Yang Lian   POESIE SCELTE traduzioni di Claudia Pozzana e Alessandro Russo con un Commento di Giorgio Linguaglossa

[nella lingua dei corvi ogni mattino muore un’altra volta]

Yang Lian è nato in Svizzera nel 1955, ma è cresciuto a Pechino dove ha fondato la scuola di poesia contemporanea cinese ‘Misty’.
La poesia di Lian è caratterizzata da lunghi poemi che evidenziano un profondo legame con la poesia classica cinese.
Yang Lian è un poeta in esilio (vive a Londra dal 1997). Otto anni dopo il massacro di piazza Tienanmen ha lasciato il suo paese d’origine.

Ha pubblicato dieci raccolte di poesie, due raccolte di prosa e una raccolta di saggi in cinese. Yang Lian è stato insignito del Premio Internazionale di Poesia Flaiano (Italia, 1999) e il suo “Dove si ferma il mare: nuove poesie” è stato Poetry Books Society Recommended Translation (UK, 1999).

Tra le sue opere più famose tradotte in inglese: Dove si ferma il mare, (Bloodaxe Books, UK, 1999); Yi, (Green Integer, USA, 2002); Concentric Circles, (Bloodaxe Books, UK, 2005) e Riding Pisces: Poems From Five Collections (Shearsman Books, UK, 2008);  Lee Valley Poems – Un progetto di poesie e traduzioni (Bloodaxe Books, UK, 2009). Yang Lian e il poeta scozzese W.N. Herbert sono co-editori di una nuovissima Antologia della Poesia Contemporanea Cinese (1978 – 2008) in inglese,  pubblicata da Bloodaxe Books nel 2011. In Italia è uscito Dove si ferma il mare (Scheiwiller, Milano 2004); alcune sue poesie si trovano in Nuovi poeti cinesi, Einaudi, 2012.

[la luce cavalca la più fragile delle pietre infiltrata sotto terra]

Yang Lian è uno dei poeti più straordinari che abbia letto. Ha una sensibilità occidentale, modernista, unita a una cinese, antica, quasi sciamanica. É capace di entusiasmarti e terrorizzarti: è una specie di ibrido tra MacDiarmid e Rilke che impugna una spada da Samurai!
– W.N. Herbert, Scotsman

Il suo lavoro è un ponte tra la tradizione cinese e il modernismo occidentale. La portata della sua immaginazione è sorprendente.  Yang Lian è uno dei più grandi poeti della nostra epoca.
– Klaus Rifberg, Edinburgh Review

Non mi sorprenderebbe se un giorno vincesse il Nobel. Il suo è uno stile di straordinaria grandezza e ambizione.
– David Morley, Stand

*

«Ancorato alle millenarie radici della sua cultura, la reinterpreta reinventandola, aprendola alle tensioni della contemporaneità, toccando nei suoi versi tutti i grandi interrogativi del nostro esistere e ricordandoci che la poesia è la nostra unica lingua madre. Vive e poeta da esiliato non solo dalla sua terra, spingendo al confine estremo il suo vedere. Un esule assoluto e distante cantore, profondo al di là del nostro spazio-tempo».

Così la giuria del Premio Internazionale Nonino 2012 ha raccontato Yang Lian, poeta cinese esiliato dopo il massacro di Tienanmen, annunciandone la vittoria.
Insieme a Yang Lian, la giuria – presieduta da V.S. Naipaul, premio Nobel per la letteratura 2001, e composta da Adonis, John Banville, Ulderico Bernardi, Peter Brook, Luca Cendali, Antonio R. Damasio, Emmanuel Le Roy Ladurie, James Lovelock, Claudio Magris, Norman Manea, Morando Morandini, Edgar Morin ed Ermanno Olmi – ha premiato Hans Küng e Michael Burleigh.

Il Premio Nonino si conferma come una delle manifestazioni culturali più importanti nel nostro paese, capace di individuare nel panorama internazionale figure di rispettabile spessore artistico e intellettuale (nel 2004, ad esempio, un altro poeta – allora quasi inedito in Italia – si era aggiudicato il premio: il Nobel 2011 a Tomas Tranströmer).

Giorgio Linguaglossa Franco Di Carlo 5 ot 2017

da dx, Giorgio Linguaglossa e Franco Di Carlo, Roma, ottobre 2017

Commento di Giorgio Linguaglossa

Possiamo dire che con quell’epoca che va da L’opera aperta di Umberto Eco (1962) a Versetti satanici di Salman Rushdie (1988) si è concluso il Post-moderno e siamo entrati in una nuova dimensione. Nel romanzo di Rushdie il fittizio, il fantastico, il mitico, il reale diventano un tutt’uno, diventano lo spazio della narrazione dove non ci sono separazioni ma fluidità. Il nuovo romanzo prende tutto da tutto. Oserei dire che con la poesia di Tomas Tranströmer finisce l’epoca di una poesia lineare (lessematica e fonetica) ed  inizia una poesia topologica che integra il fattore Tempo (da intendere nel senso delle moderne teorie matematiche topologiche secondo le quali il quadrato e il cerchio sono perfettamente compatibili e scambiabili) ed il fattore Spazio. Chi non si è accorto di questo fatto, continuerà a scrivere romanzi tradizionali (del tutto rispettabili) o poesie tradizionali (basate ancora su un concetto di reale e di finzione separati), ovviamente anch’esse rispettabili; ma si tratta di opere di letteratura che non hanno l’acuta percezione, la consapevolezza che siamo entrati in un nuovo “dominio” (per dirla con un termine nuovo).
Nei nuovi romanzi e nelle nuove poesie, finzione e realtà non costituiscono più un’opposizione ontologica, il reale stesso si mostra come il fittizio o fantastico potenziale, il presunto originale si presenta come un mero poscritto ad un testo passato, una sorta di palinsesto nel quale appaiono le tracce di ciò che il Novecento aveva già pensato e ci aveva consegnato. La poesia di Eliot e Brecht rappresenta i due corni della distanza che separa due tipi di poesia rendendoli  inconciliabili. Ancora una volta il grande precursore di questo modo di intendere la letteratura è stato Borges con Finzioni (1941) e con Pierre Menard autore del Chisciotte (scritto già nel 1939); l’ambizione di Menard sarebbe stata quella di riscrivere il Chisciotte adeguato al proprio tempo. Ebbene, l’opera di Borges ci pone il problema seguente: che non è possibile scrivere un’opera di letteratura se non consideriamo il fattore Tempo che interviene a modificarla dall’interno. Ecco il punto: nel mondo tecnologico odierno è il fattore Tempo ad essere sovversivo. A mio modesto parere, della nostra epoca presente sopravvivranno soltanto le opere che si approprieranno del fattore Tempo, ovvero, che hanno riflettuto sulla funzione deformante del tempo e sulla funzione spaesante dello spazio all’interno della scrittura lineare progressiva, quella che va dall’inizio alla fine seguendo una segmento direzionale unilineare.

Nella scrittura di Yang Lian si avverte la digressione dei fattori «tempo» e «spazio». Il verso assume un conglomerato, come dire, di antico e di moderno; nella sua poesia le immagini sanno di antico e di moderno, sono spezzate e riannodate; si percepisce l’eredità della migliore cultura poetica europea con qualcosa che a noi europei appare come «esotico» (vedi l’abbondare di corvi, di coccodrilli, e la presenza di immagini cinesi: «pozzo di giada», «denti di squalo», etc.). Una miscela di elementi che conferiscono a questa poesia uno spessore immaginifico particolarmente ricco e originale.

Yang Lian utilizza la metafora come chiave privilegiata di accesso alla verità. Detto così sembra una boutade, ma forse per un poeta di origine cinese come lui ciò è normale, la forza di questa poesia è nella sua sapiente capacità di creare illusione e illusorietà; qui si parla di «coccodrilli» che hanno «palpebre come foderi di coltelli», di una «casa come ombra», «su uno strato di aghi di pino oscilla la luna», «l’ombra del pino è immersa nell’acqua». Metafore, catacresi, voli pindarici, epifanie ultronee. Ecco, questo è il terreno di coltura della «poesia nuova» di Yang Lian, una poesia molto diversa da quella in auge in Italia. Il poeta di origine cinese ci rivela una «nuova Patria» delle parole, una nuova «atmosfera».

Momenti di forza della poesia di Yang Lian sono: la catena sinonimica e la metafora, che, letteralmente significa “portare fuori”, fuori dal linguaggio… non c’è un significato univoco al quale la metafora corrisponde ma molti significati che si intrecciano, questo è il bello della poesia di alto valore. E nessun significato può esaurire il significabile, perché il significabile è molto di più di ogni singolo significato.

yang-liang

Il coccodrillo ti morde con lo sguardo/ palpebre come foderi di coltelli/ nascondono denti insonni

Poesie di Yang Lian

Il coccodrillo ti morde con lo sguardo
palpebre come foderi di coltelli
nascondono denti insonni

sentieri nella carne
premono verso lo stagno
vieni divorato dalla tua stessa occhiata

(da Maschere e Coccodrilli)

Casa come ombra

quella è la tua casa casa come ombra
edificio che sul prato allarga il crepuscolo
i canti degli uccelli vengono abbattuti dal cielo
le lingue delicate delle foglie
discutono di nuovo della stanca tempesta
anche l’ombra è stanca ciechi messi in fila
senza saperlo cadono nel precipizio

quella è la tua casa casa senza te
tu sei dovuto come il debito di un incubo
un topo balza sul pavimento si ammala e scivola
topo come ombra
il volto sempre più scuro
bocca color di rosa apre a morsi la porta dell’elegia
quando il giorno muore tu vai ad abitare in una candela marcia

afona come quattro pareti che simulano la vita
la luce cavalca la più fragile delle pietre infiltrata sotto terra

si infiltra dentro te l’ombra come un padrone
entusiasta apre il balcone della notte ammira quel paesaggio
un altro gatto selvatico va a caccia della sua stessa paura
un’altra testa viene conclusa da chiodi conficcati nelle stelle
bianco argenteo come erbacce
le tenebre paralizzate che si ergono dritte
cancellano il tu di un anno che un giorno invecchierà
come la spaventosa luce lunare cancella questa terra vuota

Vicinato III

venir dimenticati è una fortuna dice lei
che quanti non conoscono la stanchezza imparino a ricordare!

ogni donna comincia toccandosi il corpo
dice lei ogni sapienza tenebrosa corrisponde a corruzione

il sangue accende l’ultima candela
e il cielo viola della notte comincia a tessere ferite

un verme scava un tunnel per nascondere la minuscola morte
morte che sverna intrappolata

la morta come un autore senza lettori
cammina al piano di sotto incinta di un bimbo segreto

angeli pipistrelli dalle mammelle raggrinzite raccolgono le ali
appesi a testa in giù sotto la nivea pelle

dice lei la mano assassina è stanca di venire prestata
la stanchezza è il solo letto che ci sia

i serpenti d’acqua del laghetto appaiono e scompaiono
lei in piedi sulla riva è luce lunare che non riguarda lei stessa

quando l’eclisse lunare tocca la carne trasuda palude nera
così una donna diventa un’altra*

(traduzione di Claudia Pozzana testi tratti da “Anterem”, 94 2017)

Foto volto tripolare

Sopra il mare asfaltato un uccello bianco come un fantasma

 

11/07/2012 – Dove si ferma il mare – e altre poesie (Yang Lian)

Sopra il mare asfaltato un uccello bianco come un fantasma
annusa la riva qual faro si ferma proprio
a sinistra dove incontrammo una morte accidentale
sul mare asfaltato c’è ancora un aratro spezzato
cent’anni col precipizio di una lapide
ridipingono i nostri nomi
sul bordo del tavolo di roccia rossa siamo visti a pranzo
acqua di mare il falò di aghi di pino verde smeraldo riscalda lo scheletro
mostra tutti i denti corrosi dalla ruggine danza
la punta aguzza del tempietto viene mescolata a questa notte di ogni agosto
pioggia tempestosa lettura obbligatoria nella lezione della morte
nei cimiteri cinesi i pini respirano così come crescono
ma il vento cambia tranquillo la direzione della giornata
l’aratro va avanti e indietro fino alla fine del campo
verde fertile libro di agosto
la vita semina i semi dei morti
la notte tutte le stelle viaggiano in un pozzo di giada
per tutta l’estate leggi una biografia
l’ombra del pino è immersa nell’acqua
una sedia piena d’acqua è incisa in un bassorilievo
il mare lontano va in collera da solo
canti di uccelli inondano il cielo quasi non cantassero
leggi come se non avessi letto niente
c’è solo l’arte che scuote un pomeriggio e lo rende nero

La tomba dei saggi

Non possono far altro che discutere di capre

lentamente sorseggiano un the – si addensa il crepuscolo
persino su uno strato di aghi di pino oscilla la luna
l’albero che profuma di pino solido si sostiene
l’ombra dei monti circostanti – diffonde il cinguettio del giorno
una panca di pietra verde rinchiude il viaggiatore
nell’ascolto attento – a loro viene tolto l’accento
una tazza di porcellana raddensa la lontananza come giada
quando leggera si appoggia è ancora tiepida e trasparente

(Traduzione di Claudia Pozzana)

Confessione

Alle rovine dello Yuanmingyuan (1)
nascita
possa questa pietra taciturna
testimoniare la mia nascita
possa questo canto
risuonare
nella nebbia fluttuante
in cerca dei miei occhi
dove si infrange la luce grigia
archi e colonne proiettano ombre
e ricordi più oscuri della terra bruciata
immobili come nell’estrema agonia
braccia tese convulsamente al cielo
come ultime volontà
consegnate al tempo
ultime volontà
divenute la maledizione della mia nascita
sono venuto tra queste rovine
in cerca di quella debole stella intempestiva
sola speranza che mi ha illuminato
destino – nuvole cieche
segnano impietosamente la mia anima
non per piangere la morte! Non è la morte
che mi ha attratto verso questo mondo desolato
io resisto a tutta
la desolazione e la vergogna
le fasce del neonato
sono un sole incompatibile con la tomba
nella mia precoce solitudine
chi sa
a quale spiaggia porta questa strada
fosforescente che cantando va verso la notte
un orizzonte segreto
ondeggiando porta a galla sogni remoti
quasi infinitamente remoti
invece della meridiana spezzata sepolta nel fango
c’è solo il vento che alzando una canzone
indica la mia aurora 1]

(trad. di A. Russo)

1. (residenza imperiale a Pechino distrutta dagli eserciti europei nel 1860, divenuta simbolo della crisi nazionale cinese)

1] da http://www.soffoco.org

Foto in Subway

i giorni strappano via le maschere dei giorni che altro resta?

Preistoria

i giorni strappano via le maschere dei giorni che altro resta?
la balia che ti batte sulla spalla
è come sempre il cielo pieno di desiderio omicida
la finestra più antica dei denti di squalo
quando viene perduta guarda al mare
una lingua blu lecca risoluta la guida di viaggio
tanto eccitata che la carne sulla spiaggia è tutta nuda
nell’ardore la morte sta accelerando
una brezza può scuotere questo mondo
il vento dell’ultimo giorno chi è l’ultimo bambino rimasto?
ogni volto nasconde roccia dietro al volto
proprio nella preistoria ricorrono carestie nutrite da due mani
la polvere del mare vola
in piedi sulle gambe dei ragni
un albero splendente è carico di esche di fiori
seduce chi da millenni è sedotto
tu

(da Dove si ferma il mare, 2016, traduzione Claudia Pozzana)

Già letto

nei cimiteri cinesi i pini respirano così come crescono
ma il vento cambia tranquillo la direzione della giornata
l’aratro va avanti e indietro fino alla fine del campo
verde fertile libro di agosto
la vita semina i semi dei morti
la notte tutte le stelle viaggiano in un pozzo di giada
per tutta l’estate leggi una biografia
l’ombra del pino è immersa nell’acqua
una sedia piena d’acqua è incisa in un bassorilievo
il mare lontano va in collera da solo
canti di uccelli inondano il cielo quasi non cantassero
leggi come se non avessi letto niente
c’è solo l’arte che scuote un pomeriggio e lo rende nero.

Raccolto

Questi tetti spinosi dopo la trebbiatura
risplendono sull’aia estiva
questi cieli che si sono esposti al sole d’improvviso anneriscono
il mare si restringe argentee tegole abbaglianti
due alberi si precipitano in direzioni opposte
due carestie seminate con il grano di un uomo
la morte dell’anno prossimo è già obsoleta
il sole s’è spezzato il collo
i tuoi occhi spianano e smascherano la città folle.

La proposizione del corvo

nella lingua dei corvi ogni mattino muore un’altra volta
con le tenebre i corvi esibiscono luce
tombe verdi di nuovo calpestate
la foresta mostra il suo profilo
la carne dei morti ingrassa nei pini
ma orecchie sottili e trasparenti di notte stanno appese su tutti i rami
il silenzio dopo la morte vi risveglia di soprassalto
solo da morti ascoltate in una testa ripugnante
come il pensiero fa il raccolto della tempesta
testa che puntuale spia nelle stanze da letto scoppiando a ridere
arrogante quanto un carceriere calvo
corvo ben avvolto nell’uniforme presa in prestito dalla notte
ancora più nudo
doratura sugli scritti dell’estate
le tenere manine che lente camminano sull’erba si strappano le unghie una ad una
i vostri libri di testo sono stampati in sogno
vanno a scuola nel sonno piumati dalla testa ai piedi
nuotano ascoltano l’acqua del fiume
scavare nel corpo una grotta più bianca della luce
di nuovo da ciò che non si riesce a sentire alte grida spaventose.

 

11 commenti

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11 risposte a “Yang Lian   POESIE SCELTE traduzioni di Claudia Pozzana e Alessandro Russo con un Commento di Giorgio Linguaglossa

  1. https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/23/yang-lian-poesie-scelte-traduzioni-di-claudia-pozzana-e-alessandro-russo/comment-page-1/#comment-25672
    Di tutte le civiltà che sono comparse sulla terra, quella cinese mi attrae più di tutte le altre.Di fronte all’esercito di Xian,mi sono sentita male,incapace di reggere alla presenza di tante anime.Anime remote, irraggiungibili,testimoni di una antica grandezza,intrisa di bellezza e di dolore.Lo splendore mediterraneo si abbruna davanti a una forza degli spiriti tanto possente.Viviamo in una società frettolosa,distratta,
    tesa verso una meta che nemmeno si conosce.Yang Lian registra questa follia e sembra pessimista circa una possibile salvezza:che,invece,ancora ci può essere,se ci appoggiamo umilmente alle regole della ragione.

  2. carlo livia

    “la morta come un autore senza lettori
    cammina al piano di sotto incinta di un bimbo segreto”
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/23/yang-lian-poesie-scelte-traduzioni-di-claudia-pozzana-e-alessandro-russo/comment-page-1/#comment-25679
    L’invenzione di inesplicabili, segrete infrazioni e riconnessioni fra signficanti e percorsi si senso, apre inesplorati universi psico-estetici, gravidi di nuove rivelazioni e teofanie, semi-illuminate dalla “Lichtung” , intreccio di pensiero e musica, che tenta di tradurre in simboli verbali l’inesperibile l’alterità dell’ Essere.
    Straordinario gesto poetico, come un colpo d’ascia capace di “spezzare la crosta di gelo che imprigiona l’anima” ( Kafka ), liberandola dalle grate concettuali che velano la vera luce.

    “sono venuto tra queste rovine
    in cerca di quella debole stella intempestiva
    sola speranza che mi ha illuminato”

  3. https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/10/23/yang-lian-poesie-scelte-traduzioni-di-claudia-pozzana-e-alessandro-russo/comment-page-1/#comment-25681
    Il poeta cinese europeo Yang Lian è la perfetta esemplificazione che un grande poeta oggi in Europa non può che venire dalla «periferia» (per usare una dizione di Iosef Brodskij). Come nel tardo impero romano, quando il «Centro» smise di pulsare, ecco che la «periferia» venne in aiuto del «centro» dandogli i suoi uomini migliori.
    Penso che qualcosa di analogo avvenga oggi alla poesia italiana, è la «periferia» che alleva i migliori poeti oggi, anzi, gli unici poeti di qualche valore estetico. Sono i poeti che nessuno si aspetterebbe e che nessuno sospetterebbe.

    Probabilmente oggi che alla poesia non è richiesto più nulla, forse proprio oggi alla poesia è posta la Interrogazione Fondamentale. Finalmente, la poesia è libera, libera di non dire nulla o di dire ciò che è essenziale e inevitabile. Questo è molto semplice, è un pensiero intuitivo che tutti possono far proprio. Nel momento della sua chiusura clausura, la poesia si trova sorprendentemente libera, libera di porsi la Domanda Fondamentale, quella Domanda che per lunghi decenni nel corso del Novecento non si aveva l’urgenza e la necessità di porsi. La poesia, dunque, si trova davanti alla inevitabilità di dire ciò che è. E questa io credo che sia la più grande possibilità che il mondo moderno concede alla Poesia.

    Esprimere nel modo più determinato e concreto l’inconscio che sta alle spalle del Pensiero pensato e non pensato dell’Occidente, il sottosuolo del sottosuolo che giace ancora più a fondo del sottosuolo costituito dal pensiero ordinario in cui ormai tutto viene pensato e vissuto dalla civiltà dell’Occidente. Una poesia che si ponga l’ambizioso obiettivo di pensare l’impensato, le cose del sottosuolo more geometrico di un precedente more geometrico sotterraneo. Pensare la costruzione stilistica disabitata come la più consona ad essere abitata. Trarre dunque la forza dalla propria debolezza.

  4. antonio sagredo

    Ho conosciuto personalmente Claudia Pozzana, non ricordo se a Praga o a Roma nei primissimi anni ’70. Poi ho avuto con Lei una corrispondenza per cui la misi in contatto con il filosofo-poeta polacco Andrzej Nowicki: questi conosceva la lingua cinese (ha tradotto credo poeti cinesi; e ha scritto un singolare saggio raffrontando la filosofia di Giordano Bruno con quella cinese).
    Sono dunque contento che Claudia Pozzana sia giunta a questo blog, dando ancora più lustro alla rivista con la sua perizia traduttiva; identico lustro posso dire del poeta Yang Lian. La metafora di Lian mi coinvolge e mi trova in sintonia, tanto che azzardo che nel suo verso vi sono aspetti baroccheggianti: un verso cinese barocco, dunque?

  5. Sono tutte poesie scritte al cospetto della morte. Come per volerla abitare. Quella di dover morire è forse è ancora l’ultima consapevolezza rimasta inalterabile nei millenni; fino ad oggi, perché noi sapevamo solo di Orfeo ed Euridice, invece dalle parti di Yang Lian si sa, e l’hanno scritto, che la morte occupa uno spazio temporale ben più ampio del semplice decesso (La storia di Orfeo ed Euridice si occupa d’altro, delle relazioni impossibili tra individui di diverso universo. – Fine delle mie scemenze?
    E’ mia impressione che Yang Lian segua un procedimento simile a quello adottato da Andy Warhol: individuare gli archetipi del giorno d’oggi, entrarci e valutarli. I nostri cosiddetti Miti. Credo che Warhol fallì nell’analisi di almeno due di questi: il denaro, anche se rimediò parlandone nei suoi scritti, e la morte, che ridusse a cronaca (Un incidente stradale, il cadavere coperto da un telo. Una foto di giornale). Ma per venire a Yang Lian: per aver letto Il libro tibetano dei Morti posso capire la sua scelta, quella di stare al cospetto della morte: oggi nessuno ti resterebbe al fianco per i 40 giorni che servirebbero alla tua dipartita. Ti dovrai arrangiare da solo. Meglio prepararsi per tempo. Con Yang Lian ci troviamo nel luogo dove tutta la vita va a finire: la morte. A volte penso che l’estrema semplificazione, di vita e morte, effettuata in estremo oriente, potrebbe mettere all’angolo tutta la nostra filosofia.
    La semplificazione filosofica rende Inevitabile la ripetizione del luogo, la fissità dello sguardo. Il disfacimento. Siamo in profondità, anche se costretti dentro la cella di un sommergibile. Nella morte vedere la vita. Pensiero affascinante. Ma ripetitivo.

  6. gino rago

    Taormina, mia mignon

    Taormina, mia Mignon, è dove mai
    sempre s’arriva, pellegrini
    dal cuore di rughe,
    in tempo per vivere
    « obliti/obliviscendi » [2]
    una seconda volta la vita.

    La quaglia d’Africa

    Per me è morta, ormai volata via
    dalle mie mani nel cielo d’infanzia
    la quaglia d’Africa: più non si imita
    col verso d’oro che implora la vita.

    Stefano D’Arrigo

    Acqua d’inverno splende sui limoni

    Acqua di inverno splende sui limoni
    nell’ isola lontana, dove il canto
    delle allodole grigie alte nei cieli
    ascoltano le donne dietro il colle.
    Sicilia, ora tu dormi coi tuoi fiumi,
    e dai campi di stoppie ecco la pioggia
    come fili d’ avena le sue gocce
    imbiancano la valle del silenzio.

    ( Un’ isola non più assolata, accecante, ma mesta, su cui è pronto a scendere «il tramonto delle nubi nere»).

    Angelo Maria Ripellino

    Gino Rago

  7. gino rago

    I versi di AMP andrebbero letti, ( più volte lo hanno suggerito Antonio Sagredo e Giorgio Linguaglossa non soltanto attraverso i loro interventi apparsi su L’Ombra delle Parole ma anche in altre sedi e in altre occasioni), in quello spirito di cui ha scritto del resto lo stesso Ripellino, a mo’ di autocommento: «Come in giovinezza, ancor oggi scriver poesie è per me soprattutto dare spettacolo, ogni lirica è un esercizio di giocolerìa e di icarismo sul filo della spasimo, un tentativo di tenere a bada la morte con tranelli verbali, bisticci e negozi di immagini».

    Mentre i versi di Stefano d’Arrigo del ‘Codice siciliano’ andrebbero pronunciati e letti come archetipo e insieme incunabolo di “Horcynus Orca”.

    Diverso invece è il discorso della Sicilia in Bartolo Cattafi…

    Gino Rago

  8. gino rago

    Frammenti di Sicilia in Bartolo Cattafi

    ARANCIA
    Da una salvietta annodata
    una scema d’arancia
    tonda come la luna
    occhieggia e ride
    tra il pane secco e la sarda salata.
    Bartolo Cattafi

    Cancro

    Il sei luglio alle cinque del mattino
    il tram a vapore partito per Messina
    emise dall’imbuto fumo
    faville e un lungo fischio,
    appena nato girai la testa
    verso quel primo saluto della vita.
    Appartengo a una razza
    bisognosa d’auguri
    mi dolgo di non potere
    stringermi la destra con la destra
    baciarmi le guance
    quando una volta l’anno
    mi scorre accanto zampettando all’alba
    l’acquatico figlio della luna
    che porta la mia sorte sigillata
    nel pentagono della sua corazza.
    Bartolo Cattafi

    (Per Bartolo Cattafi, nato a Barcellona Pozzo di Gotto il 6 luglio 1922,

    la Sicilia fu “l’America per i Greci”).

    Gino Rago

  9. gino rago

    ‘Codice siciliano’, tanto apprezzato anche da Giacomo Debenedetti, per la critica più attenta alla ricerca poetica di Stefano d’Arrigo andrebbe letto come un archetipo e insieme incunabolo di Horcynus Orca non solo per l’affiorare dei temi centrali dell’opera darrighiana ( il nostos omerico, la trasfigurazione epica della pesca, la presenza della morte, i miti dei delfini e delle sirene), ma anche e soprattutto per i primi segni di quell’immenso lavoro sul linguaggio che troverà nell’opera maggiore di d’Arrigo, ‘Horcynus Orca’, la sua realizzazione più compiuta. E i versi di Ripellino, di d’Arrigo e di Cattafi
    sopra ricordati non sono poi tanto estranei a quelli di Yang Lian anche se questo poeta per forza di cose attinga linfa e umore in altra mitologia dove”i” ” i serpenti d’acqua del laghetto appaiono e scompaiono
    lei in piedi sulla riva è luce lunare…”

    Gino Rago

  10. Sono sempre lieta quando qualcuno ricorda l'”Orca” di D’Arrigo. Quando uscì, io ne fui stregata;la imposi ai miei alunni maturandi: i quali, all’inizio, mi volevano linciare; ma, a poco a poco, si convinsero; L'”Orca”divenne una specie di bibbia; gli unici che accusarono qualche imbarazzo furono i commissari d’esame, che si trovarono davanti a un monumento tanto impegnativo.Poi, anche loro si arresero: dalla serie:”Quant’ è bello! Non ci ho capito niente.”

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