
È una sorta di fabbrica globale della vetrina per conquistarsi una vetrina culturale e un deodorante
Riccardo Canaletti nasce nel 1998 nelle Marche. Frequenta la facoltà di filosofia dell’Alma mater studiorium di Bologna. Nel gennaio 2018 pubblica il suo primo libro, La perizia della goccia. Nel 2016 vince il premio “Città di Civitanova Marche” dedicato a Sibilla Aleramo. Sue poesie sono apparse nel in alcuni blog e varie riviste letterarie.
“Hic porcos coctos ambulare”
(Petronio)
alla redazione
Invio le poesie con una citazione iniziale che tendenzialmente pongo in esergo durante le letture. La spiegazione è semplice: la massima di Petronio con ironia abbassa l’immagine innalzando il livello “critico” della discussione. La denuncia a un mondo svuotato di senso acquisisce senso, il porco cotto è l’uomo rana di Nietzsche, è il mio io inesistente di Ironia dell’io, è il me in solitudine e senza fede. C’è irrisione, solletico e ironia per le questioni trattate e le parole utilizzate. Se vorrà mantenerla mi farà piacere.
(Riccardo Canaletti)

carte, biglietti del bus, biglietti dell’aereo, lettere di ex fidanzate, oggetti desueti, camicie sporche, ninnoli démodé
Giorgio Linguaglossa. Lettera ad un giovane poeta
Nei nostri cassetti si accumulano carte, biglietti del bus, biglietti dell’aereo, lettere di ex fidanzate, oggetti desueti, camicie sporche, ninnoli démodé etc. Un giorno, per sbaglio, apriamo quel cassetto e restiamo atterriti. Il passato si ripresenta come spettro, feticcio, datità, non senso, abnormità. Ci accorgiamo che l’oblio della memoria è in moto. L’archiviazione, la accumulazione, la massificazione degli oggetti sono la malattia del nostro tempo: ammassiamo le cose e le dimentichiamo; non c’è riscatto per quegli oggetti, stanno lì come cose morte, privi di trascendenza, cosificati, feticci. E la poesia? La poesia che vive di lentissima accumulazione e sedimentazione di «cose», qual è il posto della poesia? Che fare di quegli oggetti che nuotano tra oblio e oscurità? Dove metterli? Finiranno in qualche poesia? O li dirotteremo in qualche discarica?
In questi ultimi due, tre decenni il dominio della nuova normografia globale ha raggiunto vertici altissimi. Ci troviamo nel momento di massimo dispiegamento della fabbrica della visibilità, della vetrina, delle parole ready-made, delle parole della comunicazione. Forza non equivale a sinonimo di energia. Forza significa qualcosa di cieco, ottuso, che spinge e tutto travolge nel proprio cammino, qualcosa non dotata di energia ma di inerzia. Forse, la forza delle «cose» diventate feticci cosificati risiede nel loro vuoto di energia. Viviamo tutti in una vetrina globale, nel sortilegio della falsa coscienza e del feticcio. Vetrina globale e falsa coscienza sono parenti stretti.
Che cosa dovrebbe scrivere un giovane che è costretto a muoversi in questo fabbrica della normografia? Si deve creare da sé un proprio linguaggio? O deve crearsi una riconoscibilità linguistica? Deve rivisitare la tradizione recente, anzi recentissima così da acquisire una visibilità immediata tra i padri più prossimi e redditizi? O deve entrare in conflitto con i padri? – Ma crearsi questa genealogia non è affatto facile, bisogna fare i conti con la questione politica dell’eredità mancata e trafugata… e con i padri ingombranti… E allora non resta che l’epigonismo, la maniera, evitare il rischio stilistico, affidarsi ai gesti letterari o pseudo tali. Oggi non c’è più il rischio dell’inattualità, siamo tutti attuali nel mimetismo e nell’epigonismo, siamo tutti epigonici di un vacuum che sta appena dietro le nostre spalle. La tradizione e l’antitradizione sono diventate sterili, asettiche, sono un vacuum, un flatus vocis, non ci parlano più. Non vi sono che soluzioni individuali. Ed è altrettanto evidente che per conseguire queste soluzioni, occorre astenersi, non combattere alcuna battaglia, anzi, evitare accuratamente qualsiasi battaglia.
La poesia come scrittura «privata»? La mediatizzazione dello stile? La mediatizzazione del non-stile? – I giovani sanno che non è questione né dell’uno né dell’altro. Sanno che la questione dello stile è diventata un non-problema. Non occorrono progetti, sono sufficienti le scommesse; si scommette su tutto, anche la letteratura è diventata una scommessa, e la poesia una scommessa tra le altre. Si tratta propriamente di ambizioni indotte dalla normografia dominante, non c’è nulla da combattere né da non combattere. Ciascuno desidera il riconoscimento e il consenso, se non di tutti almeno di una parte, possibilmente di quelli che contano. Non è il problema la qualità di ciò che si scrive ma le alleanze e la normologia. È una sorta di fabbrica globale della vetrina per conquistarsi una vetrina culturale e un deodorante. È, insomma, un problema di pubblicità per se stessi. Pubblicare, pubblicare. Pubblicità per se stessi. Il poeta è il pubblico della poesia. E la scrittura diventa un circolo vizioso.
E infine due domande a Riccardo Canaletti:
1) Che rapporto ha la tua poesia con la tradizione del Novecento?
2) All’interno del Novecento (italiano ed europeo) quale linea intendi rintracciare e tracciare per il presente e l’avvenire?
Poesie di Riccardo Canaletti
Aforisma 27, Al di là del bene e del male (I)
le strade brulicano –
gli uomini-rana,
eccoli, son lì, brutti,
grigi
eccitati, lui
non capisce una parola
si specchia
nel fondo nero
delle sue orecchie,
non c’è niente
nemmeno nelle
pupille
pensa molto
diversamente
da me,
.
“Il linguaggio della razza umana: […]
. se io, non io
non tu pensassimo,
forse nessuno penserebbe
più,
.
[…] una grammatica incarnata in quattro parti”
nessuno ci conosce
dicono tutti
tu, io …
non esistono amo
amas,
ma soltanto am, am!
.
Eternare con poesia
ho lottato a lungo
con la zanzara,
l’ho resa immortale
più fuggevole,
l’eroe
sull’epidermide
.
Ironia dell’io
(psicanalisi fallita!)
il frigorifero che rimugina
ha il suono della massima
lek leka,
così prendo
lo stracchino da spalmare,
mi fermo e penso a me
(e il suono mi appare
come quello del digiuno
il senso è un senso
che a noi, che
cuciniamo,
non si svelerà mai),
ma qualcosa si forma
un odore di coscienza,
è il forno acceso
in quiescenza
fino al
drin
– il tempopassa –
direi che di noi stessi
si può fare
bene senza
Nota sovra un termine menzionato
il tempo è sempre
un tempopassa
che ci crea
lo spazio (cfr. il vento
che non resta)
e la storia
è una prima stazione
di sosta, non arrenderti!
prima che arrivi
avrai ancora un
momento
da sedere alla fermata
(vedi sondaggi ATAC)
.
Considerazione nella solitudine
mentre i miei sono in vacanza
io mi impasto
una poltiglia (formaggio e
pasta),
mia sorella è in spiaggia, ad abbronzarsi
con i calciatori,
loro sì che la fanno facile
pantaloncini e mutandone
sotto, proprio
come
se non sapessero
che il mare
non è mai un trionfo
di libidine.
e l’acqua solfeggia, il sole ti ricorda
la nostalgia per il ventilatore
io sono in casa,
da solo,
mi annoio da ore.
ho accartocciato la carta
argentata per il gatto,
che sappia lui
come si gioca, e che ci insegni
l’arte di restare sempre, in spiaggia
o a casa, il medium
del messaggio,
la p a s s w o r d, il suggerimento
e poco altro
.
Poetica
(sulla lingua che s’innerva)
la mia lingua
non è in commercio,
ma dev’essere
come un mercato straniero
nel nostro mercato,
la poesia è
il tabarchino
una lingua masticata
che la gente
si ricordi
.
Ces gens-là (Terminaison alternée)
si prega, si bara
si scansa il nostro amore
piccola piccola bourgeoisie
con i gioielli, il vino
buono in calice,
tu, Frida(F)
chiusa chiusa in famiglia,
non credere, je t’aime
ma non resterò
qua
mi conviene più la strada
également
si je ne suis pas
roi
.
Breve storia della conversazione
arrivarono, certo
smerciando gli affetti,
affettando le merci
della gastronomia locale,
ripulendo le tavole
dalle molliche, ché le formiche
sapevano e sarebbero
arrivate; tribolarono
per le scale, chi portando
le casse pesanti del vino
chi chiedendo di
aiutare, affamando
le braccia d’aria, imitando
i gesti dei più grandi.
poi, con gran sorpresa,
restituirono le ali
al secondo al dessert,
fino a stropicciare
i bordi
dei tovagliati vari,
per pulirsi le dita e
impastare le guance
di qualche
bebè.
in fondo,
in quell’inferno
ci risparmiammo
di inventarci
la parola
.
mancanza di fede
allora, è accaduto
più o meno come un nulla
neurologico, un
de-pensamento sulla soglia
dei vent’anni,
me ne stavo col gatto
dove giace il sole,
sul balcone asciutto e
in pietra. E lì avvertii
che il tutto era un tutto,
lo stesso dell’ape,
ma più vasto,
più chiacchierato. Lì, finiva
la mia anima, tra la cucina
e la spia della TV
che libra
.
Genealogia dell’eidos
poi arrivò l’idea
che rifiutò le logiche
dell’uomo, arrivò
la starna che d’inverno
cambia massa,
sul palmo della mano
ruscelli rigati
di acrilico, nel tentativo
di insabbiare la tela
(di luci e colori
tramammo la sua
scomparsa, dietro
il disegno) –
infine le lunghe, lunghe
dita, la polveriera
delle datità, l’evidente
presenza delle
evidenze e quel nulla
che ritorna e
ritorna ancora,
come niente;
quell’idea era un vuoto
a rendere,
un prestito dall’abisso
.
Coltrane è il verso
ero in macchina e
ascoltavo nel paesaggio
Coltrane esicastico
vagheggiando le onde,
uno ad uno come
il piano
(e come il forte)
vedevo davanti a me
i segnali,
e la via d’uscita SS blu
dall’estasi campale,
poi torna
la voglia di scendere e rotolare
e questo agire mio
diastaltico, da orso,
zoppicante,
svapora in un lampo
alla fine mi riservo di tornare
a casa, tra il ditirambo
gli iporchemi
epitalami che svirgolano
nella Punto
.
Assalto al nuovo cielo
– alla libreria
s’è parlato, abbiamo
trovato un modo
per dire no (a margine
dello Stato,
ma chi è stato può
noi dobbiamo
Spiace lasciare senza un commento le poesie di questo giovane poeta. Ho letto e mi sono piaciute. Il tema generazionale mette senso di colpa a quelli della mia età, senza che per questo vi si legga un’accusa. Scrittura meditata ma leggera, non dice sciocchezze e non fa nulla per esibirsi. E ogni tanto vola con le parole, come in questi versi, dove si arriva concretamente al (la) punto:
la voglia di scendere e rotolare
e questo agire mio
diastaltico, da orso,
zoppicante,
svapora in un lampo
alla fine mi riservo di tornare
a casa, tra il ditirambo
gli iporchemi
epitalami che svirgolano
nella Punto.
CHE LIBRA
“ripartirei da “mancanza di fede”
[a noi piacciono i vent’anni, qui si invecchia in fretta!
Saccheggiaci pure, fa di noi il tuo pasto quotidiano. E divertiti.
Noi non crediamo nella poesia, cerchiamo di farla franca. Prassi e deambulazione.]
La nostra è una poesia claudicante, Inventa regole e non ci crede.
-oggi mi vesto da ALFREDO DE PALCHI-
da PARADIGMA tutte le poesie, Mimesis – A. DE PALCHI
La finestra incornicia la torre
carnivora di poiane –
dietro la casa cresce l’orzo e la faina
in cucina con la collana d’aglio, il ciuffo di spighe
e il lunario, questa sonda di imprecisi giorni
della giovinezza.
Un compagno mi striscia di verde la blusa
mi schiaffa nel letame, concime per il pensiero fertile;
guardo con interrogazione i compagni e gli anziani
sorpresi e vili.
la lesciva non cancella il verde d’erba,
la sentina guasta la mente che si abbuia, e mi sigilla
fossile.
Buon tutto Riccardo Canaletti.
Grazie, OMBRA.
il frigorifero che rimugina
ha il suono della massima
lek leka,
così prendo
lo stracchino da spalmare
Se l’ironia è una figura retorica che consiste nel dire il contrario di ciò che si pensa, allora il giovane Riccardo Canaletti è sulla buona strada, e anche in buona compagnia: Gozzano, Palazzeschi e, perché no, anche un certo Leopardi.
Fedeltà ai canoni tradizionali, denuncia, sottile attacco alla società stagnante, senza bussola e consumistica, rassegnazione, qualche accenno aulico, antifrasi, parafrasi, ironia referenziale e ironia verbale:
(per dire no (a margine
dello Stato,
ma chi è stato può
noi dobbiamo
Per un giovane di venti anni che si avvicina oggi alla poesia, oggi che pare, e dico pare, non ci sia più nulla o quasi da cantare, i testi di Canaletti sono di qualità e possono essere letti in controluce. C’è Storia.