
Francesca Dono, fotografia
Eraldo Garello è nato a Ceva (Cn) nel 1953. Dopo aver compiuto gli studi classici si è laureato e specializzato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Torino. Della sua esperienza poetica è testimonianza la trilogia di drammi in versi: “Attis e Agdistis” (Genesi, 1989, prefazione di Domenico Romano), “Polemotrofia” (Edizioni del Leone, 1993, prefazione di Alida Cresti), e “Lo sguardo di Orione” (Bastogi, 1997, prefazione di Maria Grazia Lenisa). Si tratta di un trittico nel quale l’autore ha sperimentato una sua originale visione di “poesia filosofica”, attingendo a piene mani tematiche e suggestioni dal ricco repertorio mitologico greco, innervandolo, sostanziandolo, contaminandolo con problematiche di grande attualità. Nel campo della saggistica ha pubblicato: “Mitofanie” (1987, prefazione di Giuseppe Addamo e postfazione di G. Barberi Squarotti), sulla connessione esistente tra mitologia greca e poesia filosofica; “L’arco di Apollo” (2000 e 2001, prefazione di Riccardo De Benedetti), rivisitazione e reinterpretazione dei rapporti tra il mito e la ratio filosofica; “La caverna di Ganimede” (2008, prefazione di Stefano Zecchi), sul pensiero dei maggiori pensatori di lingua del primo Ottocento (in primis, Hölderlin) alla ricerca dell’Ursprache, ossia del linguaggio originario, della lingua primigenia ed adamitica.
Quarta di copertina del romanzo Nel regno della talpa di E. Garello
Vienna, Maggio 1981. Alain Renoir, ultimo discendente d’una ricca famiglia parigina ha alle sue spalle un passato ingombrante e violento: ex Ufficiale della Legione Straniera durante la Guerra d’Algeria, ex giornalista d’estrema destra, ex infiltrato dei Servizi Segreti francesi. Malato terminale per via di un cancro ai polmoni che lo sta devastando, medita di concludere la propria esistenza con un ultimo atto di violenza: l’uccisione di F.C., uomo politico di risonanza internazionale ed incarnazione di tutto quanto egli ha odiato nella sua vita.
Il romanzo racconta l’ultima settimana del protagonista, un lucido psicopatico, secondo una schema narrativo che mescola il vissuto contingente con ampi flashback che illuminano un passato sanguinoso, lacerante, problematico. Fino all’inprevedibile finale.
Nel regno della talpa è un originale e intrigante noir filosofico di grande attualità, che propone al lettore una forte riflessione sulla violenza e sulla follia dei singoli individui e della Storia in generale.
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Una scrittura tesa, nitida, riflessiva, un racconto apocalittico, violento, tenuto su un registro basso, un soliloquio del protagonista, ex ufficiale della legione straniera che ormai non ha nulla da perdere, che diventa colloquio e anche colloquio con le proprie ombre, con i fantasmi del nemico e quelli dell’inconscio. Una personalità abitata dall’inconscio, il delirio di uno psicotico. Una storia dei nostri giorni efferati.
(Giorgio Linguaglossa)
Alcuni stralci del romanzo
La talpa ha un corpo tozzo, cilindrico, ricoperto da un manto vellutato di colore nerastro, fittissimo, corto e morbido. Gli arti anteriori, molto brevi, sono larghi e foggiati a guisa di mani, rivolti all’esterno, come una pala. Le dita sono armate di unghioni taglienti ed ottusi, collegate tra loro da membrane interdigitali. Gli occhi sono piccoli, ricoperti dai peli della testa e da una pelle sottile e trasparente.
La talpa vive quasi sempre sprofondata nel terreno. Scava la terra con una facilità impressionante: punta con il muso aguzzo le zolle e, raspando con le zampe anteriori, butta il terreno dietro di sè con velocità incredibile. Scava gallerie, cunicoli, camere sotterranee, condotti, tane di residenza, percorsi e campi di caccia che ispeziona più volte al giorno solcandoli molto rapidamente.
La sua fame è insaziabile: deve mangiare ogni giorno una quantità di cibo equivalente al peso del suo corpo. Abbandona la sua tana solo di notte, e si nutre di topi, uccelli, bisce, orbettini, piccoli anfibi; qualche volta può non disdegnare la carne dei suoi simili. ‘E un predatore formidabile, intelligente, feroce, sanguinario, vendicativo. Non tollera nessun animale e si rifiuta di condividere la tana con animali della sua stessa specie.
Ucciderò F. C., sabato alle 10,30, al Rathaus.
Sono arrivato a Vienna stamane da Parigi, in treno. Ho preso alloggio in un buon albergo sulla WähringërStrasse, appena fuori del circolo del Ring. Non ho mai amato le posizioni centrali, nè tantomeno trovarmi nel bel mezzo d’ una qualsivoglia situazione. Mi sento accerchiato, tutti ti possono osservare a loro piacimento, sei un bersaglio facile, sicuro. Dall’esterno, ma non eccessivamente per non correre il rischio di venire esclusi, risulta più agevole e comodo ogni tipo di controllo, come se ci si posizionasse un pò prima della linea dell’orizzonte: non ha più ragione di esistere la paura dell’ “oltre”.
Non ho prenotato per non dare nell’occhio, per non lasciare tracce; tanto un albergo vale l’altro. Una sistemazione per una persona sola la si trova sempre. L’albergo si presenta bene, ha una facciata più che decente, ottocentesca piena di stucchi, di fregi, di finte colonne di marmo, architettonicamente anonima e di maniera, ma forse proprio per questo confortevole e rassicurante. Decisamente meglio delle moderne costruzioni a cubi di vetro e cemento, segmentate da putrelle d’acciaio che affondano in grigi ventri di calcestruzzo, arnie di malta dove ognuno fila il miele d’un adempimento che va noiosamente portato a termine.
Un compito in verità anch’io so di averlo, un compito la cui importanza e le cui conseguenze sono tutt’altro che trascurabili. Ma non voglio lasciarmene condizionare all’eccesso, in quanto sono conscio di avere già programmato ogni fase, ogni sviluppo, nei minimi particolari. Tra le altre cose, questa vuole essere per me anche una vacanza, forse l’ultima. Non so. Anche se Vienna la conosco ormai da tanti anni. Forse proprio per questo la città non mi mette più a disagio, non la devo scoprire ogni giorno diversa: è un po’ come essere a casa propria.
Mi piace la ragazza della reception! Parla un ottimo francese, ha un accento delizioso, per nulla artefatto. Io conosco da molti anni il tedesco, mi esprimo in modo più che corretto, ma preferisco far la figura del turista alla sua prima venuta. Conviene sempre sembrare ingenui, sprovveduti, disarmati; se si convincono che sei una persona inerme, anche un po’ confusa, non riescono a dubitare di te. Si sospetta sempre di chi si mostra troppo sicuro di sé: la sicurezza dà sempre fastidio, dietro vi si vuol scorgere ad ogni costo la malafede, l’inganno, la presa in giro. Continua a leggere