LA NUOVA POESIA RICHIEDE UN NUOVO LINGUAGGIO CRITICO, UNA DIREZIONE DI RICERCA – Dialogo tra Gino Rago, Giorgio Linguaglossa, Lucio Mayoor Tosi – Una poesia di Donatella Costantina Giancaspero con Commento psicofilosofico di Giorgio Linguaglossa

 

Foto New York traffic

la nuova poesia richiede un nuovo linguaggio critico, una direzione di ricerca

gino rago

20 agosto 2017

Irrompendo nella storia dell’arte i Capogrossi, gli Hartung, i Mathieu, gli Scanavino (arte segnica e gestuale, nella pittura contemporanea) e poi i Burri (pittura materica), i Pollock, i de Kooning, i Francis (pittura d’azione), sensa dimenticare i Fontana e gli Scialoia (pittura spaziale) e i Dorazio (pittura neoconcreta e arte cinetica) se niente hanno fatto, hanno costretto la cosiddetta ‘critica d’arte’ a rivoluzionare quanto meno il lessico nel nuovo gergo critico. e non tutti i critici d’arte furono trovati pronti…
Perché si comprese ob torto collo che non si potevano applicare alla pittura contemporanea gli schemi, i paradigmi, le misure che si usavano per quella ‘antica’ usando espressioni, anche abusate, come “bella materia”, “ricco impasto”, “variopinta tavolozza…”, “agili pennellate”, “delicati arabeschi”
di fronte a cenci raggrumati, lamiere contorte, tele tagliate.
Eppure a lungo, errando clamorosamente, alcuni interpreti d’arte non furono inclini ad abbandonare quel “linguaggio critico” che se si addiceva ancora all’arte di ieri, inadatta appariva a quella contemporanea…
Temo che la “critica letteraria” abbia lo stesso problema oggi di fronte alla nuova poesia… È come se il critico d’arte si attardasse a parlare ancora di “accordi di colore” di fronte a un’opera di Klein tutta azzurra o dinnanzi a “una superficie irsuta di chiodi o seminata di fori e di tagli inflitti alla tela”
d’un Lucio Fontana….

Strilli De Palchi poesia regolare composta nel 21mo secolo

Giorgio Linguaglossa

caro Gino,
hai colto il punto centrale: la nuova poesia richiede un nuovo linguaggio critico. Non è facile costruirsi un nuovo linguaggio critico, ma penso che esso dovrà essere fatto con gli stessi materiali con cui è stata fatta la nuova poesia. la poesia della nuova ontologia estetica richiede il nuovo linguaggio critico, ma non è cosa facile né automatica, e forse un nuovo linguaggio critico non vedrà mai la luce perché non è nell’interesse dei gruppi editoriali e istituzionali favorire e avallare un nuovo linguaggio critico; del resto, io stesso dico sempre che non sono un critico e né un ermeneuta, non so proprio cosa voglia dire fare dell’ermeneutica, tento di fare della critica ma non sono affatto sicuro di riuscirci, consapevole dei miei limiti e delle mie possibilità.

Un nuovo linguaggio ermeneutico deve prendere tutto da tutto, proprio come fa la poesia della nuova fenomenologia del poetico, come fa la poetry kitchen che prende tutto da tutto, deve saper gettare a mare gli antiquati linguaggi della critica accademica, la vecchia terminologia stilistica. Un nuovo linguaggio deve essere ancipite, eclettico, ellittico, deve saper anche improvvisare, deve saper trattare i linguaggi di disparati campi, non escluso quello del giornalismo, quello filosofico e quello della moda, deve essere un conglomerato di esperienze, di polinomi frastici, un concentrato, una sovrapposizione di altri linguaggi, di iconologie, di asimmetrie, deve saper parafrasare, dialettizzare, deve procedere a zig zag, deve essere rapido, infungibile, inquieto…

Strilli Gabriele2Ecco, ad esempio, quello che scrivevo a proposito della poesia di Kjell Espmark:

” Le parole di Espmark sanno di essere effimere, transeunti, fragili, entropiche. Le parole che vivono nel nostro mondo non possono che essere volatili. Il sostrato ontologico dell’Occidente del Dopo il Moderno è qualcosa di dis-locato, di volatile i cui componenti appartengono alla categoria dei conglomerati, fatti di giustapposizioni e di emulsioni, di lavorati e di semilavorati, materiali che si offrono alla costruzione, alla auto-combustione e alla entropizzazione. Il Moderno del Dopo il Moderno è ragguagliabile a un gigantesco conglomerato di elementi aerei, fluttuanti, effimeri dal quale sembra sia scomparsa la forza di gravità. Le parole sembrano allentarsi e allontanarsi dal rigore sintattico, appaiono volatili, frante. Ma qui interviene il rigore del poeta svedese che le tiene incatenate alla orditura sintattica del testo.

Nella poesia di Kjell Espmark ci trovi in trasparenza frasari che riecheggiano frasi un tempo già pronunciate, già scritte, magari nella Bibbia o in qualche cronaca dell’impero cinese. L’ingresso in questi grattacieli del fabbricato leggero, le novelle piramidi del nostro tempo, è fatto di effimero e di transeunte, di transitante nel Nihil, ponte di corda steso sopra gli abissi del nichilismo della nostra civiltà. Ecco, la poesia di Kjell Espmark ha la solidità e la leggerezza di un ponte di corda. L’ingresso, dicevo, in questo fabbricato di frasari nobili e non-nobili è un tortuoso cunicolo che ci porta all’interno del mistero dell’esistenza dell’uomo occidentale. Qui, ci si muove a tentoni, non si vede granché, non c’è luce, non si percepisce se la via scelta sia quella giusta, ma l’attraversamento di essa è per un poeta un obbligo non eludibile. Bisogna varcare quell’ingresso e inoltrarsi. La poesia di Kjell Espmark si propone questo compito. È un tragitto fra intervalli di buio durante i quali il tempo sembra sospeso, dove la «parola» si è volatilizzata, portandosi via con sé «una patria incompleta», ed è diventata invulnerabile al tempo che la vuole soccombente. Le «ombre» commerciano con i vivi. Ci sono molte «ombre» in queste poesie, e noi non sappiamo chi sia più vivo, se le «ombre» o i vivi:

Trovai sì l’ombra del mio amato
ma brancicò sopra di me
senza riconoscermi.
Allora passai la goccia di sangue sulle sue labbra,
l’ombreggiatura più scura che erano le sue labbra,
e lui stupì –

Questo «passaggio» tra le «ombre» è un Um-Weg, una via indiretta, contorta, ricca di andirivieni, di anfratti. Ma percorrere un Um-Weg per raggiungere un luogo non significa girarvi attorno invano – Umweg non è Irrweg (falsa strada) e nemmeno Holzweg (sentiero che si interrompe nel bosco) – ma significa compiere una innumerevole quantità di strade, perché la «dritta via» è impenetrabile, smarrita e, come scriveva Wittgenstein, «permanentemente chiusa». Non v’è alcuna strada, maestosa e tranquilla, come nell’epos omerico e ancora in Hölderlin e in Leopardi, che sin da subito mostri la «casa», il luogo dal quale direttamente partire per ritrovare la patria da dove gli dèi sono fuggiti per sempre.”

Strilli Linguaglossa1

Donatella Costantina Giancaspero

POESIA.
Un mio contributo alla Nuova Ontologia Estetica

Le strade mai più percorse:
esse stesse hanno interdetto il passo
– alla stazione Bologna della metro blu, una donna. Sospesa.
In anticipo sulla pioggia –.

Qualcuno ha voltato le spalle senza obiettare,
consegnato alla resa gli occhi che tentavano un varco.

Le ragioni, mai sapute, vanno. Inconfutate
– scampate al giudizio – per i selciati – gli stessi
ritmati di prima – gli stessi –
da martellante fiducia – nell’equivoco di chi c’era.

Per un’aria che non rimorde – l’ombra
sulla scialbatura – avvolte da scaltrito silenzio.

Strilli Rago

Giorgio Linguaglossa

Commento psicofilosofico di Giorgio Linguaglossa alla poesia di Donatella Costantina Giancaspero

Ci sono delle «strade» nell’inconscio che non sono state «mai più percorse», che hanno le loro buone «ragioni», sono «esse stesse» che interdicono «il passo». È il passato che incombe minaccioso sul presente dell’io. Qui siamo nell’ambito di dominio dell’inconscio e della correlativa funzione dell’io. L’Io non è più il sovrano assoluto dell’io penso cartesiano non è la sintesi dei miei pensieri e delle mie percezioni, ma è Altro. L’Io è stato esautorato delle proprie istanze, dei propri poteri illusori, del proprio scettro; l’Io è ciò che resta dell’io, ciò che non sa dell’io. L’Io, dirà Lacan nella sua lettura dell’Entwurf freudiano nel seminario L’etica della psicoanalisi, «l’io è l’inconscio in funzione». Da un lato obliterato dall’inconscio, dall’altro suo prolungamento nella realtà.

Si tratta di un’istanza formalmente rappresentativa, funzionante secondo una dialettica che articola le Wortvorstellung alle Sachevorstellung, coinvolta in un processo che associa linguaggio e rappresentazione. E qui sta lo snodo che segna il passaggio in Lacan alla definizione di «soggetto dell’inconscio» come effetto dell’«azione letale» del significante, una volta introdotto nel campo dell’Altro come luogo della Parola. Questo «tu» al quale ciò che resta dell’io si rivolge, è un «tu» di incantamento, è un fantasma che ci giunge dall’al di là dell’istanza della coscienza; ciò che per noi ha a che fare con il «fantasma», quel «Qualcuno», che non sai se sia io o una parte dell’io o altro e altro dell’Altro.

«Qualcuno», questo indeterminativo, questo misterioso ospite, ha risposto ed ha preso il posto dell’io. Qualcuno ci tratta da imputati: – Io! Che cosa è questo Io? Io tutto solo, cos’è? – se non un Io di sottrazione, un Io di ricusazione, un Io di no, non per me, io non sono io, io è un altro. Così è fin dalla sua origine, l’Io, in quanto si ribella, si sottrae, espelle anche se stesso con un movimento all’incontrario; l’Io come difesa, come Io che prima di tutto rigetta e ricusa, e che lungi dall’annunciare, disarma, vaga nella zona anestetizzata dell’esistenza. È l’Io nell’esperienza anestetizzata del proprio sorgere e che fa esperienza della propria disparizione.

L’inconscio non è l’inconoscibile, non è l’indicibile. L’inconscio si manifesta, seppur attraverso il velo di sintomi, lapsus, sogni, si manifesta in poesia e il suo manifestarsi consente quanto meno di avvertirne la presenza. Presenza che non si confonde mai con l’esser presente, con un darsi in carne ed ossa; eppure è un manifestarsi che letteralmente sorprende, scuote il soggetto, o sarebbe forse meglio dire lo coglie a tergo nel suo discorso cosciente, nel suo voler-dire, nei suoi atti, nei suoi desideri, nelle sue intenzioni, lo coglie cioè in un vacillamento che non è nulla di superficie ma lo concerne nel suo stesso, nel suo più intimo essere.

«Le ragioni» «mai sapute», restano «inconfutate», appunto perché gravitano «nell’equivoco» dei «selciati» (una metafora che serve a spostare il discorso dalle «ragioni» ai «selciati» con un cambio di soggetto); ecco, quei «selciati» colti da «martellante fiducia» restati preda di Wortvorstellungen (rappresentazioni di parole del linguaggio articolatorio), che non possono sfuggire alla loro vera sostanza di giustificazioni «scampate al giudizio», argomentazioni che l’io si dà di continuo per poter sopravvivere e costituirsi come proiezione di pulsioni cieche che hanno trovato la loro vestizione linguistica. Le giustificazioni, «le ragioni» sono nient’altro che proiezioni linguistiche, Wortvorstellungen, artifizi concettuali che l’io erige come complementi dell’inautenticità generale dell’esistenza.

Strilli Kral Lungo i marciapiedi truppe d'assentiStrilli Král A tratti un libro riposto

Giorgio Linguaglossa

il linguaggio di Celan sorge quando il linguaggio di Heidegger muore,
volendo dire che il linguaggio della poesia – della ‘nuova’ poesia –
può sorgere soltanto con il morire del linguaggio tradizionale
che la filosofia ha fatto suo, o – forse – che si è impadronito della filosofia

(Vincenzo Vitiello)

Cosa è la presenza? C’è una presenza? La poesia della Giancaspero ruota ossessivamente e instancabilmente attorno a questo punto, rumina incessantemente attorno al punto della disparizione de-coincisione del presente, a quella cosa incredibile che è la manifestazione dell’atto, della attualità, cioè della presenza perché la presenza è un togliersi, è l’attualità del togliersi.

La presenza non è un immediato ma un mediato, dipende da altre innumerevoli presenze che si sono tolte, sono dileguate. Il de-coincidersi della presenza fonda la presenza, il continuum della presenza è il suo continuo de-coincidersi.

Il de-concidersi del presente è il suo esser atto, esser in atto, esser presente, immediatamente attuale, immediatamente nella attualità e immediatamente svanito in quanto nulla, perché il nulla giustifica, fonda l’originarietà dell’attuale. Il presente è l’origine che si rinnova e che muore allo stesso istante. Appunto perché il nulla è attuale, perché l’attuale non contiene il nulla staticamente, omeostaticamente come un recipiente, ma attualmente, negandosi, togliendosi, de-coincidendosi.

Strilli Busacca è troppo tardi

Lucio Mayoor Tosi

21 agosto, 2017 alle 20.18

Nella dottrina buddista questo pensiero viene detto della Impermanenza (Anitya). È tipico di questa dottrina affrontare in chiave negativa – dell’abbandono – le circostanze della vita. Tutto finisce, non solo le cose che consideravamo importanti per noi ma anche semplicemente quando osserviamo il volo di uno stormo di uccelli e li vediamo scomparire dietro il tetto di una casa; un passante che svolta l’angolo della via: c’era e non c’è più. E’ tutto così, per non dire dei pensieri che nascono e muoiono. Questa comprensione porta all’abbandono delle passioni, dell’io-sono e molto altro. Ma serve, secondo me, un passo oltre per non cedere al pessimismo esistenziale, e questo passo è l’accettazione – se si vuole, nichilista – della continua e inarrestabile mutazione. E questa la si ottiene osservando. Esattamente come fa Donatella Costantina Giancaspero, la quale scrive separata, non da quel che è stato ma da se stessa. Donatella non c’è più. C’è l’amarezza, c’è qualcuno che…
Ma sono tasselli, frammenti; che aspiriamo, senza trattenerli.
Nelle parabole buddiste si usa dire “uscire dalla ruota del carro”. Osservare. In effetti, io credo che NOE abbia a cuore la visionarietà, più che la parola; il pensiero filosofico scritto con lingua naturale, non specialistica. Questo potrebbe anche dipendere dal generale impoverimento della lingua italiana. Forse gli stracci sono lì.

69 commenti

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69 risposte a “LA NUOVA POESIA RICHIEDE UN NUOVO LINGUAGGIO CRITICO, UNA DIREZIONE DI RICERCA – Dialogo tra Gino Rago, Giorgio Linguaglossa, Lucio Mayoor Tosi – Una poesia di Donatella Costantina Giancaspero con Commento psicofilosofico di Giorgio Linguaglossa

  1. https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-25869
    Il ‘900 sancì la fine del primato della pittura tra le arti visive. Forse anche della pittura stessa. Parole che vanno da “maestria” alla semplice “qualità e spessore del pigmento”, oggi non hanno senso: chi mai si sognerebbe di pronunciarle entrando nel merito di un prodotto industriale? Pare conti l’idea, quella fulminante dell’artista, il quale potrebbe anche limitarsi a fare una telefonata per vedere realizzata la sua immaginazione. Io lo trovo divertente: tutta gente che campa avendo leader da scopiazzare… Tracce di un secolo duro a morire; ma è sempre stato così. Lasciamo la critica intesa come cronaca degli eventi al giornalismo, e raccomandare i carpentieri dell’esegesi a qualche prestigiosa ecole de Cuisine. Soluzioni se ne trovano sempre.
    La critica di Giorgio Linguaglossa non può che essere quella acuta di un poeta, dal momento che poeta lo è. Possiamo quindi parlare di immaginazione critica, qualcosa che si possa fare solo in divenire; una critica che parta e veda dal nulla in cui ci troviamo. Il nulla offre un’ampia visione: riduce l’enormità del contingente, ridimensiona il tempo, offre vie d’uscita ovunque si guardi. Le parole della critica saranno molto simili a quelle del poeta: vere; solo che appartengono alla normalità di un altro universo – con cui prima o poi bisognerà pur fare i conti. Le questioni, o meglio i parametri di giudizio sono stati delineati: tempo, stile, rapporto con l’esistenzialità. Sono ammessi anche sfottò e ghirigori. Tanto si tratta di restauri, lavori in corso per rianimare con poesia, tra le altre, anche le parole appena venute al mondo. Alcune inaccettabili, però con riserva. Non cambia nulla, sono le fatiche di sempre. Io mi sto preparando per Hollywood.
    Non ho letto molto di Kjell Espmark, abbastanza per sentirlo molto vicino alla ricerca in corso della NOE. Per questa ragione forse più interessante dello stesso Tranströmer, il quale, mi sembra abbia attraversato il cielo come una cometa, alla velocità della luce; quindi l’esito o gli esiti potrebbero anche essere diversi da quanto dimostrato dal Nobel svedese.
    La poesia giace sul lettino, non per sottoporsi a un’operazione di chirurgia estetica, ma per poter riprendere a respirare, in ciascun poeta, separatamente.

  2. Il Signor Cogito è l’uomo dell’Occidente. Colui che pensa dunque è. Herbert in questa poesia lo invita ad agire, perché il pensiero guida l’azione e, quest’ultima è un atto insieme etico, politico e, soprattutto, estetico. Il libro è nato come un tentativo di risposta sul tema del Signor Cogito.
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-25870

    Zbigniew Herbert

    Il sermone del signor Cogito

    Va’ dove andaron quelli fino all’oscura meta
    cercando il vello d’oro del nulla – tuo ultimo premio

    va’ fiero tra quelli che stanno inginocchiati
    tra spalle voltate e nella polvere abbattute

    non per vivere ti sei salvato
    hai poco tempo devi testimoniare

    abbi coraggio quando il senno delude abbi coraggio
    in fin dei conti questo solo è importante

    e la tua Rabbia impotente sia come il mare
    ogni volta che udrai la voce degli oppressi e dei frustati

    non ti abbandoni tuo fratello lo Sdegno
    per le spie i boia e i vili – essi vinceranno
    sulla tua bara con sollievo getteranno una zolla
    e il tarlo descriverà la tua vita allineata
    e non perdonare invero non è in tuo potere
    perdonare in nome di quelli traditi all’alba

    ma guardati dall’inutile orgoglio
    osserva allo specchio la tua faccia da pagliaccio
    ripeti: m’hanno chiamato – non credo ch’io sia il migliore

    fuggi l’aridità del cuore ama la fonte mattutina
    l’uccello dal nome ignoto la quercia d’inverno
    la luce sul muro il fulgore del cielo

    ad essi non serve il tuo caldo respiro
    son solo per dirti: nessuno ti consolerà

    bada – quando la luna sui monti darà il segnale – alzati e va’
    finché il sangue nel petto rivolgerà la tua scura stella

    ripeti gli antichi scongiuri dell’uomo fiabe e leggende
    raggiungerai così quel bene che non raggiungerai

    ripeti solenni parole ripetile con tenacia
    come quelli che andaron nel deserto perendo nella sabbia

    e ti premieranno per questo come altrimenti non possono
    con la sferza della beffa con la morte nel letamaio

    va’ perché solo così sarai ammesso tra quei gelidi teschi
    nel manipolo dei tuoi avi: Ghilgamesh, Ettore, Rolando
    che difendono un regno sconfinato e città di ceneri
    sii fedele va’

    (traduzione dal polacco di Paolo Statuti)

    È erraneo e ultroneo mettere il Signor Estraneo alla porta, un atto di suprema ingenuità oltre che di scortesia, perché Egli è qui, dappertutto, e chi non se ne avvede è perché non ha occhi per avvedersene. Tutto quello che possiamo fare è intrattenerci con Lui facendo finta di nulla, cincischiando e motteggiando, ma sapendo tuttavia che con Lui è in corso una micidiale partita a scacchi.

    (Giorgio Linguaglossa)

  3. Il luogo del linguaggio poetico
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-25871
    Il linguaggio poetico non può mai attingere la pienezza ontologica. Essere e linguaggio obbediscono a leggi diverse: si dà un ordine del senso, a livello ontologico, un altro senso si dà a livello proposizionale nella misura in cui la sfera dell’essere resta incisa e recisa dal linguaggio, evirata della sua mitica pienezza. L’unità mitica dell’essere è, appunto, un mito, anzi, un mitologema. In questa unità prelinguistica e presimbolica il linguaggio appare come l’Altro, come ciò che introduce il segno come traccia, iscrizione, gioco di presenza-assenza che il significante dischiude.

    La parola diventa così il luogo in cui il soggetto evanesce. Con la parola il soggetto incontra la propria nientificazione, il proprio essere-per-la-morte,
    l’inaugurale sottrazione che scinde la presenza ripetitiva del godimento, del piano della pienezza dell’essere dalla rappresentazione di cui il significante,
    come luogo in cui il soggetto diventa evanescente, è marca.

    Alienazione e separazione sono la ripercussione di questa scissione, quella che Lacan chiama «la divisione del soggetto». La dimensione della
    soggettività si configura in questa perdita, in questa lesione della pienezza della sfera dell’essere, mitica, da cui balza fuori, letteralmente, il soggetto parlante.
    Si può adesso comprendere come in Lacan il «soggetto parlante», ovvero il soggetto tout court, sia tale solo in quanto soggetto dell’inconscio, perché qualcosa come l’inconscio freudiano ha fatto la sua irruzione nella cultura moderna.

    L’inconscio, secondo la celebre intuizione di Lacan, è «strutturato come un linguaggio», si manifesta secondo le modalità retoriche della metafora e della metonimia, individuate attraverso Freud nelle operazioni della condensazione e dello spostamento.
    L’inconscio individua in noi quanto il linguaggio dischiude come Altro. La fenomenologia dell’inconscio è basata sulle leggi del linguaggio. Con l’intervento del linguaggio si verifica uno spostamento, e di qui la catena sinonimica che introduce il significante. L’inconscio è quel luogo strutturato dalla parola come luogo dell’Altro, il risultato dell’azione del significante.

    L’inconscio pertanto non va interpretato come fonte, luogo in cui sarebbero ricondotti unicamente quei desideri e quelle pulsioni che non hanno avuto accesso alla coscienza; è strutturato come un linguaggio simbolico di cui però non possediamo le chiavi di accesso, è una istanza che parla attraverso i suoi simbolismi. Ciò che Freud ha scoperto e ha chiamato inconscio è quella dimensione «proteggente avvolgente», dice Heidegger, che esiste perché c’è linguaggio, che la parola non è mero strumento di comunicazione, ma la dimensione che apre nella vita un divario tra detto e dire, tra enunciato ed enunciazione, che sloggia il soggetto dall’alveo della certezza della coscienza dell’io penso, che lo strappa alla sua chiusura autoreferenziale.

  4. antonio sagredo

    Poesia
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-25873
    Poesia, mi metterò a giurare
    su di te, e finirò, restando arrochito:
    tu non sei la prestanza di un cantore mellifluo,
    tu – sei un’estate con un posto in terza classe,
    tu – sei un sobborgo e non un ritornello.

    Tu – sei afosa come un maggio, Jamskaja,
    ridotta notturna di Ševardinó,
    dove le nuvole emettono gemiti
    e vanno sparpagliate verso lo scioglimento.

    E duplicandosi nell’intreccio dei binari –
    sobborgo, e non ritornello, –
    strisciano dalle stazioni verso casa
    non come un canto, ma attonite.

    Germogli d’acquazzone s’ingolfano nei grappoli
    e a lungo, a lungo sino all’alba
    acciarpano dai tetti il proprio acrostico,
    gettando bollicine nella rima.

    Poesia, quando sotto il rubinetto
    c’è un truismo, vuoto come lo zinco di una secchia,
    anche allora il getto resta incolume,
    il quaderno è approntato – puoi scorrere!

    Boris Pasternàk
    1922
    (trad, di A. M. Ripellino, 1954)

    • londadeltempo

      Caro Antonio,
      le tue citazioni sono sempre molto interessanti, ma io qui rispondo a Donatella Costantina che ha detto cose molto significative sull’esperienza della NOE e la ricchezza della Nuova Poesia nei confronti di chi si abbandona con totale trasporto al lavoro sulle parole. Hai ragione, Cara amica della Poesia e della Musica (e nostra, naturalmente): hai detto parole piene di chiarezza e di generosa riconoscenza che condivido in pieno, anche nei confronti della NOE e di Giorgio Linguaglossa che è sempre molto disponibile nei confronti di chi crede nella Poesia. Grazie per la musica!!!

      Mariella

  5. Una interpretazione della poesia.
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-25875
    Le strade mai più percorse:
    esse stesse hanno interdetto il passo
    – alla stazione Bologna della metro blu, una donna. Sospesa.
    In anticipo sulla pioggia –.

    Qualcuno ha voltato le spalle senza obiettare,
    consegnato alla resa gli occhi che tentavano un varco.

    Le ragioni, mai sapute, vanno. Inconfutate
    – scampate al giudizio – per i selciati – gli stessi
    ritmati di prima – gli stessi –
    da martellante fiducia – nell’equivoco di chi c’era.

    Per un’aria che non rimorde – l’ombra
    sulla scialbatura – avvolte da scaltrito silenzio
    .

    Le parole «vengono» alla poesia, non la poesia chiama le parole. È proprio il contrario. Il luogo della poesia è quello per cui esso viene alla luce in quanto chiamato dalle parole, in questa pro-vocatio è il luogo delle parole come ordine simbolico. Il luogo fisico è la «stazione di Bologna della metro blu», ma il luogo mentale è un altro.

    Si tratta proprio dell’inconscio, o meglio, di ciò che si eventualizza nel soggetto dell’inconscio, in questo porre «le ragioni» «scampate al giudizio» del Super-io, che annuncia il vacillamento, l’esitazione dell’io parlante, il voler-dire che è altro dal detto e altro dall’intenzionato. «La forma essenziale in cui ci appare inizialmente l’inconscio come fenomeno è la discontinuità – discontinuità in cui qualcosa si manifesta come un vacillamento».1]
    Come un «anticipo» o un ritardo «sulla pioggia», dice la poesia. Ma qui non c’è nulla che indichi il predicato, nulla che indichi il soggetto che non c’è:

    In anticipo sulla pioggia –.

    Qualcuno ha voltato le spalle senza obiettare,
    consegnato alla resa gli occhi che tentavano un varco.

    Le ragioni, mai sapute, vanno. Inconfutate

    È il soggetto dell’inconscio che si manifesta tra l’«anticipo» e il ritardo, è qui che si apre «un varco». Quello che Lacan chiama la faglia, la beanza che divarica il soggetto, che lo allontana da sé nello stesso tempo in cui lo chiama in causa; e questo non è altro che la «mancanza», la nozione di manque à être entro cui si colloca la parola. La faglia, ricopre il soggetto da parte a parte, si presenta come una apparizione improvvisa; questa faglia, è l’inconscio, il luogo in cui la rappresentazione mostra il suo lato oscuro. Questo luogo è letteralmente pro-vocato dal linguaggio, è il luogo dell’Altro, reso possibile dalla dimensione dell’alterità intesa non più come altro da me, come l’altro che ho di fronte, bensì come la disunione, quella divaricazione che divide il soggetto perché lo ha significato, perché è stato nominato da altri.
    Che significa quel «Qualcuno ha voltato le spalle»? È lo stesso soggetto diviso che ha voltato le spalle a se stesso… «Le ragioni», ovvero, il processo delle razionalizzazioni che l’io ha posto in opera come struttura dinfensiva, è caduto nel vuoto. «Inconfutate», quelle «ragioni» rientrano nell’inconscio, quello stesso che le ha prodotte.
    La poesia sancisce l’ingresso nell’ordine simbolico e lo scacco dell’io.

    1] J. Lacan, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Scritti I Einaudi, 1974., p. 26.

  6. gino rago

    Non lo scintillio del bronzo appena fuso
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-25876
    Non lo scintillio del bronzo appena fuso.
    Né la sua patina magari artificiale
    o la levigatezza del marmo immacolato.
    (…)
    La materia grezza. La pietra.
    La colata di cera rappresa.
    La rugginosità del ferro.
    I rottami, gli avanzi, i detriti.
    I rimasugli di fonderie. Gli stracci.
    I vetri rotti negli angoli delle vie.
    Gli scampoli nelle sartorie.
    (…)
    Ecco le parole della nuova poesia
    (débris du futur seppe dirci Valéry)
    perché siamo uomini del dopo Hiroshima
    in filiformi tralicci di gabbie.
    (…)
    Platani. Fiumi. Uomini. Fiori.
    Tutti bramano un suono che manca.
    A meno che il suono non significhi niente.
    Tutti vogliono un nome.
    Perché ogni nome è una benedizione.
    L’occhio che brilla di passato e futuro.
    Limature. Vinavil. Sagome. Legno.
    Il mondo chiuso in un sacco di iuta.

    Gino Rago

  7. antonio sagredo

    un componimento che farà parte del prossimo volume
    La gorgiera e il Delirio” ….

    Nemesi

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-25877
    Ancora la maschera languiva per un assolo di archi nell’orchestra,
    la viola d’amore affilava gli occhi di Giuditta prima del misfatto,
    ma la scena, senza parole, generava astragali e gesti virtuali
    perché l’attore truccasse solo con gli sguardi il festino della sua rovina.

    Non ci resta che recitare un calvario per sperare in una farsesca epifania,
    la sue parole si sono aggrovigliate sulla lingua come una retorica antica.
    Schiodati sono le fini e i principi su quel legno come una finta rivelazione,
    non ho che da spartire e spargere la mia arte come sacramenti universali!

    Sono giunto alla Stazione del Nulla dove i corvi beccano la mia apoteosi:
    non ho voglia di altri succursali, mi basta un quadrante in fiamme per
    cantare!
    Mi hanno applaudito come l’unico evangelo della scena… per la mia liturgia
    si sono spellate le mani! – per l’immacolato martirio della mia Voce!

    Ho spezzato le mie carni in divini gesti come gli atti degli apostoli,
    le parole ho sminuzzato come ostie per un rinascimento epicureo,
    l’irregolare sostanza del mio delirio è pensiero e preghiera estrema.
    La mia infanzia fu già un sacrificio di specchi, di maschere, e sembianti!

    Bardonecchia, 31 dicembre 2007
    (ore quattro del suo ultimo mattino)

  8. gino rago

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-25878
    Carissimi Giorgio Linguaglossa, Lucio Mayoor Tosi, Antonio Sagredo
    e carissima Costantina Donatella Giancaspero (e cari tutti e care tutte
    le voci poetiche de L’Ombra delle Parole),
    che poesia può “fare” il poeta dei nostri giorni con parole ‘disabitate’ in un mondo racchiuso in un sacco di iuta?
    Gino Rago

  9. Titolo – Descrizione:
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-25880
    Un pupazzo di neve giunto dalla Norvegia
    sta impazzendo di caldo sulla piazza circondata da rondini.

    Nel vicolo, una stella di molti triangoli tocca le persone sul cuore.
    Sgorga una fontanella di sangue mentre non passa nessuno.

    Le rose non possono farci niente.
    Morire e vivere sono pensieri. Soltanto pensieri.

    Prima che faccia notte avrò terminato il tabacco.
    Qualcuno è stato qui! Il primo fantasma umano

    in grado di indossare scarpe e maglia.
    Il fantasma è ben visibile tra gli occhi.

    Un cane attraversa la distanza. E se ne dimentica.
    Il tempo sfreccia sulla via.

    Sul bordo gli sterpi si sono dati adunanza.
    Dev’essere ora di cena.

    Parole disabitate, sì, ma indicano e vogliono nominare le cose; gli stracci del mondo… e come vi si sta evitando evitando anche tutto di sé.
    Senza identificazione il mondo si rivela aperto. Non se ne vedono i confini.

    • londadeltempo

      Molto interessante, quasi un’esemplificazione originale e intensa di quanto detto con chiarezza adamantina da Giorgio Linguaglossa. Lucio, tu sorprendi sempre il lettore…peccato che non ti lasci sorprendere. Lo so che non è vero, ma se non ti provoco un po’…non dialoghiamo!

      Un poeta che conosco da parecchi anni , Giovanni Francomacaro, mi ha mandato due poesie che, in apparenza, non hanno la novità di quelle postate qui dai filo-NOETICI (tra i quali mi annovero anche io). Ma voglio farvele ascoltare all’Ombra delle parole:

      LUCIA
      C’è una bimba che corre
      Sul prato bagnato
      E si chiama Lucia.
      La madre, che è solo capelli
      E ha la braccia trafitte dai chiodi,
      si lega le ossa
      per sfuggire al domani.
      Lucia è felice
      Una palla e due stracci
      E la pioggia sottile
      Che cade dal cielo
      Che cade sui giusti
      E su quelli sbagliati
      Fa finta di niente
      E gli bagna la veste.
      Ma Lucia sorride
      Al freddo e alla notte
      E al ringhiare dei cani
      E sorride alla morte
      Che le si china vicino:
      La dolcezza e il dolore
      Di una madre sbagliata.
      Lucia è felice
      Per le stelle che brillano
      Sui prati bagnati
      E calpesta correndo
      Le foglie ingiallite
      Anche loro abbattute
      Da una legge puttana
      Che t’inganna col tempo
      E alla fine t’uccide
      Per fame per sete
      D’amore.

      LISETTA
      Conosco una bambola di nome Lisetta.
      ha gli occhi lucenti
      come stelle di latta,
      e un cuore di pezza
      che non vale due soldi.
      Lisetta t’abbraccia
      stringendoti forte,
      come fossi una bimba
      o un mazzo di fiori,
      e se per caso sei sola
      rincorre il silenzio,
      gioca col tempo
      per non farlo morire
      raccontandoti storie
      che non sai più sognare.
      E’ una bambola seria,
      ma quando sei triste
      ha un sorriso dipinto
      e il profumo d’un tempo
      fuggito lontano
      come la piuma d’un passero
      trascinata dal vento.
      Conosco una bambola
      di nome Lisetta.
      Ha un piccolo cuore
      fatto di pezza
      e dietro gli occhi di vetro
      un’anima di cartapesta.
      Solo una volta
      L’ho sentita parlare,
      quando mi ha detto:
      “amico -ricorda-
      la tenerezza, se non è data,
      si tramuta in dolore”.

      Poesia che scorre veloce verso non si sa dove…e la sfumatura di mistero che lascia come traccia merita attenzione…

      Mariella

  10. rossana valente

    Credo che Lacan e Derrida e similari già da tantissimi anni hanno fatto il loro tempo, e che citarli ulteriormente sia dannoso. Sono stati dei maestri subito superati e il loro pensiero è già nelle teche di un museo bibliografico. Inoltre
    è meglio controbattere con un pensiero semplice, chiaro, da cui la poesia può trarne vantaggio immediato. Questo pensiero non deve contenere nulla che faccia pensare alla psicologia, sociologia ecc. che appesantiscono non poco i vari interventi… insomma che si proceda per ricerche di critica linguistica, ovvero analizzare ogni singola parola rapportandola con altre parole di altre lingue. Questo è detto per sommi capi.

  11. caro Gino Rago,
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-25952
    come posso risponderti? Ti posso rispondere soltanto con questi due “scampoli” di video di Bertolt Brecht musicati e cantati dai quali sporge una frenetica e chiassosa vitalità. Ecco quello che deve fare la «nuova poesia» (a prescindere se essa sia della nuova ontologia estetica o altro, figurati!, così facciamo contenti tutti i bempensanti che quando sentono parlare di «ontologia estetica» si spaventano…).
    Chi legge i tuoi versi, o quelli di Antonio Sagredo o quelli di Lucio Mayoor Tosi o di Anna Ventura… non può non restare coinvolto dalla quantità di energia che si sprigiona dalle loro/vostre poesie. Qui non è neanche questione di bello o brutto, qui si tratta di appercezione immediata: la «nuova poesia» la si assaggia, e appena la si assaggia, come un buon vino, ci scatena dentro un aumento di vitalità. Abbiamo gettato alle ortiche e nella discarica tutta la poesia ben educata e ben confezionata di questi ultimi decenni! Bene così. Non se ne poteva più di leggere i versi dei letterati spocchiosi e vanitosi. Ed è bene dirlo subito e a chiare lettere, NOI facciamo una poesia di stracci, di plastiche, di resti, di avanzi di cibo, di detriti di rigatterie, di cornici spaccate, di specchi rotti… con le tue parole:

    I rottami, gli avanzi, i detriti.
    I rimasugli di fonderie. Gli stracci.
    I vetri rotti negli angoli delle vie.
    Gli scampoli nelle sartorie.

  12. donatellacostantina

    Lo scorso anno è stato celebrato il sessantesimo anniversario della morte di Bertold Brecht, agosto 1956. Nel mese di febbraio di quello stesso anno, Brecht assisteva alla prima della sua “Opera da tre soldi” (in italiano), nello storico allestimento di Giorgio Strehler, al Piccolo Teatro di Milano, rimanendone entusiasta. Era la prima volta di Brecht in Italia, fino ad allora pressoché sconosciuto (almeno in teatro)…
    Propongo qui il celebre brano “Jenny dei pirati” nella ineguagliata interpretazione di Milly
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-25953
    Oh signori, voi mi vedete sciacquare le bottiglie
    e rifare i letti
    e mi date tre spiccioli di mancia
    e guardate i miei stracci
    e quest’albergo stracciato come me.
    Ma ignorate chi son io davvero.
    Ma una sera al porto grideranno e a chi mi domanderà:
    “Tu quel grido sai cos’è?”
    sorridendo,porterò un altro bicchiere,
    si dirà “da ridere che c’è?!”
    Tutta vele e cannoni
    una nave pirata
    al molo starà.
    M’hanno detto: asciuga i bicchieri, ragazza
    e m’hanno dato di mancia un cent
    ed ho preso il soldino e fatto un letto
    in cui nessuno stanotte tranquillo dormirà
    e chi sono nessuno ancora sa.
    Ma stasera al porto spareranno
    e qualcuno griderà: “A chi sparano laggiù?”
    Io, ridendo, apparirò a una finestra,
    si dirà: “Da ridere che ha?”
    E la nave pirata tutta vele e cannoni
    raderà la città.
    Oh signori, quando vedrete crollare la città
    vi farete smorti.
    Quest’albergo starà in piedi
    in mezzo ad un mucchio di sporche rovine e di macerie.
    Ed ognuno chiederà il perché di questo strano caso.
    Poi si udranno grida più vicine
    e qualcuno chiederà: “Come mai non sparan qui?”
    Verso l’alba mi vedranno uscire in strada,
    si dirà: “Ma quella dove va?”
    E la nave pirata,
    tutta vele e cannoni,
    la bandiera isserà.
    E più tardi cento uomini armati verranno
    e nell’ombra tenderanno agguati,
    poi faranno prigionieri tutti quanti.
    Li porteranno legati davanti a me.
    Mi diranno: “Chi dobbiamo far fuori?”
    Si farà silenzio intorno a me e qualcuno chiederà:
    “Chi dovrà morire?”
    Ed allora mi udranno dire: “Tutti!”
    Ed ad ogni testa mozza farò: “Oplà!”
    Tutta vele e cannoni
    la galera di Jenny
    lascerà la città.

  13. Ecco a voi, cari amici e interlocutori della nuova ontologia estetica, il Signor K., il re degli stracci… un Dèmone, se volete, o un Fantasma, se preferite:
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-25954
    Il saluto del Signor K.

    (alla maniera di Ewa Lipska)

    «Cari Signori Gino Rago, Giorgio Linguaglossa,
    Mario Gabriele, Lucio Mayoor Tosi e compagnia varia…
    Vi porgo i miei saluti
    dal Labirinto, quel luogo dal quale non è più
    possibile trovarsi, dove non c’è neanche bisogno
    di cercare le scaturigini di alcunché.
    Le parole, egregio Signor Linguaglossa,
    in questo luogo sono del tutto fuori posto.
    Mi perdoni questa ovvietà,
    ma lei, mi dicono, è un poeta!
    Vede? Cado anch’io a volte dalle nuvole
    nella trappola della geometria euclidea.
    Che vuole, ho un debole per i triangoli scaleni,
    gli eptaedri, i vertici acuti, i numeri primi.
    Tutto ciò che ci ha amato,
    cari Rago e Linguaglossa, cari Gabriele e Tosi,
    e quanti altri della nuova ontologia estetica
    non ha più ragion d’essere…»

    Il lestofante aprì la confezione di pasticcini ripieni di crema e bignè al cognac. Arietta di Offenbach. Sorrise. La bocca zeppa di denti d’oro che brillavano. «Professione?», «Sì, metta intagliatore di diamanti», rispose. Poi si chinò per arraffare qualcosa dalla tasca interna della giacca di velluto. Cravatta blu a pallini gialli. Farfugliò qualcosa sul pianoforte a coda. «Non siamo parenti – mi disse – però, in un certo qual modo, siamo prossimi… No, no, non parlo di voi, caro amico… parlo d’altro…».

    «La realtà è il risultato dell’autonegarsi dell’Assoluto.
    Auto-negarsi nel suo stesso porsi, un porsi
    nel suo stesso negarsi.
    Che vuole, un gioco di prestigio!
    Sì, mi attendo da Voi una risposta.
    Una sola, però,
    intorno alla decoincisione dell’essere dal nulla.
    E sì,
    anche intorno all’Assoluto.
    Per questo vi dò il mio indirizzo:
    Quartier Generale dell’Aldilà
    dove scorre il fiume dell’aldiquà
    al numero civico 777 piano terzo scala D,
    attigua alla abitazione di Dio, perbacco!».

    • frammenti le parole come sfingi

      frammenti le parole come sfingi
      sui deserti dei significati, la sabbia
      fluisce fluida, cosparge arida,
      la sostanza. perdurano ancora
      lacrime di provenienza incerta.

      A TUTTA LA VOSTRA GUITEZZA.

    • londadeltempo

      Lo squillo imperioso

      di un cristallo di vento
      sorge dalla profonda altezza.
      Là cervi e nobili uccelli
      dell’Altopiano intrecciano voli
      verso i gabbiani nati stanotte
      sulla riva del mare, lasciati lì a morire
      sotto le stelle che piangono
      da milioni di anni l’amore perduto.

      Alleluia Alleluia Alleluia!

      Nel mare i pesci cantano alla luna la loro disperazione
      il freddo silenzio che li costringe all’oscurità
      al gelo di tutte le stagioni. Sono belli i pesci
      colorati nell’Acquario, ma il loro occhio tondo
      è sgranato sul mondo di cui vedono piccoli frammenti
      quindi non vedono perché il tempo li vuole
      sognanti senza parole nel mare delle notti
      dove risuona l’ALLELUIA cosmico
      per questo segreto assurdo che la natura
      non vuole rivelare. Perché siamo qui?

      Perché ci sono pesci, gabbiani, galline topi
      insetti, leoni serpenti rane virus… perché NOI,
      se poi spesso ci facciamo tutti soltanto del male?
      “Perché la terra è sola?” si domanda il Poeta.
      Perché la terra e il sole?

      Non c’è risposta se non c’è vera domanda.
      Cosa possiamo domandare noi, apolidi, in un mondo
      da millenni affollato da domande senza risposta
      mentre bucano il cielo stelle spente?

      E, se tra poco splenderanno stelle a fibre ottiche,
      inchiodate da un Angelo che ama Dio alla follia
      soltanto la Notte di Natale
      ALLELUIA!

      Mariella Colonna

    • londadeltempo

      Questa poesia è scritta con la creta il legno la pietra e l’anima che fonde tutto e dà nuova vita alla materia inerte. Il Signor K aspetta risposte da noi anche intorno all’Assoluto? Beh, ci si può provare, anche se l’ultima volta dire quello che penso al Sor Kappa mi è costato molto molto caro!
      ( bastonate alla Pulcinella, un dente saltato come una nocciolina etc. etc.) Naturalmente sto scherzando, ma non proprio del tutto. Staremo a vedere. Soltanto, caro Giorgio, a volte tu fai delle “gaffe”: io non mi riconosco nella “compagnia varia”…il mio “io” non ha dato ancora tutto il suo spazio poetico al Fantasma di Emme. Ci.!

      Mariella

  14. gino rago

    Poesia esatta. Densa. Concreta. Di classica nitidezza .
    Giorgio Linguaglossa, in sé maturando la lezione acmeista con Mandel’stam in prima linea, anche in questi versi ci appare come un poeta greco o latino che però scrive in italiano…
    Con particolari esatti, nomi precisi, quesiti laceranti, ferma nei suoi versi l’atmosfera oleosa d’un secolo nuovo ma anche l’atmosfera d’un paese.
    Il nostro, in mano ai bugiardi, ai ladri, ai monatti, agli ammalati di narcisismo, agli abitanti di parole morte, a uomini chiusi dentro parole disabitate.
    Poesia che sancisce il transumanesimo definitivo: l’uomo non è più al centro del mondo. “Tutto ciò che ci ha amato… non ha più ragione d’essere.”
    Gino Rago

    • Giorgio Linguaglossa
      Atto inquisitorio della Lubjanca

      https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-26130
      Uno stridio insistente, ripetuto, simile al cra cra di un corvo.
      Sotoportego del Canal Grande.
      Gondole nere con maschere bianche sul volto.
      Il campanello del portone. Squilli acuti, dissonanti.
      “C’è sempre un corvo nella mia mente”, pensa nel dormiveglia Cogito.
      Si alza di soprassalto.
      «Chi è?», chiede al citofono.
      «È il compleanno dei nati morti,
      l’anniversario dei falsi vivi, faccia lei. È lei il Signor Cogito?»,
      «Sì, sono io», risponde il filosofo ancora nel sonno.
      «Non c’è nessun altro in casa?».
      «Non c’è Nessuno».
      […]
      La Lubjanka interroga il Signor Cogito.
      «Veda, Cogito, le parole si sono indebolite,
      e poi, quella questione, sì, quella della incontraddittorietà
      del contraddittorio. E poi, quella questione del verso libero
      figlio bastardo del nichilismo. – È sua questa tesi,
      vero, Herr Cogito?
      E poi la questione delle parole impossibili, quelle bandite dal tedio di Dio,
      intendo».
      […]
      Dice proprio queste parole il primo Commissario.
      «Come avviene che la parola impossibile entri
      nella gola e lì ristagni per mille anni, in attesa della resurrezione?
      Come può avvenire?».
      Dice proprio queste parole il secondo Commissario.
      «Come avviene che le parole impossibili
      prendano luce e si mettano a passeggiare di qua, di là… di sotto, di su…
      dopo morte?».

      (inedito, da Risposta del Signor Cogito)

      • Come avviene che, oggi, il parlar chiaro possa sembrare oscuro? Eppure si scrive obbligatoriamente (arrendevolmente) con parole deboli: “stracci, scampoli delle sartorie…”
        Bellissima poesia, Giorgio, della serie: in poesia, anche la critica trasmuta e si fa effervescente.

  15. Dobbiamo vivere come se la vita fosse in rosa, e dirci: “je ne regrette rien”…

  16. Testi di due canzoni dall’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht – Kurt Weill
    Moritat di Mackie Messer

    Testo originale tedesco

    Und der Haifisch, der hat Zähne
    Und die trägt er im Gesicht
    Und MacHeath, der hat ein Messer
    Doch das Messer sieht man nicht
    An ‘nem schönen blauen Sonntag
    Liegt ein toter Mann am Strand
    Und ein Mensch geht um die Ecke,
    Den man Mackie Messer nennt
    Und Schmul Meier bleibt verschwunden
    Und so mancher reiche Mann
    Und sein Geld hat Mackie Messer
    Dem man nichts beweisen kann
    Jenny Towler ward gefunden
    Mit ‘nem Messer in der Brust
    Und am Kai geht Mackie Messer,
    Der von allem nichts gewußt
    Und die minderjährige Witwe
    Deren Namen jeder weiß
    Wachte auf und war geschändet
    Mackie welches war dein Preis?
    Refrain
    Und die einen sind im Dunkeln
    Und die anderen sind im Licht
    Doch man sieht nur die im Lichte
    Die im Dunklen sieht man nicht
    Doch man sieht nur die im Lichte
    Die im Dunklen sieht man nicht

    Traduzione italiana

    Mostra i denti il pescecane
    e si vede che li ha.
    Un coltello, solo, ha Mackie
    ma vedere non lo fa.
    Su una sponda del Tamigi
    giace un tale a mezzodì.
    Poco prima, lo sappiamo,
    Mackie Messer era lì.
    Sbrana un uomo il pescecane,
    molto sangue scorrerà.
    Mackie indossa un bel guanto,
    nessun segno lascerà.
    A Schmul Meier, l’industriale,
    un ignoto un dì sparò.
    Mac ne spende tutti i soldi,
    ma provarlo non si può.
    Han trovato Jenny Towler
    strangolata nel bidet.
    Che sia stato Mackie Messer?
    Testimoni non ce n’è.
    Sei bambini son bruciati
    nell’incendio di Soho.
    Mackie Messer sa qualcosa
    ma non parla e beve gin.
    Sbrana un uomo il pescecane
    ed il sangue si vedrà.
    Mackie ha un guanto sulla mano,
    nessun segno resterà.
    Vedovella minorenne,
    il cui nome ognuno sa,
    dicci, dunque, il buon Mackie
    dov’è andato, cosa fa.

    Traduzione inglese

    Oh the shark has pretty teeth, dear
    And he shows them pearly white
    Just a jack knife has MacHeath, dear
    And he keeps it out of sight
    When the shark bites with his teeth, dear
    Scarlet billows start to spread
    Fancy gloves though wears MacHeath, dear
    So there’s not a trace of red
    On the sidewalk, Sunday morning
    Lies a body oozing life
    Someone’s sneaking round the corner
    Is the someone Mack the knife?
    From a tug boat by the river
    A cement bag’s dropping down
    The cement’s just for the weight, dear
    Bet you Mack is back in town
    Louie Miller disappeared, dear
    After drawing out his cash
    And MacHeath spends like a sailor
    Did our boy do something rash?
    Sukey Tawdry, Jenny Diver
    Polly Peachum, Lucy Brown
    Oh the line forms on the right, dear
    Now that Mack is back in town

    • donatellacostantina

      Noi lo ricordiamo come interprete di canzoni di successo nel panorama della musica leggera italiana degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. E anche come testimonial pubblicitario nei Caroselli, come attore e protagonista di show televisivi… Insomma, sto parlando di Nicola Arigliano (1923 – 2010).
      Dopo un periodo di silenzio dovuto al mutamento del gusto e delle mode musicali, tornò sulla scena alla fine degli anni ’70 lavorando con le Jazz Session dei più noti jazzisti italiani, tra i quali Franco Cerri, Enrico Rava, Gianni Basso.

      In questo video, vi porpongo la sua interpretazione (in chiave cabarettistica con accompagnamento jazz) della Ballata di Mackie Messer.
      E un finale a sorpresa…

      Buon ascolto!!

  17. La poesia di Costantina Donatella Giancaspero, per atmosfera, sentimento e incomunicabilita’, mi ha ricordato questa:

    In a Station of the Metro
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-25988
    The apparition of these faces in the crowd;
    Petals on a wet, black bough.

    (Guess who?)

  18. donatellacostantina

    Alla ricerca dell’innovazione: due parole su Kurt Weill
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-26001
    Berlino, anni Venti: un giovane musicista cresciuto nel solco della tradizione tardo-romantica muove i primi passi come compositore. È nato a Dessau nell’anno 1900, figlio del primo cantore della sinagoga di quella città. Il suo nome è Kurt Weill. Si è trasferito a Berlino per completare gli studi di composizione con Ferruccio Busoni, maestro che ammira e stima profondamente. Sono gli anni della Repubblica di Weimar, il clima culturale è acceso, le contraddizioni enormi e tutto è in rapido e incerto divenire.
    Weill frequenta gli intellettuali legati ai circoli espressionisti. Le convenzioni del teatro d’opera di stampo wagneriano gli stanno strette e suscitano in lui un desiderio di rinnovamento. Tuttavia, neppure gli esperimenti di musica dodecafonica, di moda in quegli anni, lo convincono. Kurt cerca una terza strada, qualcosa che possa calarsi nella realtà comune.
    A 26 anni sposa Lotte Lenya, una ragazza austriaca che danza, canta e recita. L’affiatamento è forte, resteranno inseparabili per tutta la vita.
    L’anno seguente arriva la svolta: l’incontro con Bertold Brecht e con la sua nuova concezione di teatro segna un momento determinante nella vita di Weill.
    L’opera da tre soldi (Die Dreigroschenoper), andata in scena per la prima volta il 31 agosto del 1928, fu il più grande successo teatrale della Repubblica di Weimar. Brecht sceglie di riadattare L’opera del mendicante (The Beggar’s Opera) dell’inglese John Gay a distanza di 200 anni esatti dalla sua rappresentazione. The Beggar’s Opera era un’opera popolare, sarcastica e sfrontata, che si prendeva gioco delle convenzioni sociali del tempo e proprio per questo attira l’attenzione di Brecht. Weill intuisce che la via per l’innovazione consiste in una sintesi tra forme classiche e musica d’intrattenimento: sceglie cantanti con esperienza di cabaret o di teatro di prosa, privi di una vera e propria preparazione musicale, che usano la voce in modo spontaneo e non “impostato” come invece avviene nell’opera lirica tradizionale; compone melodie orecchiabili e ritmi semplici; interrompe volutamente i brani a metà, per lasciare spazio all’azione; impiega piccoli complessi orchestrali e strumenti inusuali per la musica “colta”, come gli organetti. Questo nuovo approccio è considerato rivoluzionario e segnerà la storia del teatro in musica del Novecento.

  19. antonio sagredo

    ringraziamo sommamente Donatella Giancaspero che ci propone questi video: queste canzoni del tempo di Weimar che mandavano in visibilio Ripellino che a quel tempo era stato sempre così legato da farmi ascoltare a casa sua questi pezzi musicali… e a quel tempo gran parte della intellettualità russa era a Berlino tanto che si diceva “Berlino è russa”, non si fa che “incontrare russi in ogni vicolo”… poeti e artisti russi riempivano ogni sera quei locali, e anche io quei tempi weimariani…

  20. sIgNoRi,
    lo so, forse sono provocatorio ma io penso che
    NON SI Dà ESTETICA SENZA UNA CRITICA DELL’ECONOMIA ESTETICA.
    Forse sbaglio, forse sono all’antica, ma io la penso così…
    https://www.bing.com/videos/search?q=musica+di+bertolt+brecht&&view=detail&mid=6812DBF15F44A23DFF9F6812DBF15F44A23DFF9F&rvsmid=537D1A4B9CEBE17BC14C537D1A4B9CEBE17BC14C&FORM=VDMCNR

    • Così si fa stessa l’attenzione
      e come l’ombra che riappare essa svanisce.

      A piedi uniti che la sostanza più adorna
      Slega quel sacco di iuta.

      E nello stesso ritornello, lo stesso ripostiglio
      questa la dipendenza, intesa come fruscio

      lo stesso frastuono, di case andate,
      fracassate, lo stesso frastuono

      questa volta è K che ci avverte.
      La poesia che nell’angolo nascosto

      riavvia un ripostiglio.
      nell’angolo più bello del mondo. Di sempre.

      Ancora ci sovrasta il bene eterno
      di una discarica.

      29102017

  21. antonio sagredo

    Navigazione costiera

    Credetemi
    fu la visione di occhi cantori
    e raffiche di suoni, e di boschi, e mari,
    e rive agonizzanti, e dissonanze di luci…

    Storditi da rifrazioni di mattini insidiosi
    ascoltavo sulle pietre salate
    i lamenti dei remi, e i tramonti in fuga,
    e dalle città-necropoli i polmoni slacciati
    a perdifiato…

    Gesti di tufo, e parole di gesso crollarono
    come muraglie, i miei passi di cartapesta
    sui crocicchi, e tutto il mio secco rifiuto dei passati!

    Disinvolto viandante stampavo i ricordi
    di zucchero, e maschere di deserti in fiamme,
    e non un verso in dono, ma il Canto degli Occhi!

    a.s.

    Roma, dicembre 1969-gennaio 1970

  22. Una magnifica cantante bionda come sarebbe piaciuta a Bertolt Brecht

  23. Una severissima critica dell’estetica passa per una irrefrenabile ilarità

  24. Una irrefrenabile ilarità passa per una sublime malinconia

  25. Un nuovo linguaggio passa per una irrefrenabile gioiosità. Gettare il vecchio linguaggio professorale nella spazzatura…

  26. Una nuova sensibilità nasce da un nuovo linguaggio…

  27. Niente paura, buttiamo a mare tutta la poesia bene educata degli ultimi 50 anni…

  28. Quando incontri una bionda, non perdere tempo, mettila alle strette…

  29. Una formidabile gioiosità e ironia come nella poesia di Mario Gabriele…

    Hot Head – Gunhild Carling and her big band goes wild at Circus
    Gunhild Carling

  30. mariella antonaci

    credevo che l’aveste già buttata via quella brodaglia “bene educata”… mi devo ricredere… recentemente Milano a un poeta ben educato (ve ne sono parecchi a Milano) ha dedicato una sorta di funerale ufficiale a Palazzo Sormani

  31. in requiem
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-26092
    sono un ago.
    L’ orologio della notte
    dice: atomo del vuoto.
    Lo stesso scorpione
    nel buio allude a qualcos’altro
    che non è ancora .
    Sei tu o sono io l’ucciso?
    Esatta(mente) in silenzio. Piccole diatomee
    sotto un quasar in requiem duro e metallico.
    Vedo il tuo rasoio riflesso. Lo specchio curvo.
    Sono qui.
    Sono Dio.
    Stai zitto.
    Devo annerire.

    • londadeltempo

      E’ una poesia straordinaria: ma fa tremare…Francesca, sei grande! Altro che poeti milanesi ben educati! Che c’entra la buona educazione con la Poesia?
      Forse a Milano lo sanno, ma a Roma, qui da noi, si crede nella Poesia , si vive di Poesia e…di Poesia si muore. Punto e basta.

      Mariella Colonna

    • Sabino Caronia
      Orfeo

      https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/27/la-nuova-poesia-richiede-un-nuovo-linguaggio-critico-una-direzione-di-ricerca-dialogo-tra-gino-rago-giorgio-linguaglossa-lucio-mayoor-tosi-una-poesia-di-donatella-costantina-giancaspero-con-com/comment-page-1/#comment-26147
      Un dio lo può, ma un uomo, dimmi, come
      potrà seguirlo sulle sette corde,
      potrà seguirlo sulla lira impari?
      Non è ancora la morte questo vallo,
      questa lugubre terra di nessuno,
      ma non è più, no, non è più la vita.
      Qui le strade non vanno in nessun dove,
      qui non è canto, qui non è speranza,
      e non c’è niente all’infuori di me.

      *

      Steven Grieco Rathgeb

      Primavera nella valle dell’Acheronte

      Salgo la strada che si aggrappa al versante franoso,
      ed, ecco, sorge una domanda urgente –
      si tratta di un albero vasto nell’intrico vertiginoso dei suoi rami,
      l’albero che io pensavo sovrastasse ogni cosa,
      genitore sulle cui fronde si posavano a miriadi
      uccelli gorgheggianti;
      e della sua nidiata senza numero, pargoli titanici
      disseminati per tutto il mondo, ciascuno alto fino al cielo,
      ciascuno che ripara un villaggio, una valletta;

      attraverso il ramificarsi delle sue infinite direzioni
      gli uomini videro la strada (il suo dolore e la sua gioia), e
      ne previdero le possibili storture: e come la strada
      sembra andare avanti.

      Salgo più su, e quei giganti sono ancora lì, lungo la via,
      nei boschetti ombrosi dove gli usignuoli cantano la luce
      che si congiunge col silenzio; qui, sotto le bizzarre guglie
      di roccia, dove un pastore nel suo macinino sospinge
      il gregge:
      e allora dove, dove in questo paesaggio, un segno
      che il santo macellaio non ha più sogni, nessuna piuma
      discesa sulla sua parete di icone: adesso quel corpo sordo
      esprime solo ira repressa, e il caos che verrà –
      dove, il segno che le sue miti bestie possano sopravvivere,
      non smembrate, nello spavento della selva…

      Ah, paradosso, coda di rondine! Follia di un crudele demiurgo
      che mai permise al santo e all’agnello di giungere
      già morti
      alla strage del banchetto pasquale.

      Ma loro sono ancora qui, i platani che si librano altissimi
      sopra le piazze nei villaggi: i grandi sovrani – olivo nodoso,
      tiglio e l’enorme quercia dalle chiome maestose;
      subito di qua dai costoni nudi,
      dove la via pericolosa del poeta va avanti incerta,
      inciampando e scivolando sul pietrisco:

      ancora qui, a proteggere queste case disabitate
      dal ricordo primordiale di sismi e caduta di massi;
      qui, a proteggere i cassonetti sventrati,
      i cancelli rotti dell’oblio umano
      da quelle più alte giogaie, più impietose.

      Foglia di primavera, che scendi come una piuma
      sui vecchi seduti, capovolti qua e là,
      assorti in tutta quest’angoscia.*

      trad. dell’autore e di Trinita Buldrini

      * La poesia si riferisce alla valle dell’Acheronte, in Epiro (Grecia). Alla foce del fiume, vicino al paese di Mesopotàmi, non lontano dal Mar Ionio, c’era in antichità il luogo dove si interrogavano i morti (nekromantion), poiché qui si pensava stesse l’ingresso agli inferi. La valle sale poi verso la sorgente, tra le montagne del Pindo. Quelle stesse montagne che nel secolo scorso si sono sempre più spopolate, non solo per la natura sismica del terreno, ma anche per la povertà che da sempre affligge queste zone, per l’avanzare dell’era moderna, per la pura e semplice incuria umana.

  32. mariella antonaci

    Non sono assolutamente d’accordo con quanto è scritto sui versi della Dono: non si fa così la critica letteraria!
    Qui ci vuole metodo critico e non parole senza senso che non spiegano nulla. NULLA!
    Cosa significa “forte”?! (Pierno- Linguaglossa)
    E cosa vuol dire “E’ una poesia straordinaria: ma fa tremare…” (se mai senza il “ma” sarebbe più logica la straordinarietà)..
    Insomma, così per pochissimo, non vada ko signora Dono., non è il caso.

  33. dai Sagredo, non fare il birichino!!!
    Non è che ogni volta devo scrivere un saggio per spiegarti perché una poesia mi piace…

  34. mariella antonaci

    Mi dispiace per Lei, signor Linguaglossa, che m’abbia scambiato per Sagredo Antonio, ché di questi ho grandissima stima.
    Sono Mariella Antonaci e ho insegnato all’università di Genova Storia della critica letteraria.

  35. antonio sagredo

    Caro Giorgio,

    quando scrivi:
    “NON SI Dà ESTETICA SENZA UNA CRITICA DELL’ECONOMIA ESTETICA.”
    non sei affatto provocatorio, ma il contrario, cioè dici o affermi un concetto antico e mai banale, infatti prosegui dicendo ” forse sono all’antica”…. e hai ragione.
    Ma cosa significa esattamente Economia Estetica?
    E’ il raggiungimento con pochissimi mezzi linguistici e sonori di versi “splendidi e arditi” – e una CRITICA è precisamente un rafforzamento di tale metodo, poiché una Critica della Economia Estetica è lo studio di una costruzione in progress, è dunque questa Crtiica l’Estetica stessa! e infine la stessa Poesia che si volge auto-criticamente- Poesia è dunque non più una Estetica fine a se stessa, ma il procedimento di una forma che poi sfocia in Stile.
    Lo diceva Spitzer e lo diceva pure in altro contesto più specificatamente linguistico Roman Jakobson, ma anche, come fra tanti ultimi studiosi, Cesare Cases.
    —————-
    E ricollegandomi alla signora Antonaci Mariella… che forse troppo perentoriamente conclude un giudizio negativo, che è poi sostanzialmente veritiero, e poi non è conclusivo.
    ————————————–
    Quei versi della Dono dunque non alludono né a una estetica, né a un critica economica della Estetica stessa; e non devono trarre in inganno quei versi che sono brevi perché non sanno distendersi, ma soltanto perché sono insensati per la Critica, sia essa estetica che Economica.
    E quanto ai vari sensi che vorrebbero esprimere, sono consunti.
    Eppure la Dono in passato ci ha mostrato cose estremamente più valide.

    grazie

  36. vincenzo petronelli

    Credo che quest’articolo sia in assoluto un dei più incisivi nell’affrontare in maniera esplicita e costruttiva, assertiva, la teoria della NOE da un punto di vista non solo concettuale, ma anche linguistico ed espressivo, con la perentorietà argomentativa tipica di Giorgio e l’autorevolezza dei contributi dei nostri grandi poeti, tanto di coloro attivi nel gruppo della NOE, quanto dei nostri punti di riferimento “numinosi”. Personalmente credo che il ritardo della critica rispetto all’evoluzione storica formale e strutturale delle varie forme d’arte, sia un dato immanente ed insormontabile, dovuto da un lato al condizionamento del peso della crosta superficiale delle appartenenze di “scuole” e correnti che finiscono per creare dei veri e propri potentati (basti pensare a tanta insulsa poesia che vediamo ogni giorno insignita del plauso corrivo di premi o di varie forme di consenso condiviso, laddove si annida il peso delle vari consorterie di potere) soggiogando una critica letteraria indipendente e credibile e dall’altro perché la maggior parte della critica, non riuscendo ad oltrepassare i limiti puramente esecutivi di chi si limita ad applicare in maniera volenterosa e disciplinata gli “strumenti del mestiere”, necessita la canonizzazione delle varie forme espressive per poterle apprezzare; è prerogativa solo di critici di particolare acume, con doti di “rabdomante” della poesia, saper valorizzare istantaneamente l’apparizione di voci poetiche innovatrici o pionieristiche.Così inevitabilmente la critica si rende corresponsabile, se non artefice unica dell’emarginazione di poesia di grande spessore; paradigmatica in questo senso è stata la vicenda storica del “nostro” Alfredo De Palchi. E’ stato davvero un piacere incommensurabile leggere, in unico contesto (oltre ai richiami dalle poesie di Espmark, Herbert e di Brecht) gli interventi dell’intera schiera delle voci della NOE: posso dire che sia stata davvero una carrellata emozionante, oltre che arricchente per i miei nuovi “cimenti poetici” leggere in successione i contributi di Giorgio, Antonio Sagredo, Gino Rago, Francesca Dono, Lucio Tosi, Steven Grieco Rathgeb, Sabino Caronia,Mauro Pierno, sperando di non aver dimenticato nessuno.Non è una dimenticanza invece il fatto di non aver inserito il nome di Mariella Colonna in quanto, avendo un po’ meno occasione di commentare le sue poesie, mi fa molto piacere evidenziare il mio apprezzamento per i suoi versi capaci (come credo di aver già evidenziato in un’altra circostanza) di coniugare poesia “alta” con un’immediatezza “popolare” (termine che mi è molto caro provenendo da studi antropologici ed in tal senso va inteso) in un’operazione quasi antropologica che personalmente rende affascinante la sua poesia, dotata di una freschezza in alcune pagine (come nelle poesie qui apparse) che mi ricorda l’approccio dei grandi cantautori.

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