bianca
di Montmartre; gli scalini perché ci scrissi una poesia».
«I miei alberghi non hanno stanze, solo porte d’ingresso.
In uscita tanti Mickey Mouse».
Quando si dice che la vita è un film! Prima che ci leghi
alla lingua un filo di ferro.
…
«Vogliamo parlare della suora che fosti?»
Sì, mi venisti a trovare ormai sono passati vent’anni.
Ero la donna che ancora dovrà nascere.
Al quartiere Blu. Mi chiamasti mentre eri in viaggio.
Venezia Torino. Sull’Aviocar coi comandi manuali.
«Scrissi una spiritosata». Avevo appena attivato il pavimento
autopulente. Mi ero concessa una vacanza dal lavoro.
Ma ti avvisai subito: ero in contatto con Madre come si chiama,
una devota. Mi insegnò molte cose, come filare la lana
e far crescere il basilico. Ma intanto il suo corpo
fremeva d’amore. Ti avevo avvisato, sai bene che…
«Non potevo immaginare che ci fossi anche tu.
Ne scrissi, ma solo di sfuggita».
Da quant’è che parli con chi vive fuori dal tuo tempo?
«Ho iniziato con il Bardo: quando decisi di farne pratica».
«Spero sempre che questi contatti durino lo stretto necessario.
Quando non guadagno denaro provo senso di colpa».
…
Mettiamo insieme parole. Fa con Mi e una pennellata.
Distogliamoci sovente, da una ringhiera con dentro
l’amore ovattato di una creatura ultraterrena firmata
Bambole di terracotta, trecento aperitivi l’anno
ogni volta una sorpresa. Rosmarina. A picco sull’orizzonte.
Baci tremendi e scatolette di medicinali. Supersex.
Io solo di notte, o almeno così ho dato a intendere. Sebbene
nelle parole australi di sole, non dicendolo, ne abbia messo.
Portata ovunque perché è stato come vivere in tram
dentro città coloniali che cadevano diritte su Roma antica.
Sempre a mezzogiorno. Come per finire un dipinto a ogni costo,
nella lava che ci portava via. Il Vesuvio.
Ho ancora qui – vedi? sulle costole l’insegna dei mariti
che mi sono venduta prima di affogare.
Mai divertita tanto.

Composizione grafica e versi di Lucio Mayoor Tosi
…
«Il tempo confonde. Io scrivo per miraggi».
«Avessi studiato, avessi almeno metà della tua cultura…»
Saresti perfetto. Vai, prendi il libro. Vibratile lingua et focum fero.
Ustioni di primo grado. Il palato defunto.
Per forza una marionetta. Preso al brefotrofio e calato
in vettura da Formula 1. Ma come si fa, ma come si può!
«Sì, be’, mancano molte parole. Del resto anche la mia bocca
come vedi è sdentata».
Suor come si chiama aveva in corpo il suo vocabolario.
Tu guardami e leggi.
A che pensi? «A un formichiere con le zanne rivolte. Un facocero?
«A un astronauta che si sta mangiando dell’uva».
Come le matrone romane. Quando pioveva e non avevano da fare.
I barbari sarebbero arrivati a bordo di carrozze senza cavalli…
«E presto anche senza le ruote».
…
Portami a fare una passeggiata.
(continua)
*

Composizione grafica e versi di Lucio Mayoor Tosi
Mario M. Gabriele :
23 luglio 2018 alle 11:37 am
Qui, caro Lucio, sei un maestro del distico-frammento. Sembra una cosa da niente, ma è un lavoro di ricerca immane. Bravo!. Sono punti di ricucitura linguistica tutte le volte che si interrompe il distico per sostituirlo con un altro.. Continua a leggere