POESIE di Ewa Lipska, Dunya Mikhail, Annalisa Comes, Maria Rosaria Madonna, Laura Canciani – Commenti di Donatella Costantina Giancaspero e Giorgio Linguaglossa- Il problema della nuova ontologia estetica

 

foto arredamento pop

divano bianco con frammenti colorati

Strilli Talia2postati da giorgio linguaglossa
9 settembre 2017

Ewa Lipska (da Cara signora Schubert, 2012 trad it L’occhio incrinato del tempo, di Marina Ciccarini, Armando, 2013)

Il testamento

Cara signora Schubert, le scrivo da Amsterdam,
dove sono in borsa di studio per scrivere
il mio testamento. Il nostro amore l’ho lasciato al Passato
che, come sempre, rimettiamo al Futuro.
L’ho sottratto al sonno. Sono spuntate le rondini.
Il cielo era superfluo.

(trad di Marina Ciccarini, da Ewa Lipska, L’occhio incrinato del tempo, Armando, 2013)
Postilla.
Ecco, questa poesia potrebbe essere annoverata alla nuova ontologia estetica per il suo modo di essere scritta.

Ewa Lipska (da Cara signora Schubert, 2012)

Tra

Cara signora Schubert, mi chiedo dove andremo ad abitare Dopo. Dopo, cioè là dove prima c’era la fabbrica che produceva la vita d’oltretomba. Sarà tra ciò che non abbiamo fatto e ciò che non faremo più.

(trad di Marina Ciccarini, da Ewa Lipska, L’occhio incrinato del tempo, Armando, 2013)
Postilla.

Ecco, questa poesia potrebbe essere annoverata alla nuova ontologia estetica per il suo modo di essere scritta.

Ewa Lipska (da Cara signora Schubert, 2012)

Il nostro mondo

Cara signora Schubert, il nostro mondo è come una lettera scritta di proprio pugno dagli Dei, ma lo stile non vale niente…

(trad di Marina Ciccarini, da Ewa Lipska, L’occhio incrinato del tempo, Armando, 2013)
Postilla.

Ecco, questa poesia potrebbe essere annoverata alla nuova ontologia estetica per il suo modo di essere scritta.
Strilli Talia1

Strilli Rago

*

Dunya Mikhail

La tazza

La donna capovolge la tazza tra le lettere
spegne le luci a parte una candela
poggia il dito sulla tazza
ripete parole come formula magica
Spirito… se ci sei rispondi sì
La tazza si sposta verso destra per dire – sì –
– sei veramente lo spirito di mio marito che è stato ucciso?
la tazza si sposta verso destra per dire – sì –
– perché mi hai lasciato così presto?
la tazza indica le lettere: n o n d i p e n d e d a m e
– perché non sei scappato?
la tazza indica le lettere: s o n o s c a p p a t o
– e come ti hanno ucciso allora?
la tazza indica le lettere: a l l e s p a l l e
– che faccio di tutta la mia solitudine?
la tazza non si muove
– mi manchi
la tazza non si muove
– mi ami?
la tazza si sposta verso destra per dire – sì –
– posso farti restare qui?
la tazza si sposta verso sinistra per dire – no –
– vengo con te?
la tazza si sposta verso sinistra
– ci saranno cambiamenti nella nostra vita?
la tazza si sposta verso destra
– quando?
la tazza indica 1996
– stai bene?
la tazza – dopo un attimo di esitazione – si sposta verso destra
– che mi consigli di fare?
s c a p p a
– per andare dove?
la tazza non si muove
– ci sarà un’altra disgrazia?
la tazza non si muove
– che raccomandazione mi lasci?
la tazza indica una successione di lettere senza senso
– ti sei stancato di rispondere?
la tazza si sposta verso sinistra
– posso farti ancora domande?
la tazza non si muove
dopo un attimo di silenzio – la donna balbetta:
Spirito… vai in pace
poi chiama il figlio che è in giardino
a catturare insetti con un elmetto forato.

[ Traduzione di Elena Chiti, tichene@gmail.com  da La Guerra lavora duro, San Marco dei Giustiniani, 2011 ]

Anche questa poesia potrebbe essere ascritta alla nuova ontologia estetica.

Dunya Mikhail

La guerra lavora molto

La guerra
com’è
seria
attiva
e abile!
Sin dal mattino
sveglia le sirene
invia ovunque ambulanze
scaglia corpi nell’aria
passa barelle ai feriti
richiama la pioggia dagli occhi delle madri
scava nel terreno
dissotterra molte cose dalle macerie
alcune luccicanti e senza vita
altre pallide e ancora vibranti.
Suscita più interrogativi
nelle menti dei bambini.
Intrattiene gli dei lanciando
missili e proiettili
in cielo.
Pianta mine nei campi
semina buche e vuoti d’aria
sollecita le famiglie a emigrare
affianca i sacerdoti
quando maledicono il diavolo
(disgraziato, la sua mano è ancora infuocata. Brucia.)
La guerra è inarrestabile, giorno e notte.
Ispira i lunghi discorsi dei tiranni
conferisce medaglie ai generali
e argomenti ai poeti.
Contribuisce all’industria di arti artificiali
fornisce cibo alle mosche
aggiunge pagine ai libri di storia
mette sullo stesso piano vittima e assassino.
Insegna agli innamorati come si scrivono le lettere
insegna alle ragazze ad aspettare
riempie i giornali di storie e fotografie
fa rullare ogni anno i tamburi per festeggiare
costruisce nuove case per gli orfani
tiene occupati i costruttori di bare
dà pacche sulle spalle ai becchini
sorride davanti al capo.
La guerra lavora molto
non ha simili
ma nessuno la loda.

(da Non ho peccato abbastanza, antologia di poetesse arabe contemporanee, a cura di Valentina Colombo, Oscar Mondadori 2007)

Strilli Grieco

Strilli Rago

*

Annalisa Comes

Assenza

L’impronta sulla poltrona.
Il bicchiere posato sul comodino.
Il libro che stavi leggendo
con il segnalibro rosso
le annotazioni a margine
fermo a pagina 23
il libro di John Fante – Aspetta la Primavera –
immobile a pagina 23.
Tu questa primavera non l’hai
saputa aspettare.
Ma gennaio ti ha comunque
regalato piccole margherite
e i giochi del sole sui
vetri accanto al letto.
Il corpo non c’è più.
Il tuo corpo non so dove
sia.
Se non che la sua impronta,
il suo profumo
scalda ancora la stanza
la parola il libro.
E anch’io sono allora incerta
della mia esistenza.
Se tu non sei qui a
vedermi –
anch’io sono impronta
e libro
e mi ostino a non esserci.

*

Specchio

Che rimandi oggi?
Chi rimandi a me?
In piedi, in punta di piedi
guardo, controllo, domando.

Niente da indossare per i giorni
di festa.
Nessuno spettacolo.
A nessuno il sorriso.
A nessuna – il testimone dell’alba e
della notte.
Specchio, curva, immagine e
fantasma.

*

Forse c’è un aldilà.
È per questo che ci preparano
ben vestiti.
Abbandonate le passeggiate
nei boschi di abeti e di betulle,
abbandonate le scarpe
all’angolo delle scale.
Mentre l’erba
così fragile
eppure rimane ben distesa
magari a guardarci
ora in orizzontale.
Né perde il suo colore
Ma solo il corpo diventa leggero
e sulla terra
la nostra assenza non ha orme.

Gif Malika Favre 1

Strilli TosiLaura Canciani

Una lampada viva
non elimina il buio ma consente di attraversarlo.

*

Laura Canciani

Anna Albert

Degli Albert ricordo il cane nero, feroce
e bellissimo, il filo arrugginito lungo il quale
correva all’impazzata e abbaiava.

Lei aspettava la lettera dal fronte
come un imputato la sentenza
Arrivò una busta:

«se maschio, è buono per Hitler»
Senza rumore al cimitero fu aggiunta una croce

Onto mario Gabriele_1

Maria Rosaria Madonna

https://lombradelleparole.wordpress.com/2014/06/16/domenico-alvino-ascesi-ed-erotismo-in-stige-di-maria-rosaria-madonna-con-scelta-di-poesie-da-stige-1992-parte-ii/

da Stige (1992)

A giudicare dal lento movimento
dei corvi che in alto nel cielo disegnano vortici
di strida
non ci resta che imitare la conversatione degli Angeli
invetrare e invetriare una lingua tutta nostra
che sia monda dagli stilemi del peccato
e dall’usura delle stelle.

E se il candido Abele è stato ucciso
il giusto Salomone e la corrotta corte
di Babilonia caddero
e il lusso di Creso disparve
quid juris?.
Aeternitas est merum hodie.
Non erubesco meae miseria
plango non esse quod fuerim.

*

Caecata sum da mea libidine
et aurum atque orpella lentescens
supra mei capillum brillabant.

*

Ave, Maris stella
tra tutte la più bella.
Ave, gratia plena
io sola sono in pena.

*

Toto pulchro est amico meo
et macula non est in te.

*

In oculos meos sunt ferramenta
in mei auris sunt ligna
in mea mens sunt procella et turbine
et blasfemia mei persecutori resplango.

Strilli Leone

Donatella Costantina Giancaspero

Scrivere per «frammenti»

A scanso di equivoci per chi legge, vorrei puntualizzare che scrivere frammenti in poesia non significa “elencare frammenti senza nesso” e non è meno difficile che impostare la scrittura s’una consequenzialità manifesta di immagini e di legami sintattici. Nelle composizioni per frammenti (almeno in quelle autenticamente tali), quella logica, che sembra mancare, in realtà si cela dietro una cortina di articolate associazioni mentali, molte delle quali apprese dall’inconscio: la consequenzialità è data dal manifestarsi di molti «frammenti», che si succedono o sovrappongono, creando così due o più dimensioni temporali. Il «frammento», come scrive Giorgio Linguaglossa, “è colto da una preveggenza, oppure da uno stato sonnambolico nel quale la vigilanza della coscienza si affievolisce. Il «frammento» compare all’improvviso, nell’immenso disordine degli oggetti, è esso stesso un prodotto di quel disordine, ma, affinché vi sia «frammento» esso deve sortire fuori da una marcatura del tempo. È il tempo il demiurgo del «frammento», suo capostipite e suo padrone”.

A una lettura superficiale, la logica che lega i frammenti può passare inosservata: va dunque ricercata, in ogni caso, percepita, poiché tutta la nostra vita e il nostro pensare, anche quello più comune e quotidiano (o forse soprattutto quello) è composto da frammenti: quante volte, nella giornata, prendendo in mano un oggetto, o compiendo un’azione qualsiasi, non affiora alla mente il «frammento» di qualcos’altro, di qualcosa accaduta altrove, nel tempo… “Il frammento lo abbiamo davanti agli occhi in ogni istante della nostra giornata. La fenomenologia del mondo si dà in forma di frammento”. (G. Linguaglossa)
Tutta questa dinamica come può produrre una scrittura facile, basata s’una “elencazione frammentaria di immagini e situazioni in funzione straniante”? Tutto questo non conduce, semmai, a un sistema complesso e articolato di rappresentazione del mondo?

Strilli Sagredo2

Strilli Sagredo1Giorgio Linguaglossa

La questione del «frammento» in poesia era già stata messa a punto da Tynianov più di un secolo fa,

https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/09/07/due-poeti-a-confronto-la-poesia-poema-di-claudio-borghi-e-la-poesia-frammento-di-lucio-mayoor-tosi-lettura-di-mariella-colonna/comment-page-1/#comment-23573

Il «frammento» coinvolge il problema della «pausa» insieme a quello del «frammento», nonché il problema degli «equivalenti», degli isoritmi, cioè di quelle proposizioni di equivalente lunghezza timbrica e fonica. Gli «equivalenti» nella poesia moderna sono stati usati da tutti i poeti, non è un segreto per nessuno, ma è utile capire come e in quale modo gli «equivalenti» possono essere impiegati, cioè dis-locati all’interno di ogni singola proposizione. a rigore, ogni verso proposizionale è un «equivalente» di qualcos’altro, sta accanto e/o contro qualcos’altro. Nella poesia di Tranströmer ogni proposizione è un «equivalente» separato dall’altro e in attrito simbolico e iconico prima che semantico.

In Tranströmer

la semantica va in secondo piano. È lo slittamento semasiologico simbolico che assume un ruolo assolutamente preponderante. Chi non comprende questo punto non può fare, a mio avviso, poesia moderna. Farà ovviamente della rispettabilissima letteratura.
Riprendo una riflessione da Jurij Tynjanov: «La pausa è un elemento omogeneo del discorso, in cui occupa solo un posto che è suo, mentre l’equivalente è un elemento eterogeneo, che si differenzia per le sue stesse funzioni dagli elementi in cui viene introdotto. Questo spiega la non coincidenza dei fattori di equivalenza con l’impostazione acustica del verso:

l’equivalente non ha espressione acustica; acusticamente si esprime solo la pausa. In qualsiasi modo siano pronunciati i frammenti attigui, qualsiasi pausa venga a sottolineare lo spazio vuoto, il frammento resta appunto frammento: ma la pausa non ha significato di strofa, resta pur sempre una pausa che non occupa nessun posto altrui, a parte il fatto che essa non ha il potere di esprimere la quantità dei periodi metrici e dunque nemmeno il ruolo costruttivo di equivalente».1]

Grammont

nel suo trattato sul verso francese, per esempio, «dichiara illegittimi, erronei, tutti i casi di ritmo non motivato. Perciò egli considera, per esempio, errore tutto il vers libremoderno, in quanto le variazioni dei gruppi ritmici non coincidono in esso con altrettante variazioni semantiche.
In base ad una siffatta impostazione del problema è naturale che il ritmo poetico venga già in partenza investito di funzioni che gli sono proprie solo su un piano comune di discorso (emozionalità e comunicatività)».2]

È ovvio che Grammont non rileva l’espressività del ritmo in se stesso, ma intende il ritmo in quanto giustificato semanticamente. Se Grammont leggesse una poesia di Tranströmer, non c’è dubbio che la liquiderebbe con l’annotazione di: «errata corrige». Sfugge a Grammont il fatto che l’equivalente spezza l’automatismo del metro. Questo è un punto decisivo per la poesia moderna del Dopo Grammont, direi; cioè il fatto di comprendere che la poesia contemporanea è da tempo indirizzata a rompere le equivalenze metriche e a dissolverle in una nuvola gassosa di «frammenti» in stato di agitazione.

Si tenga presente l’interessante annotazione di Tynjanov

a proposito di una strofa di Puskin: «L’incompiutezza diventa in questo caso un fatto estetico», e commenta: «ancora più evidente appare qui l’insufficienza di una spiegazione acustica degli equivalenti». In una parola, fare una poesia di «frammenti» è cosa alquanto diversa dal fare una poesia «frammentaria», come da più parti mi si è rimproverato da chi non capiva il mio discorso.

Qui, mi sembra stia un punto decisivo per comprendere la migliore poesia moderna.

Sempre da Tynjanov: «la dinamica della forma è una continua trasgressione dell’automatismo, un continuo porre in risalto il fattore costruttivo, con la conseguente deformazione dei fattori subordinati.
L’antinomicità della forma risiede, in questo caso, nella continuità stessa della sua interazione (ossia della lotta) con l’uniformità dello svolgimento che ne autorizza la forza. Perciò il cambiamento del rapporto fra il fattore costruttivo e gli altri fattori è una delle esigenze imprescindibili di una
forma dinamica. Sotto tale aspetto la forma è un continuo montaggio di equivalenti diversi che incrementa il dinamismo dell’insieme».3

Un altro degli spunti di Tynjanov

che mi sentirei di sottoscrivere in pieno è il seguente:

«Sul significato dinamico degli equivalenti può essere basato in parte il significato artistico del “frammento” come genere».

È ammirevole la lucidità e l’acutezza di questa osservazione: qui il critico russo definisce il «frammento» come genere», anticipando di cento anni circa le nostre conclusioni sulle funzioni del «frammento» nell’ambito della poesia moderna.

Ed ecco il passo decisivo con il quale il critico formalista liquida la questione del «metro»:

«Il metro, come sistema regolatore di accenti, può anche non esservi: esso trova infatti fondamento non tanto nella presenza del sistema quanto piuttosto in quella del suo principio. Il principio del metro consiste nel raggruppamento dinamico del materiale del discorso in base agli accenti. E dunque la cosa più semplice e fondamentale sarà la designazione di un qualsiasi gruppo metrico come unità; questa designazione è nel tempo stesso anche l’anticipazione dinamica di un gruppo seguente e analogo
(non identico, ma precisamente analogo); se l’anticipazione metrica arriva a compimento, ecco che abbiamo un sistema metrico; il raggruppamento metrico passa attraverso:

1) l’anticipazione dinamica della successione metrica e,
2) la resoluzione metrica dinamico-simultanea, che unifica le unità metriche in gruppi superiori o interi metrici.

La prima costituirà evidentemente un elemento di propulsione progressivo del raggruppamento, mentre la seconda agirà in senso regressivo. anticipazione e resoluzione (e insieme ad esse anche unificazione) possono andare in profondità dividendo le unità in parti (cesure, piedi); oppure possono operare anche su gruppi d’ordine superiore e portare al riconoscimento della forma metrica (il sonetto, il rondò, ecc., in quanto forme metriche). Questa caratteristica ritmica progressivo-regressiva del metro è una delle cause per cui esso è una delle componenti principali del ritmo […] un verso siffatto sarà metricamente libero, vers libre, vers irreguliers: il metro come sistema viene sostituito dal metro come principio dinamico, come orientamento sul metro, come equivalente del metro».4]

Dirò di più: il «metro»,

inteso come unità di misura di rapporti stabili di durata che uniscono fra loro suoni di varia provenienza e in gruppi diversi, il «metro» inteso come il prodotto di una «durata», e quindi con un concetto di rigidità di tali rapporti, non esiste più da tempo. Non è da confondere con il concetto di «dinamica» inteso dalla poesia di un Tranströmer, cioè non più semplicemente come una serie di suoni in un dato tempo, ma come un campo di forze in continuo movimento e in perenne instabilità suscettibile di perdite di equilibrio e di dis-continuità. In questo contesto di pensiero la «pausa» morta del metro rigido tradizionale non c’è più e bisogna sostituirla con un nuovo concetto di «pausa dinamica» che si muove in «tempi differenti» e in «spazi differenti». La «pausa» cessa così di essere un tempo irrazionale vuoto utilizzata in funzione separatoria di proposizioni eufoniche, e diventa un elemento attivo che entra all’interno delle determinazioni frastiche dinamiche. Non si hanno più nella poesia moderna gruppi fonici ma «campi fonici in perpetuo cinetismo». In questo nuovo contesto di pensiero, mi rendo conto che ci stiamo avviando verso un tipo di poesia che non conoscevamo e che non abbiamo ancora conosciuto.

E riporto una annotazione geniale di Tynjanov a pag. 35 del medesimo libro:

«il metro, come regolare sistema di accenti, può anche non esservi».

È agevole capire da questi pochi accenni come qui stia sorgendo un nuovo modo di concepire e scrivere poesia.

1J. Tynjanov, Saggi di arte e letteratura, Il Saggiatore, Torino, 1968 pp. 29, 30.
2 Ibidem, p. 57.
3 Ibidem, p. 32, 33.
4 Ibidem, p. 36.

10 commenti

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10 risposte a “POESIE di Ewa Lipska, Dunya Mikhail, Annalisa Comes, Maria Rosaria Madonna, Laura Canciani – Commenti di Donatella Costantina Giancaspero e Giorgio Linguaglossa- Il problema della nuova ontologia estetica

  1. LETTERA SULLA NUOVA-VECCHIA POESIA
    caro Claudio Borghi,
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/09/10/poesie-di-ewa-lipska-dunya-mikhail-annalisa-comes-maria-rosaria-madonna-laura-canciani-commenti-di-donatella-costantina-giancaspero-e-giorgio-linguaglossa-il-problema-della-nuova-ontologia-este/comment-page-1/#comment-23673
    forse non ci crederai, ma mi dispiace averti messo in ambasce con le mie (nostre) osservazioni; credimi, noi tutti siamo stati costretti a intraprendere questa via, intendo la via della «nuova ontologia estetica» o comunque la si voglia chiamare, insomma, una «via diversa»… la poesia italiana dormiva da troppi decenni i suoi sonni tranquilli, occorreva uno scossone, occorreva una inversione di marcia, dare un segnale che finalmente la faglia si era rotta. È così che sono iniziati i movimenti tellurici della «poesia diversa». Del resto, poeti e poetesse italiani/italiane sono da tempo avviati in questa direzione.

    Hai letto le poesie di Laura Canciani, Annamaria Comes e Maria Rosaria Madonna? (sono tre poetesse che senza sapere l’una dell’altra da tempo erano avviate in questa direzione). È un processo per fortuna inarrestabile, che andrà necessariamente avanti, come un terremoto. Alla scossa tellurica principale che abbiamo dato, seguiranno innumerevoli scosse di assestamento. Tutto ciò è e sarà inevitabile. Certo, tenteranno di ignorarci, tenteranno di delegittimarci, quelli delle istituzioni degli uffici stampa, intendo; tutto ciò è comprensibile, fa parte delle regole non scritte di un gioco. Ma ormai la scossa tellurica principale è stata data, e noi non possiamo che andare avanti.

    Credimi, io quando lessi il libro di Tynjanov, nei primi anni settanta (ho trovato i passi che ho citato segnati in rosso) non avevo ben compreso la portata rivoluzionaria delle osservazioni del critico russo in merito al «frammento», all’epoca non avevo il bagaglio di cognizioni che ho adesso. Però avevo segnato in rosso quelle osservazioni. Qualcosa era rimasto nella mia mente di quella lontana lettura se dopo 40 anni circa sono tornato ad aprire quel libro per cercarvi quel paragrafo sul «frammento» nella poesia russa…

    Sono rimasto fulminato dalla acutezza e dalla precisione delle osservazioni del critico russo. Quando ho riletto il libro, ormai ero pronto a comprendere in profondità quello che il critico russo aveva scritto, ho capito che di lì nasceva, sarebbe nata la «nuova poesia». Pensa, ci sono arrivato con circa 40 anni di ritardo. Pensa.

    Nel frattempo l’Italia è cambiata, sono cadute tutte le ipotesi di poesia messe sul tappeto in questi lunghi e brevi decenni… avevo capito che di tutte quelle petizioni di poetica non era rimasto nulla e che bisognava riprendere il cammino per troppo tempo interrotto…

    Tutto qui, non ho altro da dire.

  2. copio e incollo queste tre poesie di

    Fritz Hertz
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/09/10/poesie-di-ewa-lipska-dunya-mikhail-annalisa-comes-maria-rosaria-madonna-laura-canciani-commenti-di-donatella-costantina-giancaspero-e-giorgio-linguaglossa-il-problema-della-nuova-ontologia-este/comment-page-1/#comment-23674
    l’odore del bollito
     
    Dividiamo l’odore del bollito
    In parti uguali I compiti
    Dei bambini riposano sotto l’aculeo di una piccola
    lampada
    Di fronte alla nostra casa
    Hanno messo macigni di eliopropo
    Ben schiacciato
    Ci somigliamo tutti
    Mentre la cena si serve dalla pentola annerita sopra ogni piatto
    Lalie è ferma in penombra Da qualche minuto
    Il verso della civetta ai lati diunafreddaustione
    De Chirico scivola dal suo ritratto
    Per lavarsi le mani Nel sonno

    Quindi, hai preso l’ombrello?

    .Quindi, hai preso l’ombrello ?
    Hai cambiato la gonna sporca?
    E’ tutto lì
    Prima il cappotto e le chiavi poi
    Il perno dell’ombra che varia
    dentro le vecchie scarpe
    Devi stare attenta tesoro…
    Le brutte orche svolazzano in aria
    Fuori piove bruciato

    in entrambi i casi

    In entrambi i casi si amano
    Lui genera con mani esperte la quantità esatta
    dei porcospini
    Lei
    durante
    l’inverno
    addestra
    gli aculei
    quale coach
    per l’altra cucciolata
    Gradualmente
    un disegno
    netto e circolare
    l denti sono stati vaccinati per la rabbia
    Con loro due
    e nella massa del branco
    precipito davanti a tutti i pianeti

  3. da Francesco Di Giorgio, La cruna, lo spazio, il tempo (Progetto Cultura, 2016)
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/09/10/poesie-di-ewa-lipska-dunya-mikhail-annalisa-comes-maria-rosaria-madonna-laura-canciani-commenti-di-donatella-costantina-giancaspero-e-giorgio-linguaglossa-il-problema-della-nuova-ontologia-este/comment-page-1/#comment-23675
    IV.

    La volontà… non sa mai
    quello che voglia in generale:
    ogni atto singolo ha un fine;
    la volontà nel suo insieme non ne ha nessuno
    .
    (Arthur Schopenhauer)

    Il detto-folle guarda dall’alto la figlia della luna (è
    arrivato al quarto scalino); sale al quinto ma la distanza
    dalla stella nera non cambia.

    La madre della figlia della luna mostra l’altra faccia del cerchio.
    Il padre della figlia della luna dà il massimo di luce.
    La figlia della luna vuole riavviare il moto e implora il padre.

    I diseredati senza benda smarriscono il sentiero del
    labirinto; al confine della prima porta si accalcano e si calpestano respinti dal massimo di luce.
    Solo uno sopravvive.

    I perduti al confine della settima porta sfondano il massimo di luce.
    In fila indiana scivolano nella lava.

    Il detto-folle sul settimo scalino ride forte e distrae l’ultimo perduto.

    L’ultimo perduto si ferma sul limite e sopravvive.

    L’ermafrodito scisso in due chiede aiuto alla madre della
    figlia della luna.

    Il padre della figlia della luna ridà il buio all’altra faccia
    del cerchio della madre della figlia della luna.

    V.

    Eternamente imperfetto,
    immagine imperfetta di un’eterna contraddizione,
    gioia inebriante per il suo imperfetto creatore:
    tale mi parve un giorno il mondo.

    (Friedrich W. Nietzsche)

    La madre della figlia della luna prende le sembianze dell’altra faccia del cerchio.
    La figlia della luna si pone sul limite dell’ombra e non la
    riconosce.
    La figlia della luna vorrebbe piangere.

    Il padre della figlia della luna accontenta la figlia e ridà il
    moto ma al crocevia lo slittamento altera l’inclinazione della cruna e produce nell’angolo un vuoto di spazio
    mentre si annulla il tempo.

    L’ultimo perduto e il diseredato non riconoscono il sentiero come labirinto e passeggiano in quella che
    appare come foresta.
    Camminano indifferenti sui corpi degli uccisi.

    L’ermafrodito scisso in due sosta affascinato sull’orlo del
    vulcano mentre il nucleo riprende a vorticare.

    Il detto-folle riposiziona la scala e riprende l’ascesa.
    Guarda verso l’alto e riconosce la stella nera.
    Guarda verso il basso e ride.

    VI.

    O dottor Pangloss!
    Se questo è il migliore dei mondi possibili,
    come saranno gli altri?

    (Voltaire)

    La figlia della luna in bilico sull’ombra del vuoto scivola
    sull’arco della cruna e gioca con il compagno che non riconosce come morto.

    La madre della figlia della luna si fa riconoscere dalla
    figlia come madre.
    Si oscura per chiarire la visione.
    La figlia della luna guarda il compagno e interroga la madre.
    Vorrebbe piangere.

    L’ultimo perduto e il diseredato cercano di guardare la madre della figlia della luna ma l’intrico della foresta lo
    impedisce.
    Soffrono di solitudine.
    Piangono.

    Gli uccisi si muovono a fatica in quella che riconoscono
    come foresta e cercano l’uscita.
    Il boato proveniente dal vulcano li spaventa.
    Gli uccisi piangono.

    L’ermafrodito scisso in due crede di vedere tra le figure
    degli scivolati che risalgono dal vulcano l’altro sé.
    Vuole lanciarsi per abbracciarlo.
    Il detto-folle con un piede sul sesto scalino agita
    violentemente il bastone.

    L’ermafrodito scisso in due si distrae e smarrisce la
    visione.
    Invoca la madre della figlia della luna ma questa non risponde.
    L’ermafrodito scisso in due piange.

    Il detto-folle con un piede sul settimo scalino guarda in
    basso.
    Ride.

  4. Non chiedersi il perché della luna
    della pietra dell’erba
    della coda bianca del lepre
    e non è pena
    mi chiedo perché mi sia pena
    quando ti chiedo il perchè
    e tu non rispondi

    ***

    Scalarti nelle cose del vento
    foglia dopo foglia
    nido che custodisce la lacrima
    e provocarti al ritorno
    rischio di reti
    precetto di dislocazioni
    e chi ruba ai vetri l’imagine
    distribuisce la lingua e i piani
    e ti salda arma solare
    prtesta del tempo bruciato

    (Gian Giacomo Menon – Poesie inedite 1968-1969, Aragno, 2013)

    Gian Gaicomo Menon è stato un poeta eccellente, a Udine si conservano le sue poesie, le lettere e gli scambi con l’ambiente culturale italiano del prima e dopo guerra. Credo che riserverebbe non poche piacevoli sorprese per i poeti della NOE e non solo.
    Qui un approfondimento, ma mi piacerebbe presentarlo (spero assieme all’amico Cesare Sartori che ne cura il lascito poetico) ad uno dei prossimi incontri-laboratorio:
    http://www.giangiacomomenon.it/

  5. antonio sagredo

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/09/10/poesie-di-ewa-lipska-dunya-mikhail-annalisa-comes-maria-rosaria-madonna-laura-canciani-commenti-di-donatella-costantina-giancaspero-e-giorgio-linguaglossa-il-problema-della-nuova-ontologia-este/comment-page-1/#comment-23697
    Non vi è dubbio per me che i versi della M. R. Madonna rischiano di assumersi una sublimità che la poetessa stessa cercava in tutti i modi di evitare, affinché potessero esprimersi anche nei “frammenti” della sua stessa vita; con la Busacca forma una coppia difficilmente ripetibile, poiché la loro sostanza poetica elimina con l’assenza anche la mancanza delle loro esistenze.
    I versi delle due poetesse rivelano l’inutilità di una vita vissuta pienamente,
    quando il contrario è ben più ricevibile, come afferma la poesia della Dickinson, e loro due ne sono la più diretta e irreversibile discendenza.
    L’americana le avrebbe desiderate “possedere” come presenze quotidiane.

  6. vincenzo petronelli

    ebbene in ritardo a causa degli esorbitanti impegni di lavoro di questo periodo, voglio esprimere il mio “rapimento estatico” per la poesia nei versi che ho appena letto!!Devo confessare che mi riesce difficile persino esprimere un commento organico, perché quest’articolo è un quasi una “summa” di tanti aspetti cruciali della Nuova Ontologia Estetica, difficili da condensare in un unico intervento.L’affermazione incontestabile che ne scaturisce è ancora una volta il mio entusiasmo per l’approccio, la filosofia poetica che contrassegna il progetto NOE che personalmente mi ha dischiuso quella soglia verso che cercavo, cioè la porta d’ingresso in quel microcosmo poetico che permette di racchiudere, rappresentare il macrocosmo con le sue sfaccettature, cercando non solo e non tanto il ritratto oggettivo (cioè del significante) bensì – obiettivo cui sempre dovrebbe sottendere la creazione artistica – di indagare, scovare, portare alla luce, la logica profonda, il significato cui il mondo ed in ultima istanza la vita stessa soggiace; kantianamente (ripeto una formula già precedentemente citata) si tratta di passare dalla rappresentazione del mondo (il “noumeno” kantiano, per quanto Kant riconoscesse il fatto che già tale meccanismo di rappresentazione fosse possibile solo mediante l’attività intellettuale) alla “Ding an Sich”, alla vera sostanza della vita e del mondo.

    Non conosco sinceramente un altro modello di linguaggio poetico che consenta, così come fa la NOE, di riprodurre in poesia la complessità, la frastagliatura dell’esistenza, che non può emergere ricercandolo nel “tutto”, ma bensì in un approccio olistico in cui sia il particolare, il dettaglio, il frammento ad illuminare, a precisare il contorno della “cosa”. In tutti i poeti propostici da da Giorgio in quest’articolo sento qualcosa di mio, un contributo importante, arricchente all’interno di questo percorso personale di ri-definizione del mio modello di poesia; mi sento perciò ancora una volta di elogiare il nostro Giorgio per riuscire a proporci ogni volta della grande Poesia (rigorosamente con la “P” maiuscola) e che spesso riesce a sottoporci anche delle voci poetiche che, per quanto mi riguarda almeno, pur essendo un “onnivoro” della poesia, non posso dire di conoscere alla perfezione.
    Sono risultate delle delle vere e proprie scoperte per me i componimenti di Ewa Lipska e Dunya Mihail, così come rappresentano un prezioso approfondimento i versi di Annalisa Comes e Laura Canciani, entrambe solenni ed emozionanti con la loro capacità di sottolineare e cogliere il momento-memento; è una conferma invece la poesia ieratico-eretica della grande Maria Rosaria Madonna.

    Analogamente anche le poesie di Fritz Hertz e Francesco Di Giorgio, riportate da Giorgio tra i commenti, dischiudono degli spiragli molto interessanti, per quanto senta le prime a me più prossime delle seconde; infine i miei complimenti a Serena Menichetti, i cui versi mi risultano sempre molto apprezzati ed anche particolarmente affini alla mia “Weltanschauung” poetica (del resto mi è sembrato di capire che stia seguendo un percorso di rinnovamento dei suoi modelli di riferimento poetici simile al mio) ed a Chiara Catapano per la consueta incisività dei suoi testi, capaci di racchiudere un intero universo di significato nella “brevitas” de:la sua versificazione:decisamente un esempio per la poesia della NOE. Infine un ringraziamento a Giorgio anche per il suggerimento riguardante Gian Giacomo Menon, che non conoscevo assolutamente e che mi prefiggo di approfondire quanto prima.Un saluto a tutti gli amici dell’ “Ombra”.

  7. caro Vincenzo Petronelli,
    colgo al volo il tuo invito a conoscere meglio la poesia di Ewa Lipska, domani posterò alcune poesie della poetessa polacca.

  8. Elegia (1973)

    Apro la prima porta
    È una grande stanza soleggiata.
    Un’auto pesante passa per la strada
    e fa tremare il vasellame.

    Apro la porta numero due.
    Amici! Avete bevuto il buio
    e siete divenuti visibili.

    Porta numero tre. Una stretta camera d’albergo.
    Vista su una strada secondaria.
    Un lampione che scintilla sull’asfalto.
    La bella scoria delle esperienze

    Lo sguardo dell’inverno

    Mi appoggio come una scala e arrivo
    col viso al primo piano del ciliegio.
    Sono dentro la campana dei colori che suona di sole.
    Finisco le ciliegie rossonere più svelto di quattro gazze.

    Allora mi colpisce d’improvviso un freddo da lontano.
    L’attimo s’annera
    e rimane some segno d’ascia in un tronco.

    da adesso in poi è tardi. Andiamo via quasi correndo
    sparendo alla vista, giù, giù, fra le cloache antiche.
    I tunnel. Là camminiamo per mesi,
    metà per lavoro e metà per fuga.

    Corta devozione se una botola s’apre sopra a noi
    e una debole luce cade.
    guardiamo in alto: il cielo stellato attraverso il tombino.

    Tardo maggio (1973)

    Meli e ciliegi in fiore aiutano il luogo a librarsi
    nella dolce sporca notte di maggio, bianco salvagente, volano i pensieri.

    Erbe ed erbacce con silenziosi insistenti battiti di ali.
    La buca per le lettere splende zitta, lo scritto non si può ritrattare.

    Dolce freddo vento attraversa la camicia e cerca il cuore.
    Meli e ciliegi, ridono in silenzio di salomone
    fioriscono nel mio tunnel. io ho bisogno di loro
    non per dimenticare ma per ricordare.

    Musica lenta (1966)

    L’edificio è chiuso. Il sole entra attraverso i vetri delle finestre
    e riscalda la parte superiore delle scrivanie
    che sono abbastanza forti da sopportare il peso dei destini umani.

    Siamo fuori oggi, sulla discesa lunga e larga.
    Molli vestiti di scuro. Si può stare nel sole ad occhi chiusi
    e sentire il vento che lentamente spinge avanti.

    Arrivo troppo raramente all’acqua. Ma adesso sono qui
    fra grandi pietre dai pacifici dorsi.
    Pietre che lentamente sono retrocesse su dall’onda.

    Notturno (1962)

    Guido attraverso un villaggio di notte, le case spuntano
    nella luce dei fari – sono sveglie, vogliono bere.
    Case, fienili, cartelli, veicoli senza padrone – è adesso
    che si vestono di Vita. – Gli uomini dormono:

    Alcuni possono dormire tranquilli, altri hanno il volto
    teso come stessero in duro allenamento per l’eternità.
    Non osano lasciarsi andare benché il loro sonno sia pesante.
    Riposano come sbarre abbassate quando il mistero passa.

    Usciti dal villaggio la strada va tra gli alberi del bosco.
    e gli alberi silenziosi concordi fra di loro
    hanno un colore teatrale che è nel riflesso del fuoco.
    Come sono evidenti le loro foglie! Mi seguono fino a casa.

    Nel letto per dormire, vedo immagini sconosciute
    e segni che si scarabocchian da soli dietro le palpebre
    sul muro del buio. Nella fessura fra veglia e sonno
    una grande lettera cerca d’infilarsi invano.

    La stazione (1983)

    Un treno è entrato. Sta qui vagone per vagone,
    ma chiuse sono le porte, nessuno sale o scende.
    Ma ci son le porte? Là dentro pullula
    di gente chiusa dentro che va avanti e dietro.
    Guardano fuori per i finestrini immobili.
    E fuori passa un uomo lungo il treno con un martello.
    Batte sulle ruote, batte piano. Ma non qui!
    Qui si dilata il suono stranamente: una tempesta,
    uno scampanio da duomo, un suono da viaggio intorno al mondo
    che alza tutto il treno e le pietre umide della contrada.
    Tutto canta. Dovete ricordarvelo. Continuate il viaggio!

    Air mail (1989)

    Alla ricerca di una buca
    portai la lettera per la città.
    Nel bosco grande di pietra e cemento
    svolazzava questa farfalla smarrita.

    Il tappeto volante del francobollo
    le traballanti lettere dell’indirizzo
    più la mia verità sigillata
    adesso sospesa sopra il mare.

    L’argento strisciante dell’Atlantico.
    I banchi di nuvole. La barca da pesca
    come un osso d’oliva sputato.
    E la pallida cicatrice della scia.

    Quaggiú il lavoro procede piano.
    Guardo spesso l’orologio.
    Le ombre degli alberi sono cifre nere
    nel silenzio avaro.

    La verità sta per terra
    ma nessuno osa prenderla.
    La verità sta per la strada.
    Nessuno la fa sua.

    Arcate romaniche (1989)

    Dentro l’enorme chiesa romanica s’affollavano i turisti
    nella penombra.
    Volta si spalancava dietro volta senza fine.
    Svolazzavano fiamme di candela.
    Un angelo senza volto mi abbracciò
    e sussurrò attraverso tutto il corpo:
    “Non vergognarti di essere uomo, sii fiero!
    Dentro te s’apre volta dietro volta all’infinito.
    Non finisci mai ed è così che deve essere”.
    Ero accecato dalle lacrime
    e fui spinto fuori nella piazza piena di sole
    insieme con Mr. e Mrs. Jones. Il Signor Tanaka e
    la Signora Sabatini
    e dentro loro s’apriva volta dietro volta all’infinito.

    .
    Volantini (1989)

    La silenziosa rabbia scarabocchia sul muro in dentro.
    Alberi da frutto in fiore, il cuculo chiama.
    È la narcosi della primavera. Ma la silenziosa rabbia
    dipinge i suoi slogan all’inverso nel garage.

    Vediamo tutto e niente, ma dritti come periscopi
    presi da una timida ciurma sotterranea.
    È la guerra dei minuti. Il bruciante sole
    è sopra l’ospedale, il parcheggio della sofferenza.

    Noi chiodi vivi conficcati nella società!
    Un giorno ci staccheremo da tutto.
    Sentiremo il vento della morte sotto le ali
    e saremo piú dolci e piú selvaggi che qui.

    Profondamente in Europa (1989)

    Lo scafo scuro che galleggia fra due chiuse
    riposo nel letto dell’albergo mentre la città intorno si sveglia.
    La sveglia silenziosa e la luce grigia entrano dentro
    e lentamente mi sollevano al prossimo livello: il mattino.

    Orizzonte ascoltato. Vogliono dir qualcosa, i morti.
    fumano ma non mangiano, non respirano ma hanno voce.
    Mi affretterò per le strade come uno di loro.
    la nereggiante cattedrale, pesante come luna, ha flusso di marea.

    (T. Tranströmer trad. Enrico Tiozzo da Poeti svedesi contemporanei, ed. Bi Bo, 1992))

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