A PROPOSITO DEL NICHILISMO E PESSIMISMO  – GIACOMO LEOPARDI, ARTHUR SCHOPENHAUER, FRIEDRICH NIETZSCHE, OTOKAR BŘEZINA – a cura di Antonio Sagredo

pittura Herbert List

Herbert List

Il poeta e filosofo ceco-moravo Otokar Březina (1868-1929) è il poeta che più d’ogni altro, tiene legati i secoli ‘800 e ‘900 in maniera indissolubile… domina le tensioni nichilistiche di entrambi i secoli conoscendo a menadito i poeti  – più sotto citati – che lo hanno preceduto  (che formano l’ossatura portante di tutto l’Occidente, ma Březina conosce profondamente anche la filosofia orientale)

[dalla mia tesi su Otokar Březina del 1974-75]

“Otokar Březina terrà sempre presente il simbolismo erotico che sostiene tutte  religioni, in primis quelle le orientali: nell’amata perdere la propria individualità, il che equivale al raggiungimento del Sé reale supremo: i mezzi sono rappresentati coi simboli; non estraneo alla sua voluttà mistica è l’influsso del poeta persiano Hâfiz, che aveva già coinvolto Goethe. Voluttà mistica è conoscenza del corpo proprio e dell’amata. Si pone contro l’ignoranza che impedisce di conoscere il corpo; ma la conoscenza una volta assolto il suo compito impedisce, proprio perché conoscenza eguale ad esperienza, di ascendere al regno celeste, al Divino.

Forse per questo si ha nostalgia della conoscenza. Il problema della gravità/gravezza terrestre, dell’essere attaccati alla dea-terra-madre morbosamente, ammaliatrice che ci trattiene oltre il dovuto – poi che prima della morte vogliamo l’ascesi suprema – è uno dei problemi principi del poeta. E l’enigma della caduta (se siamo poeti, perché siamo scherniti come l’albatro di Baudelaire?… o siamo angeli caduti a cui è negata in eterno la luce!) è altro problema di Březina: come risolverlo? Ma tanti, tantissimi sono i temi che ci propone il poeta: tantissimo ha letto e riletto – tanta conoscenza dilata i temi rendendoli più abissali! Sa di essere anche filosofo,  ma, come poeta, non si fida poi tanto della ragione. Credo che il sogno(in lui naturale o in qualche modo costretto ad esistere/essere a causa della sua personale vita privata) è il regno dove meglio poteva realizzarsi, quindi una sorta di corazza sono l’illusione e l’inganno.

Il sogno è il riscatto dell’uomo, unica arma contro il Fato o il Destino avversi entrambi al Divino… ma sarà poi vero? Il Sogno-Inganno-Illusione ha vinto il Pensiero [punto di separazione tra Leopardi e anche di Březina, da Schopenhauer], e soltanto così mi spiego perché la poesia, con l’ausilio della filologia usi la filosofia come decollo (come in Leopardi; e Březina qui gli è molto vicino!), come unità di direzione, come mezzo per un’ascesi finale, per una Nemesi!, soltanto attraverso una volontà poetica del poeta opposta alla volontà filosofica, e non certo alla no(n-vo)lontà.

arthur schopenhauer

Arthur Scopenhauer

Comunque, dalle filosofie e dalle religioni orientali come dalla civiltà greca [di cui sia Březina che Leopardi ne accettano la rassegnazione classica, dunque lo “sguardo calmo e dolce”(e qui l’italiano si ferma)]. Ma Březina vedrà una luce nella Natura, non più matrigna portatrice del Male, dunque spinta o stimolo a voler avere fede nella vita, quando invece la Ragione vi si oppone perché l’uomo sia soltanto una creatura infelice. Insomma, con Socrate e Platone, Březina ha cari temi come l’immortalità dell’anima e il mondo delle idee, la metempsicosi e la reincarnazione a quella legati: inganni forse, ma comunque realtà che vivono con/nell’uomo. E c’è il problema dell’Uno in Tutto e del Tutto in Uno; il molteplice e la pluralità e la unità (più come com/unione) sono i contrappunti costanti della sua tensione e ricerca.

Così i valori, dell’assoluto e dell’unico e della totalità: problemi affrontati, già da tutte le culture d’oriente fino al neoplatonismo e, tempo dopo(specie con Plotino, che Březina citerà più volte)diverranno l’oggetto del più sfrenato romanticismo, a cominciare da Goethe e da Schiller, per concludere con Hölderlin, con cui Březina s’intende talvolta a meraviglia, ma ancor di più col suo, forse, diletto Novalis */(1).

Con quest’ultimo Březina intrattiene [al termine di una polemica/lotta interiore con se stesso lo preferirà a Nietzsche, nonostante   sia stato s/travolto da Dioniso (1), scegliendo allora “non il superuomo di Nietzsche, ma il magico titano di Novalis, genio e santo”(2)] uno speciale dialogo: stesso amore per il Medio Evo, dove i culti della notte e della morte, [comuni anche a  Mácha (3)], e della religiosità – realizzati simbolicamente con funzione organizzativa  d’ogni cosa esistente – avranno in comune l’Amore Cosmico per le costellazioni [le sfere celesti!]: entrambi poeti cosmici essenzialmente.

Otokar Brezina e Antonio Sagredo, Praga, anni Settanta

Ma il culto della Notte e della Morte è atavico primordiale mito[per gli spiriti vicini a Březina diviene simbolo come in quei popoli arcaici che precedettero le più raffinate dinastie egiziane coi loro poemi (4) o addirittura dei tibetani nel loro Libro dei Morti. Ma se di simbologia non si finisce mai di parlare, significa forse che è nato prima il simbolo dell’uomo!? Azzardato affermare che il simbolo abbia creato l’uomo? E qualcosa di più di un atavismo ancestrale? Non lo sapremo mai. In Březina c’è il simbolismo del viaggio (è un topos di fondamentale importanza che assume caratteristiche singolari in tutta la intera cultura boema) – prima  e dopo Mácha è una ossessione devastante – e la parola errare in lui si trasforma/trasmuta in ricordo romantico con sfumature byroniane. Březina, nella poesia Moje matka (Mia madre), detta:

Pellegrinava per la vita mia madre, come una triste penitente.

Il simbolismo del viaggio (il pellegrino, il viandante e vari sinonimi) è motivo primario di ogni religione, scienza, filosofia, poesia…  a cominciare da quelle orientali “la dottrina delle vestigia pedis è comune agli insegnamenti greci, cristiani, indù, buddisti e islamici”.

“I lamenti disperati di tutti i pessimisti e di tutti i nichilisti di tutte le epoche si somigliano; saranno state differenti le loro domande, ma la risposta è unica: non c’è risposta! Forse per questo che ancora esiste, per una sorta di inerzia parassita della mente umana, il gusto o il vizio della stessa domanda. Dalla parte opposta i lamenti degli speranzosi e dei credenti al mio orecchio risultano insopportabili! Un fatto è che: i lamenti filologici (filosofo/poeta) di Nietzsche e quelli poetici (poeta/filosofo) di Březina furono gli ultimi ad essere contemporanei… e chiusero un secolo… per aprirsi ad un nuovo, che si desiderava fosse più positivo e più ottimista, (dopo lo sterminio degli indiani americani e anche degli scozzesi) invece iniziò col primo sterminio etnico, degli armeni, riconosciuto dei tempi “moderni”, a cui seguì la prima carneficina moderna, e vent’anni più tardi uno sterminio mondiale “moderno” mai visto prima.

pittura Not Vidal Snowballs

Not Vidal Snowballs

Modernità non significa, sempre, progresso. E il secolo successivo a questo, come comincerà? Sarà ancora più dolce la vita?! Si, quanto più la disperazione diverrà sempre più terrificante! Poiché lo scontro occidente contro oriente o viceversa, già adombrato dal poeta russo A. Blok, io lo sottoscrivo; l’ottimismo breziniano è una beffa!    La rinuncia di Březina:

  1. a) la constatazione pessimistica che l’uomo oltre ad essere mediocre e insipido, è anche stupido. [“Mi allontano sistematicamente dalla società umana ed ho momenti di fastidio e di tristezza solo quando ritorno da essa”- lettera del 13 settembre 1892 a Bauer].
  2. b) la constatazione ottimistica che l’uomo è una creatura polifonica [all’inizio degli anni ’20 (27 dicembre 1922), nonostante la carneficina della prima guerra mondiale]. Il suo SILENZIO datato proprio all’inizio del ‘900 è il silenzio della PAROLA SCRITTA; non certo della PAROLA PARLATA, che è prerogativa (alla maniera) dei saggi orientali: Březina non farà altro che parlare e parlare, quando decide che è necessario non essere riservato; l’essere riservato, al contrario, è l’aspetto fondamentale del suo carattere. [Ma la parola orale (parlata) è prerogativa, anche, dei grandi carnefici: i dittatori. A chi appartiene la parola che uccide: ai saggi indiani? ai poeti? ai dittatori?]. Comunque, questo problema della rinuncia (punto a) il critico Pavel Fraenkl lo affronterà in modo particolare e specifico(1). Da questa rinuncia nasce l’”aristocraticismo artistico” di Březina ed insieme una sua dolce disperazione decadente.

Il passaggio da una solitudine sociale (“samota společenská”) ad  una solitudine artistica (“samota umělecká”) è contraddistinto dal fatto che “nello spirito decadente Březina sente la voluttà – e in ciò è un fedele dotto scolaro di Schopenhauer”(3). È ovvio che Baudelaire è dietro l’angolo! Ma nel poeta è presente tutta una fisiologia della voluttà[già detto, secondo il “satanista” Karásek ze Lvovic, come questa speciale voluttà è il fondamento erotico di alcuni mistici spagnoli ben noti a Březina], che è evidentissima, posso dire, in ogni poesia, poiché la voluttà usa travestirsi sotto innumerevoli e colorati vestimenti e maschere. Egli, ha si, attuato delle personali rinunce, ma il prezzo che paga è una malinconia disperante minata da desideri irrefrenabili… è dunque il poeta un Dionisio devastato dalla propria impotenza, impotenza anche di gridare! Sempre presente è il simbolo del suo dolore espresso in varie forme e svariatissimi oggetti. Per quale motivo Březina ha attaccato la Natura? Perché: “venendogli a mancare gli oggetti del desiderio, quando questo è tolto via  da troppo facile appagamento, tremendo vuoto e noia l’opprimono: cioè la sua natura e il suo essere medesimo gli diventano intollerabile peso. La sua vita oscilla quindi come pendolo di qua e di là, tra il dolore e la noia, che sono in realtà i suoi veri elementi costitutivi”.

Pittura Not Vidal Moon 1995

Not Vidal Moon 1995

da una mia nota:

* [notate questa singolarità: “dolce” in questi quattro autori:

  1. Nietzsche:

“Solo una vita piena di sofferenze e privazioni ci può insegnare come l’esistenza sia tutta intrisa di dolce miele…”; “Gli infelici raffinati, come Leopardi [e io aggiungo: Březina]… la loro inclinazione a pensare tutto quanto soffrono, la loro arte nel dirlo: tutto questo non è di nuovo – dolce miele?”; in Nachgelassene Fragmente. Frůhling 1878-November 1879; IV 3, 433. [Esempi: il celebre refrain di Březina: “dolce è la vita”; e quello di Leopardi:“m’è dolce naufragar in questo mare”]. E Franz Kafka: ”Ho detto di sì a tutto. Così il dolore diventa un incantesimo e la morte… la morte non è che una parte della dolcezza della vita” (Janouch, Gustav: Colloqui con Kafka, a cura di E.Pocar, Milano 1964).”.

In Březina è anche presente il sentimento/sensazione di PANICO cosmico che sconvolse Pascal, (e Leopardi)

e quell’HORROR VACUI di cui sono malati cronici i poeti: [“Morire in vita e vivere nella morte spirituale, ecco la sola cosa che provoca in me orrore”; lettera del 30 aprile 1890, a Bauer].

Ma il vuoto dell’orrore non è forse più terribile?

È indubitabile che il timore/terrore per lo spazio immenso: il vuoto che si suppone infinito, dell’infinito senza finitezza spaventi Březina [Leopardi per superare questo timore è costretto a fingere un/l’infinito “…e nel pensiero mi fingo…”], e che anche per questo motivo sia monista/monoteista/sintetista ecc. Il fine è ricondurre il Tutto all’Unico, ad un rinnovato Dio cristiano, infine all’Universo cristiano: supremo principio di tutte le cose esistenti e inesistenti. Per questo poi rifiuterà il Buddismo e di conseguenza il pensiero di Solov’ëv sul buddismo, affermando che “solo il cattolicesimo è verità” [secondo la testimonianza di Deml; op. cit. pag. 131]. Insomma il Buddismo, per il poeta, è incapace di riunire il Tutto sotto l’egida del fraterno universalismo.

 In definitiva se aver fede significa puro mezzo per scacciare il timor panico, la fede in un dio è ben poca cosa! É più seria la fede nella finzione di Leopardi, che non è mezzo per aggirare il Nulla; ma con la finzione rende ancor più disperante l’horror vacui! Lo sforzo di Březina è questo: che il Nulla mai diventi Dio, e viceversa: non vuole essere un epigono di Schopenhauer! Verrà il momento che rifiuterà la sua saggezza 

Březina ha il coraggio di fare poesia anche con parole improprie, estranee al misticismo classico-trascendentale; la parola, apparentemente, grezza e rozza operaia s’insinua tra sogni e giardini, mondi estatici; forse non proprio secondo l’idea socialisticheggiante e “urbanistica” del poeta belga Verhaeren (autore che stimava), che fu acclamato dai cubofuturisti russi e dal futurismo europeo, ma non italiano.

1] La “mistica ebbrezza” della Nacht ha vinto definitivamente il superuomo di Nietzsche, ma cederà il posto alla dolce e pacata rassegnazione greca, avvicinando sempre più Březina a Leopardi: superarono ambedue un nichilismo e un pessimismo che (/li/) divoravano le loro illusioni-realtà e con ciò superarono, attraverso due direzioni differenti ma speranzose, Schopenhauer e Nietzsche. Leopardi si riconcilia in qualche modo con la Natura riconoscendole una certa “eterna saggezza e bontà (Zibaldone, 66)… e addirittura una zona della nostra esistenza affine al divino” (in: W.F. Otto, Leopardi und Nietzsche, op. cit.) – Březina invece trasforma le sue illusioni pervase da un pessimismo romantico-decadente-simbolista in una religiosità ottimistica cristiana universale: corale fraterno che canta l’armonia delle sfere assieme all’intera umanità: non è questa una sorta di classica serenità greca? Serenità, che era garantita pure dagli dei pagani. É questa serenità che tradisce la tragedia greca! O è il contrario?!].

Antonio Sagredo Letizia Leone sorridono 2

Antonio Sagredo con Letizia Leone, Roma, presentazione di Capricci, 2017

Antonio Sagredo (pseudonimo Alberto Di Paola), è nato a Brindisi nel novembre del 1945; vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove  risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: «Malvis» (n.1) e «Turia» (n.17), 1995, Zaragoza. La Prima Legione (da Legioni, 1989) in Gradiva, ed.Yale Italia Poetry, USA, 2002; e in Il Teatro delle idee, Roma, 2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile.

Come articoli o saggi in La Zagaglia:  Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in Rivista di Psicologia Analitica, 1984, (pseud. Baio della Porta):  Leone Tolstoj – le memorie di un folle. (una provocazione ai benpensanti di allora, russi e non); in «Il caffè illustrato», n. 11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il Teatro degli Skomorochi, 1971-74. (A.   Di Paola) (una carrellata di quella stupenda stagione teatrale).

Ho curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema :Tumuli di  Josef Kostohryz , pubblicato in «L’ozio», ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e Kateřina Zoufalová; i poemi:  Edison (in L’ozio,…., 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in «L’ozio», 1988) di Vitězlav Nezval;  (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová).

Traduzioni di poesie scelte di Katerina Rudčenkova, di Zbyněk Hejda, Ladislav Novák, di Jiří Kolař, e altri in varie riviste italiane e ceche. Recentemente nella rivista «Poesia» (settembre 2013, n. 285), per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori: Otokar Březina- La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Ot. Brezina a Antonio Sagredo),  trad. A. Di Paola e K. Zoufalová. È uscito nel 2015, per Chelsea Editions di New York, Poems Selected poems. Dieci sue poesie sono presenti nella Antologia di poesia a cura di Giorgio Linguaglossa Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Roma, Progetto Cultura, 2016)

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11 risposte a “A PROPOSITO DEL NICHILISMO E PESSIMISMO  – GIACOMO LEOPARDI, ARTHUR SCHOPENHAUER, FRIEDRICH NIETZSCHE, OTOKAR BŘEZINA – a cura di Antonio Sagredo

  1. https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/06/27/a-proposito-del-nichilismo-e-pessimismo-giacomo-leopardi-arthur-schopenhauer-friedrich-nietzsche-otokar-brezina-a-cura-di-antonio-sagredo/comment-page-1/#comment-21298
    MARIA TERESA SPERANZA RIASSUME MOLTO BENE LA POSIZIONE DI HEIDEGGER E QUELLA DI SEVERINO RISPETTO ALLA QUESTIONE DEL NICHILISMO.
    Cito l’inizio del saggio della studiosa riservandomi di porre l’interrogativo radicale: è accettabile la posizione di Severino rispetto al nichilismo? O dobbiamo ricominciare daccapo?

    Maria Teresa Speranza:

    Per Heidegger la casa dell’essere è il linguaggio, perché è lì che l’essere perviene alla sua a‐letheia, al suo disvelamento, alla sua verità. Ma «l’alterazione e la dimenticanza del senso dell’essere» (p. 19) si verifica nel medesimo luogo, ossia nel logos e tramite il logos. Ebbene, l’opera di Severino si delinea tutta intorno a questa contraddizione, tra essere e non essere, che il linguaggio rappresenta e ospita. Il linguaggio infatti disvela e insieme nasconde l’essere perché tramite la sua forma può veicolare un messaggio diverso rispetto al suo significato. Lo stesso titolo dell’opera è una contradictio in adiecto: se intendiamo il nichilismo nella sua declinazione metafisica, risulta impossibile porne l’essenza, ossia la sua realtà immutabile ed eterna. Il nichilismo metafisico rinuncia a spiegare la realtà, mutevole, precaria e imperfetta, ricorrendo a un insieme di principi primi o cause ultime che ne costituiscono il fondamento «essenziale». Non c’è un’essenza oltre la parvenza, né una verità oltre la menzogna. Il mondo si riduce a materia, movimento e caos.

    Ebbene, secondo il filosofo bresciano, è proprio il nichilismo l’essenza più profonda del pensiero e della civiltà occidentale.

    «La storia della filosofia occidentale è la vicenda dell’alterazione e quindi della dimenticanza del senso dell’essere, inizialmente intravisto nel più antico pensiero dei Greci» (ibid.). Ora, proprio perché la metafisica si propone esplicitamente di svelare l’autentico senso dell’essere, la storia della metafisica è il luogo dove l’alterazione e la dimenticanza si fanno più difficili da scoprire. Ritorna la contraddizione disvelamento/ nascondimento, alienazione/ appropriazione. Perfino il pensiero di Heidegger, secondo Severino, è una sorta di alterazione del senso dell’essere.

    Heidegger considera la storia della filosofia occidentale, da Platone in poi, come la storia di un errore, ossia la riduzione dell’essere all’ente. L’“entificazione” dell’essere comporta lo smarrimento della sua presenza originaria, ossia quell’orizzonte o apertura entro cui avviene l’a‐letheia, il disvelamento, la manifestazione dell’essere. Soltanto la primissima filosofia greca intravide l’essere come presenza, separandolo dall’ente e considerandolo nella sua piena realtà e assolutezza. Secondo
    Severino invece «è storicamente aberrante il tentativo di ravvisare nel primissimo pensiero greco l’identificazione del significato dell’essere e del significato della presenza.

    L’intreccio tra i due c’è sicuramente, ma appunto per questo c’è insieme la differenza» (p. 20). Per intenderla non è utile procedere con un’indagine etimologica, bisogna piuttosto comprendere la «forza invincibile di un discorso che da millenni è saputo e pronunciato, ma che, appunto, non è mai stato capito»(ibid.).

    Il punto di partenza dell’argomentazione severiniana è il ritorno alla posizione parmenidea: «l’essere è, mentre il non essere non è». […]

  2. Una riflessione sul nichilismo.
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/06/27/a-proposito-del-nichilismo-e-pessimismo-giacomo-leopardi-arthur-schopenhauer-friedrich-nietzsche-otokar-brezina-a-cura-di-antonio-sagredo/comment-page-1/#comment-21304
    I romanzi tradizionali e la poesia tradizionale assumono il modello frontale: l’io che osserva sta al di fuori dell’osservato e dell’oggetto. Con l’inizio del novecento si verifica un cambiamento del modello o paradigma. Il soggetto è dentro l’atto della osservazione, diventa autoreferenziale, contempla l’inclusione del soggetto osservatore nel circolo della osservazione. Per questa via si entra in un circolo magico, ovvero, in un circolo vizioso. Non se ne esce che con un’arte che descrive l’atto della osservazione e la traduce in rappresentazione, come se quest’ultima fosse perseguibile mediante una serie di proposizioni correlate che hanno un inizio ed una fine. Orbene, questa concezione piramidale di porre la questione della rappresentazione non tiene nel debito conto che da Le demoiselle d’Avignon (1907) di Picasso il soggetto è scentrato rispetto alla rappresentazione, e la rappresentazione ha cessato di essere prospettica, è diventata posizionale, è una tra le tante, ogni posizione del soggetto può essere sostituita da altrettante infinite posizioni. La verità è diventata posizionale, la verità della rappresentazione non c’è più, è subentrata la posizione della verità al posto della verità. Ora, questo indebolimento della verità si rivela essere una vera e propria detronizzazione. La verità diventa una questione proposizionale e posizionale. E se all’ultima proposizione della catena proposizionale scoprissimo che dopo di essa c’è il nulla? E che prima della prima proposizione c’è il nulla? Non resterebbe altro da fare che sostituire la verità con il nulla, assumerci la responsabilità di prendere atto di questa sostituzione, il nulla diventerebbe la posizione valoriale di base della catena proposizionale, il vettore della catena proposizionale. Allora comprenderemmo la massima di Wittgenstein, «dove debbo tendere davvero, là devo in realtà già essere [dort wo ich wirklich hin muß, dort muß ich eigentlich shon sein]. 1)
    Infatti, noi siamo già in una posizione, il soggetto è una posizione tra infinite altre, non gode di alcun prestigio ontologico, e la rappresentazione ha solo valore posizionale.

    1] Ludwig Wittgenstein Vermischte Bemerkungen, Ricerche filosofiche, tr. it. di Renzo Piovesan e Mario Trinchero, a cura di Mario Trinchero, Torino, Einaudi, 1967, 22

  3. antonio sagredo

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/06/27/a-proposito-del-nichilismo-e-pessimismo-giacomo-leopardi-arthur-schopenhauer-friedrich-nietzsche-otokar-brezina-a-cura-di-antonio-sagredo/comment-page-1/#comment-21309
    “Per Heidegger la casa dell’essere è il linguaggio, perché è lì che l’essere perviene alla sua a‐letheia, al suo disvelamento, alla sua verità. Ma «l’alterazione e la dimenticanza del senso dell’essere» (p. 19) si verifica nel medesimo luogo, ossia nel logos e tramite il logos.” (M. T. Speranza).
    —-Il poeta svevo Hölderlin traccia profondamente le linee e le direzioni del pensiero di Heidegger, che soggiace alla fascinazione del suo linguaggio poetico, che si realizza in un logos, che è esso stesso questo linguaggio. Logos e linguaggio poetico sono la identica cosa e sono il centro entro cui si gioca la contraddizione di Severino, che soffre della mancanza (o assenza) della rappresentazione, prerogativa solo del Poeta. La Filosofia fallisce davanti alla Poesia!
    Il grande germanista Alessandro Pellegrini col suo saggio magistrale su Hölderlin – se ricordo bene del 1956 – mi fu da guida essenziale alla comprensione del pensiero poetico-filosofico del poeta, quando cominciai a scrivere la tesi sul poeta-filosofo ceco-moravo Otokar Březina, grandissimo estimatore del cantore svevo. Hölderlin guida e illumina costantemente Březina, che non sente se non ammirazione continua e vivificante: mai un momento di critica nei suoi confronti o di soggezione: lo ha ben compreso e amato, forse più di Novalis… insomma raggiunta la conoscenza attraverso la Poesia, è pronto egli stesso a un nuovo e diverso cantare.
    Un grande studioso ceco Miloslav Zich, ( Březina a Hölderlin, Archa,27, 1939, č.5-6) analizza le similitudini e le distinzioni tra I due poeti, e giunge alla conclusione che Březina può stargli a fianco degnamente, (non temendo affatto la possanza del canto (inno) dello svevo), perché egli stesso ha realizzato un suo proprio canto elevato e grandioso quanto quello.
    Heidegger invece soggiace continuamente davanti alla figura di Hölderlin, in cui pensiero e poesia non si distinguono ( le malìe greche hanno ben realizzato il sogno di chi li ha amate tanto: fu soltanto sublime finzione la sua?)… non si distinguono, e dunque impensabile che l’uno prevalga sull’altra (o al contrario)…
    ….per questo dunque Heidegger (un piccolo e misero borghese), essendo soltanto filosofo, e di certo non poeta, non riesce a districarsi tra i flussi dei pensieri poetici o poetici pensieri di Hölderlin: tenta disperatamente di comprendere tramite la (sua) razionalità, attraverso sotterfugi dialettici e cavilli filosofici di varia natura la vastità holderliniana: non riesce, e cade con i concetti espressi nei suoi QUADERNI NERI nella più totale e volgare oscurità.
    Nichilismo e pessimismo più volte attraversarono il cerebro di Březina, ma più per fattori esterni alla sua idea di Poesia-Pensiero, e più volte li superò con l’equilibrio e l’armonia che lo sostennero… ambedue ereditate non soltanto dai grandi Poeti del passato, ma pochissimi suoi contemporanei gli furono di sostegno.
    Un Poeta si appoggia (riceve conforto da.. ) ad un altro Poeta di certo non per superarsi, ma perché la Poesia vada avanti senza tentennamenti, perché anticipa e combatte le micidiali sfide – ora per noi di questo secolo – terribili e orribili di un prossimo futuro… e perché la Poesia sia ancora una volta vittoriosa sui negativi Tutto e Tutti, deve bandire da se stessa qualsiasi nichilismo e pessimismo (per non ripetere il tragico passato).
    Sono ottimista o messianico? Non lo sono. Sono (stato) semplicemente un cantore realista.
    Otokar Březina tenne sempre presente le tensioni tra Occidente e Oriente, e al termine di un mio ragionamento su questo tema scrissi nella mia tesi del 1974-75 (e sono strabiliato per questo presagio!) :
    ” Modernità non significa, sempre, progresso! E il secolo successivo a questo, come comincerà? Sarà ancora più dolce la vita?! Si, quanto più la disperazione diverrà sempre più terrificante! Poiché lo scontro Occidente contro Oriente o viceversa, già adombrato dal poeta russo A. Blok, io lo sottoscrivo; l’ottimismo breziniano è una beffa!

  4. Salvatore Martino

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/06/27/a-proposito-del-nichilismo-e-pessimismo-giacomo-leopardi-arthur-schopenhauer-friedrich-nietzsche-otokar-brezina-a-cura-di-antonio-sagredo/comment-page-1/#comment-21334
    Carissimo Antonio mi dispiace che il tuo splendido mini-saggio sul nichilismo, e la dissertazione sul poeta Brezina , che mi hai rivelato, siano subito cancellati da un nuovo ingresso. Infatti vedo che quasi nessun commento si sia maturato sopra la tua introduzione. Io per caso stasera, tornando dalla mia Sicilia, ho visto il tuo intervento, perché ormai il tornado Linguaglossa ha deciso di correre a velocità supersoniche.

    “Il culto della Notte e della Morte è atavico primordiale mito[per gli spiriti vicini a Březina diviene simbolo come in quei popoli arcaici che precedettero le più raffinate dinastie egiziane coi loro poemi (4) o addirittura dei tibetani nel loro Libro dei Morti”

    Sono parole che mi hanno colpito come una freccia arroventata. Ma tutto il tuo lucido, preciso e in fondo semplice, nell’accezione migliore, excursus sopra una tematica così complessa, mi è apparso degno di essere letto più volte. E anche la stoccata ad Heidegger la condivido appieno. Tu lo sai bene essere poeti non vuol dire essere filosofi o anche il contrario, entrambi hanno qualcosa uno dell’altro.
    Contravvengo alle mie abitudini e ti voglio dedicare una mia poesia, scritta alcuni anni fa, credo nell’andamento nichilista del quale parli

    Nella lucidità intollerabile dell’insonnia

    Il grido inconsolabile di un uccello
    lo riportò nel fango dell’irrealtà
    era un’alba livida e sorridente
    in quella sospensione che precede la luce

    Comprese di essersi addormentato
    in un cerchio senza rispondenze
    un labirinto ottagonale
    di sabbia e di parole
    una metafora della coscienza
    comprese e per la prima volta
    che sarebbe stato uno dei tanti
    segnalato da un numero
    accecato dall’indifferenza
    e il sogno non avrebbe avuto fine

    Fu allora che in un accesso d’ansia
    decise di porre fine a questo sogno
    perché non ci fosse alcuno
    che potesse sognarlo
    perché non restasse traccia
    d’ogni suo sguardo d’ogni sua paura
    sicuro di essere non soltanto per gli altri
    un simulacro
    uno spietato ossimoro del nulla

    Credo che tutto questo avvenne
    nell’inollerabile lucidità dell’insonnia

    C’è anche la dissoluzione dell’Io di cui tanto parlano i poeti della NOE,
    in questi versi, ma non credo di avere scritto delle novità,

    Sempre sul nichilismo ti aggiungo una nota del saggio che Donato di Stasi ha scritto a proposito del mio “Cinquantanni di poesia”. Quando dai primi moduli espressionistici, dalle ingrommature poundiane ( iperletterarie e intellettualistiche), dagli accenti epici, si entra nel quarto tempo del werk, si profila la trilogia del nichilismo( Libro dell cancellazione, Nella prigione azzurra del sonetto, La metamorfosi del buio).
    Puoi quindi immaginare con quanto interesse abbia letto il tuo intervento, sul quale , avendolo scoperto, certamente ritornerò a gettare uno sguardo.

  5. antonio sagredo

    ….a questo punto, quando mi sarà possibile farlo – nel tardo autunno, spero – stamperò per Te la mia tesi… credo che per Te sarà una sorpresa,. come lo fu per Ripellino, che mi disse: “l’hai scritta Tu?” , (proprio da lui che mi propose questo gigante); risposi: ” no, non la ho scritta io (quello del mio vero nome e cognome) la tesi, ma il poeta che è in me.”.
    Dunque mi propose questo eccelso Poeta e soltanto dopo vari anni io compresi il perché:
    non esisteva nessun suo allievo, tranne me, che potesse affrontare centinaia di anni di Poesia: mi conosceva bene il Maestro e non me lo dette mai a vedere!
    Devo a Brezina la conoscenza di tanti fondamentali Poeti di ogni paese… conosceva quel figlio di un calzolaio d’uno sperduto paesino moravo tra “interminati” boschi boemi la Poesia d’ogni popolo fin dalle origini… soltanto da due o tre anni s’è saputo che fu candidato ben 8 volte al Nobel: mai vinto! – al posto suo tanti mediocri come spesso è accaduto.
    A questo premio era totalmente indifferente come risulta da alcune lettere ad una sua amica teosofa, ecc.
    ———————————————————————–
    quel mio mini-saggio di cui dici è formato da alcune pagine della mia tesi: è indigesto a moltissimi, lo fu allora tranne che a uno sparuto numero di slavisti,
    lo è ancora adesso.

  6. caro Salvatore Martino,

    questa tua poesia spiega benissimo il tuo modo di ascoltare la questione di fondo della nostra epoca: il nichilismo. Tralascio qui il che cos’è questa tematica e come e se è stata mai trattata dalla poesia italiana del secondo Novecento. Sì, è vero, tu hai «sfiorato» questa problematica, tu sei tra gli antesignani di questa problematica, ma lo hai fatto senza crederci, infatti tu scrivi: «non credo di avere scritto delle novità». Questo è il punto dirimente, che nelle cose che si fanno bisogna crederci e percorrere fino in fondo gli esiti ultimi di una ricerca. La tua poesia è bella, ne convengo, ma è scritta con il linguaggio tradizionale di una certa lirica della tradizione italiana. A tua giustificazione dirò che all’epoca (a proposito, non hai scritto di quale anno è la poesia che hai postato) in Italia non c’era un linguaggio poetico di ricambio, non c’era un linguaggio poetico in grado di intercettare una tematica come quella del nichilismo e della de-fondamentalizzazione dell’io. E lo dico io a tua giustificazione. Tu hai tentato, e si vede bene nella poesia postata, di «descrivere» uno stato d’animo con un linguaggio ancora non adeguato, ti mancava il linguaggio, ma non solo a te, mancava a tutta la tua generazione ed è mancato alla generazione che è venuta dopo e a quella successiva e ancora all’altra successiva all’ultima… and so on…

    La questione del linguaggio implica quella di un pensiero che pensi l’impensato, che fratturi il pensato.
    Tu ad esempio scrivi:

    Il grido inconsolabile di un uccello
    lo riportò nel fango dell’irrealtà

    Io avrei scritto così:

    Il grido del cuculo lo trasse dall’irrealtà…

    Sono come vedi due modi diversi e lontanissiimi di impostare il discorso poetico. Non dico che il mio sia migliore del tuo, dico solo che sono due modi distantissimi di scrivere… E qui ci cape la NOE…

    • Salvatore Martino

      Permettimi caro Giorgio di farti notare che ” un pensiero che pensi l’impensato, che fratturi il passato” corre in tutta la mia poesia, anche in quella qui riportata…ma forse tu non te ne sei accorto…poi per quanto riguarda la tua correzione mi sembra veramente palese che tra le due ci sia una differenza sostanziale: la tua è partecipe di un pensiero assai banale, come quello di essere tratto dalla irrealtà, cosa che avviene sempre per esempio, al risveglio dal sonno, la mia proposta al contrario riporta il protagonista nel fango della irrealtà, che è certamente avvenimento più misterioso e poetico. Circa la mia affermazione di non pensare di scrivere delle novità rientra nel mio costume di uomo che non possiede il verbo di niente, né si arroga il diritto di proclamarsi portatore di novità. Penso che quasi sempre ci sia stato qualcuno prima di noi che ha detto e pensato queste novità. Per quanto riguarda il mio linguaggio che tu accusi di non essere adeguato alle tematiche del nichilismo e della de-fondamentalizzazione dell’io, di non possedere quindi gli strumenti linguistici per affrontare simili tematiche, penso che tu abbia una visione quantomeno distorta, se non pregiudiziale, con la quale affronti la mia poesia o forse non l’hai mai letta bene. Per fortuna ci sono persone altrettanto autorevoli che la pensano in modo differente. Mi dispiace che nessuno possa intervenire con un proprio commento, visto che questo inserimento di appena due giorni fa è stato già cancellato da altri inserti.

  7. aldo pilastri

    Sarebbe bene superare queste diatribe o piccole commedie poi che non portano bene a nessuno: ognuno ha il suo mondo e un suo metodo per essere o non essere al mondo, e questo va rispettato comunque, ma il rispetto non è di questo mondo, e per chi ci crede è oramai ultramondano.
    Anche io non sono tenero quando ho di fronte un poetastro, se pur noto e stimato, ma non è il caso di Martino Salvatore, affatto!
    Sono altri da colpire e che possedendo la editoria della poesia (spicciola di certo) distorcono per le future generazioni il volto vero della Poesia: i discendenti dello scellerato Raboni : Cucchi in primis, Magrelli ecc.(e tutti coloro che lo influenzarono) prima e dopo sono da seppellire sotto un oblio irreversibile.

  8. Condivido il pensiero di Aldo Pilastri. Salvatore Martino è un bravo poeta che non è stato rispettato, anzi è stato «dimenticato» dolosamente da chi aveva soltanto interessi di «scuderia», chi ha trattato la poesia italiana come un interesse privato in atti d’ufficio. Cioè ha coltivato interessi privati in atti pubblici, perché la pubblicazione di un libro di poesia è equiparabile ad un «atto pubblico», è un concetto di valore estetico ma è anche un concetto giuridico con risvolti in ambito penale. S’intende che io qui dico “penale” in senso metaforico. Possiamo dire che l’interesse privato accompagnato dal «dolo» può configurare un reato (metaforicamente parlando) estetico.

  9. aldo pilastri

    [ Tu ad esempio scrivi:

    Il grido inconsolabile di un uccello
    lo riportò nel fango dell’irrealtà

    Io avrei scritto così:

    Il grido del cuculo lo trasse dall’irrealtà…]

    ebbene, devo dire che la “correzione non mi garba affatto…
    quel “trasse” è orribile! E “cuculo”, di dove esce fuori?!
    se mai:
    Il grido di un uccello inconsolabile
    generò dal fango una irrealtà.

  10. Salvatore Martino

    Ringrazio Aldo pilastri che non conosco e che ha in certo modo preso le mie difese. Quanto all’essere io un poeta dmienticato secondo l’affermazione di Linguaglossa ci tengo a precisare magari non apprezzato per vari motivi dalle grandi case editrici, ma tuttavia recensito da molti critici di un chiaro spessoreda Jacobbi a Spagnoletti, a Pecora , a Campailla, a Pierangeli, a Panella, a M.L:Spaziani, a Salveti , a di Stasi per citare solo quelli che mi tornano alla mente. Per quanto riguarda ancora le case editrici che vanno per la maggiore ci tengo a sottolineare l’elogio sperticato che mi fece per iscritto Bersani, allora direttore della bianca di Eiinaudi, riguardo al mio “Nella prigione azzurra del sonetto”, concludendo che si trattava di una stesura troppo alta e quindi non in consonanza con il tono mediale della poesia italiana degli ultimi anni e quindi non se la sentiva di pubblicarlo.
    Dimenticato ma premiato iripetutamente dal Montale al Pisa al Davide di Michelangelo, a quello della Presidenza del Consiglio, al Gatto al penne al Ragusa ed altri ancora.
    Sia la correzione dei miei due versi iniziali da parte di Linguaglossa (assolutamente impoetica), sia la sua caro Pilastri mi sembrano decisamente prive di mistero , di indeterminatezza, decisamente prosastiche. Li rilegga bene e certamente capirà “l’abisso” che separa le due versioni dall’originale. Vede se inconsolabile è l’uccello siamo nella normalità, quasi nella banalità, se il grido è inconsolabile subito entriamo nel mondo dell’immagine, del suono, della sorpresa, dell’attacco al risveglio.Generare dal fango l’irrealtà è altrettanto banale, da racconto semmai, essere riportato nel fango della irrealtà vuol dire essere sprofondato malgrado il risveglio in un sogno che è incubo melmoso, un delirio,difficilmente leggibile, che ti ingabbia, ti trattiene come uno strato fangoso appunto.La poesia continua ad essere incommensurabile, non riducibile a schemi, ad estetiche preconcetti, come diceva Borges non meno misteriosa delle altre cose dell’universo. Cerchiamo di non offenderla trascinandola lontana dalla sua natura in qualche modo visionaria.

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