Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

 

foto selfie 1

Cara signora Schubert, mi chiedo dove andremo ad abitare Dopo. Dopo

Ewa Lipska, poetessa e pubblicista, è nata a Cracovia il 10 ottobre 1945. Nella stessa città si è diplomata presso l’Accademia di Belle Arti. Dal 1970 al 1980 responsabile del settore poesia della casa editrice Wydawnictwo Literackie. Dal 1995 al 1997 direttrice dell’Istituto Polacco di Vienna. Cofondatrice e redattrice di diverse riviste letterarie, tra cui il mensile “Pismo”. Vicepresidente del PEN Club polacco. Ha ricevuto diversi importanti premi per la sua creazione letteraria. Le sue poesie sono state tradotte in molte lingue. Autrice di numerose raccolte poetiche, tra le ultime: Ja (Io, 2004), Pogłos (Rimbombo, 2010), per la quale ha ricevuto il premio “Gdynia”, e Droga pani Schubert… (Cara signora Schubert…, 2012).

Per il suo anno di nascita e per quello del debutto, avvenuto nel 1967 con il volume Wiersze (Poesie), Ewa Lipska appartiene al gruppo di poeti della “Nowa Fala”, in polacco “nuova ondata” o “nouvelle vague”, o detta anche “generazione ‘68”, vale a dire gli autori nati intorno alla metà degli anni ’40, come: Stanisław Barańczak, Adam Zagajewski, Ryszard Krynicki, Julian Kornhauser e Krzysztof Karasek (nato nel 1937). La poetessa tuttavia rifiuta ogni appartenenza a qualsivoglia gruppo  e da anni manifesta coerentemente la propria individualità creativa, sempre peculiare, come peculiari ed espressivi sono la sua dizione poetica, le metafore, la densità di significato, il paradosso. Qualcuno a tale proposito ha detto che la creazione di Ewa Lipska è nella poesia polacca contemporanea, quello che l’ablativo assoluto è nella sintassi latina, cioè un sintagma a sé stante. La sua poesia si concentra sui sentimenti della sofferenza e della paura, sulla fragilità dell’esistenza condannata a morire. Piotr Matywiecki, poeta, critico letterario e saggista scrive:

«La poesia di Ewa Lipska si distingue per la sua immaginazione insolitamente vivace. Con sorprendente disinvoltura nel suo mondo si può paragonare una classe scolastica alla storia dell’umanità, il traffico stradale al moto della mente, una malattia a un avvenimento pubblico. (Questo è anche il “metodo” poetico della Szymborska). Si avrebbe voglia di dire la Lipska è una poetessa sociale nel senso che non c’è per lei niente di intimo che non sia al tempo stesso quotidiano, formulabile sociologicamente».

(Paolo Statuti)

foto volto Malika Favre

grafica Malika Favre [Il nostro amore l’ho lasciato al Passato
che, come sempre, rimettiamo al Futuro.
L’ho sottratto al sonno. Sono spuntate le rondini]

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

 

 Il titolo originale del libro è Cara signora Schubert, chissà perché poi cambiato, dall’editore italiano,  con quell’orribile e banale L’occhio incrinato del tempo. Forse all’editore sembrava troppo «semplice» quel titolo. Anche qui, come vedete, è in azione il filtro del conformismo e della omologazione verso il basso, addirittura i titoli dei libri vengono cambiati in stile «ultroneo». La forma prescelta da Ewa Lipska è la più semplice in assoluto, una serie di lettere indirizzate ad una signora dal nome corrivo e convenzionale: Schubert. E che si dice in queste lettere? Niente di trascendentale, si parla di un reale poroso, corrivo, sciatto, convenzionale, in uno «stile [che] non vale niente», scritte di «pugno degli Dei», ovvero, degli uomini del nostro tempo corrivo e banale. E la poesia? La poesia di Ewa Lipska non può che sortire fuori dalla metratura di questo «mondo». Chiede la poetessa: «dove andremo ad abitare Dopo»?. Domanda corriva che richiede, ovviamente, una poesia corriva.

Ecco, mi piace questa poesia fatta di stracci, di corrivo, di rottami linguistici, scritta in uno stile minimalista, terra terra, volgare come è volgare il nostro «mondo», dove ci sono tante cose: «Una cena con Nerone / all’Hotel Hassler di Roma»; ci sono pezzi di cronaca: «l’Unione Europea? Il XXI secolo»;  ci sono incisi mozzafiato: «Tutto ciò che ci ha amato, cara / signora Schubert, non ha più via d’uscita»;  «cara signora Schubert le porgo i miei saluti dal Labirinto»; dove «Greta Garbo è sempre più simile a Socrate». E, infine, l’ironico augurio: «siccome credo nella vita d’oltretomba, ci incontreremo senz’altro nel Grande Collisore di Adroni».

 Qual è la differenza tra la poesia di Ewa Lipska e quella che si confeziona in Italia oggi? (in particolare mi riferisco alla antologia di poesia femminile pubblicata da Einaudi a cura di Giovanna Rosadini nel 2014). La poesia maggioritaria che si fa oggi in Italia consta di commenti, una fenomenologia para giornalistica che va verso la narrazione indiscriminata delle questioni dell’io e delle sue adiacenze, una fenomenologia del banale, priva di direzionalità laterali e trasversali, priva di verticalità, di diagonalità, di salti posizionali, temporali e spaziali. Direi che questa è un modo di scrittura che privilegia la banalità. È la negazione dello stile, con l’io posticcio e artefatto governatore del piccolo mondo dell’io e delle sue adiacenze. Ewa Lipska invece va dritta dentro i problemi di oggi, la poetessa polacca lascia cadere le domande, una dopo l’altra, come una collana di perle nere, con apparente negligenza: «Cara signora Schubert, che fare dell’eccesso di memoria?»; «Come si entra nella storia, cara signora Schubert?». Ma si tratta di domande fondamentali, quelle di cui dovrebbe occuparsi la poesia di serie “A”.

foto Malika Favre ritratto

grafica Malika Favre [il nostro mondo è come una lettera scritta di proprio pugno dagli Dei, ma lo stile non vale niente…]

Uno spettro si aggira per l’Europa: una fame di riconoscibilità,

una sete di omologismo. Il problema cui si trova davanti la poesia di oggi è quello di una forma-poesia riconoscibile. Gli scrittori e soprattutto i «poeti» mirano a creare qualcosa di immediatamente riconoscibile e identificabile. Il problema di una forma-poesia riconoscibile, è sempre quello: se l’«io» sta in un luogo, immobile, anche l’«oggetto» sta in un altro luogo, immobile anch’esso.

Il discorso poetico diventa un confronto tra il qui e il là, tra l’io e il suo oggetto, tra l’io e il suo doppio, e il discorso lirico assume un andamento lineare. Ma, se poniamo che l’oggetto si sposta, l’io vedrà un altro oggetto che non è più l’oggetto di un attimo prima; di più, se anche l’io si sposta di un metro, vedrà un oggetto ancora differente, anche posto che l’oggetto se ne fosse stato fermo nel suo luogo tranquillamente per un bel quarto d’ora. E così, il discorso lirico (o post-lirico) si può sviluppare tra due postazioni in stazione immobile. Altra cosa è invece se le due posizioni, ovvero, i due attanti, cambiano il loro luogo nello spazio; ne consegue, a livello sintattico, un moto di ripartenza, di stacco e di arresto e, di nuovo, di stacco. Avremmo una poesia che non si muove più secondo un modello lineare ma secondo un modello non-lineare. Voglio dire che già Mallarmé aveva distrutto il modello lineare dimostrando che esso era una convenzione e null’altro e, come tutte le convenzioni, bisognava derubricarla e passare ad uno sviluppo non più lineare ma circolare della poesia.

Gran parte della poesia contemporanea che si fa in Europa parte da un assunto acritico: dalla stazione immobile dell’io, con l’io al «centro del mondo», attorno al quale ruota tutta la fenomenologia degli oggetti; in modo consequenziale i giri sintattici, anche se di illibato nitore e rigore metrico, si dispongono in modo lineare, come tipico di una tradizione recente: l’io di qua e gli oggetti di là, in un costante star-di-fronte.

Questo tipo di impostazione, intendo quello della stazione immobile dell’io e della distanza fissa tra l’io e gli oggetti, conduce, inevitabilmente, al pendio elegiaco. L’elegia ti costringe a cantare la «distanza». L’elegia è tipicamente consolatoria. In definitiva, il dialogo tra l’io ed il suo oggetto si rivela essere un dialogo posizionale, posizionato, «convenzionale». Infine, chiediamoci: che genere di poesia scrivere in un’epoca afflitta, come scrive la Lipska, da «eccesso di memoria»? E non è questa la domanda cruciale che si pongono anche i poeti della «nuova ontologia estetica»?

 

ewa-lipska

E. Lipska [Cara signora Schubert, il protagonista del mio romanzo
trascina un baule. Nel baule ci sono la madre, le sorelle, la famiglia,/ la guerra, la morte.]

da Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012)

 

Tra

Cara signora Schubert, mi chiedo dove andremo ad abitare Dopo. Dopo, cioè là dove prima c’era la fabbrica che produceva la vita d’oltretomba. Sarà tra ciò che non abbiamo fatto e ciò che non faremo più.

Il nostro mondo

Cara signora Schubert, il nostro mondo è come una lettera scritta di proprio pugno dagli Dei, ma lo stile non vale niente…

UE

Cara signora Schubert, ricorda ancora
l’Unione Europea? Il XXI secolo, Quanti anni sono trascorsi…
ricorda il grano ecologico? la depressione del lusso?
e il nostro letto che sfrecciava sull’Autostrada del Sole? Era la [nostra]
giovinezza, cara signora Schubert, e per quanto gli orologi
persistano nella propria opinione, tengo questo tempo
ben stretto nel pugno.

 

Il protagonista del romanzo

Cara signora Schubert, il protagonista del mio romanzo
trascina un baule. Nel baule ci sono la madre, le sorelle, la famiglia,
la guerra, la morte. Non sono in grado di aiutarlo.
Si tira dietro quel baule per duecentocinquanta pagine.
Non si regge più in piedi. e quando finalmente esce dal romanzo,
viene derubato di tutto. Perde la madre,
le sorelle, la famiglia, la guerra, la morte. In un forum
su internet scrivono che gli sta bene,
Forse è un ebreo o un nano? I testimoni
affermano che taceranno su questo argomento.

Strilli Busacca Vedo la vampaStrilli Talia2

(grafica degli “Strilli” di Lucio Mayoor Tosi)

La storia

Come si entra nella storia, cara signora Schubert?
All’assalto, come i tiranni? Timidamente, come i poeti?
Va applaudita, quando concede il bis su richiesta
del pubblico? di quale pubblico? Bisogna tacere,
quando invia come spie il caso e il destino?
Si può uscirne fuori? Un incendio esperto
batte sulla fronte del fuoco.

 

Il testamento

Cara signora Schubert, le scrivo da Amsterdam,
dove sono in borsa di studio per scrivere
il mio testamento. Il nostro amore l’ho lasciato al Passato
che, come sempre, rimettiamo al Futuro.
L’ho sottratto al sonno. Sono spuntate le rondini.
Il cielo era superfluo.

 

Lo specchio

Cara signora Schubert, mi capita di vedere
nello specchio Greta Garbo. È sempre più simile
a Socrate. Forse a la causa è una cicatrice sul vetro.
L’occhio incrinato del tempo. O forse è solo una stella
che sbraita nel vaudeville locale.

 

Nerone

Cara signora Schubert, non ho concesso la parola alla mia
immaginazione, eppure è successo. Una cena con Nerone
all’Hotel Hassler di Roma. “Sparlano ancora
di me?”. Ma Lucio, dico, adesso hanno altri
problemi, il dollaro è in caduta libera. mangiamo porri con l’olio.
Intorno a noi volteggiano gonne di Gucci. Oggi hai
un concerto, dico, suoni il liuto, leggi poesie.
Nei dintorni della morte regna sempre un caldo insopportabile,
ma chi se ne ricorda più?

 

Il labirinto

Cara signora Schubert, le porgo i miei saluti
dal Labirinto, ambigua stazione termale
che mi induce in errore. Cerco le sorgenti
calde del nostro amore, le fonti di parole minerali,
le ore curative in coppia. Mi perdo in ricordi
tortuosi, in vie che si incrociano:
cado nella trappola della geometria. Mi aggroviglio
nei cavi delle date. Tutto ciò che ci ha amato, cara
signora Schubert, non ha più via d’uscita.

 

Il fulmine

Cara signora Schubert, non le tradurrò le
parole che non ho pronunciato. Sono impigliate
in una scusa puerile. Nel prato le mucche emanavano vapore,
e noi correvamo sul posto, come colpiti da un fulmine.

Strilli Tranströmer1Strilli Sagredo1

Il Grande Collisore di Adroni

Cara signora Schubert, siccome credo nella vita d’oltretomba, ci incontreremo senz’altro nel Grande Collisore di Adroni. Lei sarà certamente una particella di numero che addizionerò a me stesso. La somma non avrà bisogno di alcuna spiegazione. A questo su per giù ammonta l’amore. Meno il disastro.

 

Giocare a “mondo”

Cara signora Schubert, ricorda ancora quando giocavamo a “mondo”? Il mondo crudele e malvagio, in agguato sotto i nostri letti? Aveva quattro piccole ruote e un occhio d’acciaio. Ci parlava con un frastuono di parole e usava una sintassi metallica. Una volta l’ho pestato a morte. gemeva, implorava perdono, ma l’ho fatto fuori lo stesso. Tutto questo accadeva in assenza della storia, mentre in cucina la mia tata preparava per merenda la caduta di Roma.

 

L’amore

Cara signora Schubert, la temperatura del nostro amore è di 1200 gradi Celsius. È sufficiente a fondere l’oro. Ciò che è iniziato nel fuoco ha qualche possibilità di divenire incendio? e facciamo ancora in tempo a fuggire in una fredda vecchiaia che possa prolungarci tutte le date di scadenza?

Strilli DonoStrilli Giancaspero

La memoria

Cara signora Schubert, lei scrive che la memoria
si dimentica di noi. Sì, è vero. In sua assenza
ho ritirato le nostre carte valori, ho venduto
le obbligazioni e la pelliccia di volpe nera con cui
abbiamo superato la tempesta. Non so perché si tiene
alla larga dai luoghi dei nostri incontri
agognati e non riconosce gli indirizzi dove
ha abitato. Qualcuno l’ha vista mentre, attorniata
da monumenti di pietra, ci spargeva in giro
per distrazione.

 

La memoria

Cara signora Schubert, non so perché non mi ha riconosciuto in sogno. Mi presentavo e le porgevo biglietti da visita cifrati. Mi richiamavo alle cicatrici sul cuscino e alle città attraverso cui correvano come telegrafi le nostre corde vocali. riferivo dei nostri concerti aromatici. Cannella. Zenzero. Descrivevo i segni particolari degli istanti: tutti in una volta e ognuno separatamente. e lei mi guardava controluce, una luce che fuggiva da me, si spegneva… e proprio allora mi svegliò la tosse.

 

L’eccesso di memoria

Cara signora Schubert, che fare dell’eccesso di memoria? Ci ho vagabondato insieme per città e continenti sconosciuti. L’ho lasciata nei depositi bagagli e nelle biblioteche comunali Ma mi ha sempre ritrovato nei ricordi abbandonati, nelle lettere, nei sogni. Una volta è stata assalita dalla paura, che le ha chiesto di darle tutti i suoi gioielli. La memoria ha opposto resistenza, ma la paura le ha strappato alcuni anni di diamante. Lei sarebbe pronta ad accogliere una parte della mia memoria nel suo destino? Non ignori questa proposta, che ancora non ammette sconfitta.

 

La materia oscura dei tulipani

Cara signora Schubert, è certamente curiosa di sapere cosa è successo nella mia camera da letto quando il terzo Cavaliere dell’Apocalisse si è svegliato di colpo. Non è successo niente. Alla porta ha bussato un sicario, un figlio del vulcano, un assassino a pagamento. Il proiettile esploso nel mio corpo cinque secondi più tardi tuttora non mi dà pace. Queste sono di sicuro le stesse ore di straordinario del rimpianto, la materia oscura dei tulipani.

Strilli RagoStrilli Gabriele2

Un nuovo pianeta

Cara signora Schubert, prometto che scoprirò un nuovo pianeta sul quale stamperò il suo cuore. Sono il committente di alcuni profeti, sui quali faccio affidamento. Come sa, tutto ciò che è impossibile si addice alla vita.

 

Re Edipo

Cara signora Schubert, eppure re Edipo questo non l’aveva voluto… Ma c’era già stato l’oracolo. Perciò dovette uccidere suo padre e sposare sua madre. Avrebbe potuto non lasciare Corinto, o non tornare a Tebe. Il fato arrogante sfoglia il giornale nel vicino caffè. Nelle notizie di cronaca tutto come al solito: i corpi sono stati rimossi dalla strada, il sangue è stato lavato. Sempre gli stessi maturandi del crimine, lo stesso sorgere del sole con un accenno sul tramonto.

 

La nostalgia

La nostalgia, cara signora Schubert, è un negozio di ferramenta. Dadi, viti, chiodi. Alla parete un attestato di ore interminabili. Arte su eBay. Inoltre, la memoria che si avvita senza sosta. Nel gesso. Nel legno. Nel cemento. lancetta d’acciaio dell’orologio, che cade dall’occhio. E una lunga notte inossidabile, un kit per il montaggio.

 

L’illusione

Cara signora Schubert, un mio amico pittore ritiene che la vita sia un inganno. “Dipingo l’illusione. Mi inducono in errore l’occhio e la contraffazione della luce. E anche la paura del talento e il raggiro del blu oltremare”. Mi specchio da anni nel suo autoritratto, sfregandomi via dalle labbra un acquerello taciturno. Le risparmio la provenienza ambigua delle domande che non porrò.

 

L’oscurità

Cara signora Schubert, l’onda d’urto dell’Oscurità è sei volte più rapida della pallottola sparata da una pistola. Si muove alla velocità di alcune migliaia di metri al secondo e mi assale sempre alla stessa ora del mondo.

 

Teorie di complotto

Cara signora Schubert, non mi chieda su commissione di chi viviamo e perché l’ombra del sospetto, caduta sulla sua tavola dalla finestra accanto, abbia frantumato la statuina di Temide di porcellana di Meissen. Non chieda delle decisioni di retroscena dei nostri sentimenti di complotto, né delle voci a proposito dei gioielli delle città. Aspiro ad avere egemonia su di lei? Ma sono anni, ormai, che abbiamo un sodalizio segreto nel quale la leggo in continuazione, con frasi degli anni passati.

 

Come va

Cara signora Schubert, mi chiede come va… Niente di nuovo. I crimini sono diventati adulti. Ormai sono autosufficienti. Lo stesso monologo del toro che va al patibolo. Gli stessi picadores con facce da bambino. Lo stesso boia, un bell’imbusto disincantato, un toreador. La stessa euforia della rivoluzione, un grido armato fino ai denti, le esplosioni delle gole. La stessa stanchezza. L’umiliazione della fame, sotto il cui naso agitiamo un pasticcino rosa.

55 commenti

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55 risposte a “Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

  1. gino rago

    Ewa Lipska mostra d’essere maestra di metafore efficaci come quella del
    Labirinto, cifra inconfondibile della nostra epoca. Come suggerisce Giorgio
    Linguaglossa nel suo commento Ewa Lipska va dritta al cuore delle grandi
    domande del vivere, senza girare intorno ad esse con funambolismi o inutili
    artifici retorici. Lo fa invece con un linguaggio personale, ad alta densità di
    significato e con un certo gusto anche per il paradosso.
    E’ questo di oggi un calzante esempio di ricerca di un’ars poetica tipica della
    NOE.
    Gino Rago

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  2. Di Eva Lipska mi incanta questa espressione.”la materia oscura dei tulipani”.Ci si potrebbe scrivere un romanzo.Un romanzo vero, ottocentesco.I lettori sono invitati a tentare.

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  3. gino rago

    Il labirinto

    Cari Signori Gino Rago, Giorgio Linguaglossa,
    Mario Gabriele, Lucio M. Tosi,

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    Vi porgo i miei saluti
    dal Labirinto, ambigua stazione termale
    che mi induce in errore. Cerco le sorgenti
    calde dell’ amore. Le fonti di parole minerali.
    Le ore curative in coppia. Mi perdo in ricordi
    tortuosi, in vie che si incrociano.
    Cado nella trappola della geometria.
    Mi aggroviglio nei cavi delle date.
    Tutto ciò che ci ha amato,
    cari Rago e Linguaglossa, cari Gabriele e Tosi,
    non ha più via d’uscita…
    Non mi attendo da Voi nessuna risposta.
    Non vi ho dato per questo il mio indirizzo.
    (Ewa Lipska)

    Se avessi davvero ricevuto un messaggio così avrei gridato al miracolo…
    Gino Rago

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    • E adesso, una mia poesia.

      Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


      Il saluto del Signor K.
      (alla maniera di Ewa Lipska)

      Cari Signori Gino Rago, Giorgio Linguaglossa,
      Mario Gabriele, Lucio M. Tosi e compagnia varia…
      Vi porgo i miei saluti
      dal Labirinto, quel luogo dal quale non è più
      possibile trovarsi, dove non c’è neanche bisogno
      di cercare le sorgenti dell’amore.
      Le parole, egregio Signor Linguaglossa,
      in questo luogo sono fuori posto.
      Mi perdoni questa ovvietà,
      ma lei, mi dicono, è un poeta!
      Vede? Cado anch’io a volte nella trappola della geometria.
      Che vuole, mi piacciono i triangoli scaleni,
      gli eptaedri, i vertici acuti, i numeri primi.
      Tutto ciò che ci ha amato,
      cari Rago e Linguaglossa, cari Gabriele e Tosi,
      e quanti altri della nuova ontologia estetica
      non ha più ragione d’essere…
      Sì, mi attendo da Voi una risposta. Una sola, però.
      Per questo vi dò il mio indirizzo:
      “Quartier Generale dell’Aldilà
      dove scorre il fiume dell’aldiquà
      al numero civico 777 piano terzo scala D,
      attigua alla abitazione di Dio, perbacco!”.

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      • Tomas Tranströmer
        da La lugubre gondola (1996)

        Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


        I
        Due vecchi, suocero e genero, Liszt e Wagner, abitano sul Canal Grande
        insieme alla donna irrequieta che è sposata con il re Mida
        quello che trasforma tutto ciò che tocca in Wagner.
        Il verde freddo del mare penetra attraverso i pavimenti nel palazzo.
        Wagner è segnato, il celebre profilo da maschera1) è più stanco di prima
        il volto una bandiera bianca.
        La gondola è gravata dal peso delle loro vite, due biglietti di andata e ritorno
        e uno di andata.

        II
        Una finestra del palazzo si spalanca e si fanno smorfie alla corrente improvvisa.
        Fuori sull’acqua compare la gondola dell’immondizia spinta da due banditi con un solo remo.2)
        Liszt ha buttato giù alcuni accordi, così pesanti3) che dovrebbero essere mandati
        all’istituto mineralogico di Padova per l’analisi.
        Meteoriti!
        Troppo pesanti per trovar quiete, possono solo sprofondare sempre di più
        dentro il futuro giù
        fino agli anni delle camicie brune.4)
        La gondola è gravata dal peso delle pietre del futuro rannicchiate.

        Sguardi5) sul 1990

        III

        25 marzo. Inquietudine per la Lituania.6)
        Ho sognato che visitavo un grande ospedale.
        Niente di personale. Tutti erano pazienti.

        Nello stesso sogno una bambina appena nata
        che parlava con espressioni compiute.

        IV

        Accanto al genero che è uomo del suo tempo Liszt è uno sciupato grandseigneur.
        È un travestimento.
        L’abisso che prova e respinge tante maschere ha scelto proprio quella per lui –
        l’abisso che vuol far visita agli uomini senza mostrare il suo volto.

        V

        L’abate Liszt è abituato a portarsi da solo la valigia nel nevischio e sotto il sole
        e quando un giorno morirà nessuno lo aspetterà alla stazione.
        Una tiepida brezza d’un generoso cognac lo rapisce nel bel mezzo di
        un compito.
        Ha sempre dei compiti.
        Duemila lettere all’anno!
        Lo scolaro che scrive cento volte la parola sbagliata prima di poter andare a casa.
        La gondola è gravata dal peso della vita, è semplice e nera.

        VI

        Di nuovo nel 1990

        Ho sognato che avevo guidato per duecento chilometri inutilmente.
        Poi tutto si fece grande. Passeri grossi come galline
        cantavano in maniera assordante.

        Ho sognato che avevo disegnato tasti di pianoforte
        sul tavolo di cucina. Io ci suonavo sopra, erano muti.
        I vicini venivano ad ascoltare.

        (trad. Gianna Chiesa Isnardi, Sorgegondolen, Herrenhaus, 2003)

        Altre poesie

        SULLA STORIA (PARTE V)

        Fuori, sul terreno non lontano dall’abitato
        giace da mesi un quotidiano dimenticato, pieno di avvenimenti.
        Invecchia con i giorni e con le notti, con il sole e con la pioggia,
        sta per farsi pianta, per farsi cavolo, sta per unirsi al suolo.
        Come un ricordo lentamente si trasforma diventando te.

        MOTIVO MEDIEVALE

        Sotto le nostre espressioni stupefatte
        c’è sempre il cranio, il volto impenetrabile. Mentre
        il sole lento ruota nel cielo.
        La partita a scacchi prosegue.
        Un rumore di forbici da parrucchiere nei cespugli.
        Il sole ruota lento nel cielo.
        La partita a scacchi si interrompe sul pari.
        Nel silenzio di un arcobaleno.

        Note

        1 In svedese Kasper è una maschera del teatro delle marionette, una sorta di Arlecchino.
        2 Vi è qui un gioco di parole, intraducibile, tra enarade banditer “banditi a un sol remo” (con evidente allusione al modo in cui i gondolieri spingono la loro imbarcazione) e l’espressione svedese enarmad bandit, letteralmente “bandito con un solo braccio”! con cui si fa riferimento a una slot machine. Ciò, secondo S. Bergsten sottolinea l’aspetto di buffonata da fiera che assumerà il culto di Wagner.
        3 L’allusione è probabilmente al fatto che sullo spartito Liszt ha inseriro l’indicazione «pesante».
        4 Chiara allusione al fatto dall’ideologia nazista della figura e dell’opera di Wagner.
        5 Letteralmente, in svedese glugg (plurale gluggar) indica una “apertura” o una “piccola finestra”.
        6 Non si dimentichi che dal punto di vista storico i Paesi baltici hanno da sempre rivestito una grande importanza per gli Svedesi. Si consideri inoltre che Tomas Tranströmer, oltre ad avere rapporti personali di amicizia con intellettuali di quell’area, ha dedicato alla distesa del Mar Baltico (quello che al “tempo della grande potenza” [stormakstid], 1630-1721, poteva essere considerato il mare nostrum svedese) l’opera Österjöar (“Mari baltici”, 1974), nel cui titolo l’uso di un plurale apparentemente improbabile vuole invece sottolineare la molteplicità degli elementi naturali e culturali che la caratterizzano.

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        • Zbigniew Herbert (1924-1998)
          Il Signor Cogito è l’uomo dell’Occidente. Colui che pensa dunque è. Herbert in questa poesia lo invita ad agire, perché il pensiero guida l’azione e, quest’ultima è un atto insieme etico, politico e, soprattutto, estetico.

          Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


          Il sermone del signor Cogito

          Va’ dove andaron quelli fino all’oscura meta
          cercando il vello d’oro del nulla – tuo ultimo premio

          va’ fiero tra quelli che stanno inginocchiati
          tra spalle voltate e nella polvere abbattute

          non per vivere ti sei salvato
          hai poco tempo devi testimoniare

          abbi coraggio quando il senno delude abbi coraggio
          in fin dei conti questo solo è importante

          e la tua Rabbia impotente sia come il mare
          ogni volta che udrai la voce degli oppressi e dei frustati

          non ti abbandoni tuo fratello lo Sdegno
          per le spie i boia e i vili – essi vinceranno
          sulla tua bara con sollievo getteranno una zolla
          e il tarlo descriverà la tua vita allineata
          e non perdonare invero non è in tuo potere
          perdonare in nome di quelli traditi all’alba

          ma guardati dall’inutile orgoglio
          osserva allo specchio la tua faccia da pagliaccio
          ripeti: m’hanno chiamato – non credo ch’io sia il migliore

          fuggi l’aridità del cuore ama la fonte mattutina
          l’uccello dal nome ignoto la quercia d’inverno
          la luce sul muro il fulgore del cielo

          ad essi non serve il tuo caldo respiro
          son solo per dirti: nessuno ti consolerà

          bada – quando la luna sui monti darà il segnale – alzati e va’
          finché il sangue nel petto rivolgerà la tua scura stella

          ripeti gli antichi scongiuri dell’uomo fiabe e leggende
          raggiungerai così quel bene che non raggiungerai

          ripeti solenni parole ripetile con tenacia
          come quelli che andaron nel deserto perendo nella sabbia

          e ti premieranno per questo come altrimenti non possono
          con la sferza della beffa con la morte nel letamaio

          va’ perché solo così sarai ammesso tra quei gelidi teschi
          nel manipolo dei tuoi avi: Ghilgamesh, Ettore, Rolando
          che difendono un regno sconfinato e città di ceneri
          sii fedele va’

          (traduzione dal polacco di Paolo Statuti)

          dal risvolto di copertina di L’epilogo della tempesta (poesie 1990-1998)

          «Scrivevo poesie serie, tragiche» ha detto nel 1991 Zbigniew Herbert in un’intervista, paradossalmente deplorando l’abolizione della censura seguita alla caduta del Muro. «Adesso scrivo sul mio corpo, sulla malattia, sulla perdita del pudore». In questa nuova atmosfera lirica, infatti, il poeta i cui versi Iosif Brodskij aveva definito come «una nitida figura geometrica … incuneata a forza nella gelatina della mia materia cerebrale» (versi, aggiungeva, che il lettore si ritrova «marchiati a fuoco nella mente con la loro glaciale lucidità») – ebbene, quello stesso poeta che era stato così discreto, così poco incline a parlare di sé, lascia spazio alle confessioni intime di un io che abita ormai «sull’orlo del nulla» e ci consegna una sorta di testamento spirituale. Rimane, certo, il suo tono, quella «miscela di ironia, disperazione ed equilibrio» che già incantava Brodskij; e rimangono i temi che sempre sono stati al centro della sua ricerca espressiva: la memoria come vicinanza al passato e alla tradizione, l’azione corrosiva del tempo, il viaggio come fonte di ispirazione: ma accanto a questi c’è ora la stoica accettazione della sofferenza fisica e psicologica, accompagnata dalla gratitudine (così si legge nelle estreme composizioni di Breviario) per tutta «questa cianfrusaglia della vita» (e soprattutto, scrive, «per le pasticche di sonnifero dai melodiosi nomi di ninfe romane») – una vita che si lascia, tuttavia, con il «cuore pieno di rimpianto».

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      • Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


        Signor K, e Signor Cogito, Sig.Gab e Sig.na Evelyn, Sig.ra Schubert, Sig Tosi e Sig. Rago, Sig. Steven e tanti altri Signori e Commodori,ma dove vi siete incontrati? Al Palazzetto dello Sport Linguistico? Abbiamo tutti un indirizzo ed è: il “Quartier Generale dell’ALDILA’, al numero civico 777, vicino alla abitazione di Dio. Ciò che ci ha amato se ne è andato dalla ciminiera Al Centro Impiego cercano “Spazzini”.

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  4. Eugenia

    …folgorata dalla poetica di Ewa Lipska
    Grazie

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    Quello che non capisco è il commento di Linguaglossa:
    “… questa poesia fatta di stracci, di corrivo, di rottami linguistici, scritta in uno stile minimalista, terra terra, volgare come è volgare il nostro «mondo»
    A me sembra corrivo solo il suo commento.

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  5. gino rago

    Eugenia, mi scusi, ha letto davvero il commento di Giorgio Linguaglossa
    sulla poetica della Lipska?

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    La inviterei a rileggerlo. Più attentamente.
    Gino Rago

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  6. carlo livia

    Spero che l’illustre pubblico dell’Ombra colga la terribile verità che promana da questo prezioso contributo, per cui ringrazio sinceramente l’ammirevole referente Linguaglossa:

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    come Kafka o Strand, Lipska sceglie una forma spoglia, disadorna e rudimentale per esperire e rappresentare l’eteronomia ontologica fra linguaggio concettuale e realtà esistenziale. Mostrare l’invalicabile divario che reclude le nostre aspettative etiche e noetiche fra confini che lasciano trasparire l’antirazionalità dell’Altro, significa Illustrare come “l’indicibile diventa inevitabile” (Juan Larrea), e mostrare come la poesia non è gioco di sintassi artificiosamente lacerate e incongrue, ma anamnesi e reperto delle aporie e lacune di senso dell'”oblio dell’Essere”, completamente compiuto e rimosso nel pensiero massificato, ma ancora latente e fecondo nello smarrimento spirituale dell’albatros-poeta, prigioniero di alienazioni e ideologie decadenti e prescrittive. Se non esiste più nessuna verità estrinseca alle regole linguistiche ( Wittgenstein ) il valore etico-estetico della poesia è nel redimerci dalla “menzogna che governa il mondo” (Kafka) con atto rivoluzionario e liberatorio verso una redenzione necessaria, anche se ancora inesperibile.

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  7. Alfredo Rienzi

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    Ho letto con interesse i testi di Ewa Lipska. Con l’ottima sensazione di una lettura al tempo stesso facile, catturante, segnante. E i commenti di Giorgio Linguaglossa mi sono stati preziosi per tracciare coordinate e posizioni, dal particolare al generale.

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  8. Adorno nella Teoria estetica, mette in luce il concetto secondo cui nelle società di massa anche il bisogno di arte non è poi così certo come può apparire, anzi, per il filosofo tedesco il bisogno di arte sembra essere stato abolito, o comunque sostituito con l’arte di massa, ovvero, con il kitsch.

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    Del resto il problema è lontano, anche Baudelaire nella stesura de Les fleurs du mal (1857) ha tenuto presente queste implicazioni ed ha fornito il paradigma di un tipo di poesia che internalizzava il kitsch, la merce, il disvalore, nonché il valore delle merci… Nei suoi appunti critici sull’arte questa problematica è ben evidente; questa «discesa verso il basso» tipica di tutta l’arte moderna è un portato dello sviluppo della società delle merci. Ewa Lipska tiene ben presente questa problematica, anzi, l’ha internalizzata nei suoi strumenti espressivi.

    Oggi un’arte che disdegni la «discesa verso il basso», come la poesia di Claudio Borghi, rischia di periclitare precipitevolissimevolmente verso il basso del kitsch malgrado le nobili intenzioni del suo autore…

    Direi anche che un’arte che disdegni di «salire verso l’alto», rischia egualmente di periclitare con i suoi tacchi a spillo verso il baratro del kitsch malgrado le migliori intenzioni dell’autore.

    Così, certe parole sono già «raffreddate» nella lingua di relazione che non c’è nemmeno bisogno di «raffreddarle» ulteriormente. Nel raffreddamento universale dell’economia globalizzata parlare di «riscaldamento» di esse parole può apparire sommamente disdicevole.

    È questo stare nel mezzo che bisogna attuare, stare nel mezzo e toccare i vertici dell’alto e del basso…

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    • Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


      Ecco tre poesie di Andrea Zanzotto, «il Signore dei significanti», come lo battezzò irriverentemente Montale, il maggior poeta italiano dopo Montale, a detta di alcuni ermeneuti. Leggiamo queste due poesie e mettiamole a raffronto con quelle di Ewa lipska. Lo so, è scorretto fare tali raffronti, anzi, non si possono fare proprio dei raffronti di questo tipo. Tuttavia, per una volta almeno, facciamo la prova, ci renderemo conto di come Zanzotto dispieghi un vocabolario e una vastità lessicale così ampia e variegata da far venire il sospetto che avrebbe potuto dire le stesse cose impiegando un vocabolario, un lessico meno ampio. Provate invece a togliere una sola parola dai testi di Ewa Lipska, e vi accorgerete che tutti i testi ne riceverebbero danno.
      Per ché dico questo? Lo dico perché una delle regole per fare buona poesia è la ricerca della essenzialità del dire, la pulizia lesssicale, oserei dire l’ecologia del lessico, il risparmio energetico del lessico, il risparmio di energia, che, tra l’altro, è anche una regola del vivere civile: la parsimonia.

      «Anche oggi, circondati come siamo da un pullulare continuo di novità e contraddizioni che ci mettono nella stessa situazione di quei personaggi dei film western costretti a saltellare di continuo per evitare le pallottole che gli sparano sui piedi. E così, tra sberle, pugni e pallottole, la stessa poesia non può far altro che saltellare. Procedendo per incerti frammenti».
      (ANDREA ZANZOTTO, La Repubblica, 23 settembre 1999)

      Vorrei dire solo una cosa, che la nostra idea dei «frammenti» è ontologicamente diversa da quella che ne aveva all’epoca Zanzotto.
      Leggiamo le tre poesie:

      da IX ECLOGHE, (1962)

      L’attimo fuggente

      “Le front comme un drapeau perdu”

      Ancora qui. Lo riconosco. In orbite
      di coazione. Gli altri nell’incorposa
      increante libertà. Dal monte
      che con troppo alte selve m’affronta
      tento vedere e vedermi,
      mentre allegria irrita di lumi
      san Silvestro, sparge laggiù la notte
      di ghiotti muschi, di ghiotte correntie.
      E. E, puro vento, sola neve, ch’io toccherò tra poco.
      Ditemi che ci siete, tendetevi a sorreggermi.
      In voi fui, sono, mi avete atteso,
      non mai dubbio v’ha offesi.
      Sarai, anima e neve,
      tu: colei che non sa
      oltre l’immacolato tacere.
      Ravvia la mia dispersa fronte. Sollevami. E.
      È questo il sospiro che discrimina
      che culmina, “l’attimo fuggente”.
      È questo il crisma nel cui odore io dico:
      sì, mi hai raccolto
      su da me stesso e con te entro
      nella fonte dell’anno.

      *.

      da LA BELTÀ, (1968)

      Sì, ancora la neve

      “Ti piace essere venuto a questo mondo?”
      Bamb.: Sì, perché c’è la STANDA”.

      Che sarà della neve
      che sarà di noi?
      Una curva sul ghiaccio
      e poi e poi… ma i pini, i pini
      tutti uscenti alla neve, e fin l’ultima età
      circondata da pini. Sic et simpliciter?
      E perché si è – il mondo pinoso il mondo nevoso –
      perché si è fatto bambucci-ucci, odore di cristianucci,
      perché si è fatto noi, roba per noi?
      E questo valere in persona ed ex-persona
      un solo possibile ed ex-possibile?
      Hölderlin: “siamo un segno senza significato”:
      ma dove le due serie entrano in contatto?
      Ma è vero? E che sarà di noi?
      E tu perché, perché tu?
      E perché e che fanno i grandi oggetti
      e tutte le cose-cause
      e il radiante e il radioso?
      Il nucleo stellare
      là in fondo alla curva di ghiaccio,
      versi inventive calligrammi ricchezze, sì,
      ma che sarà della neve dei pini
      di quello che non sta e sta là, in fondo?
      Non c’è noi eppure la neve si affisa a noi
      e quello che scotta
      e l’immancabilmente evaso o morto
      evasa o morta.
      Buona neve, buone ombre, glissate glissate.
      Ma c’è chi non si stanca di riavviticchiarsi
      graffignare sgranocchiare solleticare,
      di scoiattolizzare le scene che abbiamo pronte,
      non si stanca di riassestarsi
      – l’ho, sempre, molto, saputo –
      al luogo al bello al bel modulo
      a cieli arcaici aciduli come slambròt cimbrici
      al seminato d’immagini
      all’ingorgo di tenebrelle e stelle edelweiss
      al tutto ch’è tutto bianco tutto nobile:
      e la volpazza di gran coda e l’autobus
      quello rosso sul campo nevato.
      Biancaneve biancosole biancume del mio vecchio io.
      Ma presto i bambucci-ucci
      vanno al grande magazzino
      – ai piedi della grande selva –
      dove c’è pappa bonissima e a maraviglia
      per voi bimbi bambi con diritto
      e programma di pappa, per tutti
      ferocemente tutti, voi (sniff sniff
      gran gnam yum yum slurp slurp:
      perché sempre si continui l'”umbra fuimus fumo e fumetto”):
      ma qui
      ahi colorini più o meno truffaldini
      plasmon nipiol auxol lustrine e figurine
      più o meno truffaldine:
      meglio là, sottomano nevata sottofelce nevata…
      O luna, ormai,
      e perfino magnolia e perfino
      cometa di neve in afflusso, la neve.
      Ma che sarà di noi?
      Che sarà della neve, del giardino,
      che sarà del libero arbitrio e del destino
      e di chi ha perso nella neve il cammino
      (e la neve saliva saliva – e lei moriva)?
      E che si dice là nella vita?
      E che messaggi ha la fonte di messaggi?
      Ed esiste la fonte, o non sono
      che io-tu-questi-quaggiù
      questi cloffete clocchete ch ch
      più che incomunicante scomunicato tutti scomunicati?
      Eppure negli alti livelli
      sopra il coma e il semicoma e il limine
      si brusisce e si ronza e si cicala-ciàcola
      – ancora – per una minima e semiminima
      biscroma semibiscroma nanobiscroma
      cose e cosine
      scienze lingue e profezie
      cronaca bianca nera azzurra
      di stimoli anime e dèi,
      libido e cupìdo e la loro
      prestidigitazione finissima;
      è così, scoiattoli afrori e fiordineve in frescura
      e “acqua che devia
      si dispera si scioglie s’allontana”
      oltre il grande magazzino ai piedi della selva
      dove i bambucci piluccano zizzole…
      E le falci e le mezzelune e i martelli
      e le croci e i designs-disegni
      e la nube filata di zucchero che alla psiche ne vie?
      E la tradizione tramanda tramanda fa passamano?
      E l’avanguardia ha trovato, ha trovato?
      E dove il fru-fruire dei fruitori
      nel truogolo nel buio bugliolo nel disincanto,
      dove, invece, l’entusiasmo l’empireirsi l’incanto?
      Che si dice lassù nella vita,
      là da quelle parti là in parte;
      che si cova si sbuccia si spampana
      in quel poco in quel fioco
      dentro la nocciolina dentro la mandorletta?
      E i mille dentini che la minano?
      E il pino. E i pini-ini-ini per profili
      e profili mai scissi mai cuciti
      ini-ini a fianco davanti
      dietro l’eterno l’esterno l’interno (il paesaggio)
      dietro davanti da tutti i lati,
      i pini come stanno, stanno bene?

      Detto alla neve: “Non mi abbandonerai mai, vero?”

      E una pinzetta, ora, una graffetta.

      *

      Al mondo

      Mondo, sii, e buono;
      esisti buonamente,
      fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
      ed ecco che io ribaltavo eludevo
      e ogni inclusione era fattiva
      non meno che ogni esclusione;
      su bravo, esisti,
      non accartocciarti in te stesso in me stesso

      Io pensavo che il mondo così concepito
      con questo super-cadere super-morire
      il mondo così fatturato
      fosse soltanto un io male sbozzolato
      fossi io indigesto male fantasticante
      male fantasticato mal pagato
      e non tu, bello, non tu «santo» e «santificato»
      un po’ più in là, da lato, da lato

      Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere
      e oltre tutte le preposizioni note e ignote,
      abbi qualche chance,
      fa’ buonamente un po’;
      il congegno abbia gioco.

      Su, bello, su.

      Su, münchhausen.

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  9. antonio sagredo

    Giuseppe Desa, alias San Giuseppe da Copertino (Le), tutto il giorno se ne stava coi porci – guardiano di porci – perciò più in basso di così: in mezzo al letame. eppure Iddio lo scelse per volare più in alto di tutti i Santi…
    a proposito scrissi dei versi per segnare una volta per tutte la distinzione/differenza fra un guardiano di porci e un teologo…
    godete…. cari lettori:

    Il teologo-idiota e Giuseppe Desa

    Il colto idiota dal pulpito raccontava bellamente
    che la carità è lo stato naturale dell’uomo,
    torcendosi sulla philautía, come morso da una serpe!
    Giuseppe lo guardava schifato e con occhio asinesco.

    Lui, succube di voli inconsueti, non voluti e non richiesti,
    con preghiere, rosari e ceri accesi sugli altari, attendeva
    a un’assenza di teofania, come se la sua ignoranza nota
    al mondo fosse sparsa ovunque, come un peccato da imitare.

    Per eccesso di carità lui volava così in alto che gli uccelli
    chiesero aiuto a quell’idiota, perché una colta istanza al Principe
    dei Martiri almeno un terrore generasse in quel cuore semplice
    e mai turbato… ma era caro a tutti gli umili perché le sue mani

    erano sporche di sterco di maiale: una fatica devastante
    diffondere il Verbo alle bestie di cortile! Il teologo è spaventato:
    conosce la propria colpa, non la carnalità che combatte bellamente.
    Fu un’estasi unica l’ultimo volo di Desa: ne fu gelosa – Santa Teresa!

    Antonio Sagredo

    Bardonecchia, 27 dicembre 2007
    (crepuscolo)

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  10. carlo livia

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    La decomposizione delle strutture morfosintattiche, come strumento d’indagine di nuove relazioni tra linguaggio e ontologia, come nell’opera di Zanzotto o Celan, può essere mutata in una decontestualizzazione semantica di sintagmi e frammenti diegetici che rimangono strutturalmente integri, ma assumono diversa funzione noetica, nella trasgressione dell’ordine logico-relazionale, con il risultato di mettere in luce l’irrazionalità latente nella logica convenzionale, come avviene in Lipska e Linguaglossa; è la stessa differenza, più o meno, che sussiste fra la pittura di Braque e quella di Magritte. Ecco un testo in cui ho tentato un’integrazione delle due procedure espressive.

    Altra ferita del silenzio

    Il corpo allucinante risplende
    e scompare nella risata del vento
    coi suoi frutti segreti mangiati vivi

    L’amore sprofonda nello specchio
    pugnalato dalla memoria

    Dietro i pozzi degli antenati
    vecchie femmine lunatiche sorvegliano l’entrata

    Trascino il mio letto per campi lamentosi
    la madre s’allontana su fondali d’erba

    E’ finita l’attesa
    quella lotta d’alberi e belve
    dietro la casa di cenere

    Ma non riesco a dormire
    sotto lo sguardo di questi spettri

    61

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    • donatellacostantina

      gentile Carlo Livia,
      seguo sempre con attenzione e stima i suoi interventi e le sue poesie. Complimenti sia per il commento che per la poesia, molto interessante e coinvolgente… si vede che anche lei sta cercando una poesia diversa da quella che si legge in Italia… inserisca pure le sue poesie sono una lettrice attenta e priva di pregiudizi. Questo è un Laboratorio all’aperto, fatto per poeti senza tacchi a spillo. Ho un appunto da farle. La prima strofa io la scriverei così, togliendo due aggettivi. Secondo me la strofa corre meglio:

      Il corpo risplende e scompare nella risata del vento
      coi suoi frutti mangiati vivi…

      a me sembra più scorrevole…

      saluti.

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  11. Il problema messo bene a fuoco da Carlo Livia

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    è quello di pensare alle fondamenta espressive del linguaggio, alla sua essenza ontologica. Credo che questo problema era lontanissimo dalla sensibilità di uno Zanzotto che, per generazione e formazione culturale era alieno ad adottare una impostazione culturale diversa dal quadro normativo in cui alloggiava lo sperimentalismo.
    Oggi, caro Livia, dobbiamo (siamo costretti) a de-contestualizzare il «frammento», decontestualizzarlo e ricontestualizzare il «frammento», come tu dici «diegetico».

    Anch’io ho ammirato non poco la poesia di Herbert per quella sua severa qualità nomenclatoria presente nella sua poesia. Con le parole di Brodskij:
    “quella «miscela di ironia, disperazione ed equilibrio» che già incantava Brodskij; e rimangono i temi che sempre sono stati al centro della sua ricerca espressiva: la memoria come vicinanza al passato e alla tradizione, l’azione corrosiva del tempo”.

    Un equilibrio tra disperazione e ironia (io direi meta ironia), come scrive Brodskij. È questo il nostro obiettivo.

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  12. Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    L’ha fatto tante volte in un giorno , gentile signorina Kantera . Proprio ieri alle sette e trenta ne avevo contate dieci. Sono troppe. Nessun rimedio. Non mi chieda il nome di quello lì né se la caldaia del palazzo funzioni a dovere. I termosifoni sono nel gelo più bruciante. Ad esempio; il signor Hush sbatte il cancelletto dell’ingresso e i bambini dei vicini lanciano aeroplanini di carta fino al cavedio . Gentile signorina Kantera, in fondo, mi chiedo se questo formicaio è un agghiacciante allevamento di corpi o l’antenatale della tomba a cui siamo destinati. Il gatto? Si nutre con rapidi colpe di zampe. Non me ne voglia. Sembra domestico, ma si è ormai inselvatichito da tempo . C’è aria di inverno . La nuova inquilina ha i tacchi rumorosi. Per darle un’idea di un altro imbroglio ; l’ascensore è in blocco da novecento minuti. Naturalmente non incontro nessuno eccetto un’ ombra dalle gambe incrociate. Ha senso essere il numero 23 sul citofono? Ecco perché tutta le lettere tornano indietro.
    Cordialmente
    Fritz Hertz

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  13. Il mio modesto parere è che questo Signor Fritz Hertz ha dei tratti di genialità.

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    Anche la poesia di Carlo Livia va nella giusta direzione. Verso la nuova ontologia estetica? Penso di sì, perché conosco da circa trenta anni Carlo Livia e so la serietà del suo impegno nel costruire una poesia «nuova e diversa».

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  14. grazie Giorgio. E’ un mio caro amico. Credo anche lui…..

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  15. Una poesia di Nelly Sachs tradotta da Chiara Catapano

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    . . . Und wenn diese meine Haut zerschlagen sein wird,
    . . . so werde ich ohne mein Fleisch Gott schauen
    . . . . Hiob

    O die Schornsteine
    Auf den sinnreich erdachten Wohnungen des Todes,
    Als Israels Leib zog aufgelest in Rauch
    Durch die Luft –
    Als Essenkehrer ihn ein Stern empfing
    Der schwarz wurde
    Oder war es ein Sonnenstrahl?
    O die Schornsteine!
    Freiheitswege für Jeremias und Hiobs Staub –
    Wer erdachte euch und baute Stein auf Stein
    Den Weg für Flüchtlinge aus Rauch?
    O die Wohnungen des Todes,
    Einladend hergerichtet
    Für den Wirt des Hauses, der sonst Gast war –
    O ihr Finger,
    Die Eingangsschwelle legend
    Wie ein Messer zwischen Leben und Tod –
    O ihr Schornsteine,
    O ihr Finger,
    Und Israels Leib im Rauch durch die Luft!

    *

    E quando questa mia pelle sarà dissolta
    Allora contemplerò Dio senza la mia carne.

    Libro di Giobbe

    Oh i camini
    Sulle ingegnose dimore della morte,
    quando il corpo d’Israele si disperde in fumo
    per l’aria –
    come uno spazzacamino una stella l’accolse
    e divenne nera
    oppure era un raggio di sole?
    Oh i camini!
    Vie di libertà per le ceneri di Job e Geremia –
    Chi vi ha inventati ed edificato pietra su pietra
    Il sentiero dei fuggiaschi di fumo?
    Oh le dimore della morte
    Accogliente imbandita
    per il padrone di casa, che altrimenti era ospite –
    Oh voi dita
    Che posate la soglia
    Come un coltello tra vita e morte –
    Oh voi camini,
    oh voi dita
    e il corpo d’Israele in fumo nell’aria!

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  16. Vorrei partecipare con alcuni miei versi. Dopo aver apprezzato ed essermi gustata i versi della Lipska e di molti poeti della NOE

    UNA NOTTE D’APRILE, A CASA DI GIACINTO SCELSI

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    In questa sconfinata fioritura di buio, anche il nero
    dell’ombra si colora, per significare.
    Dal terrazzo vuoto verticale giù a picco
    e più sotto strada-solco di ammansite simmetrie,
    oltre lo sconfino dei Fori Imperiali, del bianco che ignora
    – che vuole ignorare –
    quella fiorita voragine-culla di millenni,
    più eterna della città.
    Solo, il tempo si spegne e regala i suoi sensi, una madre oscura,
    latte segreto dal seno di note risuonate giù abbasso:
    un segreto rinascere
    e riapparire del mondo dall’uovo di puro suono
    che trattiene luce nell’interno vertiginoso, intatto. Ma percepito.
    Tutta la notte il suono ha suonato se stesso,
    il dove e il quando appesi all’unica nota
    uovo schiuso di qualsiasi immagine.

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    • Gli ultimi tre versi!
      simili al mio Bianco dipinto su se stesso ma estesi a “qualsiasi immagine” sono per me memorabili. Ho l’impressione che il verso lungo non sempre ti favorisca, che alcune immagini ne restano penalizzate; tipo una madre oscura, latte segreto… un segreto riconoscere. Qualche parola di troppo. Ma è solo una mia idea, niente che s’avvicini alla presunzione. Un parere.

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      • No, hai ragione… in realtà non è tanto il verso lungo, ma un’altra sovrabbondanza di parole. In certe poesie dal verso esteso le parole sono tutte necessarie, in altre poesie è vero che c’è un leggero sovraccarico. Su questo lavoro ora, in particolare. Per cui ben vengano le impressioni, altrimenti si resta ciechi! grazie Lucio

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      • caro Lucio,

        Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


        il verso lungo ha senso se viene seguito o preceduto da un verso breve o brevissimo. Così si instaura una discromia, una frattura, una discrasia, e il lettore viene tenuto all’in piedi. Io toglierei il verso finale, che mi sembra non aggiunga nulla di decisivo, e poi, dopo “colora” inserirei un punto. dopo “verticale” il inserirei una frase, tipo: “si scende”, per dare l’idea al lettore che si sta scendendo. La poesia ha degli spunti brillanti e l’insieme tiene molto bene. Complimenti Lucio.

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        • Be’, i complimenti vanno a Chiara 🙂

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          • Mi scrive Claudio Borghi quanto segue, parlando degli ultimi versi della mia poesia:

            Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


            “con piacere mi ha ricordato un passaggio dell’ultimo paragrafo de Il seme nella notte, ne L’anima sinfonica:
            Creo per folgorazioni. Inseguo la formula, la visione chiusa in una sintesi di potenza, uovo di tutte le immagini, cuore della possibilità della fantasia che si rivela, la parola che trattiene il tempo e lo condensa in nuclei di vita sottratta al divenire, senso e sensazione di una bellezza che non parla. Da sempre in tensione verso il punto di non luce, di non sensibilità che raccoglie l’infinita manifestazione (miraggio della sintesi suprema in cui il creato si spiega prima di dispiegarsi), cerco gli occhi attraverso cui la coscienza non riesce più a filtrare, attratto dalla fonte quieta e potente, infanzia e divinità insieme, principio del nascere, legge dell’aprirsi, semplice dinamica dello svolgimento dal centro-cuore, abbraccio sotto la volta del senzatempo. ”

            E desidero condividerlo: perché non ho letto quel passaggio da l’Anima sinfonica, in realtà. E però proprio questo è interessante, quest’immagine dell’uovo delle immagini ci sottolinea un fatto. Che i tempi di mutamento si colgono nell’etere, e noi come antenne li cogliamo. Queste convergenze sono solo in parte stupefacenti, e ci mostrano che il terreno è dissodato, pronto.
            Scusate eventuali scivolate sintattiche, scrivo stanca morta!
            Un augurio di buon lavoro a tutti!

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        • caro Giorgio, condivido qui un passaggio di un lavoro in fieri, che certo al momento giusto condividerò sull’Ombra per intero. Dove cerco di scavare in questa direzione…

          Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


          La scala ingoia l’ombra, gradatamente applicando ciò che l’occhio abbraccia in un momento.
          L’intervista avviene nel vano della Tomba dei Leopardi.
          I passi misurati, per non incespicare.
          Passo-misura e fremito sepolcrale. Intervistato e intervistatore,
          come ali risalgono il flusso del discorso: racchiudono in cicli altissimi
          le correnti ascensionali
          spingendo nei
          vani di
          senso
          i cocci del loro incavo, lo scavo: frammenti di memoria,
          cui l’intervistato aggiunge solida nausea, vezzo tutto personale.
          “Cosa si sente? Lei si sente male…”
          Strozzo-respiro nel pomo rigonfio del petto.
          C’è che quanto appreso fino qui, nel nostro ora luminoso, fuori dalla tomba
          risalendo a
          ritroso quei
          gradini è
          ancora il non-senso.
          Respiro profondo.
          Ci immergiamo sempre più stratificando
          ciò che siamo, e sempre siamo
          stati.
          Dentro il sepolcro, si festeggia.
          Voglia spingere l’occhio fino al fondo, la parete uterina della tomba
          le rivelerà
          i nostri volti affrescati per l’eternità.

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          • donatellacostantina

            cara Chiara,
            stai lavorando molto bene, si vede che l’aria della nuova ontologia estetica fa bene anche alla tua Musa! Apprezzo particolarmente le interruzioni, i salti bruschi, gli stop, l’alternanza dei versi brevissimi e quelli lunghissimi… e poi i lemmi composti (questa è una caratteristica della tua poesia) che servono da elementi frenanti della composizione e da elementi “pesanti”. Tutto molto bene. L’unico avvertimento che mi permetto di suggerire è di fare molta attenzione agli aggettivi, meglio un aggettivo in meno che uno in più, e i verbi ridotti all’essenziale… Complimenti.

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            • Cara Costantina, quella degli aggettivi e di certa sovrabbondanza è in effetti per me lo sfrondo più difficile. Ci sto lavorando, perché – come dicevo anche a Tosi – c’è consapevolezza, ma questi confronti continui mi aiutano a tarare la bilancia! Grazie!

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  17. La poesia moderna è stata ridotta allo stato di frammento.

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    «Ciò che è Perduto non può essere ritrovato se non nella forma di
    “frammento”, che non indica il Tutto se non come un tutto frammentato
    e disperso. Di qui il “dolore” della poesia».1]

    1] Foucault M. Le parole e le cose trad. it. 1975, p. 139

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  18. La raccolta Austerloo comprende una settantina di poesie tratte da precedenti raccolte, pubblicate tra gli anni ’80 e ’90 del Novecento, vale a dire nel periodo della dittatura romena e nel decennio successivo. La poesia della Crasnaru non è una poesia particolarmente “politica”, ma per il sistema di censura di Ceausescu era già sospetto il fatto stesso di essere poetessa. Nella poesia altamente indiretta e traslata della Crasnaru la politica costituisce lo sfondo simbolico ma come invisibile, inafferrabile.

    da http://www.casadellapoesia.org

    Daniela Crasnaru

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    Austerloo

    Sia i detrattori sia i sostenitori sanno ugualmente
    dove ha perso e dove ha vinto il Generale.
    Persino gli abitanti di Sant’Elena sanno tutti
    cos’è stato a Waterloo e cos’è stato ad Austerlitz.

    Solo io ho confuso sempre
    la sconfitta con la vittoria,
    i campi di battaglia, i rapporti di forza,
    le bandiere e il nemico.
    E questo non è stato un semplice caso
    da allievo ripetente al soldo
    della frivola posterità. Tutta la mia vittoria
    è stata piuttosto una sconfitta.
    Tutto il bottino preso dal mio esercito di parole
    marciando stordito
    in mezzo a questa eterna siberia del dubbio
    si è dimostrato rimpinguato col mio sangue.
    Persino «l’odore della morte così prossimo all’odore dell’amore
    come il viola all’indaco nello spettro della luce».

    Con le migliori divisioni dimezzate
    i miei anni a rimpinzare l’humus di questi fogli di carta.
    Con i miei tiratori scelti
    schiacciati fra le copertine dei miei libri.

    Austerloo, 14 giugno
    e la mia mano che scrive il diario dal fronte senza sapere
    se è morta
    o viva.

    Mi chiedo, e vi chiedo: cos’è che fa di questa poesia una poesia di livello superiore? Qual è il differenziale di valore estetico?

    Molto semplicemente, la poesia della Crasnaru è fondata su una figura retorica dominante: il traslato; tutte le altre figure retoriche vengono, come dire, sotto utilizzate e ridotte ad una funzione di contorno.
    Il traslato è quella figura retorica attorno al quale si organizza il discorso poetico della Crasnaru. Il vantaggio è presto detto, che utilizzando questo espediente retorico tutto il volume dell’interpretazione viene accreditato sul lettore; è il lettore il vero protagonista della poesia (non più l’autore), è il lettore che deve sciogliere il dilemma di che cosa si sta parlando e di che cosa si tratta. Non è tanto importante il dictum ma ciò cui il dictum allude, ciò che esso indica per interposta persona. Così la composizione acquista poliedricità, sfaccettatura.

    traslato [dal lat. translatus, part. pass. di transferre “trasferire, trasportare”]. – ■ agg. (ling.) [trasformato per metafora o altro tipo di espressione figurata: parola usata in senso t.] ≈ figurato, metaforico. ‖ simbolico. ↔ letterale, proprio. ■ s. m. 1. (crit.) [figura retorica consistente nel sostituire una parola con un’altra in base a un rapporto di similitudine fra le due] ≈ metafora, (ant.) traslazione. 2. (estens., crit.) [qualsiasi forma figurata del linguaggio] ≈ figura retorica, tropo. ⇓ metafora, metonimia, sineddoche….

    Forse una delle principali ragioni di debolezza della poesia italiana contemporanea (con la felice eccezione di alcuni autori, e tra questi Anna Ventura con le poesie inedite postate recentissimamente in questo blog), è proprio lo scarsissimo o quasi nullo impiego di questa piegatura del linguaggio che il traslato consente. Tutta appiattita sul quotidiano e sul privato la poesia italiana maggioritaria è chiaramente minoritaria sul piano estetico rispetto alla poesia europea più evoluta.

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  19. Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    Queste poesie di Ewa Lipska sono piene di humor, il modo migliore per porgere l’amarezza e altri sentimenti che le sono affini. Se il dolore è più profondo, lo humor ha dalla sua che spesso è più intelligente. Difficile mantenersi così, serve una Cara signora Schubert! In due si può fare poesia politica, come tra donne, in confidenza; e uscire così da certi stereotipi che poi sono rendiconto, pretese della ideologia, il giusto-sbagliato che azzera la creatività. E perdinci, se ce n’è bisogno!

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  20. Lucio Mayoor Tosi

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    Lui e Lei avevano due simil gatti:
    Andersen e l’altro Eckersberg. Entrambi maschi.
    E castrati.
    Andersen amava le camicie bianche
    Eckersberg il contatto con la nudità.
    “Fetente ma raffinato”, così recitava
    la pubblicità.

    Ma Lei aveva a cuore Andersen.
    Se lo teneva in braccio o sulle spalle,
    anche stando in piedi mentre cucinava:
    sapori dell’India per loro e bianchi
    ma finti spaghetti per Gatto Eckersberg
    il nudista.

    Lei stava morendo. Lo faceva ogni giorno.
    Lui se non aveva da leggere svitava
    e avvitava qualsiasi cosa.
    John Lennon, Miles Davis, Natasha Thomas.
    Lei quei pontili sospesi sul lago. Ma senza nebbia
    e nemmeno dragoni. Solo cose per Andersen.

    (Se la noia non vi assale, penso io
    vuol dire che siete fumatori).

    – Tutta l’Europa del sud è un canile.
    A cominciare da Courbet. Non è vero, Eckersberg?
    Quell’Origine del mondo, appena concepito
    con furore. Quel leccarsi le dita…

    Lei non rispondeva (stava morendo).
    Contemplava le forme molli di un cubo
    le bollicine dell’axterol, le lancette
    dell’orologio sull’ora e i secondi.
    – Probabilmente il sole. Disse Lei.
    E non tornarono sull’argomento.

    Tranne un giovedì, allorché Lei disse:
    – Credo che ad Andersen farebbe bene
    un piatto di trippa ogni tanto.

    Il cargo dei viveri Okinawa era in ritardo
    ormai di tre settimane (sei mesi terrestri).
    Salgari sarebbe già partito in missione
    con a bordo almeno tre robot ambasciatori
    di marca tedesca.

    Ma era stagione di polveri.
    Difficile poter comunicare, inutile sprecare
    Metafore. Si sarebbero perse nel vuoto
    tra le lune. Quindi Lui e Lei si misero d’accordo
    per spedire un messaggio criptato

    al sovrintendente dei beni umani,
    Ork il maligno; in realtà un povero cristo
    circondato da macchine, alcune a vapore
    (per via della pelle che nella stagione delle polveri
    gli si seccava. Puntualmente e orribilmente).

    “Aghi OrK”, così iniziava il messaggio
    “Le bdhko di lk snmlir8jk! Andersen bd in vgeytz!
    Si dia una mossa”.

    La risposta non si fece attendere:
    “Mi sono informato: niente trippa sul cargo Okinawa.
    Ma posso mettervi da parte dei pomodori irlandesi”.
    E in un secondo messaggio aggiunse:
    “Per il gatto ho un Mickey Mouse del ’63.
    Il mio l’ha già letto. Lo so, non è divertente”.

    Le quattro linee del tramonto si stavano fondendo
    nel sogno turco di Moon light.
    Lui si tolse le spalline di cristallo, si strofinò gli occhi
    e senza dire una parola volle intrattenersi ancora un po’
    con Lei, che nel frattempo aveva terminato
    di raddrizzare, così diceva, tutti i rametti del prezzemolo.
    Fecero programmi. Il letto scandinavo ondeggiava
    rumorosamente.

    Vista dal giardino lenticolare, la casa sembrava
    un traforo di merletti. Ork il maligno, come al solito
    stava trasmettendo pensieri sconclusionati.
    Lo chiamava Ozio dei poveri. Oppure
    a seconda del momento, solo ‘Zio.

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    • Andersen sappiamo tutti chi è, ma forse non tutti sanno di Eckersberg.
      Era un pittore danese, arrivato dopo il neoclassicismo di Bertel Thorvaldsen e prima di quel meraviglioso pittore che fu Vilhelm Hammershøi. Fantastica la storia dell’arte danese! Direi che è la culla del nichilismo.
      Eckersberg dipinse dei nudi memorabili, paragonabili ma più raffinati rispetto al noto quadro di Courbet, L’origine del mondo. Fermo restando che senza Courbet saremmo ancora qui a levigarci le pettinature.

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  21. Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    Belle letture. Personalmente sto imparando a potare i rami secchi; persino ad accorciare la lunghezza delle chiome. Non so se riuscirò mai nell’impresa.
    Un giorno Giorgio mi scrisse: il compito più arduo di un poeta è :tagliare e tagliare i versi della propria poesia. Aveva ragione…..

    scusate gli errori …..la visuale del display sul cellulare (per me) è micidiale.

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  22. gino rago

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    “Cara signora Schubert,
    ancora si chiede dove andremo ad abitare Dopo?
    Dopo. Cioè là dove prima c’era una fabbrica strana
    che produceva la vita d’oltretomba.
    E inquinava le menti. Avvelenava il mondo.
    Ha riconosciuto la mia scrittura.?
    Sì sono io. Sono l’autrice di tutte le lettere.
    Si chiede sempre dove andremo ad abitare Dopo?
    Senza timori vada
    al Quartier Generale dell’Aldilà.
    Al numero civico 777, piano terzo, scala D,
    attigua alla abitazione di Dio.
    Al Quartier Generale tutti e tutte lo sanno.
    Il Dopo sarà tra ciò che non abbiamo fatto
    e ciò che non faremo più.

    Cara signora Schubert, e per conoscenza,
    care signore Dzieduszycka, Ventura, Dono, Colonna,
    al Quartier Generale dell’Aldilà ben sanno
    e lo sapete bene anche voi che l’onda d’urto dell’Oscurità
    assale i poeti alla stessa ora del mondo.
    Cara signora Schubert, e per conoscenza,
    care signore Leone, Giancaspero e Catapano,
    la vita è un negozio di ferramenta.
    E Dio è un meccanico supino che stringe i bulloni lenti del mondo.
    Al Quartier Generale dell’Aldilà
    l’acqua si beve in bicchieri di plastica.
    E nessuna fa poesia coi tacchi a spillo.
    Un caicco taglia il blu della laguna. Il cielo è fermo.
    A nessuno interessano i moti dell’alta e della bassa marea.”

    Ewa Lipska (alla maniera di)

    Gino Rago

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  23. Grande gioia, pagine di creatività in diretta. Come si conviene a chi sa stare nell’accadimento.

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  24. antonio sagredo

    Tentativi di definizione

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    Poesia
    sono tornei tra mare e cielo,
    sembianti esotici, geometrie terribili.
    Labirinti dove soli si azzuffano ringhiando,
    universi che imitano apocalissi.

    Poesia
    sono tornei di tenerezze inaudite,
    teatri di rugiade, prodigi evanescenti.
    Finzione dei tarocchi che sognano destini,
    immagini di fate e di leggende.

    Poesia
    sono tornei fra misteri di cristallo,
    rubini dei cristalli, disperate corone.
    Vanità delle lune dove s’indugiano i poeti,
    cavalieri erranti, antiche sinfonie.

    Poesia
    sono tornei tra cielo e terra,
    cigni in lagrime, donne innamorate.
    Rosari di canicole dove smania la tortora,
    deliri di madreperla, narcisi impazziti.

    a.s.

    Praga, 28 gennaio 1977

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  25. -Lettera della signorina Kantera-

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    Egregio signor Fritz, le avevo inviato una breve nota circa un mese addietro. E’ purtroppo vero che niente arriva in perfetto orario ; ad eccezione della bolletta del gas. Puntualmente quella ha la scadenza fissa. Possibile ? E cosa dire degli inquilini che non si accorgono del mio appartamento vuoto? Quando e come è cominciato tutto? Ci sarebbe da scrivere la saga dei nibelunghi, mio caro signor Fritz. Ciò non significa che le cose (di qua )sono diverse. Per quanto mi riguarda sussistono gli stessi problemi .In due giorni; tre incidenti con la caduta dello stesso portiere sul ballatoio tirato a cera. Ieri sera ,poi, le sirene delle ambulanze si sono alternate ogni cinque minuti. Per certi versi un inferno. Non pensa che tanto rumore serva solo a coprire le chiacchiere di questi invasati? In coscienza , chi sceglierà il coraggio e non la paura? Si dovrebbe redigere una nuova tabella millesimale per ogni abitazione dell’edificio. Quante mani sui vecchi verbali? Egregio signor Fritz, la gestione traballa. Le cantine sono infestate da topi e scarafaggi . Non vorrei tediarla ulteriormente. Alle sei del mattino ,l’alba è inesistente . Un ultimo quesito; l’ amministratore vi tiene ancora sotto scacco? Tuttavia, vi chiedo di affiggere in bacheca un cartello con su scritto: affittasi monolocale posto al quarto piano – animali ammessi.
    Con stima
    Signorina Kantera

    P.S.
    Ma lei si farà vivo?

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  26. è una prima stesura. Tutti i miei componimenti subiscono variazioni…

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  27. UNA POESIA DI EDITH DZIEDUSZYCKA –

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    (alla maniera di Ewa Lipska e della nuova ontologia estetica)

    Caro signor Raggiro,
    tra rosa fra le dita e fetido concime,
    tra brandelli e stracci,
    ma con il cuor in mano,
    la schiena curva dall’artrite sotto il vestito nuovo,
    quello che concia per la festa,

    mi dica, signor Raggiro,
    quanti siamo, scongelati,
    con tacchi a spillo o luride ciabatte,
    a chiedere… a chi?
    a quale meccanico di quale Quartiere Generale,
    dove, quando andremo nel paese del Dopo?
    Credo siamo in tanti.

    Caro signor Raggiro,
    però, mi dica,
    ha notato una cosa che trovo io ben strana?
    Mi dica Lei, questa cosa
    se mai ci ha pensato,
    è che nessuno, salvo pochi eletti,
    mai si chiedono:
    del Dopo sì, va bene,
    ma noi, cibo da vermi,
    inquinati frammenti,
    che facevamo alla bassa marea
    nel paese del Prima?

    (E.D. 23.9.2017)

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  28. vincenzo petronelli

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    Ringrazio infinitamente Giorgio per aver risposto alla mia sollecitazione ed avermi offerto l’opportunità di approfondire la conoscenza di una grande voce come quella di Ewa Lipska (ed anche per il suo nuovo prezioso suggerimento riguardante la poesia di Daniela Crasnaru). Mi colpisce la potenza e la suggestività delle metafore della Lipska al tempo stesso ricercate e molto efficaci perché essenziali e non attinte dal bagaglio più ricorrente delle allegorie di stampo classico: lo dico amando i riferimenti a quel ricettacolo immenso di poesia che è il mondo del mito, ma certamente il suo è un contributo notevole all’innovazione e direi allo svecchiamento dei modelli linguistici poetici; quest’idea poi della poesia sotto forma di epistola trovo sia geniale sempre in termini di rinnovamento in quanto, completamente slegata dalla necessità di subordinazioni stilistiche a filoni di qualsiasi genere, le consente un’estrema libertà espressiva e di esibirsi in qualsiasi divagazione nel senso di un linguaggio ironico, corrosivo, abrasivo ed infine catartico.I miei complimenti vanno anche a tutti gli amici che hanno qui proposto le loro poesie seguendo la traccia “lipskiana”. Spero di non far torto a nessuno, ma mi hanno impressionato favorevolmente i giochi di equlibrismo linguistico, profondi ed ironici insieme di Giorgio, Mario Gabriele e Gino Rago, la cui statura poetica consente loro di trasformare in eccelsa poesia anche le pagine dell’elenco telefonico; la poesia sempre più incisiva ed “avvolgente” di Lucio (del quale ho tra l’altro scoperto recentemente il bellissimo blog , scrigno di vere e proprie gemme preziose); l’incredibile eclettismo di Francesca in grado di ammantare con le corde della sua veemente, vibrante visionarietà qualsiasi canone stilistico con cui si cimenti. Infine un plauso particolare (ma solo per una questione mia personale) vorrei rivolgerlo a Chiara Catapano, essendo è una voce poetica che ho cominciato a metabolizzare più di recente, forse perché non ho letto così tanto della sua produzione, ma anche e senz’altro perché è una versificazione un po’ distante dalla mia attitudine poetica, per cui considero una conquista importante il fatto di essermi riuscito ad impossessare ed a decifrare i suoi codici poetici, come sempre quando ho l’impressione di ampliare il mio “spettro visuale” sul mondo. Trovo la trama della sua poesia complessa, “concettuale”, ma affascinante per il modo in cui riesce a sintetizzare in poche righe il “generale” ed il “particolare” con una sapiente prospettiva antropologa capace sempre di riconnettere l’osservazione di campo agli “universali” dell’umanità. Mi fa piacere inoltre salutare l’intervento di Luigina Bigon, della quale ho avuto modo di apprezzare le poesie nei giorni scorsi. Buona serata a tutti.

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  29. Grazie Vincenzo,

    Ewa Lipska da L’occhio incrinato del tempo titolo originale: Droga pani Schubert (Cara signora Schubert, 2012) a cura di Marina Ciccarini (Armando, 2014) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa


    per la tua testimonianza di stima a nome di tutti coloro che contribuiscono con il loro lavoro alla crescita della rivista. mandaci presto le tue poesie ultime, sono certo che la nuova ontologia estetica ti avrà fornito l’occasione per un ulteriore sviluppo della tua poesia.

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