[gif di Marilyn e Zbigniew Herbert]
Lettera di Giorgio Linguaglossa ad Antonio Sagredo
caro Antonio Sagredo,
Una interlocutrice ha scritto che ogni giorno «diventiamo sempre più sagrediani». Ben detto!, ho sempre pensato che gli «ultraplatonici ai quali sfugge sempre l’ingenuità» (Nietzsche), finiscono sempre per andare a braccetto con l’Euro e il Potere, con il conformismo dei nuovi clerici. Sia detto con la massima chiarezza: non interessano alla «nuova ontologia estetica» le capriole della poesia bene educata, quella fatta negli epicentri di Milano e nel circoletto romano di largo Argentina, noi siamo per una poesia sempre più sagrediana, sempre più mariogabrielana e sempre meno chiesastica (intesa nel senso: fatta da chierici).
Mi piace la bella poesia di Mauro Pierno fatta con gli scampoli del parlato di una mia poesia, mi piace questa ibridazione anche perché anch’io nelle mie poesie faccio frequentemente delle citazioni e dei richiami impliciti od espliciti a versi di altri poeti, così tanti che poi ne perdo finanche la memoria. Questo tessuto di scampoli, di stracci, di frasari perduti sono le nostre tombe, le nostre pietre tombali… ci stiamo bene nelle tombe… viviamo in una civiltà che ha fatto del passato un «immenso camposanto di lapidi» (cito me stesso), va quindi benissimo fare interagire «Evelyn» (personaggio inventato da Mario Gabriele) con le mie «Maschere», con il «tedio» di Pessoa, con il turlupinare sgomento di Antonio Sagredo e che il tutto finisca nella «Commedia» di Mariella Colonna. Tutto ciò è motivo di autenticità, molto vivo, effervescente come una poesia sagrediana! – La poesia deve vivere e prosperare sulla «crisi del senso», che è concetto complesso che i poetini della domenica mattina che poetano sull’io non possono minimamente neanche immaginare.
[Donatella Costantina Giancaspero, Steven Grieco Rathgeb]
Mauro Pierno
L’intruso
dell’ombra
scalfisco la luce, quest’ultimo tratto indistinto
la stasi.
queste tregue di lenti fruscii, dopo,
dopo le parole in tempesta. dopo,
dopo l’acqua alta a Venezia
migliaia di volti in cornici dorate.
I volti dipinti parlavano tra di loro.
Dicevano: «Non fate entrare le ombre maledette!
Sbarrate loro l’ingresso!».
[…]
Mi accorgo che dalla porta entrano in molti.
Dicono: «Buongiorno» e «Addio».
l’intruso solo interruppe.
Una poesia di Edith Dzieduszycka si intitola «Groviglio». Ebbene, che cos’è il «groviglio»? Lascio la parola ad Adorno (filosofo troppo spesso oscurato dagli ignorantini poetini di oggi): «Il groviglio di fili, l’intreccio organicistico viene tagliato e distrutta la credenza che un elemento si combini vitalmente con l’altro, a meno che l’intreccio non diventi così fitto e arruffato da oscurarsi sul serio al senso»; «ma la soglia fra l’arte autentica, che prende su di sé la crisi del senso, ed un’arte rinunciataria, consistente in frasi protocollari in senso letterale e traslato, è che in opere significative la negazione del senso si configura come cosa negativa, nelle altre si riproduce in maniera cocciutamente positiva».1]
Facciamo dunque una poesia aggrovigliata, ibridata, sovrareale, che si fa beffe del senso, che si fa beffe del paludamento dell’anima bella e del pretesco poetese.

Facciamo dunque una poesia aggrovigliata, ibridata, sovra reale, che si fa beffe del senso
Alcuni pensieri sulla poesia della «nuova ontologia estetica»
L’«Evento» è quella «Presenza»
che non si confonde mai con l’essere-presente,
con un darsi in carne ed ossa.
È un manifestarsi che letteralmente sorprende, scuote l’io,
o, sarebbe forse meglio dire, lo coglie a tergo, a tradimento.
Il soggetto è scomparso, ma non l’io poetico che non se ne è accorto,
e continua a dirigere il traffico segnaletico del discorso poetico come se nulla fosse.
La parola è una entità che ha la stessa tessitura che ha la «stoffa» del tempo
La costellazione di una serie di eventi significativi costituisce lo spazio-mondo.
Con il primo piano si dilata lo spazio,
con il rallentatore si dilata e si rallenta il tempo.
Con la metafora si riscalda la materia linguistica,
con la metonimia la si raffredda.
Nell’era della mediocrazia ciò che assume forma di messaggio viene riconvertito in informazione, la quale per sua essenza è precaria, dura in vita fin quando non viene sostituita da un’altra informazione. Il messaggio diventa informazionale e ogni forma di scrittura assume lo status dell’informazione quale suo modello e regolo unico e totale. Anche i discorsi artistici, normalizzati in messaggi, vengono silenziati e sostituiti con «nuovi» messaggi informazionali. Oggi si ricevono le notizie in quella sorta di videocitofono qual è diventato internet a misura del televisore. Il pensiero viene chirurgicamente estromesso dai luoghi dove si fabbrica l’informazione della post-massa mediatica. L’informazione abolisce il tempo e lo sostituisce con se stessa.
L’atto dello scrivere, corre sempre il rischio di porsi come invasione dello spazio della scrittura da parte del soggetto, corre sempre il rischio di trasformarsi in immagine intransitiva, positiva, autoreferenziale, di risolversi in una retorizzazione del soggetto. Dinanzi alla poesia «in vitro» di oggi potremmo parlare di un pensare scrivendo; in ogni scritto si celano due testi: uno esplicito e l’altro segreto, due inseparabili dimensioni: il testo «in chiaro» e la sua dimensione «nascosta».
Aristotele ha sostenuto che i segni scritti sono immagine di ciò che «è nella voce», Platone invece come ha rilevato Derrida, ha presentato il discorso orale come ripercussione di una inattingibile archi-scrittura al di qua della voce sensibile, una archiécriture che è la poesia stessa nell’atto del suo prendere forma. Per contro, la scrittura che «appare» non può che agire quale «comunicazione del comunicabile», come affermò genialmente Walter Benjamin, ossia corre sempre il rischio di essere mera trasmissione e pubblicizzazione di significati attraverso i suoi segni pubblici. L’immediatezza di certa scrittura poetica di oggi pensa ancora possibile e attingibile la scrittura come sguardo frontale. È qui, a mio avviso, in questa impostazione categoriale aporetica, che sussulta e frigge la posizione della poesia moderna, in questa oscillazione tra una archiscrittura (celata) e una scrittura dell’immediatezza (manifesta), che non può trovare alcuna soluzione compromissoria.
Il discorso «manifesto» non può comunicare pubblicamente i suoi messaggi se non si è già attivata la misteriosa danza dell’invisibile archiscrittura. Ogni poesia non può non tendere l’orecchio dell’ascolto nei riguardi del segreto di quella danza nascosta. Ogni poesia è un porre in atto mediante parole ciò che in atto non è.
La «nuova ontologia estetica», almeno questo è il mio pensiero, non è né una avanguardia né una retroguardia, è un movimento di poeti che ha detto BASTA alla deriva epigonica della poesia italiana che durava da cinque decenni. Deriva da un atto di sfiducia (adoperiamo questo gergo parlamentare), abbiamo deciso di sfiduciare il governo parlamentare che durava da decenni nella sua imperturbabile deriva epigonica. Occorreva dare una svolta, imprimere una accelerazione agli eventi. E deriva da un atto di fiducia, fiducia nelle possibilità di ripresa della poesia italiana.
Francesca Dono
sono lontana dal molo. Lo stesso ErgoSum
nuota contro il canale e gli orsi marini. Due ore circa per Venezia.
Di fronte la grandine rossa. Non sapevo molto dei palazzi lagunari.
Il primo punto? Una maschera dai fiori in plastica. Lo sgherro (invece) si intercalava sulla superficie di rottura.
La potenza di un flash avrebbe potuto illuminare la sartoria teatrale _ ma le ombre girevoli sventavano ogni mano ferma
il tempo tra le meduse agganciate alle mie caviglie.
Nel film un tumulo di secondi . I rulli dei tamburi dopo il ponte sub anemico.
Ora la muschiata della piazza è una fotografia a scacchi.
Poco o nulla _ penso_ alla sola vista di te con i coriandoli filanti.
Un gondoliere ha l’aria turbata.
(6 novembre 2017 alle 19:44)
Antonio Sagredo
Tu sei vicina alla destinazione che ti ho assegnato,
ma non t’abbandona la melanconia di Saturno –
forse è la chiacchiera del lutto o il suo contrario
che alla vuota contemplazione si ribella… invano!
L’allegoria è come la carezza di una satira strisciante
che la risonanza dei lamenti trasmuta in candelabri accesi
per una fine che mai è un compiuto atto – sul capezzale,
se vuoi, non confondere la genesi e il tuo fare originale.
Il dramma che inizia da un rogo annunciato sostiene l’altare
barocco di Bamberga – e, così sia, la visione di una santa: rose
sul letto ha sparso una più alta vergine!… e il suo confessore
non le vede: per l’intelligenza non si prevede libera docenza!
(Vermicino, 9 luglio 2008)
Allegorie
Incontrai sul Ponte delle Anime Gioiose la stramba maschera… deforme di tutte le finzioni che sul selciato i passi dei monatti e i segni lasciavano interdetti i testimoni,
e sui portoni il loro volto ornavano di ceppi e di capestri…. i corpi decollati delle Erinni smarrivano i riti circoncisi su pagani altari fra Centauri e Giganti.
I cardini legnosi dei tre regni vomitavano ruggine urlando che era quello del Verbo, originario tradito dalla volgarità cristiana, il volto senza maschera di un sogno… il toscano Cordigliero, per inferni e paradisi creò la parola più sottile con la sua cetra maledetta e i crudeli battiti del sangue conteggiò per un viaggio al centro
oltretombale della teologia, e traguardi ignoti indicò nella geometria degli imbuti, e le sfere che celesti non so dire… dubitò del cosmo di Tolomeo e predisse la caduta nel regno di Como di tragiche figure e la sacralità dell’Erebo pagano, mollò dubbioso come Caronte i remi alle correnti poi che il traghettare anime buffe
o bizzarri corpi non seppe mai – si scocciò infine… Cerbero col veleno delle note crollò il Tempo Assoluto, schifò il trono Minosse, e Colui che si nasconde dalla Notte col belletto della ruggine… il grecoro si pinse il sogno d’una finzione… e il canto del cerchio terzo recitò: maledetto, consùmati la maschera – con le lacrime!
(Roma, 27-28 ottobre 2015)
Carlo Livia
Paradiso artificiale
Ieri hanno portato via l’ultimo corpo, in parte già trasformato in luce,bianco-musica e celeste-silenzio.
Al suo posto è apparsa la macchina che guarisce il pensiero: il dolore è dissolto dal raggio verde, la paura risucchiata dagli specchi.
Sembra che il sistema abbia raggiunto la perfezione, eliminando ogni sensazione ed emozione o altro elemento di disturbo, solo onde di piacere nelle menti-ricevitori, che le riflettono all’infinito.
sono nel sogno sbagliato
raccolgo i miei occhi e cado
nell’universo che è la mia zona morta
no sono la mente del Dio oscurato dal programma
sguardo frantumato in miriadi di occhi che si allontanano
o la colpa di esistere nel cuore-tabernacolo
dell’ombra-fanciulla che simula l’essere
Attenzione: residuali entità antisistema potrebbero sfuggire al controllo delle barriere di filtraggio e mutazione di campo.
Il rischio maggiore è che, introducendosi nelle fasi ricettive, alterino la qualità dei valori di soddisfazione e riproducano perturbamenti e segnali negativi, superflui e nocivi.
ero la ferita del cielo
ero prigioniero della processione di istanti o di maschere
ai piedi della candida peccatrice
nella dogana di lune e sospiri dov’erano gettati tutti i desidèri
sognavo corpi che erano frutti di cieli lontani
cieli spogliati d’ombre malate di parole
parole come squarci d’addio nel pensiero
aspettavo poi venne il sonno
un macigno di lacrime fra arcate di nubi
e quei saliscendi finti che gridavano
che la mia testa era senza confini
Sembra che permangano visibili tracce di entità non ancora conformi alla codificazione del sistema; occorre approntare al più presto sistemi di identificazione ed eliminazione totale, per evitare che producano segnali in grado di interferire con l’attività programmata.
Come sono arrivato in fondo a questo precipizio
corridoio di domande oscurate
dove sono esposti tutti i miei peccati
stella spenta o giuramento tradito
trascino pensieri sono bagagli di cenere
angeli disossati pendono dalle feritoie
da millenni lo stesso luogo di polvere
niente più che viva e palpiti
ma la morte è scomparsa
o attende fra le porcellane
ponte gettato nell’oscurità
tento di raggiungere il mio essere
che non sorge e non si estingue
sento l’esterno che non esiste ma ferisce
ma non posso sentire l’interno
oceano di fontane spente
sterminio di Dei o di parole allacciate
amplesso immobile o folle paradiso paralizzato
sogno dell’oscuro Dio scomparso
mani che tentano di forzare la grande serratura celeste
dietro cui attende la vergine distesa
che non posso ricordare
Sembra che l’azione di contrasto abbia avuto effetto: le tracce di elementi non conformati si fanno sempre più labili ed evanescenti.
lo squarcio, i sogni che sfuggono, e
no, perché quando scompari trascini il peccato per un sentiero scosceso e completamente azzurro, gridi di aspettare, ma
da quando il tuo regno non è di questo mondo
il tuo sguardo, il profumo del Paradiso,
il silenzio dell’immenso violino che
l’estasi della nuvola sul pendolo del mistero, la veglia delle deliziose lontananze col suo supplizio di corallo, la tenerezza del crepuscolo appesa al chiavistello di stelle morte, la visione che aspetta l’ultimo respiro, il gomitolo delle finestre da
nel freddo della soglia scavata nell’anima
l’attimo resterà
quando risponderai
Vorrei spendere due parole per questa composizione di Carlo Livia (anche il termine poesia è divenuto obsoleto e fuorviante!).
Conosco Carlo Livia dal 1994, conosco la sua poesia, l’ho studiata attentamente negli anni, inoltre Carlo è uno dei poeti più colti e consapevoli che abbia conosciuto in questi ultimi tre decenni, preparato anche nel campo filosofico, il che è una assoluta singolarità nel panorama dei letterati italiani che si occupano di poesia (lascio da parte il termine “poeta” ormai del tutto fuori luogo e talmente massificato che non si può più usare).
Livia sono trent’anni che è impegnato nella proposizione, nell’ambito della poesia italiana, di un campo espressivo di origine e di derivazione surrealista… compito arduo, difficilissimo perché la poesia italiana del novecento non ha mai avuto un movimento surrealista o di derivazione surrealista, lacuna questa, come Livia ben sa, che è stata uno dei motivi che ha condannato la poesia italiana del secondo novecento ad un ruolo di minorità e complementare rispetto alla poesia europea più aggiornata. Quindi Carlo Livia è un benemerito, innanzitutto perché i suoi sforzi trentennali non sono caduti nel pozzo dell’oblio, e poi perché gli esiti raggiunti dal poeta romano sono senza dubbio considerevoli.
Vorrei dire subito che il tentativo di costruire una piattaforma collettiva in grado di rilanciare la poesia italiana in ambito europeo passano anche per la via intrapresa da Carlo Livia, il suo tentativo è utilissimo per riparametrare la poesia italiana di oggi, per individuare nuove strade di sviluppo e per ricostituire un terreno comune, di poetica intendo, sul quale costruire, oggi, qui in Italia, una poetica della surrealtà o della sovrarealtà con strumenti espressivi consapevoli ed evoluti.
In questa composizione noto degli esiti notevoli:
«Ieri hanno portato via l’ultimo corpo, in parte già trasformato in luce, bianco-musica e celeste-silenzio.
Al suo posto è apparsa la macchina che guarisce il pensiero: il dolore è dissolto dal raggio verde, la paura risucchiata dagli specchi.
Sembra che il sistema abbia raggiunto la perfezione, eliminando ogni sensazione ed emozione o altro elemento di disturbo, solo onde di piacere nelle menti-ricevitori, che le riflettono all’infinito.
sono nel sogno sbagliato
raccolgo i miei occhi e cado
nell’universo che è la mia zona morta
sono la mente del Dio oscurato dal programma… »,
esiti che vanno in concordanza con ciò che si propone la nuova ontologia estetica, la quale non può non porsi il problema di una poesia fondata su un concetto di «reale» meno referenziato e meno «mimetico» di quello adottato dalla poesia di questi ultimi decenni.
Unico suggerimento che mi permetterei di dare a Carlo Livia è di eliminare qualche riferimento all’io soggetto pronominale, almeno in quelle parti della composizione che non lo necessitano e, soprattutto, di giustificare le sue composizioni a sx, evitando di giustificarle centrate.
T.W. Adorno Teoria estetica Milano, Einaudi, 1975 pp. 220, 221
Tutto l’insieme è estremamente interessante. Dice bene Giorgio Linguaglossa:
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/11/09/la-nuova-poesia-ovvero-la-nuova-ontologia-estetica-poesie-e-commenti-di-mauro-pierno-antonio-sagredo-francesca-dono-carlo-livia-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-26672
L’atto dello scrivere, corre sempre il rischio di porsi come invasione dello spazio della scrittura da parte del soggetto, corre sempre il rischio di trasformarsi in immagine intransitiva, positiva, autoreferenziale, di risolversi in una retorizzazione del soggetto. Dinanzi alla poesia «in vitro» di oggi potremmo parlare di un pensare scrivendo; in ogni scritto si celano due testi: uno esplicito e l’altro segreto, due inseparabili dimensioni: il testo «in chiaro» e la sua dimensione «nascosta».
Ripeto:
“in ogni scritto si celano due testi: uno esplicito e l’altro segreto, due inseparabili dimensioni: il testo «in chiaro» e la sua dimensione «nascosta».”
e ancora:
“Il discorso «manifesto» non può comunicare pubblicamente i suoi messaggi se non si è già attivata la misteriosa danza dell’ INVISIBILE ARCHISCRITTURA. Ogni poesia non può non tendere l’orecchio dell’ascolto nei riguardi del segreto di quella danza nascosta. Ogni poesia è un porre in atto mediante parole ciò che in atto non è.”
Le poesie di Francesca Dono e di Carlo Livia rispondono con precisione crono-metrica e insieme “danzante” (ricordo, nel Carnevale dell’ “Allegoria” la danza di Gino Rago e delle due grandi donne troiane Ecuba e Elena: quel muoversi con delicatezza in attesa di un evento che si manifesterà dal nascondimento, ma sempre se trattato con il garbo necessario a mixare
l’ insieme e far esplodere tutto come in Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni.) Credo che sia importante continuare così, lanciando messaggi dal profondo e raccogliendoli…ma attenzione a non ricadere nell’ “io”, o meglio Ego autoreferenziale!
Francesca Dono sta facendo passi da gigante!!! Complimenti, Franci!
Mariella
io faccio i complimenti a tutti . Soprattutto a te Mariella che ieri mi hai spronato a scrivere. Grazie di cuore a Giorgio per questa pagina e per la sua dedizione a diffondere il pensiero NOE.
Anche Antonio Sagredo!
quando sei in vena, caro amico poeta, riesci a pescare nell’oceano delle immagini le analogie e metafore più sconvolgenti! Voglio capire meglio dove va a tuffarsi la tua penna di scrittore surrealissimo e realissimo ad un tempo.
Mariella
Grazie infinite a Giorgio per la stima e l’attenzione.
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/11/09/la-nuova-poesia-ovvero-la-nuova-ontologia-estetica-poesie-e-commenti-di-mauro-pierno-antonio-sagredo-francesca-dono-carlo-livia-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-26674
“Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.”
Non v’è dubbio che Pessoa rappresenta un nodo nevralgico, dirimente per la svolta post-simbolista: la sua implacabile scepsi, l’inquieto nichilismo dissolvono ogni residua illusione epistemica, tracciano e rendono tangibile l’intrascendibile confine ontologico tra linguaggio e verità. La poesia che Mallarme’ ancora adorna di sortilegi esoterici e prospettive soteriologiche
( l’explication orfique du monde ) diagnostica e sanziona l’irredimibile prigionia metafisica dell’uomo:
” Ah, chi mi salverà dall’esistere? Non è la morte che voglio, né la vita: è quel qualcosa che brilla nel fondo dell’inquietudine come un diamante possibile nel fondo di un pozzo in cui non si può scendere. È tutto il peso e tutta la pena di questo universo reale e impossibile, di questo cielo vessillo di un esercito sconosciuto…”
Il tono nicciano, l’ineludibile aporema linguistico ( il linguaggio come mobile esercito di metafore inventate, ma allo stesso tempo unico luogo in cui il pensiero sorge all’essere ) non approdano in esaltazione superomistiche, ma in un nichilismo dalle prospettive introspettive, capovolte:
” Gli dei non sono morti:è morta la nostra facoltà di vederli. Non se ne sono andati: abbiamo cessato di vederli. Abbiamo chiuso gli occhi, oppure un velo di nebbia si è insinuato fra noi e loro. Sussistono, vivono come vivevano, con la stessa divinità e la stessa calma. “
Perfettamente d’accordo:
noi abbiamo perso la facoltà di intravedere il “divino” perché troppo presi dalle idolatrie che si diramano dall’EGO. La Poesia ci aiuta a ritrovare la Profondità della nostra dimensione. La sua poesia, Carlo Livia, mi sembra efficacemente rivolta in questa dimensione.
Mariella Colonna
Nelle “Allegorie” di Giorgio Linguaglossa
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ho trovato tutto il possibile immaginario degli inferi alla maniera di Omero e del mondo classico: immagini cupe e corpose, materiche e spesso insondabili ad una lettura superficiale. Presenza mostruose coltivate nell’inconscio millenario e scavate mani e tutto per rivelarne la natura “misterica”, addirittura alchemica.
Caro Giorgio dovresti rivelarci qualcosa in più sulle meraviglie “orrende” che hai incontrato durante il tuo viaggio nell’oltretomba! Comunque, poesia di grande impatto e forza espressiva.
Mariella
Caro Giorgio,
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/11/09/la-nuova-poesia-ovvero-la-nuova-ontologia-estetica-poesie-e-commenti-di-mauro-pierno-antonio-sagredo-francesca-dono-carlo-livia-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-26676
è encomiabile il tuo tam tam sulla NOE. Hai creato una élite poetica con un proprio linguaggio che non si identifica con il passato.Questo non per rinnegarlo, ovviamente, ma per ridare ossigenazione ad un ambiente troppo saturo di arie chiuse. La scrittura, in tutti i tempi, ha bisogno di discontinuità, e di ricambio estetico. A nulla servono gli ostruzionismi, le censure critiche e le resistenze a tutto campo. Pur trattandosi di una nuova pagina poetica, nessuno della NOE è andato oltre le bizzarrie formali. Siamo isolati nella nostra solitudine, e la speranza a cui possiamo aspirare è la comprensione di altri lettori, che si avvicendano con i loro commenti, rispetto alle nostre proposte. Il terzo Millennio porta con sé il dominio della robotica.L’uomo si sta adattando ad un nuovo pensiero che non è Romanticismo, ma adeguamento ad una Cultura che va vista come Risorgimento delle idee e delle proposte alternative rispetto allo staticismo verbale e ad una certa Lobby conservatrice e autocratica.
Carissimo Mario,
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/11/09/la-nuova-poesia-ovvero-la-nuova-ontologia-estetica-poesie-e-commenti-di-mauro-pierno-antonio-sagredo-francesca-dono-carlo-livia-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-26681
sono con te nell’allarme che diffondi sul futuro ipertecnologico. Un futuro metallico, popolato di grattacieli e percorso da macchine volanti! Restiamo aggrappati alla NOE e al Nuovo pensiero, a quello che tu chiami “Risorgimento delle idee”! Come si fa a rifiutare un simile dono? La Poesia come ancora di salvezza da un mondo disumano: la NOE per me è soprattutto questo.
Mariella
Nelle “Allegorie” di Giorgio Linguaglossa
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ho trovato tutto il possibile immaginario degli inferi alla maniera di Omero e del mondo classico: immagini cupe e corpose, materiche e spesso insondabili ad una lettura superficiale. Presenza mostruose coltivate nell’inconscio millenario e scavate mani e tutto per rivelarne la natura “misterica”, addirittura alchemica.
Caro Giorgio dovresti rivelarci qualcosa in più sulle meraviglie “orrende” che hai incontrato durante il tuo viaggio nell’oltretomba! Comunque, poesia di grande impatto e forza espressiva. Il nostro Carnevale si dilata e trasforma nell’Allegoria della stessa vita (morte) grazie alle tue ondate di riflusso…
Mariella
cara Mariella,
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/11/09/la-nuova-poesia-ovvero-la-nuova-ontologia-estetica-poesie-e-commenti-di-mauro-pierno-antonio-sagredo-francesca-dono-carlo-livia-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-26699
non ho fatto alcun viaggio nell’oltretomba!, mi è bastato soggiornare su questo pianeta chiamato Terra, in particolare lungo la penisola a forma di stivale. L’inferno e il paradiso sono strettamente connessi in una unica realtà, ma forse c’è molto più inferno che paradiso, direi che il 99% dell’esistenza è composto da inferno e un misero 1% dal paradiso (ma per gli umani questo è sufficiente). Non ho fatto quindi molta fatica ad immaginare le situazioni descritte nelle mie due raccolte che vedranno la luce penso a gennaio 2018 (Il tedio di Dio) e magari a gennaio del 2019 (La notte è la tomba di Dio).
Bando agli scherzi, il discorso è molto semplice, io scrivo perché non voglio annoiare i miei eventuali lettori del futuro prossimo venturo, e quindi ho voluto lasciare delle tracce che potessero interessarli. Credo, spero che possano interessarli.
La nuova poesia era una necessità 40 anni fa, adesso è diventata una super necessità, erano quattro decadi che la poesia italiana era latitante. Era ora che si voltasse pagina, no?, non è mai troppo tardi, dice un vecchio adagio…
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/11/09/la-nuova-poesia-ovvero-la-nuova-ontologia-estetica-poesie-e-commenti-di-mauro-pierno-antonio-sagredo-francesca-dono-carlo-livia-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-26696
“sono lontana dal molo.” L’autrice dunque si cala nel ‘luogo’ che non può non essere acquatico, meglio se di mare. E questo molo è nel mare.
L’autrice poi aggiunge nei versi successivi degli elementi precisi che fondendosi reciprocamente individuano irreversibilmente, inconfondibilmente
un luogo preciso: Venezia. Non è dunque un luogo etnico. Nè è un luogo
fisico. Tutto spingerebbe il lettore alla individuazione di un “Luogo antropologico”, un luogo della relazione, della memoria. della identità.
Ma un luogo per essere pienamente ‘antropologico’ richiede una fisicità
che in buona sintesi è in grado di esprimersi in una geometricità, ben
definita e riconoscibile, delle sue tre semplici forme spaziali e cioè la linea,
l’intersezione, il centro.
Francesca Dono abilmente invece spiazza il lettore. Spezza le tre forme spaziali linea-intersezione-centro e dall’ apparente luogo antropologico so-
spinge il lettore in un ‘Nonluogo’, cioè in uno spazio non identitario, smemorato, non storico né relazionale. E cala il lettore in una cascata di
coriandoli mentre la
“muschiata della piazza è una fotografia a scacchi” in cui
“un gondoliere ha l’aria turbata”.
Il ‘gondoliere dall’aria turbata’ di Francesca Dono non è poi tanto esteticamente distante da “L’intruso” di Mauro Pierno.
Differente è invece l’approccio richiesto alle composizioni di Carlo Livia e di
Antonio Sagredo.
Ma visto che Giorgio Linguaglossa ha proposto meritoriamente Fernando Pessoa, affermo che le quattro voci poetiche di Francesca Dono, Mauro Pierno, Carlo Livia e Antonio Sagredo, anche se
con differentissime sensibilità linguistiche, hanno in comune la coscienza
(centrale nella poetica di Pessoa, soprattutto della ‘Ode Marittima”) del viaggio, del ‘viaggio’ nella letteratura occidentale
come metafora della vita, perché i quattro poeti mostrano di sapere
proprio con Fernando Pessoa che
“La vita è ciò che di essa facciamo. I viaggi sono i viaggiatori. E ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo”.
Gino Rago
caro Gino, una critica esaustiva e arguta la tua. Complimenti .
Per Giorgio: quando sarà disponibile il libro della Nuova Ontologia estetica?
Buona serata a tutti.
Bellissimo!
caro Gino Rago,
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/11/09/la-nuova-poesia-ovvero-la-nuova-ontologia-estetica-poesie-e-commenti-di-mauro-pierno-antonio-sagredo-francesca-dono-carlo-livia-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-26700
in ordine alla cosa chiamata «nuova poesia» o meglio «nuova ontologia estetica», ecco il Retro di copertina del libro di critica in corso di stampa (500 pagine) presso l’editore Progetto Cultura:
Critica della ragione sufficiente, è un titolo esplicito. Con il sotto titolo: «verso una nuova ontologia estetica». Uno spettro di riflessione sulla poesia contemporanea che punta ad una nuova ontologia, con ciò volendo dire che ormai la poesia italiana è giunta ad una situazione di stallo permanente dopo il quale non è in vista alcuna via di uscita da un epigonismo epocale che sembra non aver fine. I tempi sono talmente limacciosi che dobbiamo ritornare a pensare le cose semplici, elementari, dobbiamo raddrizzare il pensiero che è andato disperso, frangere il pensiero dell’impensato, ritornare ad una «ragione sufficiente». Non dobbiamo farci illusioni però, occorre approvvigionarsi di un programma minimo dal quale ripartire, una ragione critica sufficiente, dell’oggi per l’oggi, dell’oggi per ieri e dell’oggi per domani, un nuovo empirismo critico. Ecco la ragione sufficiente per una «nuova ontologia estetica» della forma-poesia: un orientamento verso il futuro, anche se esso ci appare altamente improbabile e nuvoloso, dato che il presente non è affatto certo.