Rosa Pierno POESIE SCELTE da coppie improbabili, Pagine d’Arte, 2007 con una divagazione di Giorgio Linguaglossa

Lucio Mayoor Tosi Sponde

Lucio Mayoor Tosi, Sponde

Rosa Pierno è nata a Napoli nel 1959 e ivi laureata in Architettura, vive a Roma. Dal 1993 fa parte della redazione della rivista di ricerca letteraria “Anterem” diretta da Flavio Ermini, Verona. Cura la rubrica Tangenze per la rivista d’arte “Il Libretto”, edizioni Pagine d’arte, Svizzera. Ha curato per tre anni il blog “Trasversale” (2011-2014). Suoi testi sono presenti nelle riviste Anterem, Poesia, Musica/Realtà, Next, Malavoglia, Almanacco, Bloc Notes, èlites, Semicerchio, Il Segnale, Formafluens, l’Ulisse, Equipèco. E’ presente con la sua cospicua attività critica nei seguenti siti e riviste: Mannieditore, Tellusfoglio, VicoAcitillo, Carte allineate, Anterem, L’Immaginazione, Malavoglia, Lietocolle, Lucreziana 2008, Il Segnale, PoetryInTime, Rebstein, Lietocolle, Leggendaria, Milanocosa, I fogli, TestualeCritica.

Ha pubblicato:

“Corpi” Anterem, Verona, 1991,
“Buio e Blu” Anterem, Verona, 1993,
“Didascalie su Baruchello” Roma, 1994,
“Interni d’autore” Edizioni Joyce & Company, Roma, 1995
“Musicale” Anterem, Verona, 1999
“Arte da camera” edizioni d’if , Napoli, 2004
“Trasversale” Anterem, Verona, 2006 (Premio Feronia Città di Fiano 2006 Sezione Poesia)
“Coppie improbabili”, Milano, 2007 Edizioni Pagine d’arte
“Artificio”, Robin, Roma, 2012
E’ presente nelle antologie:
“Akusma” edita da Metauro edizioni (2000)
“Poesia in azione” a cura di Vaccaro e Guidetti, , Milano, edito da Milanocosa,
“CIRPS” (antologia multimediale) curata da Francesco Muzzioli (2001)
“Verso l’inizio. Percorsi di ricerca poetica oltre il Novecento” Verona, Anterem, 1999
“Parola plurale”Luca Sossella editore, Roma 2005
“Monti Lepini” con Davoglio, Hajdari, Pierno, Theophilo a cura di Filippo Bettini, Quaderni del Capanno2008
“Calendario della poesia italiana”Alhambra publishing, Belgio, 2010
“Blanc de ta nuque” di Stefano Guglielmin, 2012
Suoi testi sono presenti nei seguenti libri e cataloghi d’arte

Lucio Mayoor Tosi Composizione di immagini

Lucio Mayoor Tosi, Composizione di immagini

Ora, se considerate il vaso come oggetto fatto per rappresentare l’esistenza del vuoto al centro del reale che si chiama la Cosa, questo vuoto, quale si presenta nella rappresentazione, si presenta appunto come nihil, come nulla. Ed è per questo che il vasaio, proprio come voi a cui sto parlando, crea il vaso attorno a questo vuoto con la sua mano, lo crea proprio come il creatore mitico, ex nihilo, a partire dal buco […]. Con l’introduzione di questo significante plasmato che è il vaso,
si ha già tutta la nozione di creazione ex nihilo.
E la nozione di creazione ex nihilo è coestensiva all’esatta situazione
della Cosa come tale.

(Jacques Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio, in Scritti, p. 313)

L’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità […] veri sono solo i pensieri che non comprendono se stessi […] il tutto è falso […] non si dà vera vita nella falsa.

(T.W. Adorno Teoria estetica, 1970)

Scrivere significa ritirarsi. Ma non nella tenda per scrivere, ma dalla scrittura stessa.
Arenarsi lontano dal proprio linguaggio, emanciparlo o sconcertarlo,
lasciarlo procedere solo e privo di ogni scorta.
Lasciare la parola. Essere poeta significa saper lasciare la parola.
Lasciarla parlare da sola, il che essa può fare solo nello scritto […]
Una poesia corre sempre il rischio di non avere senso
e non avrebbe alcun valore senza questo rischio

(Jacques Derrida)

Queste forme un tempo così ben disposte
docili sempre pronte a ricevere
la morta materia poetica
spaventate dal fuoco e dall’odore del sangue
si sono spezzate e disperse

(Tadeusz Różewicz)

Le citazioni a mio giudizio  servono a indicare, a sviare e ad avviare, in modo indiretto, il lettore verso l’operazione perseguita da Rosa Pierno, quella di rappresentare in poesia l’opera di maestri della pittura. Quello che mi colpisce è la matematica calibratura della presentazione linguistica: da una parte gli «oggetti» raffigurati, dall’altra la rappresentazione linguistica. Le due cose, ovviamente, non si equivalgono, non c’è contiguità, semmai c’è specularità: poesia e segno pittorico sono due specchi che si specchiano l’un l’altro; in tal senso intendo la loro specularità, appunto in speculum et in aenigmate. Nella sua essenza, lo specchio specchia in modo mirabile il vuoto che c’è attorno agli oggetti, che aleggia nelle cose, dentro le cose. È il vuoto, credo, che attira qui l’attenzione dell’autrice verso le opere pittoriche, la capacità di far vuoto attorno agli «oggetti» raffigurati e di rappresentarli linguisticamente in esso vuoto.

Come è noto, dopo la seconda guerra mondiale è avvenuto un fenomeno che non era nuovo, che si era già manifestato agli inizi del novecento, ma che nel corso degli anni del secondo novecento è diventato visibile a chiare lettere. Quelle «forme» di cui ci ha parlato Tadeusz Różewicz, «spaventate dal fuoco e dall’odore del sangue / si sono spezzate e disperse», quel verso libero, o meglio il verso a-metrico, figlio bastardo del nichilismo e dell’epoca tecnologica, è diventato il nostro regolo, la nostra incerta ed instabile dimora, la moneta corrente del poeta di oggi. In Rosa Pierno è ben visibile questo «ritirarsi» dalla «scrittura», questo «ritirarsi» dalle forme consunte del poetico…

(Giorgio Linguaglossa)

 

Rosa Pierno 1

Rosa Pierno

Filippo De Pisis 

Colore, invecchiato come vino, che corrompe gli oggetti, li ammanta di andato, di speso e, però, resta a imperituro ricordo dell’attimo.

La vista del corpo nudo è visione d’eterno. Occhi contornano e scorrono sulla pelle, mani solcano il foglio che accoglierà il reperto. Se è andato via, era qui prima, e si è fatto rapire da un disegno.

Pezzi di pane e anemoni sono testimoni che non durano più di un giorno. La bottiglia è già quasi vuota e la tavola e i fondali sono sporchi, trascurati dal male dell’amore.

Un piccolo altare votivo nell’attesa che tu bussi alla porta, mentre non ti aspetto. Una mela gialla, un uccello morto, un ventaglio e una tabacchiera per propiziare la tua presenza. Pittorico evento.

Aringhe dorate, intarsiate d’argento, accanto a un limone, quasi una presenza esotica, su una credenza grigia, e una foto: la casa delle vacanze con la madre.

Gigantesca aragosta agita le chele al centro del quadro, mentre nessuno passa e il vento incita baracche e barche ad abbandonare l’arenile, a sollevarsi in volo.

Valve di conchiglie su cui si può leggere solo che il futuro è uguale al passato. Tempo non è che riproposta infame e ha il colore del catrame temperato dall’indaco.

Niente di più lussuoso che immortalare un granchio fra resti di telline e un limone contro un fondale marino che sa di irraggiungibile riva. Naufrago sulla terra.

Conchiglie ammucchiate, reperti di tempi arcaici che sono stati rinvenuti in una giornata ventosa, passeggiando sulla spiaggia. Vita priva di alcunché è vita ricca.

Un improbabile guanto accanto a un tralcio di foglie per rendere più distante la fila di ombrelloni. È il vento che occupa la mente e che rende volatili i colori.

Nessun racconto può darsi con questi astrusi elementi: una mela verde, una conchiglia gigante – più grande della cabina sulla spiaggia – e un ombrellone chiuso o cipresso, da qui non si vede bene.

Con colori narra di un’esistenza sublime spesa a raccogliere ciottoli e mitili, come fossero i frammenti perduti del passato che siamo stati.

Cozze o cipolle non sono più tali se adagiate sul piano che interseca il mare. Sull’esofago grava una pressione verde che trasmuta. Parole non rendono colori e quadro trasfigura oggetti.

Fiori come uno scherzo della natura: ancora vivi, declamano poesie mortali. È malattia dell’anima il corpo che può essere solo guardato.

Il corpo è colore e odore, ma non è un oggetto simile agli altri. Raccoglie ombre ed emette onde calde che echeggiano sulla coperta zebrata.

Questo olezzo che emana da pesci morti e da beccaccini a un passo dalla marcescenza si trasmette all’angolo buio della stanza: una frenesia da virus, da malattia d’amore, quando il corpo è perso.

Incendio del cuore è incendio del piano e del fondale su cui appaiono pere e pane, bottiglia e bicchiere: ultima cena – giura – da solo.

Non si lascerà cogliere impreparato dalla mondanità dell’esistenza. Raduna pipa e profumo e calice con fiori per essere pronto a ogni evenienza, a ogni incontro. Spettrale è la sera al lume di candela.

Sontuosa residenza se il ventaglio è azzurro e il vaso contiene una rosa. Bagliori d’oro e riflessi verde acqua provengono dalla finestra a diversificare la fine d’una giornata uguale.

Tacche di colore su eventi improbabili – il gabbiano morto che precipita ai nostri piedi, il carciofo sulla rena – fremono come se all’improvviso la realtà potesse venire meno, sfaldarsi al contatto col pennello.

Altre volte, lo spazio è saturo e l’aringa assume il significato di un intero mondo. Un mondo che si presenzia perché convocato.

Lucio Mayoor Tosi Sponde 1

Lucio Mayoor Tosi, Sponde

Giovanni Battista Piranesi

C’è una sozzura di altri tempi e di odierne ore sui monumenti antichi: per il denso fumo che ha reso la materia carta annerita, per gli alberi che ne scuriscono le ombre, per le erbacce che ne confondono il disegno. Archi e mattoni resistono come cariati denti nel tessuto cittadino e ambiscono a esserne la corrotta cifra.

Quel che si rafferma sulla carta non è volatil segno, ma pietra erosa, masso traballante. Pur nell’esser decaduti dall’uso c’è di che sperare: un nuovo illuminato modo di essere impiegati, di perdurare.

Foresta accoglie i resti. Rocchi scheggiati e vasi torreggianti. Dai basamenti si staccano busti, e gambe si stirano per le assunte eterne posizioni prone, mentre pampini e viticchi s’avvoltolano su capitelli e colonne sgravate dalle trabeazioni.

Fantasie eccitate, al galoppo, rimestano nel calderone culturale e traggono dal cilindro della storia un toro alato, una palma e un elmo, un arco di trionfo e una colonna da riposizionare su un ponte crollato o un arco a sesto acuto riabbassato.

Tra foglie d’acanto e pergamene, la mano passa con segno omologante. È ciò che dell’umano resta: un sogno infranto.

Relitti, sballottati dalle correnti della storia, testimoniano di atti morali e disegni criminali.
Nuvolaglie increspano la visione razionale. La linea evolutiva delle forme è una chimera da registrare su fogli numerati.

Rocchi gettati tra erbe ornamentali servono da seduta ai mendicanti. Medesimo è l’uomo che costruisce mura e distrugge imperi.

Emergono dai flutti del terreno, colonne con capitelli e trabeazione. Scoscesi dirupi nascondono in parte archi diroccati che attendono dissepoltura. A volte il cielo si dissipa cancellando un angusto orizzonte. Storia non è fatta per sguardi senza slarghi di veduta.

Statue, in niente dissimili agli umani, indicano e implorano, evocano e additano storie similari.
Gente scava o discorre indifferentemente. Se medita, l’uomo lo fa seduto su un pezzo di marmo decorato.

Il tempo incatrama le vie per cui si giunge al presente. Raggi d’ombra ammorbano la visione del reperto. Indietreggiando non si risale il corso del tempo.

Fuori di scala è l’uomo. Figurante da commedia dell’arte o ladro o mendicante resta il pusillanime abitante di pietre a misura di gigante.

Misura umana non è rapportabile alle sue fabbriche e il cielo si tortura per accordarsi a tali mura.
Se sotto le alte arcate si affastellano vasche di porfido e statue, alati tori ed elmi giganteschi, vuol dire che dalla storia non si esce. Che tocca ripassare per gli stessi luoghi, le medesime empie azioni, le funeste imprese.

Storia non è posizionamento di archi in prospettiva: azioni equivalenti trovano finali irriducibili.
Lettere gigantesche si stagliano su marmi candidi per recitare al visitatore delle patrie rovine ciò che non è possibile smarrire.

 

11 commenti

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11 risposte a “Rosa Pierno POESIE SCELTE da coppie improbabili, Pagine d’Arte, 2007 con una divagazione di Giorgio Linguaglossa

  1. gino rago

    Collage

    Rosa Pierno POESIE SCELTE da coppie improbabili, Pagine d’Arte, 2007 con una divagazione di Giorgio Linguaglossa


    (Omaggio a Rosa Pierno, pensando a Francesca Dono, Mario Gabriele,
    Mary Colonna, Giorgio Linguaglossa, Margaret Atwood)

    Non c’è niente di più opaco
    della trasparenza totale.
    Il corpo è colore e odore.
    I sospiri delle onde richiamano il vento:
    ora sboccio. Una rosa tra le dita.
    Prendila.
    Mi accorgo solo ora che l’artrite deforma le mani.
    Tutto cominciò con una caduta.
    Spremere fuori il mistero…
    Ti muovi viva nel tuo stesso corpo.
    Ma nuvolaglie increspano
    le visioni razionali.
    Ritirarsi? Sì.
    Ritirarsi dalle forme consunte del poetico.

    Gino Rago

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  2. Caro Gino Rago,

    Rosa Pierno POESIE SCELTE da coppie improbabili, Pagine d’Arte, 2007 con una divagazione di Giorgio Linguaglossa


    stai dando il meglio di te in queste composizioni improvvisate, senza scopo, metà per celia e metà per confidenza… adatti la tua naturale inclinazione al tedio anche all’inconsistenza dell’istante e all’effimero…

    Scriveva Andrea Emo (1901-1983), filosofo dimenticato per nostra inedia spirituale e intellettuale:
    se la nostra vita è “tempo che muta di istante in istante, in cos’ altro potremmo trovare consistenza, visto che l’ istante perennemente si e ci cancella? Dio stesso è una trasformazione del nulla assoluto che ci circonda; esso è la nostra accettazione, cioè la coscienza di questo nulla”.

    Andrea Emo ritorna sempre su questo punto, applicandolo anche all’opera d’ arte; chiamata non ad imitare un modello di realtà obiettivo, ma a rappresentare l’ irrappresentabile, l’ inafferrabile. Come la celebre mela di Cézanne. “La radice dell’ arte è l’ eternità dell’ effimero, il pervenire all’ eterno accettando, accogliendo l’ effimero come tale; senza tentare di fissare, di obbiettivare, di possedere l’ istante, accettandolo come pura negazione, come ciò che non si può affermare direttamente”.

    “L’annuncio: Dio è morto”, scrive Emo, “non soltanto è contenuto nei Vangeli, ma è l’ Evangelio stesso; è la buona notizia”

    E della Commedia di Dante ha scritto che è una vera e propria «Cattedrale delle ombre», perché tratta dei vivi come se fossero ombre…

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    • letizia leone

      caro Giorgio, sia il tuo richiamo a Cèzanne che i bei versi di Gino Rago mi sollecitano a postare questo mio testo dal libro “confetti sporchi”(2013) proprio su la mela di Cèzanne:

      La mela di Cézanne

      Rosa Pierno POESIE SCELTE da coppie improbabili, Pagine d’Arte, 2007 con una divagazione di Giorgio Linguaglossa

      Come afferrare cose senza mani
      e per di più cose reali, mele erranti
      del minuto
      mele impigliate nella rete
      del colore
      mele-spettacolo dimenticate

      mele mele radicate nell’anima vecchia
      pesante come la mela di Platone
      dura ingombrante
      sbercia una linea col vento di mala febbre.

      Un artista schizoide
      non può delineare vastità d’ombra
      d’orma sottile dove l’oggetto muore
      e inizia universale il perimetro degli astri.

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      • cara Letizia,

        Rosa Pierno POESIE SCELTE da coppie improbabili, Pagine d’Arte, 2007 con una divagazione di Giorgio Linguaglossa


        molto probabilmente, tutta la poesia di oggi non può che essere scrittura di Ombre, quella tua, quella di questa tua poesia sulla «mela» di Cézanne, quella di Gino Rago (che raccoglie gli stracci dell’Ombra delle Parole e ne fa un lussuoso vestito di stracci), quella di Rosa Pierno che impiega l’ékfrasis; la stessa Commedia che cos’è se non una scrittura che parla di Ombre? E i poemi di Omero? Anch’essi parlano di Ombre, uomini un tempo vivi che al tempo del vate erano diventati miti perché erano morti da lunghissimo tempo. Tutta la scrittura poetica di oggi non è altro che una scrittura di stracci. E questa tua bella poesia lo dimostra.
        «Pura immediatezza e feticismo sono ugualmente non veri» (Adorno) ma non vero è il tutto entro il quale si dà il mondo falso e bugiardo con buona pace dei sostenitori dell’autenticità da supermarket… Per sfuggire all’immediatezza dei buoni di spirito e alla reificazione dei mistici fasulli, la poiesis è un esercizio salubre di riconfezionamento e campionatura di stracci.
        È questo il nostro destino, fare una scrittura di stracci.

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  3. letizia leone

    Rosa Pierno POESIE SCELTE da coppie improbabili, Pagine d’Arte, 2007 con una divagazione di Giorgio Linguaglossa


    La densa scrittura poetica di Rosa Pierno in questi testi ecfrastici riesce brillantemente a provocare l’immagine dopo esserne stata provocata, e a dislocarla, dilatarla, frantumarla semiologicamente ricollocandola nel vuoto dell’indipinto. L’indipinto, lo spazio che resta fuori dalla prospettiva illustrata dal pittore e che convoca lo spettatore e tutti i fantasmi del suo inconscio oltre la cornice. Un tema a me assai caro quello dell’Ekfrasis, avendo anche io scritto in proposito e occupandomi spesso per lavoro e passione di arte contemporanea.
    Questo spazio intermedio tra visibile e dicibile Foucault lo chiama “Terra di nessuno” rivelando una totale sfiducia nell’”Ut pictura poesis”, cioè nella completa corrispondenza e trasparenza tra visibile e dicibile in un’opera d’arte: “ Ma il rapporto da linguaggio a pittura è un rapporto infinito. Non che la parola sia imperfetta e, di fronte il visibile, in una carenza che si forzerebbe invano di colmare. Essi sono irriducibili l’uno all’altra: vanamente si cercherà di dire ciò che si vede; ciò che si vede non sta mai in ciò che si dice”…In un certo senso si tratta di mettere a fuoco la presenzialità dell’opera in una sorta di doppia esposizione in un dialogo virtuoso ricco di imprevisti e sviluppi. Una relazione in divenire capace di rivelare quello che è stato definito “l’elemento dormiente del quadro”.
    Qui l’esperimento interessante è poter esperire i testi lontano dall’immagine evocatrice, come nella pittura di De Pisis, presenza larvale che riesce a richiamare nell’unicità di una mia personale visione il trionfo di una natura morta fiamminga nell’assemblaggio di oggetti (“piccolo altare votivo”…” Aringhe dorate, intarsiate d’argento, accanto a un limone”…. Oppure “Gigantesca aragosta agita le chele al centro del quadro, mentre nessuno passa e il vento incita baracche e barche ad abbandonare l’arenile, a sollevarsi in volo”…) nell’unicità di un “Pittorico evento” che potrebbe spiare una “vanitas vanitatum et omnia vanitas” da antica pittura olandese.

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  4. mariella Bettarini

    Grazie a voi, sempre, degli ottimi invii, con molti auguri e cari saluti,

    Mariella Bettarini

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  5. Rosa Pierno riesce a cogliere il senso nella pittura di De Pisis, se ne impossessa, ed ecco che proprio il senso la porta al cospetto del lontanissimo (da De Pisis) Giovanni Battista Piranesi. Ma gli elementi in comune, quel naturale disadorno e l’italianità “Tra foglie d’acanto e pergamene, la mano passa con segno omologante. È ciò che dell’umano resta: un sogno infranto. / Relitti, sballottati dalle correnti della storia, testimoniano di atti morali e disegni criminali” completano la storia con l’evidenza della minima realtà. Altri, nel segno pittorico puntiforme, nelle campiture solo accennate di De Pisis, si perderebbero, dispersi e frantumati nel piacere di ripercorrerne i suoi gesti megistrali. Come in una poesia priva di significato De Pisis trova il senso: pittura che sembra lettura e scrittura ma per altri segni. A volte sembra di stare a un passo dalla fusione alchemica tra le due arti ma bisogna desistere: come scrive Giorgio “non c’è contiguità, semmai c’è specularità”. Linguaggi diversi portano comunque alla comprensione, anche alla medesima.
    Immaginando un dialogo tra pittura e poesia scrissi questo (impresa impossibile):

    Nero cielo.

    Guglie in chirurgia.

    […]

    Impresa disperata.

    Un cavallo m’aspetta.

    Quel che sembra è.

    Non tutto quel che sembra è.

    Cose, non parole.

    Un cane di legno.
    Scarpe sul davanzale.
    Prese. Sparite.

    […]

    Ho nel cuore

    un rosso

    diamante.

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  6. Steven Grieco-Rathgeb

    Questo è un raro caso di poetessa/poeta, in cui io personalmente avverto una forma stilisticamente compiuta e insieme matura, molto “avanzata”. Non sappiamo avanzata verso cosa, non esiste un traguardo: avvertiamo che qui qualcosa è andato “avanti”, si gira verso noi e significativamente ci invita a seguire.
    Proprio per questa compiutezza (diese Vertigkeit), il senso suggerito in questi due pezzi corre spesso avanti rispetto al senso letterale, poi aspetta o torna indietro, come per dare una mano al greve incedere delle parole ‘base’, e di nuovo corre avanti. Un gioco che crea prima di tutto ritmo, da cui fluiscono musicalità, immagine, concetto. Un continuo intrecciarsi e separarsi di questi.
    Caratteristicamente, il suo tono è modesto, silenziosamente autorevole, talvolta molto incisivo, ma quasi sempre vicino alla soglia dell’invisibile, o dell’inpronunciato. Perché le parole risultano interamente inghiottite da un paesaggio e umanità definiti secoli e millenni fa: l’Italia. Come se la lingua e la poesia non potessero mai liberarsi da una vegetazione di forme architettoniche scolpite nel tempo. Così era sempre stata tanta poesia: produceva suoni, parole, un’esclamazione, un grido, un profondo stupore, poi ci si ricordava che erano segni di inchiostro nero su foglio bianco.
    Non posso non rapportare questi paesaggi della pittura e dell’incisione al nostro paesaggio odierno. Qui con Rosa Pierno quello che abbiamo sempre saputo torna in modo così familiare, del tutto inaspettato, imprevedibile. E dà un po’ di angoscia: perché non sembra lasciarci scappatoie da un luogo inesorabilmente umanizzato: definito ‘per sempre’ dalla capillare invasione dei manufatti dell’uomo: in buono o cattivo stato, di oggi o di secoli fa, non importa. Sì, la citazione di Derrida è ottima: e ci ricorda l’altra cosa che lui ha detto: che non esistono inizi: tutto prende avvio da qualcosa che era già iniziato. Una sorta di incubo, poiché indubbiamente già a suo tempo Piranesi indicava la distopia futura come ammasso, folle sovraccumulo di oggetti creati dall’uomo che ingombrano il paesaggio fino a farlo diventare assenza di vita ‘altra’, piattaforma sterile su cui l’uomo balla, gesticola e si tortura.
    Ma intanto le parole della Pierno scendono una dopo l’altra schiudendosi, unfolding, rivelandosi, rivelandosi. E la mente del lettore le aspetta, e spesso ne gioisce.
    La poetessa ha già qui raggiunto un punto critico, un punto davvero alto nell’indispensabile incontro tra osservazione, pensiero astratto e sentimento delle cose.
    Tuttavia dovrà, mi permetto di pensare, misurarsi non soltanto con la materia viva del mondo già trasformata in opera finita, ma con la materia viva del mondo tout court: quello che succede davanti ai nostri occhi in autobus, per strada, nei luoghi impensati, attraverso una finestrella in uno stanzino buio che si affaccia su un cortile illuminato, pieno di piante rampicanti. Dove il mondo appare vergine. E penso che lo farebbe in modo davvero compiuto.
    Il pericolo qui è che una immaginazione poetica così, direi, meravigliosa, crei natura morta.

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  7. C’è qualcosa di disordinato nella pittura di De Pisis, come anche nelle vedute del Piranesi: tutto cade eppure tutto s’innalza. Volersi addentrare in queste ombre è per l’intelligenza una sfida. Complimenti a Rosa Pierno.
    E’ ancora forte in me il ricordo di Ubaldo De Robertis, anche lui amava ricorrere all’Ekphrasis in modo personalissimo. Ringrazio Giorgio Linguaglossa per aver pensato ai miei dipinti per illustrare questa pagina. Non mi sento lontano da DePisis – è e rimane tra i miei amori di gioventù – a volte penso che mi piacerebbe arrivare a quei risultati, togliere invece di aggiungere, restare un passo indietro dal finito. Ho notato che accade spesso negli artisti dopo molti anni di attività, quando invecchiano e resta solo la maestria. Ecco, sarebbe questo il traguardo da raggiungere ( ma lo pensavo già quando avevo appena diciott’anni), che poi è quel che separa le opere d’arte dal fare semplicemente belle cose.

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