
«Fu allora che incontrai Dio alle porte di Persepolis» (Giorgio Linguaglossa)
Ah, ci sono tante cose fra cielo e terra, di cui solo i poeti hanno sognato…
E soprattutto al di là del cielo: perché tutti gli dèi sono simboli di poeti,
sottratti con l’inganno dai poeti.
(Friedrich Wilhelm Nietzsche)
Nessuno c’impasta più, da terra e fango,
Nessuno soffia la vita alla nostra polvere.
Nessuno.
Che tu sia lodato, Nessuno…
(Paul Celan)
Cantare in verità è un altro respiro.
Un respiro sul nulla. Un soffiare nel Dio. Un vento.
(Rainer Maria Rilke)
Per secoli e millenni gli uomini hanno meditato, speculato e sognato, scritto e creato immagini e opere d’arte d’ogni genere, ma anche combattuto, condannato, perseguitato e sterminato solo per il controverso valore e significato d’una parola: Dio.
Solo negli ultimi secoli, nella cultura cristiana, l’atmosfera è mutata e si è placata, anche per merito di un piccolo, placido, metodico ma tenacissimo studioso e insegnante di filosofia e scienza, Immanuel Kant, che dalla remota Königsberg dimostrò in modo inconfutabile all’Europa e al mondo che scienza e religione, dimostrazione empirica e speculazione metafisica non potranno mai coincidere, appartenendo a due dimensioni linguistiche e noetiche eteronome, inconciliabili, per cui ogni dogma teologico fondato su elementi razionali è illegittimo, intrinsecamente aporetico, investigare con procedure analitico-concettuali l’esistenza e la natura del divino è insensata hibris e mistificante violenza ideologica, perché si pretende di usare il linguaggio razionale in una dimensione trascendente in cui ogni referenza è illusoria, come un uccello che pretende di volare nel vuoto, senza l’aria che faccia attrito e sostenga le ali.
Ma: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente, fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza.”
L’illuminista Kant, tutt’altro che ateo o irreligioso, fonda la sua fede non su elementi intellettuali, ma sul sentimento di meraviglia e stupore suscitato dalla infinita bellezza e profondità della natura e dall’ineludibile cogenza della dimensione morale.
È questo che definisco atteggiamento mistico: accettare ed esprimere la natura meta-razionale dello scenario da cui è circondata la nostra esistenza, senza di cui non solo la teologia, ma anche l’arte e la poesia sarebbero impossibili. Occorre una completa metanoia, per cui la verità non è più norma e dogma di comprensione e dominio, ma energia e luce che trasfigura e sublima affettivamente, emotivamente, mutando la configurazione relazionale di linguaggio, pensiero, soggetto, esistenza.
Ogni volta che il logos si divide dal pathos, tentando una formalizzazione puramente speculativa, concettuale, la teologia, sottratta alla poesia, diviene ineludibilmente pregna di errori gnoseologici, falsità e violenze, ideologiche e politiche.
Poeti sono i mortali che seguono le tracce degli Dei fuggiti.
L’Etere, nel quale soltanto gli Dei sono Dei, è la loro divinità.
L’elemento dell’Etere per il ritorno degli Dei, il Sacro, è la traccia degli Dei fuggiti.
Ecco perché, nel tempo della notte del mondo, il poeta canta il Sacro.

Martin Heidegger in campagna, nella sua baita
Il valore euristico-epistemologico che Martin Heidegger in questo passo di Sentieri interrotti “riserva alla poesia”, in cui solo è possibile la rivelazione dell’Essere, non sancisce nuove gerarchie assiologiche, ma propone una mutazione di habitus conoscitivo, la fondazione di un’abitazione nuova per il pensiero, in cui accogliere il Dire originario ( divino ). Continua a leggere