Raymond Carver: Tre poesie
Compagnia
Stamattina mi sono svegliato con la pioggia
che batteva sui vetri. E ho capito
che da molto tempo ormai,
posto davanti a un bivio,
ho scelto la via peggiore. Oppure,
semplicemente, la più facile.
Rispetto a quella virtuosa. O alla più ardua.
Questi pensieri mi vengono
quando sono giorni che sto da solo.
Come adesso. Ore passate
in compagnia del fesso che non sono altro.
Ore e ore
che somigliano tanto a una stanza angusta.
Con appena una striscia di moquette su cui camminare.
.
Attesa
Esci dalla statale a sinistra e
scendi giù dal colle. Arrivato
in fondo, gira ancora a sinistra.
Continua sempre a sinistra. La strada
arriva a un bivio. Ancora a sinistra.
C’è un torrente, sulla sinistra.
Prosegui. Poco prima
della fine della strada incroci
un’altra strada. Prendi quella
e nessun’altra. Altrimenti
ti rovinerai la vita
per sempre. C’è una casa di tronchi
con il tetto di tavole, a sinistra.
Non è quella che cerchi. E’ quella
appresso, subito dopo
una salita. La casa
dove gli alberi sono carichi
di frutta. Dove flox, forsizia e calendula
crescono rigogliose. E’ quella
la casa dove, in piedi sulla soglia,
c’è una donna
con il sole nei capelli. Quella
che è rimasta in attesa
fino ad ora.
La donna che ti ama.
L’unica che può dirti:
“Come mai ci hai messo tanto?”
.
La poesia che non ho scritto
Ecco la poesia che volevo scrivere
prima, ma non l’ho scritta
perché ti ho sentita muoverti.
Stavo ripensando
a quella prima mattina a Zurigo.
Quando ci siamo svegliati prima dell’alba.
Per un attimo disorientati. Ma poi siamo
usciti sul balcone che dominava
il fiume e la città vecchia.
E siamo rimasti lì senza parlare.
Nudi. A osservare il cielo schiarirsi.
Così felici ed emozionati. Come se
fossimo stati messi lì
proprio in quel momento.
cari amici,
in un articolo degli anni Dieci intitolato Sull’interlocutore, Mandel’stam, fa una notazione geniale, dice questo: che uno non si sognerebbe mai di accendere una sigaretta dalla fiamma della lampada ad olio in quanto, molto più semplicemente siamo abituati ad accendere la sigaretta dalla fiamma di un accendisigari. Questo Mandel’stam lo dice per far capire che noi nella vita di tutti i giorni seguiamo delle abitudini gestuali e linguistiche senza che ce ne avvediamo, che diamo per scontate, seguiamo in maniera inconscia certi gesti e usiamo certe frasi in maniera inconscia in base a «credenze» (Ortega y Gasset) e a quelle che Heidegger definisce «precomprensioni».
Analogamente, avviene in poesia. Noi scriviamo in base a delle «credenze» linguistiche e a delle «precomprensioni» di modi di scrivere che abbiamo già letto e digerito nella memoria; si tratta di atti memorizzati che compiamo «naturalmente».
Quando una poetessa come Elena Schwarz (1948-2010) scrive:
Secondo l’orario delle stelle lontane
(da Così vivevano i poeti, Thauma edizioni, 2013 trad Paolo Galvagni), ci avvediamo che qui noi abbiamo un esempio chiarissimo di come la poetessa russa mette in atto uno shifter, un cambio di abitudine linguistica, un cambio di abitudine iconica, mnemonica, passa da “secondo l’orario dei treni” a “secondo l’orario delle stelle”, aggiungendo il lemma “lontane”. Il risultato estetico è vivissimo, efficacissimo. Semplice, no? Anzi, semplicissimo. A volte è sufficiente uno scambio di abitudini mnemoniche e linguistiche per creare un verso efficacissimo.
Ora, ad esempio, tutta la poesia di Mario Gabriele è basata sulla puntualità e la ripetizione di questi «scambi», una miriade di «scambi» iconici che si susseguono a ritmi vertiginosi che creano una serie continua di effetti spaesanti e stranianti che raggiungono vertici di rarissima capacità iconica e mnemonica…
La NOE è anche questo, tratta una serie di espedienti retorici che già esistono da tempo nella poesia migliore del novecento europeo, espedienti che vengono utilizzati in modalità intensive. Tutto qui.
Quando Claudio Borghi e Salvatore Martino dichiarano di non riuscire a comprendere la poesia della nuova ontologia estetica, non si rendono conto che essa è nuova solo nella misura in cui impiega una serie di retorizzazioni e non altre, e le impiega in maniera intensiva. Si tratta di una intensificazione di alcune figure retoriche. È questo che fa la NOE.
Quando un poeta come Lucio Mayoor Tosi scrive:
Dalla stampa giapponese si alza un volo di pettirossi.
Ora stan li, affacciati alla finestra. Guardati dalla luna.
qui abbiamo l’impiego di un noto luogo retorico: il capovolgimento: è la luna che guarda i pettirossi che si sono alzati in volo da una «stampa giapponese». È sufficiente questo «capovolgimento» a creare l’effetto di un «mondo all’incontrario» (Bachtin), un effetto spaesante, di meraviglia…
Francesca Dono
Due poesie da Fondamenta per lo specchio (Progetto Cultura, 2017)
– estemporanea75 –
in cucina la mia camicia
dentro lo scalda latte di alluminio.
Il latte sotto la schiuma fredda
delle tue minuscole scarpe.
Ore 6,35. La penombra è prima del cielo.
Mescolo un cucchiaino nella tazza
di porcellana. Gabriella si ferma davanti
allo specchio. Un po’ di zucchero. Di là forse
la sera del 14 agosto. Un uomo e due biscotti
con tre briciole eburnee. Risalgono i gradi
dei circoli velati.
Lascio un albero alla finestra.
Poi mi ritraggo esattamente.
– la bicicletta –
la bicicletta sotto un sole basso.
Qualche soffio di vento.
Strati di polvere a
seconda dei giri. Strappi nel momento.
Scorro dentro quel telaio
quando si solleva o si appiattisce. È la pancia della strada.
Lavoro patetico
dell’unto e tra una gomma e l’altra.
Ore dodici. Un gatto s’infila
dietro le transenne del cantiere. Il miagolio della fame che non riposa.
C’è una curva.
La bicicletta barcolla col freno austero.
Poi l’ultimo fanale.
Steven Grieco Rathgeb
Una poesia da Entrò in uno specchio (Mimesis Hebenon, 2016)
Sulla veranda: Meena e Beena Mathur
Due sorelle sulla veranda, in vestiti giallo-sera.
(Fuori, un giardino.)
Dopo il tramonto la loro quiete
si ritira dal cielo rosa pieno di aquiloni
mentre scende la notte –
e nell’incrocio-intreccio, intessersi di traiettorie
su vanno i triangoli e rombi di carta
mentre da ogni terrazzo gesticolano i festanti
Pensiero furtivo, sorvola la Jothwara Road, verso Gangori Bazaar
radioso di nude lampadine, stoffe, folle che si muovono, pigiano mescolano
perfino un albero morto in un terreno deserto si agghinda di colori
Il grido umano di questa terra troppo complessa, sale
nel cielo frenetico, strisciato di rosa
agli stormi di piccioni in volo
agli aquiloni che danzano più su
alle rondini nel più alto
Meena: «ho fatto un sogno della
nostra madre morta.
Da 25 anni, ormai.
la incontro in altri luoghi.»
*
La veranda incupita piange questa perdita di visibilità,
i prodigi che la nostra psiche non illumina.
«Ti sento cantare quando fai il bagno la mattina.»
Ma io dico che siamo già venuti qui
smemorati, disarmati – benché dicano, È, non È –
soltanto per affermare la vita (e vivere).
Nudo, il cuore percorre un gelido corridoio.
E così, a poco a poco, l’imbrunire ruba
i lineamenti dei loro visi – ma ancora invia
(un riflesso incantevole)
Jaipur, Makar Sakranti, gennaio 2006
Ubaldo de Robertis (un inedito)
Nella dimensione di Jung
Il rampollo del caos scorre in cerchio.
Una fanciulla si sporge in piedi sulla fontana.
Le lancette girano in circolo.
Nessuno si occupa più dell’orologio da almeno sette decenni.
Sulla torre si specchiano immagini suoni remoti
echi che tornano del lungo roteare
[si riflettono forse in un gioco di specchi].
Nessuno conosce la vera posizione.
Altalenante.
In funzione dell’apparente rotazione degli astri
intorno alla sfera rosso fuoco
talvolta troppo vicina
talvolta troppo distante.
Al morire della luce
la fanciulla sconosciuta spiega lo scialle di seta
nel luogo di cui nessuno ha voce per chiedersi:
dov’è?
[come risulterà chiaramente in seguito]
Da strani fiori a sette petali salgono essenze.
Presentimenti.
Congetture si fanno sul sognatore
nel dire che si è trattato di allucinazioni:
La torre
[dislocazione verticale- verso l’alto la seduzione degli astri].
L’orologio.
Gli specchi
[sul lato contrapposto al riflettente giace il sottile strato d’argento].
Il bel giardino dai fiori a sette petali.
Il corpo condiscendente di quella fanciulla.
Lo châle volteggiante al minimo estro di vento.

Donatella Costantina Giancaspero
Per esempio, tanto per restare nella linea della nuova ontologia estetica, proviamo a leggere alcuni versi, prendiamo una poesia apparentemente innocua di Donatella Costantina Giancaspero. Sembra quasi una poesia lirica di stampo tradizionale, sembra di leggere una poesia di Cristina Campo o di Fernanda Romagnoli, e invece qui si ha qualcosa di molto diverso, di molto più avanzato:
Decisa, te ne vai già
da questa nostra estate. In fretta.
Tra il letto e l’appendiabiti.
Lungo il corridoio, le pareti fanno ala
a un ottuso serpeggiare.
Di che si tratta? Chi è la persona che se ne va? La poesia non lo dice. C’è una persona che se ne va. Da notare che l’andar via della persona è reso da due oggetti disposti ortogonalmente rispetto alla persona che se ne va: «il letto e l’appendiabiti», «lungo il corridoio». Dunque, siamo in un interno, tra «le pareti» che «fanno ala» alla azione di cui trattasi: «a un ottuso serpeggiare». Dunque, c’è un indietreggiamento di una persona o di una Cosa, diciamo che si ha una personificazione di una Cosa, che la Cosa ha preso la sembianza di una persona. Ma allora sorge l’interrogativo: Chi è la persona che se ne va? Qui abbiamo a che fare con il «fantasma», con quella «mancanza a», dice Lacan che contrassegna il «fantasma», il quale si dà e nell’atto del darsi produce un cedimento strutturale a livello ontologico dell’io, cedimento che produce la sostanza immaginaria del fantasma, il quale si dà solo e soltanto in presenza del venir meno dell’io come soggetto. Insomma, qui siamo nel pieno centro della nuova ontologia estetica, qui si tratta del venir meno della Cosa, del venir meno di un personaggio che si allontana e si assottiglia tra gli oggetti consueti e consunti di una abitazione, oggetti ben noti, dunque. Al contempo, il «fantasma» rappresenta il limite interno dell’ordine simbolico, è quel qualcosa senza il quale non si dà ordine simbolico, e quindi è un attrezzo necessario e indispensabile nell’officina della poesia che stiamo esaminando… per dar vita alla Cosa che si allontana e che tende a scomparire. Ma ciò che non può scomparire, pur se attecchito da un cedimento strutturale, è l’io il quale non può che continuare a macchinare il suo desiderio affinché vi sia una macchina desiderante che metta in moto questo complesso meccanismo qual è questa poesia che narra, come apparirà chiaro, un assottigliarsi, una mancanza della Cosa, del «fantasma», uno scomparire nel nulla. Ecco, siamo dentro la tematica del nulla. Siamo nel mezzo del nichilismo.
Inoltre, il pronome personale «io» che parla, è, vistosamente, un espediente retorico e nient’altro, è una custodia vuota. È un enunciato linguistico e nient’altro.
“L’enunciazione è l’istanza linguistica, logicamente presupposta dall’esistenza stessa dell’enunciato […] che promuove il passaggio tra la competenza e la performance linguistica […] l’enunciazione è chiamata ad attualizzare lo spazio globale delle virtualità semiotiche, cioè il luogo delle strutture semio narrative […] allo stesso tempo è l’istanza di instaurazione del soggetto (dell’enunciazione). Il luogo, che si può chiamare l’ «Ego, hic et nunc», è prima della sua articolazione semioticamente vuoto e semanticamente (in quanto deposito di senso) troppo pieno: è la proiezione (per mezzo delle procedure di débrayage) fuori da questa istanza degli attanti dell’enunciato e delle coordinate spazio temporali, a costituire il soggetto dell’enunciazione attraverso tutto ciò che esso non è”, A.J. Greimas, J. Courtes, Sémiotique. Dictionaire raisonné de la théorie du langage, Hachette, Paris 1979; a cura di Fabbri P., Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, Mondadori, Milano 2007, pp. 125-126. – E. Benveniste Problèmes de linguistique générale, Gallimard, Paris 1966; trad. it. Problemi di linguistica generale, Saggiatore Economici, 1994. Si veda in particolare il saggio dedicato alla funzione dei pronomi pp. 301-8.

Petr Král, con Jana Bokova
Donatella Costantina Giancaspero
17 giugno 2017 alle 16:42
Al commento precedente vorrei aggiungere alcuni versi di Petr Král (tra i poeti che prediligo).
Caduta
E in ogni bottiglia vuota
c’è ancora una goccia. Col tuo pettine e il sapone
dalla valigia rovesciata cadono anche le spille nere
della forcina, che vedi per la prima volta. Da quale tasca
[persino
segreta
del cosmo deserto – L’esile forcina non toglie
o aggiunge nulla, appena un trattino di ferro tra il giorno e la
[notte,
tra la pelle morbida e la pelliccia minacciosa
del mondo. Senza di essa però qui manca
una virgola per la redenzione. Pace con lei e con te.
Tu e la forcina nella stessa giornata vuota.
(Petr Král, Tutto sul crepuscolo, ed. Mimesis
trad. di Antonio Parente)
17 giugno 2017 alle 18:05 Modifica
Nella poesia di Petr Král, uno dei maggiori poeti europei viventi, è presente un sistema semi automaico di scambi sinestesici e metonimici, la poesia procede in una modalità quasi automatica mediante un sistema del tipo pilota automatico ma non in funzione della rappresentazione quanto della mera presentazione di eventi.
Noi sappiamo che il sistema Inc si differenzia per caratteristiche peculiari che lo pongono in una dimensione di assoluta estraneità tanto dal sistema
Prec che da quello percezione-coscienza: assenza di contraddizione e di negazione, intemporalità, mobilità degli investimenti, nonché una relativa indipendenza dalla realtà esterna, sono i tratti salienti dell’inconscio.
Il nucleo dell’Inc., scrive Freud, è costituito di rappresentanze pulsionali che aspirano a scaricare il proprio investimento, dunque da moti di desiderio. Questi moti pulsionali sono fra loro coordinati, esistono gli uni accanto agli altri senza influenzarsi, e non si pongono in contraddizione reciproca. […] In questo sistema non esiste la negazione, né il dubbio, né livelli diversi di certezza. Tutto ciò viene introdotto dal lavoro della censura fra Inc. e Prec.
.
L’Inc dunque non è un abisso. L’inconscio non è un flusso di energia cieco. Esso è piuttosto il luogo in cui qualcosa accade e in cui cadono, sotto la spinta della rimozione, le rappresentazioni di cose, rappresentanze pulsionali, che consistono “ nell’investimento, se non nelle dirette immagini mnestiche della cosa, almeno nelle tracce mnestiche più lontane che derivano da quelle immagini ” .
L’inconscio, ci suggerisce Freud, è un sistema di tracce (tracce mnestiche), e non impronte, si noti, da cui si originano rappresentazioni di cose. La differenza, adesso, tra rappresentazione inconscia e rappresentazione conscia consiste, ribadisce Freud, in due distinte trascrizioni di uno stesso contenuto. Ci troviamo di fronte a un punto nodale: la distinzione tra Sachevorstellung e Wortvorstellung serve per comprendere come sia possibile la comunicazione tra i vari apparati psichici. Seguiamo
Freud:
«La rappresentazione conscia comprende la rappresentazione della cosa più la rappresentazione della parola corrispondente, mentre quella inconscia è la rappresentazione della cosa e basta. Il sistema Inc. contiene gli investimenti che gli oggetti hanno in quanto cose, ossia i primi e autentici investimenti oggettuali; il sistema Prec. nasce dal fatto che questa rappresentazione della cosa viene sovrainvestita in seguito al suo nesso con rappresentazioni verbali».1]
.
In altre parole, ciò che consente al sistema inconscio di spingersi nella coscienza, di “farsi sentire ” nelle sue varie forme sintomatiche è un progresso nella rappresentazione, una concatenazione di rappresentazioni che tende ad associare alla Sachevorstellung una Wortvorstellung. Questa operazione svela la natura dell’apparato psichico e del suo funzionamento, in particolare il ruolo del linguaggio nella sua strutturazione.
Nella poesia di Král viene in piena luce questo processo psichico tipico di quello che noi abbiamo chiamato «nuova ontologia estetica», dal vivo, in diretta, apparentemente senza le mediazioni dell’«io», ma come in un universo metonimico in libera uscita pulsionale… Incredibile.
1] Sigmund Freud, Metapsicologia, § L’inconscio, in Gesammelte Werke; trad. it. a cura di Musatti. C., in Opere vol. 8. Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti (1915-1917), Bollati Boringhieri, Torino 1976 (2000), Metapsicologia (1915), pp. 49 e segg.
NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/06/18/antologia-breve-della-nuova-ontologia-estetica-poesie-di-raymond-carver-franco-di-carlo-francesca-dono-steven-grieco-rathgeb-ubaldo-de-robertis-petr-kral-e-collage-di-commenti-vari-di-giorgio-li/comment-page-1/#comment-20964
Ci sono rime in questo mondo.
Disgiungile, e il mondo trema.
Eri un uomo cieco, Omero.
La notte sedeva sulle tue sopracciglia.
La notte, il manto del tuo cantore.
La notte, sui tuoi occhi, come una persiana.
Un uomo vedente non avrebbe forse unito
Achille a Elena?
Elena. Achille.
Datemi il nome di una coppia meglio assortita.
Perché a dispetto del caos il mondo fiorisce sulle armonie.
Eppure, disgiunto (in armonia
con la sua essenza) cerca vendetta
nell’infedeltà coniugale e nell’incendio di Troia.
Eri un uomo cieco, aedo.
Hai gettato via la fortuna come fosse un rifiuto.
Quelle rime sono state composte in quel mondo.
Non appena le dividi, questo mondo crolla.
Chi ha bisogno di armonia? Invecchia, Elena!
Il miglior guerriero degli Achei!
La dolce bellezza di Sparta!
Niente se non il mormorio del mirto, il sogno di una lira:
“Elena. Achille.
La coppia tenuta separata.”
Marina Cvetaeva
Il vento
Ho raggiunto la fine e tu sei viva.
Il vento con gemiti e singhiozzi fa oscillare
il bosco e la dacia. Non ogni pino separatamente.
Ma tutti insieme gli alberi.
Tutta la lontananza sconfinata
come armature di velieri
sulla superficie della rada.
E tutto questo non per ardimento
o per vano furore
ma perché nell’angoscia siano parole
d’un canto di culla per te sola.
Borìs Pasternàk
Segnalo questo stupendo botta-risposta poetico come alto esempio di poesia ad elevata affinità, anche come forma-poesia, con gli esiti poetici più
persuasi della NOE.
Sommando la pagina di oggi a quella di ieri si ottiene un’antologia
d’impareggiato, fin qui, esito di poesia sul piano dei valori poetici dispiegati
da tutti gli autori e da tutte le autrici antologizzate.
Gino Rago
Cari amici, ecco qui alcune caratteristiche dei linguaggi della Nuova Ontologia estetica:
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/06/18/antologia-breve-della-nuova-ontologia-estetica-poesie-di-raymond-carver-franco-di-carlo-francesca-dono-steven-grieco-rathgeb-ubaldo-de-robertis-petr-kral-e-collage-di-commenti-vari-di-giorgio-li/comment-page-1/#comment-20965
Frammento, frammentazione, assenza di contraddizione e di negazione, assenza di identità, incontraddittorietà, il paradosso, intemporalità, mobilità degli investimenti (linguistico-libidici), nonché una relativa indipendenza dalla realtà esterna, il mondo esterno visto dal «tempo interno», ripetizione del punto, ritorno del rimosso, linea metonimica e linea metaforica…
Tutti questi sono i tratti salienti dell’inconscio, e non c’è neanche bisogno di ricorrere alla procedura dei surrealisti, la NOE viene dopo il tracollo del surrealismo, vive degli spezzoni e dei lacerti dell’epoca post-surrealistica.
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/06/18/antologia-breve-della-nuova-ontologia-estetica-poesie-di-raymond-carver-franco-di-carlo-francesca-dono-steven-grieco-rathgeb-ubaldo-de-robertis-petr-kral-e-collage-di-commenti-vari-di-giorgio-li/comment-page-1/#comment-20969
Bene ciò che dici Giorgio sul piano della posizione estetica della NOE.In poesia bisogna adoperare tutti gli strumenti tecnici in grado di rendere il testo ineccepibile.E’ nostro dovere offrire il meglio della esperienza linguistica e culturale. Ci stiamo lavorando sempre in crescendo (vedi Tosi e altri poeti qui presenti) non per produrre l’increabile, ma per rispondere al postmoderno poetico lasciato nelle mani di conservatori e idealisti.Ogni poeta della NOE ha un proprio clichè estetico che lo porta a indagare su ogni aspetto della realtà, e la cosa più sorprendente che si può rilevare, è che questo modo di scrivere versi non si identifica per niente con la produzione poetica degli anni passati e con chi, per un motivo o per altro, presenta rigide tesi a sostegno dei loro lavori rispetto alla NOE.
caro Mario,
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/06/18/antologia-breve-della-nuova-ontologia-estetica-poesie-di-raymond-carver-franco-di-carlo-francesca-dono-steven-grieco-rathgeb-ubaldo-de-robertis-petr-kral-e-collage-di-commenti-vari-di-giorgio-li/comment-page-1/#comment-20972
contro i timorosi del «nuovo», contro i conservatori ad oltranza, contro chi reclama la conservazione della tradizione (come se essa fosse un capitale che sta in banca a produrre altro capitale ad interessi fissi), contro chi è recalcitrante alle nuove forme estetiche, contro chi pensa che scrivere poesia lo si possa fare a spese della tradizione utilmente collocata nel proprio bagaglio pret à porter, riporto qui un pensiero di Adorno:
“Gli argomenti contro l’estetica «cupiditas rerum novarum», che così plausibilmente possono richiamarsi alla mancanza di contenuto di tale categoria, sono intrinsecamente farisaici. Il nuovo non è una categoria soggettiva: è l’obbiettiva sostanza delle opere che costringe al nuovo perché altrimenti essa non può giungere a se stessa, strappandosi all’eteronomia. Al nuovo spinge la forza del vecchio che per realizzarsi ha bisogno del nuovo… Il vecchio trova rifugio solo nella punta estrema del nuovo; ed a frammenti, non per continuità. Quel che Schömberg diceva con semplicità, «chi non cerca non trova», è una parola d’ordine del nuovo […] Quando la spinta creativa non trova pronto niente di sicuro né in forma né in contenuti, gli artisti produttivi vengono obbiettivamente spinti all’esperimento. Intanto il concetto di questo (e ciò è esemplare per le categorie dell’arte moderna) è interiormetne mutato. All’origine esso significava unicamente che la volontà conscia di se stessa fa la prova di procedimenti ignoti o sanzionati. C’era alla base la credenza latentemente tradizionalistica che poi si sarebbe visto se i risultati avrebbero retto al confronto con i codici stabiliti e se si sarebbero legittimati. Questa concezione dell’esperimento artistico è divenuta tanto ovvia quanto problematica per la sua fiducia nella continuità. Il gesto sperimentale, nome per modi di comportamento artistici per i quali il nuovo è vincolante, si è conservato; esso però indica ora un elemento qualitativamente diverso… indica cioè che il soggetto artistico pratica metodi di cui non può prevedere il risultato oggettivo”. “la categoria del nuovo è centrale a partire dalla metà del XIX secolo – dal capitalismo sviluppato -“. “L’oscuramento del mondo rende razionale l’irrazionalità dell’arte: essa è la radicalmente oscurata”. “Nei termini in cui corrisponde ad un bisogno socialmente presente, l’arte è divenuta in amplissima misura un’impresa guidata dal profitto” .1
1 T.W. Adorno Teoria estetica, Einaudi trad. it. pp. 32,33
Ecco la chiave di lettura per meglio comprendere certe posizioni artistiche fra soggetto poetico vecchio e nuovo. Determinante è l’intuizione di Adorno :” Quando la spinta creativa non trova pronto niente di sicuro, né in forma, né in contenuti, gli artisti produttivi vengono obbiettivamente spinti all’esperimento”. E non è certo un’avventura, ma la fase aurorale su stagioni di oscuramento mentale e di parassitismo linguistico, perché tutto resti come una crema a lunga conservazione.
Un lettore mi chiede lumi su questi due versi della poesia de La Belligeranza del Tramonto (2006), incunabolo della nuova ontologia estetica, che incollo qui:
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/06/18/antologia-breve-della-nuova-ontologia-estetica-poesie-di-raymond-carver-franco-di-carlo-francesca-dono-steven-grieco-rathgeb-ubaldo-de-robertis-petr-kral-e-collage-di-commenti-vari-di-giorgio-li/comment-page-1/#comment-20967
Non c’è nulla di nuovo sotto il sole.
Io e la mia ombra non parliamo la stessa lingua” – afferma Flamurt.
Questa è la poesia.
Flamurt, schiavo della trireme romana
Flamurt, schiavo della trireme romana
ha fatto carriera, ora è sguattero della nave ammiraglia
e barbiere privato del proconsole,
detta gli auspici e scioglie gli indizi. Si dice
che il suo consiglio sia molto apprezzato dal console.
Flamurt, liberaci dal dubbio,
scioglici dal male che ci sovrasta
gli indizi sono sinistri, intona i sistri, i pifferi,
recaci il lenimento dei tuoi frizzi e dei tuoi lazzi,
le ballerine dell’Opera caffè e le mutandine da sexy shop,
dacci oggi la gozzoviglia quotidiana
rimetti a noi i nostri debiti come noi
li rimettiamo ai nostri debitori.
Sbrigati Flamurt, il mostro che verrà
ci libererà dal dubbio
e dalla compulsione della copula.
Ora, Flamurt, schiavo della trireme romana,
abita il piano alto dell’Hotel, una suite di lusso
con tanto di pornostar per le sue delizie,
ed io sono il suo sguattero, il fedele e devoto sguattero
e spio i suoi amplessi come dalle forche caudine
e bramo, impotente, la sua zoccola.
“Non c’è nulla di nuovo sotto il sole.
Io e la mia ombra non parliamo la stessa lingua” – afferma Flamurt.
Deicida ed omicida il suo eloquio lo rivela
per quello che è: un lacché, un sordido lacché.
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/06/18/antologia-breve-della-nuova-ontologia-estetica-poesie-di-raymond-carver-franco-di-carlo-francesca-dono-steven-grieco-rathgeb-ubaldo-de-robertis-petr-kral-e-collage-di-commenti-vari-di-giorgio-li/comment-page-1/#comment-20970
Il mio omaggio musicale ai poeti della NOE e a tutti i lettori della Rivista, con un pensiero particolare a Raymond Carver…
La mia scelta non è casuale: “Take five” composto nel 1959 (l’anno ci dice molte cose…), uno dei brani più famosi del mitico Dave Brubeck Quartet:
Dave Brubeck (Pianoforte)
Paul Desmond (Sassofono contralto)
Eugene Wright (Contrabbasso)
Joe Morello (Batteria)
Registrazione live (Belgio, 1964)
Grazie Donatella.Oltre a Brubek con “Take five,” mi piacerebbe ascoltare “Take the a train” (Prendi il treno) con Duke Ellington al pianoforte, così lo dedichiamo a Martino e a Borghi..
for them…
Che meraviglia!
Il biografismo che caratterizza la poesia di Carver è davvero leggero e sopportabile. Il suo “io” è per così dire, interattivo – certo, favorito com’è dalla cultura americana da sempre votata all’estroversione –. Spesso da noi si fatica a risalire alle cause di uno stato d’animo, di una comprensione improvvisa, forse perché assuefatti all’effetto stupefacente delle metafore.
La problematica dell'”io” sarebbe da archiviare nella strumentazione, accanto a significato e significante, perché ho notato che nelle poesie NOE capita spesso di imbattersi in forme dal significato aperto… se non perfino suicida e al contempo deridente come nel caso di Mario Gabriele, oppure, come in Linguaglossa, in forma d’enigma, ma lo si potrebbe dire anche di Steven Grieco. Gino Rago no, lui è il mastice che unisce, e ricompone. In tutti i casi si assiste allo spezzettamento del senso, la qual cosa non sembra avere precedenti.
… e questa poesia di Raymond Carver, non è poesia ontologica?
DORMIRE
Ha dormito sulle proprie mani.
Su una pietra.
In piedi.
Sui piedi di qualcun altro.
Ha dormito su autobus, treni, aerei.
Ha dormito sul lavoro.
Ha dormito per la strada.
Ha dormito su un sacco pieno di mele.
Ha dormito in una latrina a pagamento.
In un fienile.
Nel Super Dome.
Ha dormito in una Jaguar e sul retro d’un furgoncino.
Ha dormito a teatro.
In galera.
In barca.
Ha dormito in cassetti ferroviari e, una volta, in un castello.
Ha dormito sotto la pioggia.
Sotto il sole rovente, ha dormito.
A cavallo.
Ha dormito su sedie, banchi di chiesa e alberghi alla moda.
Ha dormito sotto strani tetti tutta la vita.
E adesso dorme sottoterra.
Dorme, dorme e non si sveglia mai.
Come un vecchio re.
… e questa? Questo sì che è un quotidiano forte, robusto…
LA CABINA TELEFONICA
La donna s’accascia nella cabina, singhiozzando
al telefono. Chiede un paio di cose
e singhiozza ancora più forte.
Il suo compagno, un anziano tutto
in jeans, sta lì vicino in attesa
che tocchi a lui parlare, e piangere.
Lei gli porge la cornetta.
Per un attimo restano insieme dentro
la minuscola cabina, mescolando
le loro lacrime. Poi
lei va ad appoggiarsi al parafango
della loro berlina. E ascolta
mentre lui prende accordi.
Osservo tutto questo dalla mia macchina.
Neanch’io ho il telefono in casa.
Resto seduto al volante
e fumo, in attesa di prendere
anch’io accordi. Ben presto
lui riaggancia. Esce e si asciuga il volto.
Salgono in macchina e restano
dentro con i finestrini chiusi.
I vetri s’appannano sempre più
mentre lei gli si appoggia e lui
le cinge le spalle con un braccio.
I gesti meccanici di conforto in quell’angusto luogo pubblico.
Vado con le mie monetine
verso la cabina e m’infilo dentro.
Però lascio la porta aperta, perché
si sta così stretti qui. La cornetta è ancora calda.
Non mi piace per niente usare un telefono
che ha appena portato notizie di morte.
Ma non ho scelta, perché è l’unico telefono
nel raggio di miglia e Sto arrivando! ascoltare
senza schierarsi da nessuna parte.
Inserisco le monete e aspetto.
Anche quei due nell’auto restano in attesa.
Lui accende il motore ma poi lo spegne.
Da che parte andare? Nessuno di noi
è in grado di dirlo. Non sapendo
dove cadrà il prossimo colpo,
né perché. Gli squilli dall’altro capo
cessano quando lei alza la cornetta.
Prima che io possa dire due parole, il telefono
si mette a gridare: “T’ho detto che è tutto finito!
Finito! Puoi anche andare
all’inferno, per quanto mi riguarda!”
Abbasso la cornetta e mi passo una mano
sulla faccia. Chiudo riapro la porta.
I due nella berlina tirano
giù i finestrini e mi guardano,
le loro lacrime bloccate per un attimo
di fronte a questa distrazione.
Poi tirano su i finestrini
e restano seduti dietro ai vetri. Per un po’
non andiamo da nessuna parte.
Ma poi andiamo.