
Eliot Elisofon, La vita come ripetizione infinita
Postfazione di Alfredo de Palchi
Sonia Raiziss Giop de Palchi nel testamento lasciò le sue carte personali a me, amico ed ex marito, Alfredo Giop de Palchi in qualità di esecutore. Da scrittrice usava il nome di famiglia. Sonia Raiziss si presentava tanto signorile, generosa a ‘imprestare’ denaro a chi chiedeva, e mai pretendeva la restituzione contro il mio parere che imprestare soldi significa essere considerati dei nemici. Infatti, accadeva che l’amica, ora ‘nemica”, venisse anche derubata dalle persone che aiutava e che da quel momento evitavano d’incontrarla. Dalla sua signorilità si captava una modestia inconcepibile, nonostante io la caricassi di entusiasmo per il contrario. Non sparlava di nessuna persona. Se aveva qualcosa da ridire lo confessava a me, e basta.
Si comportava in tutta quella manifestazione perché di grande animo, non per timori. Non ne aveva.
Politicamente socialista, evitò di farsi intrappolare dal mccartismo dei tardi anni ’40 e primi anni ’50 trasferendosi a Parigi dove, nell’autunno del 1951, la incontrai al “Café de Flore”, e restò amica di comunisti ed ex comunisti in carcere negli Stati Uniti oppure in esilio, come il romanziere Richard Wright.
Figlia di un padre scienziato e professore di chimica alla University of Pennsylvania, dove creò il dipartimento di chimica e dove tuttora esiste un laboratorio in nome di George Raiziss, e di una madre che, come pioniera della professione medica, non poteva allora praticare perché donna, da adolescente iniziò a comporre versi. La sua prima silloge Through a Glass Darkly, apparve a Parigi con le Editions du Phare; con la Mercure de France, 1948, uscì una raccolta di brevi studi critici su La poésie americaine “moderniste” (1910-1940); con la University of Pennsylvania Press, 1952, il volume di critica The Metaphysical Passion: Seven Modern American Poets and the Seventeenth–Century Tradition, ristampato nel 1970 da Greenwood Reprinting; e con New River Press, 1977, la seconda raccolta di poesie Bucks County Blue.
Molto in succinto ho descritto la personalità complessa e la bibliografia di Sonia Raziss, decessa all’entrata primaverile del 19 marzo 1994.
Dal materiale ereditato, già in deposito negli archivi della “Beinecke Rare Book & Manuscript Library, Yale University”, ho tratto la scelta della presente raccolta A caduta libera. Ho creduto e deciso di soffermarmi sui testi degli ultimi suoi venticinque anni di attività, basandomi su quelli editi in varie riviste e su quelli che mi chiese di leggere nel periodo della composizione. È una raccolta che il tempo trascorso giudica valida. Quando incoraggiata da me a scartare la sua modestia, a mostrare invece grinta e arroganza verso chiunque, Sonia mi ascoltava sorridendo con devozione ma anche con soppresso sarcasmo che spiegava tutto: “I’m not you, crazy”, diceva. Io ho ancora entusiasmo per la sua figura, assente, rispetto per il suo lavoro sulla pagina che lei stessa ha trascurato, per dedicare trentaquattro anni alla direzione della rivista “Chelsea”, e per la signorilità completa che è stata in persona.

Sonia Raiziss
Appunto di Giorgio Linguaglossa
Io parafraserei le poesie di Sonia Raiziss così:
La poesia di Sonia Raiziss nasce da un percorso cosmopolita. Direi che la sua poesia può nascere quando all’orizzonte si spegne il linguaggio poetico di Carver. Quando un orizzonte di parole viene illuminato a piena luce, un secondo orizzonte non è ancora visibile, c’è ma non è visibile. Bene ha fatto dunque Alfredo de Palchi a raccogliere il meglio delle poesie di Sonia Raiziss degli ultimi 35 anni, adesso forse la sua poesia può trovare un lettore. A me la sua poesia piace, apprezzo in particolare il suo tentativo di parlare un’altra lingua, non più quella del minimalismo americano ma una lingua ricca di cose e di affettività e di perplessità psicologiche, perché non è mai troppo tardi per pensare in un altro linguaggio.
Non è troppo presto
per essere così tardi?
Poesie dei Sonia Raiziss
Kitchen clock
All along you had been yearning
for what––skeletal dial
mockup of ritual
moving in the same solo dance
with one skinny bone inviting
me into a wall of silence
Every day you pulled a hair
from my head I gave no sign
from the dreadful preoccupation
of living
Only last night in a strange eclipse
I thought to wait at the door
to surprise your implacable face
swimming in moonlight
Your finger points to no more numbers
moon sun
the flower hangs straight down
by the rigor of its stopped stem.
.
Orologio da cucina
Fin dal principio avevi desiderato
questo––quadrante scheletrico
simulacro di rituale
che si muove al solito assolo
con un magro osso che mi invita
dentro un muro di silenzio
Ogni giorno che hai strappato un capello
dalla mia testa io non ho dato segno
della terribile preoccupazione
del vivere
Solo la notte scorsa in una strana eclisse
ho pensato di aspettare alla porta
per sorprendere la tua implacabile faccia
che nuota nella luce lunare
Il tuo dito non punta più nessun altro numero
luna sole
il fiore pende giù reso dritto
dalla rigidità del suo gambo bloccato.
.
For those who died too early too late
The wind twists its watch.
The leaves fly in flocks,
hesitate, spiral down singly, are lost or
huddle. Birds hit from ambush
shudder down in doubt
if the aim is devious
and the throe ends elsewhere.
They sigh, hushed, resigned.
How easy to submit, to let the days
peel off the barked calendar. It’s
different in the killing fields,
forms shoveled under hills into holes
all over the pockmarked planet.
A dirty rag––surrender
is not the flushed leaf.
In the rafters
committees of blackbirds confer
in the dark for the next passage,
consult compasses. But if the needle
in the piled bones forgets, the compost of flesh
still stinks and the sifting
of the ashes hisses.
Around my amazed shoes,
the unconscious earth munches.
Berries or parsley will come up,
barely. The youngest dead have no next year;
most are childless.
Perpetual exiles in their own land,
expatriates in the round corners
of the globe, some get dug up,
deported in long boxes.
Per quelli che sono morti troppo presto troppo tardi
Il vento torce il suo orologio.
Le foglie volano in stormi,
esitano, scendono a spirale una ad una, sono perdute o
ammucchiate. Uccelli colpiti da un’imboscata
rabbrividiscono in giù dubbiosi
se il fine è equivoco
e lo spasmo si conclude in altro luogo.
Sospirano zittiti, rassegnati.
Come è semplice sottomettersi, lasciare che i giorni
sbuccino lo scorticato calendario. È
diverso nei campi di morte,
forme sospinte sotto colline dentro buchi
ovunque sul pianeta butterato.
Un straccio sporco – la resa
non è la foglia andata giù con l’acqua.
Sulle travi
comitati di merli conferiscono
nel buio per il prossimo viaggio,
consultano bussole. Ma se l’ago
nelle ossa ammucchiate dimentica, la concimaia di carne
ancora puzza e il vaglio
delle ceneri sibila.
Intorno alle mie stupite scarpe
l’ignara terra mastica.
Bacche o prezzemolo, radi, verranno fuori.
I morti più giovani non hanno un prossimo anno;
la maggior parte sono senza figli.
Esuli perpetui sulla loro stessa terra,
espatriati ai tondi angoli
del globo, alcuni sono riesumati,
deportati in lunghe bare.

Sonia Raiziss
The unripe dead
The year has come round again
to the windy date,
the downfall of leaves
in suburban neighborhood.
The turning feathers sieve
through the hourglass of air,
settle and rest: a season’s just
mood while death makes compost
heaps for futures.
They will live.
When in our worst autumn red
rains gush and harvested bodies
whimper under the hill, where
will the men uncurl from their last spasms?
They wait.
On the trees’ bare rafters,
a black bloom of crows.
The thrushes fly south.
The souls of warlings
brush by into gloom,
and what’s the infinite compass
that tells them where the
unhallowed go,
we have no blame.
The leaves swarm at the breathless
mouth of the earth. They have time.
And will the green dead know
what chance there was, vagrants in limbo
with persimmon lips
mumbling seedless sleepless.
I morti acerbi
L’anno ha di nuovo fatto il giro
fino al ventoso appuntamento,
la caduta delle foglie
nel quartiere di periferia.
Le rutilanti piume passano al setaccio
attraverso la clessidra dell’aria,
si depositano e giacciono: un corretto
umore di stagione mentre la morte fa mucchi
di concime per il futuro.
Vivranno.
Quando nel nostro peggior autunno rosse
piogge sgorgano e corpi mietuti
gemono sotto la collina, dove
si srotoleranno gli uomini dai loro ultimi spasimi?
Aspettano.
Sulle nude travi degli alberi,
una nera fioritura di corvi.
I tordi volano a sud.
Le anime di creature obsolete
passano oltre in fretta nelle tenebre,
e cosa è l’illimitata bussola
che dice loro dove
i sacrileghi vanno,
non ne abbiamo colpa.
Le foglie sciamano alla bocca
senza fiato della terra. Hanno tempo.
E sapranno i verdi morti
quale possibilità c’era, erranti nel limbo
con labbra di colore cachi
mormorano, senza semi, insonni.
The goodbye
The rails flanked in infinity
obsess him fixed to the indifferent
rage of his next rain. And there she stands
northbound for the same vent
that will ride and ride them
apart. The platform waits.
The dragon grows toward these
lovers haters clocked cousins
of leavetaking.
The announcer booms
the bulletin approach and all aboard,
expatriates stranded on their reefs
waving in pantomime.
I’m coming back. They’re
slain on schedule by lightning
tracks and hold on, and cough
like fate; then with decorum
drift out to keep
an old appointment.
Older than grief—
prefigured in caves and sea coves
in sutures on rock and column
in the first tale
that told the nature of logic
speeding from the finite
to the infinite goodnight.
The coward is
the daily hero at given
stations given times
who goes with public patience.
L’addio
Le rotaie fiancheggiate nell’infinito
ossessionano lui fissato sull’indifferente
rabbia del suo prossimo treno. E là sta lei
diretta a nord per la stessa apertura
che li porterà e porterà lontano
l’uno dall’altra. Il binario aspetta.
Il drago cresce verso questi
amanti astiosi cronometrati cugini
del congedo.
L’annunciatore dice con voce tonante
la comunicazione arrivo e tutti a bordo,
espatriati arenati sui loro scogli
che agitano le mani come in una pantomima.
Sto tornando. Loro sono
uccisi in orario da lampeggianti
binari e restano attaccati, e tossiscono
come destino; poi con decoro
si disperdono per tener fede
ad un vecchio appuntamento.
Più vecchio del dolore—
prefigurato in caverne e baie
in suture sulla pietra e colonna
nella prima storia
che raccontava la natura della logica
che accelerano dalla finita
all’infinita buonanotte.
Il codardo
è l’eroe quotidiano in certe
stazioni in certi momenti
che va con pubblica pazienza.
Window watcher
The surf of summer recoils
in a tide so slow
only the unwinking mind
can catch the blue-green
changes and gall and drab ocher
How the flowers have blown
the grass grayed
where the hot stone shudders
and the sun-leech suckles the fevers
leaf after leaf
for some transfiguration
Eyes that must blink miss
each torsion of the weather
and suddenly two seasons
the sea dragon kiss
Overnight their mutual wound widened
and the whole scene bleeds
under the window
And is scraped out
by the gravel of days
in the brown convalescence of dying
Turn back to where the room darkens.
Would you outwit this nighttime with watching?
Let it go. . .
Let it go. . .
Osservatore alla finestra
La spuma dell’estate indietreggia
in una marea così lenta
che solo la mente all’erta
può cogliere i cambiamenti
blu-verdi e color bile e di uno scialbo ocra
Come i fiori hanno reso
l’erba ingrigita
dove la calda pietra rabbrividisce
e la sanguisuga del sole succhia le febbri
foglia dopo foglia
per una qualche trasfigurazione
Occhi che devono battere le palpebre perdono
ogni torsione del tempo
e all’improvviso due stagioni
il drago marino baciano
Nottetempo la loro mutua ferita si è allargata
e tutta la scena sanguina
sotto la finestra
Ed è raschiata via
dalla ghiaia dei giorni
nella bruna convalescenza del morire
voltati verso la parte dove la stanza si oscura.
Potresti superare in astuzia questo tempo notturno col guardare?
Lascialo andare. . .
Lascialo andare. . .
.
Signal hill
Those gothic hills
those cypresses
are oilwells—
what’s far to the nearsighted
is beautiful
but close to, turns dull
Turns into a stripped town
of unholy steeples
hollowed by dry flames
yesterday in hell
Your vitals work openly
in routine greed, your tall bones
mean derricks swaying slightly
with nausea of a gore that gluts
and swells ruminant bellies
but somewhere the heart
pumps haggard and fierce
In discourse with the horse’s head
endlessly nodding
and with a thin nervous rune
of wires on the wind,
specters anointed
by the ooze of a dead underworld
to live like this
in a deafness of throbs
and a smudged sunset
Only when the hill moves back again,
they’re gods and heroes those charred
towers standing kneedeep
in a lake of blood
La collina delle segnalazioni
Quelle colline gotiche
quei cipressi
sono pozzi petroliferi—
ciò che è lontano per il miope
è bello
ma da vicino, diventa monotono
Diventa una città spogliata
di campanili profani
scavati da aride fiamme
ieri all’inferno
I tuoi organi vitali lavorano apertamente
con un’avidità di routine, le tue alte ossa
misere torri di trivellazione che ondeggiano leggermente
con la nausea di un sangue coagulato che rimpinza
e gonfia pance di ruminanti
ma da qualche parte il cuore
pompa stravolto e fiero
Nel discorso con la testa del cavallo
che approva all’infinito
e con una sottile nervosa runa
di fili metallici al vento
spettri consacrati
dalla melma di un morto oltretomba
vivere così
in una sordità di sussulti
e un tramonto macchiato
Solo quando la collina ritorna indietro,
sono dei ed eroi queste torri
carbonizzate che stanno fino al ginocchio
in un lago di sangue
.
A chance portrait
A woman’s face
the features between a child
and misting age
so round it almost lacks
an armature of bones:
halfway surprised by life
the lips about to open––
a look that vaults time
with her three eyes the third
already glazed with despair…
Successive stages mix in her
plausible gaze catching the perverse
pout she wears of pleasure-pain
at being after all herself
The artist did me in my absence
leaping present into future:
eyebrows distressed nose stretched…
The hair in spikes of ocher
shooting medusa-like alive
from the pin sun
of the head cupped in background
blues to cause my own evening
Was I expected? At the picture frame
the unfinished figure tips
forward from hidden feet––
myself clutching to her post-
Picasso breast some odd instrument
an unstrung lyre?
or a typewriter with pulled hammers
in distracted metal
more precise for such costly disorder
Un ritratto casuale
La faccia di una donna
i lineamenti tra una bambina
e l’appannata età
così tonda che quasi le manca
l’armatura delle ossa:
a metà sorpresa dalla vita
le labbra che stanno per aprirsi––
una sembianza che volteggia sul tempo
con i suoi tre occhi
il terzo già vitreo di disperazione…
Fasi successive si mischiano nel suo sguardo
ragionevole afferrando il perverso
broncio di piacere––dolore che lei indossa
ad essere dopotutto se stessa
L’artista mi ha fatta in mia assenza
facendo balzare il presente nel futuro:
sopraccuglia afflitte naso allungato. . .
I capelli in punte ocra
sfrecciano come a medusa, vivi
dal sole spillo
della testa a coppa nello sfondo
si fa blu per provocare la mia sera
Ero aspettata? Alla cornice
la figura non finita spunta
in avanti da piedi nascosti––
io stessa aggrappata al suo seno
post-Picasso un qualche strano strumento
una lira senza corde?
o una macchina da scrivere con i martelletti strappati
in metallo distratto
più consono per un tale costoso disordine
*
“Mine,” she’s saying
though beyond repair
to work or play on––.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
The subject never sat to be anonymous
however illogical the hair and feathered eyes
daft with despair and one
hand pleading its glove gone
the other straining at loose
fasces of harp strings-
machine keys flying to find the truest
uncaged word?
The tentative chin
in the circle of the face
slopes into its habit of brooding
towards shadow-
Isn’t it too early
to be so late?
*
“Mia”, sta dicendo lei
anche se impossibile da riparare
per lavorarci o suonarci––
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il soggetto non stette mai in posa per essere anonimo
tuttavia illogici i capelli e gli occhi veloci
matti di disperazione e una
mano che implora il guanto perduto
l’altra che si affatica a lenti
fasci di corde d’arpa––
tasti di macchina che volano per trovare il più vero
mondo liberato?
Il mento provvisorio
nel cerchio del volto
s’inclina nella sua abitudine a stare pensieroso
verso l’ombra—
Non è troppo presto
per essere così tardi?
Io parafraserei le poesie di Sonia Raiziss così:
la poesia di Sonia Raiziss. La sua poesia può nascere quando all’orizzonte si spegne il linguaggio poetico di Carver. Quando un orizzonte di parole viene illuminato a piena luce, un secondo orizzonte non è ancora visibile, c’è ma non è visibile. Bene ha fatto dunque Alfredo de Palchi a raccogliere il meglio delle poesie di Sonia Raiziss degli ultimi 35 anni, adesso forse la sua poesia può trovare un lettore. A me la sua poesia piace, apprezzo in particolare il suo tentativo di parlare un’altra lingua, non più quella del minimalismo americano ma una lingua ricca di cose e di affettività e di perplessità psicologiche, perché non è mai troppo tardi per pensare in un altro linguaggio.
Non è troppo presto
per essere così tardi?
“Ma da qualche parte il cuore pompa stravolto e fiero”:quanta forza, in queste poche parole! La forza della disperazione.la forza dell’agnello sacrificato, di Ifigenia destinata a pagare per tutti.La forza delle donne migliori,
Un tempo a rilento
le guance leziose comprimevono baci
un tempo a ritroso le mani
risalivano lente.
Carezze di brezza. Tra le onde spostate
il risalire lento di una stagione. Un mare diviso.
Un limite asettico.
(Un desiderio: tradurre questa poesia in inglese.)
Grazie OMBRA.
Belle, belle, belle queste poesie: nuovi modi e nuove espressioni, cioè (anche se non sempre) territori inesplorati della scrittura creativa.
Sicuri che Sonia Raiziss non sia stata anche pittrice? Lo dicono i titoli di queste poesie, e gli inizi sono tutte immagini. Procede per immagini; poesie che si possono vedere; non le cose che abbiamo intorno adesso, ma nemmeno figurativamente quelle sue di allora; va per simboli e metafore, fa composizioni… forse con qualche figura che ritorna, come a metterci la firma.
Le ho molto apprezzate.