Antologia della poesia italiana contemporanea a cura di Giorgio Linguaglossa Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Progetto Cultura, Roma, 2016, pp. 352 € 18) Commento di Donatella Bisutti – Selezione di poesie di Alfredo de Palchi, Antonella Zagaroli, Maria Rosaria Madonna, Ubaldo de Robertis, Renato Minore, Anna Ventura, Steven Grieco Rathgeb, Letizia Leone, Giuseppe Talia, Stefanie Golisch

Fiera del Libro MilanoDidascalia della presentazione della Antologia avvenuta alla Fiera del Libro di Milano-Rho il 20 aprile 2017: “La «nuova poesia» del nuovo secolo si muove al di fuori dei modelli e dei canoni del Novecento e si presenta come disseminazione delle forme estetiche”
 Immagine rappresentativa dell’evento della Fiera del Libro di Milano-Rho

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http://www.progettocultura.it/735-antologia-della-poesia-contemporanea-come-e-finita-la-guerra-di-troia-non-ricordo.html

Lettura di Donatella Bisutti

Un’antologia  che si propone  uno scopo ambizioso: quello di  dare atto  e insieme di indicare una svolta, di voltare una pagina per aprirne un’altra, nuova,  come a suo tempo, nel Novecento che abbiamo alle spalle ma che ci  influenza ancora pesantemente avendo posto le premesse del nostro presente,  hanno fatto antologie come quella dei Novissimi (1961), di Alfredo Giuliani che all’inizio degli anni Sessanta pose le basi della Neoavanguardia, o quella di Giancarlo Majorino, Poesia e Realtà (1977), che usci alla fine degli anni 70 dando  alla poesia una nuova angolazione storica e politica, o  La Parola Innamorata di Giancarlo Pontiggia e De Mauro, uscita a  solo anno di distanza (1978) ma che rovesciò la situazione proponendo contro la neoavanguardia una poesia  nella linea simbolista lirica orfica.

Direi che dopo di allora non è più esistita un’antologia “storica”  dato che non mi risulta , benché in questi anni siano uscite numerose antologie che di fatto si potrebbero definire “minimaliste”, che ci sia stata un’antologia che per esempio si sia posta come il manifesto del minimalismo. Ora io credo che questa antologia curata da Giorgio Linguaglossa appartenga a questa famiglia di antologie  contrastanti nei contenuti e negli intenti ma volte a dare atto e al tempo stesso a segnalare, o anche imporre, o cercare di imporre, una poetica, una nuova visione della poesia, e soprattutto del fare poesia. Sia cioè quella che vorrei chiamare un’antologia di intenti. Linguaglossa è, come tutti sappiamo un  fine critico e un critico militante attivissimo  e molto seguito sulla rivista-blog L’Ombra delle  Parole. Credo che questa antologia da lui curata condensi  e porti a compimento  – compimento provvisorio beninteso dato che ci muoviamo nel flusso del divenire e tutto può solo essere un work in progress –  un suo lavoro critico che dura ormai da anni. Dopo aver redatto Il Manifesto della Nuova Poesia Metafisica nel 1995 e aver pubblicato nel 2010 il saggio critico La nuova poesia modernista italiana, in cui registra la crisi irreversibile dello sperimentalismo e si interroga sulle possibilità di un nuovo linguaggio poetico, a partire dalle contraddizioni non risolte delle poetiche lasciateci in eredità dall’ultimo Novecento.

Roberto Bertoldo Annamaria De Pietro

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Così questa antologia vuole porsi come una sorta di atto di nascita  di una nuova poesia che Linguaglossa definisce ontologica e cioè che vuole avere  a che fare con il senso della realtà e dell’Essere, ispirandosi alla “rivendicazione della portata ontologica dell’arte e della poesia” enunciata da Vattimo nel suo Poesia e Ontologia del 1967 e riproposto nel 1985. Di questa nuova poesia  Linguaglossa, nel suo saggio introduttivo, ci dà i parametri. E quali sono questi parametri? Si tratta prima di tutto di un ‘antologia che intende spazzare via gli ormai  pochi e  stanchi residui dello sperimentalismo ma anche il “canone” del cosiddetto minimalismo  che  in questi anni ha  condizionato la nostra poesia. Altrettanto dicasi  per quanto riguarda la poesia lirica, confessionale, romantica, di contenuto sociale e civile.  Cosa resta allora?  Diciamo che, a differenza di ciò che accadeva con lo sperimentalismo, resta apparentemente intatta la struttura del linguaggio, ma in una diversa dimensione. Una dimensione in cui la metrica diventa  “ametrica”, il peso della parola cambia, diventa quello di  “un’entità variabile”, di “un’entità temporale” come l’ha definita Linguaglossa,  la punteggiatura  acquista un valore  assoluto e diverso, in cui per esempio il punto si sostituisce alla virgola creando una diversa articolazione della frase, una diversa sintassi.

Diciamo che si tratta di una destrutturazione non più lessicale e sintattica ma mentale, a livello di  quel processo mentale o vorrei usare di  quel big bang  mentale  da cui  ha inizio la visione, l’immagine  e  che dovrà successivamente trasformarsi in parola. Resta anche il soggetto, ma non più  come attore quanto soprattutto come osservatore, come punto di vista, come punto prospettico e quindi in qualche modo spersonalizzato. Il discorso poetico diventa così il luogo in cui, lacanianamente, il soggetto si annulla.

Diciamo che di questa antologia intesa come manifesto di una nuova poesia che ha le sue prime radici nel postmoderno, ma vuole anche superarlo verso una poesia nuova e ulteriore, è più facile dire prima di tutto ciò che non è, facendo nostro il montaliano “ciò che non siamo ciò che non vogliamo“.

Ma se approfondiamo l’indagine,  non tenendo conto solo dell’analisi critica di Linguaglossa ma anche dei testi proposti,  ecco che la “consegna del testimone di  ‘eredità infranta’”, per riprendere  sempre le parole di Linguaglossa, fa apparire i lineamenti di una nuova poesia possibile, ancorata a quello che Roberto Bertoldo ha definito come “nullismo” di contro al nichilismo, e che vuole essere, se ben capisco , soprattutto una presa di consapevolezza della necessità di sostituire le fondamenta della nostra visione del mondo  ormai crollate per via della scienza della Storia dell’economia dello svaporare di un mondo  che finora si reggeva sul potere di  stati nazionalisti, sulla religione e su un modello di cultura borghese basata su canoni etici  e cognitivi che si pretendevano assoluti. Consapevolezza che lo svanire di tutto questo sta lasciando posto, a velocità sempre più impressionante, a una nuova concezione del mondo, a un nuovo rapporto con la conoscenza, la morale, il tempo, che ancora non ci è per niente chiaro, genera anzi uno stato di ansia e di confusione. Ma genera anche nuove forme d’arte. 

Ed è sicuramente una poesia  dove ha un ruolo essenziale  e centrale, determinante e assoluto l’immagine e per questo ha una grande consonanza con le arti visive. Non solo la grande lezione di Tarkovskij, ma anche un film come il recentissimo di Ozpetek intitolato Rosso Istanbul, ma  anche Memento di Christopher Nolan  del 2000, con la sua frammentazione, la sua mancanza di certezze, il suo senso di disorientamento – o Inception, dello stesso regista, in cui la percezione diventa illusoria, o 21 grammi del regista messicano  Alejandro Gonzales Inarritu che ebbe l’Oscar nel 2004 e fu girato con tecniche particolari. Contraddizioni, instabilità, frammentazione sono veicolate attraverso l’immagine piuttosto che attraverso la trama. Io credo che la nuova  poesia ontologica debba qualcosa all’elaborazione di immagini virtuali.

Mario Gabriele, Antonio Sagredo

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Ecco dunque che questa nuova poesia entra  di slancio in questa antologia di Linguaglossa,  con autori nati per lo più tra gli anni Quaranta e i Cinquanta , quindi non giovanissimi, il che secondo me ha il suo interesse e il suo peso in quanto si tratta di persone  che sono passate attraverso  un  traumatico rovesciamento di valori e quindi possono misurarne l ‘entità, gli effetti e le possibilità nuove che eventualmente si schiudono. Per ricostruire bisogna infatti prima inventariare ciò che è stato distrutto secondo l ‘indicazione di Gianni Vattimo: ” disfare e confluire” .

Il mondo poetico nuovo, e quindi anche la nuova poetica sottesa nei testi raccolti in questa antologia, che presenta  una notevole omogeneità pur nelle differenti declinazioni, è connotato da enigmaticità, frammentazione nel tempo, o meglio rottura di ogni stabilità temporale, e un indistinto spaziale e soprattutto un rapporto totalmente nuovo fra “parola” e “Essere”: un Essere che secondo una poesia di Maria Rosaria Madonna, uno dei poeti presenti nell’antologia, si  può afferrare ma “torna indietro”,  e rappresenta quindi il rifiuto  di una dimensione conoscitiva tradizionale.  Si assiste in questa poesia ontologica a una dispersione di un senso univoco del reale.  Essa ci  offre l ‘immagine di un mondo fatto di attimi disgiunti, slegati fra loro, appartenenti a diversi ordini di realtà – umana artificiale virtuale – secondo la classificazione di un grande teorico del postmoderno,  Jean François Lyotard.

L’accumulo di elementi  anche disparati, estranei fra loro, si sostituisce al principio di casualità caro al modernismo. Si aggiunga il rifiuto della linearità, di un qualsiasi ordine costituito, un passato riportato al presente senza distinzione, un’abbondanza di citazioni letterarie. Tutto questo apre degli interrogativi che sono già in partenza senza risposte. Ne risulta una sorta di universo parallelo in cui vige un’enigmatica pluralità di senso che mi fa pensare per affinità al  mondo dietro lo specchio di Lewis  Carroll. Un mondo dove niente assomiglia alla realtà ma che si organizza  tuttavia in una costruzione secondo proprie coordinate che non rifiutano apparentemente le leggi della logica né quelle della grammatica e della sintassi ma in realtà le sovvertono profondamente, creando le premesse di una logica altra seppur perfettamente coerente, che dà atto delle infinite possibilità del cosmo e che sento in consonanza con le scoperte più recenti e spiazzanti della fisica quantistica, la quale ha distrutto la nostra nozione del tempo e dello spazio  e ci spalanca un cosmo incomprensibile in moltiplicazione, distruzione ed espansione infinita, azzerando quei nessi tranquillizzanti di causa effetto cui ci aveva avvezzato la fisica di Newton. Non per niente anche Lewis Carroll era uno scienziato, un matematico. Un universo in sviluppo infinito ma anche in ritorno su se stesso: in cui appunto l’Essere “torna indietro”.

Fiera del Libro Milano 2017 Donatella Bisutti

Donatella Bisutti, Giorgio Linguaglossa Fiera del Libro di Milano 2017

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Si  può vedere questa antologia, o meglio i testi  dei vari autori che essa contiene, come una presa di coscienza, ma anche una reazione, come dice del resto Linguaglossa nel suo saggio introduttivo, allo smarrimento, alla vertigine, al sentimento della fine, alla perdita di una certezza del senso. Per ritrovare un’altra epoca storica di forte smarrimento bisogna risalire esattamente a un secolo fa, ai poeti crepuscolari del primo quindicennio del Novecento. Ma i crepuscolari avevano reagito allo smarrimento di un mondo che intuivano stava per disfarsi, con una chiusura, un ripiegamento, il loro proprio smarrimento.  Questi poeti di oggi accettano lo smarrimento per rovesciarlo non solo in consapevolezza ma in una forma di libertà.  Ne consegue un atto di onnipotenza della poesia che diventando plurisenso totalmente sganciato da ogni struttura tradizionale e travalicando spazio e tempo si propone di creare una realtà altra, in sé perfettamente autonoma e  autosufficiente.

Vorrei sottolineare che quando parlo di  plurisenso o polisemia non si tratta di quello connaturato al linguaggio poetico e affidato all’ossimoro, al suono, al ritmo, alla metafora.  Anche questi concetti, queste categorie  vengono in certo modo rovesciati dall’interno. Qui la pluralità di senso deriva soprattutto da due diversi procedimenti: quello dell’accumulo e quello della giustapposizione.

In questa nuova poesia si possono trovare tracce delle più importanti esperienze del Novecento: futurismo, surrealismo,  espressionismo  (questi due ultimi movimenti assai poco presenti in una poesia italiana connotata dall’ermetismo) e, in consonanza con la pittura,  la pop art e  soprattutto l’action painting. In un certo senso si potrebbe definire questa poesia  “ontologica”  anche  un action painting della poesia per l’ estrema libertà che diventa gesto del linguaggio, per l’espandersi all’infinito di un iniziale nucleo visionario, per il suo uso della parola come di un materiale-immagine.

Non si tratta più dunque, in conclusione, come ho già accennato, di uno sperimentalismo linguistico ma mentale, la creazione di una “molteplicità di mondi possibili“. Poesia trans-nazionale per i suoi tanti riferimenti geografici e letterari e linguistici, oltre che per le connotazioni biografiche degli autori,  quindi anche in certo modo la nuova poesia di una condizione globalizzata del mondo, che risponde alle sollecitazioni della scienza e agli scambi e alle commistioni multiculturali, alla pluralità degli strumenti conoscitivi,  e  che, per il coinvolgimento attivo che presuppone da parte del lettore, per la sua connotazione di laboratorio in cui si sviluppa riflettendo su se stessa, potrebbe forse definirsi anche  “trans-mediale”.

Onto De Palchi

Alfredo de Palchi

Aggiusto la mira delle sassate alle finestre
alle teste disorientate dei carrettieri
e dei preti con il potere
della crudeltà
raccapriccio dell’esistenza
nei pagliai e nei tuguri,

la tua benedizione dal portale di cotto
Giuseppe Girelli prete Beppo zoticone
così tanto insozzi
che ti spaccio alla tua personale inquisizione
usando insulti da pulpito
corde al collo e chiavistelli ai testicoli
e sfoderarti la pancia all’ultimo urlo
che voglio udire
in questa immensità di silenzio
con la mira della sassata

eccoti a bocca spaccata tra gli ossami
a sentenziare le donne che mai
riposi di predicare veleno cristiano –
che il tizzo del tuo involucro di fanghiglia
sperperi urli atroci
per la mia sassata che fa giustizia
precipita nel baratro
che il cranio scoppi laggiù sulla pietra
del Bussé il canale
per sempre il tuo inferno.

23 giugno 2009

Onto Ventura

Anna Ventura

Hic et nunc

Qui dove si stringe l’interno,
dove il raggio di ponente
riscalda il cuore
e gli oggetti scombinati e vecchi
tranquilli convivono,
qui dove la lampada conserva
la pulce nera
della mosca estiva, le piastrelle non brillano,
la polvere pacifica
sta sulle cose,
qui c’è la pace dell’inutile,
il tempo immobile
del dolce far niente,
lo sguardo osserva
dietro le garze rosse e bianche,
altre case, altri comignoli e tetti,
balconi, finestre, ballatoi,
dove la vita dei semplici
scorre
senza chiedersi come
e perché,e fino a quando,
e con quale fine o mistero.
No, non ha questa presunzione
la vita dei miei dirimpettai;
perciò qui sto bene anch’io,
come loro,
nel grande fiume delle cose
che non aspettano niente.

Onto Zagaroli

Antonella Zagaroli

da La Maschera della Gioconda (1988)

Se per caso ti trovassi a guardare la finestra
sul cipresso

immagina il movimento intorno al cuore
immagina la luna dentro le articolazioni
il corso dei secoli nella tua rotula

ferma l’occhio
da Serrata a Ventaglio (2004)

Il senso dell’ombra con le mani nei capelli

Nell’isolamento

Per chi cerca ancora una voce che risponda
il passato non insegna nulla

nuvole per altre essenze
fili incomprensibili che transitano nell’udito

Altri semi scovano
Il carattere selvaggio della mandria nel recinto

Onto Talia

Giuseppe Talia (Panetta)

Paradossi

Le teorie di Frege un mezzo fallimento
perse nel predicato che non si predica
quando il paradosso dell’assioma
non è nient’altro che una contraddizione:
“Cesare conquistò la Gallia”. Ma in che modo?
Con un carattere sintetico a priori si direbbe
in rapporto allo spazio di manovra
e di semplici proporzioni analitiche
al numero dei soldati impiegati e dei civili morti.

E in Oriente? La teoria di Tarski riassembla
i pezzi del raggio originale. Nei pozzi d’umore nero
si duplicano le sfere e in ogni famiglia
un insieme di vuoti e di rovine determina
nel regime la falsa idea di un buon ordinamento.

Canio

Con il suv di rappresentanza
traccio solchi sulle piste di neve
La democrazia la tiro su dal naso
e la realizzo in un vernissage
Gioco in borsa e svuoto le borse
di tutti i portaborse affaristi
che con me rimestano nel torbido.
Il mio rolex segna un tempo che
non è il tempo del mondo
e la solidarietà la porto in braccio
in una camera d’albergo.
È bionda.

 

Onto Letizia Leone

Letizia Leone

ESTASI DELLA MACELLAZIONE
(Chi conosce l’indirizzo dei mattatoi?)

da La disgrazia elementare, 2011

Per il combattimento col suono
doveva arrivare questo
metà uomo e metà caprone, satiro peloso
col suo flauto fiammante rubato a una dea
giocattolo erotico,
un congegno di magia amatoria!
Suonava l’ominide, musica fatale
sfregamenti sensuali di gioia
che spietrificavano, eccitavano i pistilli,
le crescite
i matrimoni dei morti, le primavere, i germogli
tutti tirati fuori dalle grotte
al sole neonato del solstizio
ai sonagli dei suoni
al canto chiaro e rotondo
le forti lucertole da scaldare
fuori le foglie, le corazze di pepe, le rute,
l’erba cornacchia, i grani d’alloro
al sole dai letarghi il castoro
dai tuorli invernali gli insetti
verso l’alba i ruggiti del leone,
ogni sasso incantato in diadema
in un trionfo di splendore
e ogni fiore d’ortica
uno sprizzare d’incenso.
Si divertiva così quel presuntuoso,
lanciando note come trappole d’attrazione.
Troppo.
Gongola Marsia
nel delirio da esibizione, nella gloria
assoluta delle tonalità:
“Non è poi così difficile essere un dio
quando si suona.
E Apollo chi è?”

4

Ma un vero Dio
si annuncia a passi disordinati
con una voce intonata che usa il fragore dei tuoni
o i versi delle bestie feroci poiché il suo strano
fiato gli è sfuggito
dalla gola ed è caduto
nei rami o nell’acqua, e poi generosamente
in tutte le materie del regno.
Chi è che ruba questa musica da ballo, questa primavera
questo carro
d’oro del risveglio lo affonda nelle mie foglie?
Chi rafforza i vegetali in mia vece? Chi risorge
dal suo corpo sepolcro
con i miei poteri e usurpa
redenzione
con una canzone?
Satiro irriguardoso
ti esaudirò, ti farò cantare per sempre
il sacrificio sonoro della carne.

“In ligno
caro extenditur, ut tympanum fiat et ex cruce
discant suavem sonum
gratiae confiteri”: dal tuo legno
un suono soave.
Si, ti suonerò.
L’olocausto è l’orchestra
di accordi vivi fabbricati
con ossa, pelli, intestini, capelli
muti fino
al flauto, al corno, al tamburo, alle cetre
d’iniziazione, alla dolce cantilena delle corde.

onto Lucio Mayoor Tosi

Lucio Mayoor Tosi

1 – Woody Allen.

– Prenderò del Cornac; con spremuta di pomodori e un Lìsson.
– Ci vuole della cannella sul Lìsson?
– Sì, perché no.

Lo sai che sono innamorata di te.
Le tende del davanzale coprono le mie gambe.
Lampeggia il semaforo sul gommino della matita.

Gli studenti sul terrazzo della villa guardano
danzare le luci accese in giardino.
Scommetteresti che dietro quelle siepi ci sia il mare.
Voce del violoncello.

3 – Cinema.

L’uomo esce sul ballatoio della casa a ringhiera.
Ha piovuto. Non sa dove sta andando, né se rientrerà.

Scende le scale: le sue scarpe, la rampa vista dall’alto.
La casa pare ormeggiata nel cassetto di una vecchia scrivania.

“Mi chiedevo dove avessi lasciato le scarpe”.

La donna guarda attraverso le fessure della tapparella.
Ha sentito sbattere la portiera.

“Abbiamo fatto l’amore senza baciarci”.

In anticamera, le ombre hanno qualità marine.

Onto Marilyn

Maria Rosaria Madonna

La reggia che fu di Odisseo

Che cosa vogliono i proci che frequentano
la reggia che fu di Odisseo?
E che ci fa sua moglie Penelope
che di giorno tesse la tela con le sue ancelle
e di notte tradisce il suo sposo
nel letto dei giovani proci?
Sono passati dieci anni dalla guerra di Troia
e poi altri dieci.
I proci dicono che Odisseo non tornerà
e nel frattempo si godono a turno Penelope
la loro sgualdrina.
Si godono la reggia e la donna del loro re
sapendo che mai più tornerà.
Forse, Odisseo è morto in battaglia
o è naufragato in qualche isola deserta
ed è stato accoppato in un agguato.
La storia di Omero non ci convince
non è verosimile che un uomo solo
– e per di più vecchio –
abbia ucciso tutti i proci, giovani e forti.
La storia di Omero non ci convince.
Omero è un bugiardo, ha mentito,
e per la sua menzogna sarà scacciato dalla città
e migrerà in eterno in esilio
e andrà di gente in gente a raccontare
le sue fole…

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Il merlo gracchiò sul frontone d’un tempio pagano

Il merlo gracchiò sul frontone d’un tempio pagano
il mare sciabordando entrò nel peristilio spumoso
e le voci fluirono nella carta assorbente
d’una acquaforte. E lì rimasero incastonate.

Due monete d’oro brillavano sul mosaico del pavimento
dove un narciso guardava nello specchio
d’un pozzo la propria immagine riflessa e un satiro
danzante muoveva il nitore degli arabeschi
e degli intarsi.

Onto Grieco

Steven Grieco Rathgeb

Città degli dei*

Nell’infanzia il mondo ci apparve
attraverso i nomi.
Balenò in noi l’oscura origine della lingua,
il suo udirsi.

Gli antichi la pensarono forgiata da chissà chi,
raggio luminoso che un prisma disperde
in mille distorsioni.

Così, le parole ci paiono talora potenza
talora assurdità, mai verificabili fino in fondo.
Dopo l’intreccio di fini e ragionati discorsi,
rimane così poco, e noi dubbiosi
su chi ha detto cosa, e perché.

I più si ribellano a queste opacità,
invocano l’etimo per avere certezze.
Ma i dizionari aprono più strade
di quante sappiano percorrere,
prima o poi finiscono in vicoli ciechi.
Quelli intanto argomentano,
spaccano il capello,
si scindono in molteplici pareri
per concludere infine:
è vero il falso.

E cerca il poeta un dire che per interna luce
risplendano le cose del mondo.
Allora travalica i suoi miseri versi,
il loro nereggiare tra sogno e passione,
ne insegue il senso
che fugge significando nel suono.

Ma presto torna indietro anche lui,
esausto, all’orizzonte
che si dilata e si restringe.

Che farsene di vuote conchiglie?
Poi di nuovo ne afferra lo svanire,
e mai lo afferra intero
e mai è intero se non sa lasciarlo…

Più profondo risuona il silenzio di parole
che rammentano se stesse.

In questo ossimoro avvampa
ciò che non discende da ieri o ieri l’altro,
frutto dell’albero
che splende più lontano degli occhi.

Quando tanto intuiamo,
altro ci appare il nostro dire: sempre equilibrato,
come le antiche lingue, fra l’avere un senso
e non averlo

* “Città degli Dei”, devanagari: nome del millennario alfabeto della lingua sanscrita.
da Nel caleidoscopio inediti, 2002

Onto brodskij

Renato Minore

La piuma e la biglia

1)

C’erano quattro biglie colorate pronte a partire,
ma lo sparo fu rinviato
da sempre. Da sempre le biglie
formavano un quadrato
immaginario e al centro
c’era l’invisibile punto
di convergenza di tutti
i loro colori.

La pista allungata, infinita,
era una distesa
di acqua o di sabbia,
ma senza acqua né sabbia.

2)

Rossa la prima e potevi
aver voglia di spaccarla
per trovare i semi
come dentro la melograna.
Verde la seconda come
quando saltella la capra
sopra i prati e i prati
hanno il luccichìo
della pioggia appena velata.
Bianca era la terza
ed era neve, neve
coagulata o neve sparsa
o cielo torbido che vela
le forme perché cancella
luce e ombra.
Nera la quarta ed era
specchio quasi opaco, l’immagine
riflessa era dietro
la superficie, non dentro,
come se il vuoto fosse
pieno di quel vuoto
nero nerissimo.

3)

Immobili le biglie attendevano
che dall’una venisse
la mossa per la prima partita.
Ma il silenzio
non faceva scandalo, era
il colore naturale,
rosso o verde bianco nero
come le biglie che non partivano.

Onto DeRobertis

Ubaldo de Robertis

Françoise

Nome da non evocare apertamente,
sottrarlo alla vigilanza della ballerina russa,
uscita di senno pour l’amour fou.
Non deve esser percepito, che non venga avvertito
il linguaggio, scenico, compreso il grido di stupore
nello spazio entro cui tutto accade,
sullo sfondo d’un café dans la capitale française,
la figura in lontananza si avvicina come un suono,
sempre sul punto di vibrare o svanire,
e lascia in sospeso qualcosa di ammaliante.
Il corpo sinuoso anima il desiderio
dell’anziano artista, creatore e distruttore.
Sinfonia di forma, colore, lo sguardo rosso ardente
come il vestito e i capelli a paggio, negli occhi belli,
che avvinsero anche Matisse, primeggia una luce audace.
Cos’è quel suono che si sente?
Il vento fra gli alberi del boulevard rende musicale l’attesa.
Ha vent’anni Françoise, pittrice cubista,
un esegete delle moderne peinture.
La natura, parola di Hermann Hesse, non si getta
nelle braccia del primo venuto, così come l’arte e la sapienza.
Vivono nel paradiso dell’amore, noi nell’aridità,
strimpella il suonatore cieco di chitarra. Non sa
che quella donna è destinata
ad essere ornamento, musa ispiratrice, sposa avvenente.
Fuori dalla piccola finestra aperta, quasi a terra,
giungono i profumi a riempire l’aria della stanza,
l’amore è la cornice entro cui isolarsi,
ma il celebre ospite infrange, impunemente,
l’antico legame tra donna e natura.
– Ad ogni successione dovrei bruciare la donna
precedente, così me ne libererei…-
Questa volta fu Lei, demone e dea, a lasciarlo,
a frantumare l’orgoglio del genio, la sua presunzione.
Lei che dipinge al centro le sue tazzine da caffè,
le costringe in quei colori chiari e quel celeste e verde;
il marrone-viola del piano risuona nel contrasto,
il giallo sullo sfondo, o quando stende il rosso cadmio
tonalità dominante nel verde base della tela.

Vai pure avanti tu per la tua via, Françoise Gilot.
Non farai la fine delle altre regine /della sua vita/.
Si appese al collo Marie Thérèse, Jacqueline
si sparò un colpo di pistola in testa,
Ol’ga e Dora persero la ragione.
Moi seulement, je suis… encore en vie – grida Françoise.

Onto Stefanie golisch

Stefanie Golish

Kartoffelfeuer

Nella quiete di primo autunno,
un improvviso grido di corvo,
il profumo di mele mature
e di involtini primavera dal ristorante cinese
al pian terreno
C’è in questa natura morta
una ansia di risposte a fine estate,
un cupo giorno di settembre
in cui la mia infanzia bruciò
in un Kartoffelfeuer.
Dopo quel giorno, non c’era più
Nello specchio una ragazza sorride seducente
al mondo appena nato, come per dire,
eccomi,
prendimi,
sono tua
.
* Il Kartoffelfeuer è il fuoco con il quale, nelle campagne, i contadini bruciano le piante di
patate dopo il raccolto.

La mia inviolabilità

Luz è il nome dell’osso 
dalla cui improbabilità risorgerò
dopo che la grande onda mi avrà trascinato via,
mia madre mi avrà chiamato a casa
Non dimenticare 
la mia gobba antica,
non dimenticare 
il vuoto nell’ora degli uccelli morti,
quando le domande,
una a una, svaniscono
senza risposta,
Raccogli quell’io pietra 
nel mistero della sua 
imperfezione

*Nella religione ebraica luz è il nome di un osso minuscolo che non può essere distrutto e dal quale, alla fine dei tempi, l’uomo sarà ricreato.

Laboratorio 8 marzo 2017 Donatella BisuttiDonatella Bisutti è nata e vive a Milano. È giornalista professionista. Ha collaborato in particolare alla collana I grandi di tutti i tempi (Mondadori) con volumi su Hoghart Dickens e De Foe e ha tenuto per otto anni una rubrica di poesia sulla rivista Millelibri (Giorgio Mondadori editore). Nel 1984 ha vinto il Premio internazionale Eugenio Montale per l’inedito con il volume Inganno Ottico (Società di poesia Guanda,1985). Nel 1990 è stata presidente della Association Européenne pour la Diffusion de la Poésie a Bruxelles. Di poesia ha poi pubblicato Penetrali (ed.Boetti & C 1989), Violenza (Dialogolibri, 1999), La notte nel suo chiuso sangue (ed. bilingue, Editions Unes, Draguignan, 2000), La vibrazione delle cose (ed. bilingue, SIAL, Madrid, 2002), Piccolo bestiario fantastico,(viennepierre edizioni , Milano 2002), Colui che viene (Interlinea, Novara 2005, con prefazione di Mario Luzi). È in via di pubblicazione a New York l’antologia bilingue The Game tradotta da Emanuel di Pasquale e Adeodato Piazza Nicolai (Gradiva Publications, New York). La sua guida alla poesia per i ragazzi L’Albero delle parole, è stata costantemente ripubblicata e ampliata dal 1979 e attualmente edita nella collana Feltrinelli Kids (2002). Il saggio La Poesia salva la vita pubblicato nei Saggi Mondadori nel 1992 è negli Oscar Mondadori dal 1998. Nel 1997 ha pubblicato presso Bompiani il romanzo Voglio avere gli occhi azzurri. Fra le traduzioni il volume La memoria e la mano di Edmond Jabès (Lo Specchio Mondadori 1992), La caduta dei tempi di Bernard Noel (Guanda 1997) e Estratti del corpo sempre di Bernard Noel (Lo Specchio Mondadori 2001).Il suo testo poetico “L’Amor Rosa” è stato rappresentato come balletto al Festival di Asti con musica del compositore Marlaena Kessick. Ha curato per Scheiwiller l’edizione postuma delle poesie di Fernanda Romagnoli, dal titolo Il Tredicesimo invitato e altre poesie (2003). È nel comitato di redazione della rivista «Poesia» di Crocetti per cui cura la rubrica «Poesia Italiana nel Mondo», nella redazione delle riviste «Smerilliana» e «Electron Libre» (Rabat, Marocco), tiene una rubrica di attualità civile, «Il vaso di Pandora», sulla rivista «Odissea» e una rubrica di interviste «La cultura e il mondo di oggi» sulla rivista di Renato Zero «Icaro». Collabora a diversi giornali e riviste, tra cui l’Avvenire, Letture e Studi Cattolici, Fonopoli, Leggendaria, La Clessidra, Semicerchio. È membro dell’Associazione Culturale Les Fioretti a Saorge in Francia. Tiene corsi di scrittura creativa per adulti, corsi di aggiornamento per insegnanti anche a livello universitario e laboratori di poesia per le scuole. Ha ideato e dirige la collana di poesia autografata “A mano libera” per le edizioni Archivi del ‘900 in cui sono apparsi finora testi di Luzi , Spaziani e Adonis. È tra i soci fondatori di “Milanocosa”.

22 commenti

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22 risposte a “Antologia della poesia italiana contemporanea a cura di Giorgio Linguaglossa Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Progetto Cultura, Roma, 2016, pp. 352 € 18) Commento di Donatella Bisutti – Selezione di poesie di Alfredo de Palchi, Antonella Zagaroli, Maria Rosaria Madonna, Ubaldo de Robertis, Renato Minore, Anna Ventura, Steven Grieco Rathgeb, Letizia Leone, Giuseppe Talia, Stefanie Golisch

  1. https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/08/antologia-della-poesia-italiana-contemporanea-a-cura-di-giorgio-linguaglossa-come-e-finita-la-guerra-di-troia-non-ricordo-progetto-cultura-roma-2016-pp-352-e-18-commento-di-donatella-bisutti-s/comment-page-1/#comment-19922
    Esprimo tutta la mia ammirazione e la mia gratitudine per l’ottimo intervento di Donatella Bisutti; sottolineo la profondità di questa sua definizione:”una antologia di intenti”,un’espressione che coglie il senso profondo di questo lavoro:salvare quanto già costruito, ma sentirlo non come punto di approdo definitivo, bensì come inizio di un comune cammino di raccolta e di conoscenza.

  2. Ho apprezzato Tosy semplice immediato, Steven Grieco il sentimento, Minore scientifico e candido, elegante e noir De Robertis sono i caretteri che credo di aver colto il resto é lavoro da critico

  3. gabriele fratini

    Rimossa l’imbarazzante gang bang di M.R.Madonna, il resto dei testi si lascia apprezzare più o meno, aggiunge qualcosa e qualche sforzo linguistico e filosofico, e a volte annoia un po’ quando scema la musica in (pochi) testi prolissi. Talia, per me il maggior talento tra i presenti, non ci fa godere certamente dei suoi testi migliori, mentre Zagaroli e Leone meritano l’alloro in questa tappa.
    Ad maiora!

  4. antonio sagredo

    a C. B.

    Dirà un attore le sue parole – bestemmie!
    rubini spargerà sulla lingua di un pagliaccio
    e nel furore di una impossibile finzione
    lagrime… lagrime di colei che non sa!

    Le maschere avranno il frivolo passo dell’inchiostro
    inutile come una lettera d’amor – o lo schianto:
    sono geloso della distruzione di Troia!

    antonio sagredo

    Roma, marzo 1981

  5. antonio sagredo

    POESIA DI OSIP MANDEL’STAM TRADUZIONE E COMMENTO DI A.M. RIPELLINO
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/08/antologia-della-poesia-italiana-contemporanea-a-cura-di-giorgio-linguaglossa-come-e-finita-la-guerra-di-troia-non-ricordo-progetto-cultura-roma-2016-pp-352-e-18-commento-di-donatella-bisutti-s/comment-page-1/#comment-19927
    Insonnia. Omero. Le vele tese.
    Io ho letto sino a metà l’elenco delle navi:
    questa lunga nidiata, questo treno gruesco
    che sopra l’Ellade un tempo si è levato.

    Come un cuneo di gru in confini (contrade) stranieri –
    sulle teste dei re c’è la schiuma divina –
    ma dove navigate? Se non ci fosse Elena,
    a che servirebbe Troia da sola, uomini achei?

    E il mare, e Omero – tutto questo è mosso dall’amore.
    Chi devo ascoltare? Ed ecco, Omero tace,
    e il mare nero, perorando, risuona
    e con un pesante tonfo si avvicina al capezzale.

    Osip Mandel’štam

    agosto 1915

    ————————————————————————————–
    (commento di A. M. Ripellino, Corso del 1974-75)
    —–
    [ È straordinaria l’estrema densità con cui viene concentrato in 3 quartine tutto l’intreccio dell’intera Iliade. E dentro di questo, tutta una sintesi di epoche, di cicli, di culture come fa sempre Mandel’štam. Ed è una lettura del II° libro dell’Iliade, del catalogo delle navi, di Omero fatta prima di dormire, per vincere l’insonnia. E alla fine l’insonnia è vinta, perché il mare nero si alza, come un personaggio, perorando, rumoreggia e giunge sino al capezzale.
    Un poeta acmeista dell’emigrazione G. Adamovič, forse esagerando, ha scritto che:
    “una simile musica non c’è mai stata in nessun poeta dai tempi di Tjutčev, e tutto quello che ricordi a paragone ti sembra acquerugiola”.
    Notare la languida atmosfera di sonnolenza, questo semi-veglia, questo senso soporifero, il sonno che diventa come il mare, e poi questa domanda: ”Dove navigate?”.
    È un’inserzione colloquiale tipica degli acmeisti che subito rompe l’aspetto austero della poesia, che è continuamente spezzata da questa domanda, e poi dall’ultimo verso:

    Troia, a che vi servirebbe, se non ci fosse Elena?

    Qui è la modernità della Poesia ].
    ———————————————————————————————-
    Ma il mito di Troia, prima e dopo la sua distruzione è anteriore allo stesso
    Puškin nella letteratura russa; sarà poi affiancato a questo mito della distruzione quello del terremoto di Messina.
    Ciò che scriverà Josip Brodskij, in prosa e in poesia, deriva tutto da quanto qui ho riportato.

    • OSIP MANDEL’STAM PRIMO POETA DELLA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA? https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/08/antologia-della-poesia-italiana-contemporanea-a-cura-di-giorgio-linguaglossa-come-e-finita-la-guerra-di-troia-non-ricordo-progetto-cultura-roma-2016-pp-352-e-18-commento-di-donatella-bisutti-s/comment-page-1/#comment-19942
      Questa poesia di Osip Mandel’stam nella gruesca traduzione di Ripellino può essere ascritta a pieni voti nella NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA. Qui ci sono tutti gli elementi che ne fanno una poesia ad altissima concentrazione intellettiva ed emozionale, e il commento di Ripellino è in proposito esauriente e taglia, come si dice, la testa al toro.
      Bene ha fatto Antonio Sagredo a prendere dal suo cassetto degli inediti questo commento inedito di Ripellino e a consegnarcelo: qui si vede con chiarezza quello che andiamo dicendo e facendo da un po’ di tempo: come si può scrivere una grande poesia con mezzi estremamente semplificati. Leggiamo il primo verso. Incredibile, ci sono tre parole intervallate da tre punti:

      Insonnia. Omero. Le vele tese.

      Se consideriamo la parola “vele-tese” come un’unica parola, un unico ideogramma, ecco che qui abbiamo una straordinaria esemplificazione di semplificazione della poesia. Se non sbaglio, vado a memoria e Sagredo mi corregga, questa poesia risale agli anni Dieci-Quindici. Diciamo che Mandel’stam è il primo poeta che abita da sempre la nuov a ontologia estetica, il suo mondo di “icone” oscilla tra il tridimensionale e il quadri dimensionale. Che altro di più? Abbiamo detto tutto quello che c’era da dire. Chi voglia imparare da Mandel’stam, adesso può.

  6. antonio sagredo

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/08/antologia-della-poesia-italiana-contemporanea-a-cura-di-giorgio-linguaglossa-come-e-finita-la-guerra-di-troia-non-ricordo-progetto-cultura-roma-2016-pp-352-e-18-commento-di-donatella-bisutti-s/comment-page-1/#comment-19928
    “In questa nuova poesia si possono trovare tracce delle più importanti esperienze del Novecento: futurismo, surrealismo, espressionismo (questi due ultimi movimenti assai poco presenti in una poesia italiana connotata dall’ermetismo)”, così scrive Donatella Bisutti.

    Ma il simbolismo si cela in tutte queste correnti o movimenti fino ad oggi, e non bisogna sottovalutarlo, anche se come dice O. Wilde “Non bisogna trovare simboli dappertutto”.
    Il fatto è che questa antologia lo riscopre, consapevole o no, e questo è positivo perché s’addice bene ai nostri tempi così pregni di “snaturamenti” qualsiasi; compito quindi dei simboli è quello di mettere un po’ d’ordine nelle cose della Poesia.

  7. https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/08/antologia-della-poesia-italiana-contemporanea-a-cura-di-giorgio-linguaglossa-come-e-finita-la-guerra-di-troia-non-ricordo-progetto-cultura-roma-2016-pp-352-e-18-commento-di-donatella-bisutti-s/comment-page-1/#comment-19929
    Riporto qui uno stralcio di un più lungo dialogo tra me e Claudio Borghi a proposito di una categoria che caratterizzerebbe la Nuova ontologia estetica e quindi molti delgi autori e dei testi presenti in questa Antologia, perché a mio avviso qui sta il nocciolo della questione, cioè se il quadri dimensionalismo, il frammento (e quindi il verso libero) e il tempo interno siano categorie di per sé sufficienti o no per caratterizzare la diversità della nuova poesia. In questo nostro percorso supportato dalle posizioni filosofiche di filosofi italiani (Maurizio Ferraris, Vincenzo Vitiello, Massimo Donà, Adalberto Coltelluccio…).
    Al di là di tutte le opinioni a me sembra che con questa Antologia sia stato posto un primo mattone per il rinnovamento della poesia italiana, o almeno per un indirizzo di ricerca del tutto nuovo…

    giorgio linguaglossa
    9 aprile 2017 alle 12:21

    Scrive Maurizio Ferraris:
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/04/08/intervista-di-donatella-costantina-giancaspero-a-maurizio-ferraris-sulle-questioni-afferenti-a-una-nuova-ontologia-estetica-a-proposito-del-suo-libro-appena-edito-emergenze-einaudi-2016/comment-page-1/#comment-19118

    «A livello ontologico, il quadridimensionalismo come iscrizione della traccia (perché questo, in ultima istanza, è il quadridimensionalismo: che insieme al lungo, al largo e al profondo ci sia anche il passato) assicura l’evoluzione, ossia lo sviluppo delle interazioni. in secondo luogo, a livello epistemologico, quello in cui la memoria ricorda, il quadridimensionalismo permette la historia, la ricostruzione dello sviluppo temporale degli individui. Se Proust ne avesse avuto il tempo, avrebbe potuto scrivere la storia dell’universo. Provo a spiegare questa affermazione magniloquente.

    La domanda ontologica “che cosa c’è?” può allora venire articolata in due domande distinte: da una parte “che cosa c’è per noi, in quanto osservatori interni allo spazio tempo?”; dall’altra “che cosa ci sarebbe per un osservatore privilegiato, che osservasse lo spaziotempo dal di fuori?”.»

    Cari amici Claudio Borghi e Mario Gabriele,

    io sono profondamente convinto che la poesia che dobbiamo scrivere è quella che apre degli spiragli sulla quadri dimensionalità. Come farlo sta al talento di ciascun poeta, al proprio bagaglio di esperienze storiche, la NOE non pone alcuna recinzione a questo compito, tutte le strade sono possibili e percorribili, quello che a noi della NOE sembra indiscutibile è che in questo modo si aprono per la poesia possibilità ed esiti inattesi e potenzialmente ampi per l’espressione poetica. Io penso (ma è solo un mio pensiero) che per far questo sia indispensabile costruirsi un proprio metro, il cosiddetto «libero», che poi non è libero affatto, l’importante è abbandonare la visione monoculare della poesia pentagrammatica e fonetica che dà luogo ad un verso unilineare e temporalmente condizionato da una mimesi filosoficamente ingenua. In questo modo si mette in archivio la impostazione unilineare del tempo e dello spazio. Quel tipo di poesia lì si è fatta per secoli e per tutto il novecento, adesso è venuto il momento di cambiare registro.

    Claudio Borghi
    9 aprile 2017 alle 13:54 Modifica

    Questo è il punto critico, Giorgio. Tu sostieni (coerentemente parli di un tuo libero pensiero, che non pretendi imporre) che “l’importante è abbandonare la visione monoculare della poesia pentagrammatica e fonetica che dà luogo ad un verso unilineare e temporalmente condizionato da una mimesi filosoficamente ingenua”, ecc. Ma in che senso la poesia novecentesca è monoculare? In quanto interpreta il tempo come unilineare e non lo sente appartenere a una struttura quadridimensionale? L’esperienza del tempo psicologico, in quanto prolunga la mente nella memoria, è per tutti quella di una quarta dimensione vissuta dall’interno: ritenere di fondare su questa consapevolezza una rivoluzione estetica è a mio avviso ingenuo, soprattutto laddove si ritiene di caratterizzarla sul verso libero, sul metro vario in antagonismo con la presunta statica “unilinearità” dell’endecasillabo…

  8. gino rago

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/08/antologia-della-poesia-italiana-contemporanea-a-cura-di-giorgio-linguaglossa-come-e-finita-la-guerra-di-troia-non-ricordo-progetto-cultura-roma-2016-pp-352-e-18-commento-di-donatella-bisutti-s/comment-page-1/#comment-19930
    Di fronte a quale “critico” negli ultimi anni ci siamo trovati?
    Il critico d’indole emotivo-lirica; il critico invalso anche di recente di inclinazione scientifico-strutturalista; il critico giornalista che ci ha inondato
    di certa critica giornalistica tendente a legare il carro (una volta in qualche
    contrada si diceva e si dice ‘a legare l’asino’ ma qui non s’intende offendere
    nessuno) dove vuole il padrone…
    Nemmeno il benché minimo residuo dei tre grandi gruppi di critici dianzi segnalati (stigmatizzati, meglio dire ) si riscontra nel commento di
    Donatella Bisutti sull’Antologia “Come è finita la guerra di Troia…” la quale a essa si accosta con meritoria onestà culturale e solida capacità d’interpretazione dei testi (alcuni) poetici della stessa Antologia.
    Onestà culturale e capacità interpretativa che, finalmente, convergono sulla lunga
    militanza di interprete della poesia contemporanea, non soltanto italiana,
    di Giorgio Linguaglossa cui la Bisutti riconosce le forti capacità di analisi
    e di ricerca del critico autentico, mai disgiunte da un nitido spirito di servizio
    a favore dei poeti e della poesia.
    A me pare il sigillo di autenticità più vero e importante dell’intervento di
    Donatella Bisutti. E già per questo dev’essere ammirata.
    Le voci poetiche oggi proposte nella stessa pagina de L’Ombra delle
    Parole (De Palchi, Zagaroli, de Robertis, Minore, Grieco-Rathgeb, Golisch,
    Leone, Talìa, Ventura, Madonna) e antoligizzate e anche perciò a noi note
    sono tutte d’alti valori di poesia, anche se, lo confesso, qualche fremito
    particolare riesce sempre a darmelo il verso di Maria Rosaria
    Madonna anche perché in vita non raccolse quel che meritava, forse
    anche per quei tipi di critici segnalati agli inizi del mio commento…
    Gino Rago

  9. Scrive M. Lo Bello commentando il libro di Vattimo Poesia e ontologia del 1967 ristampato nel 1985:
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/08/antologia-della-poesia-italiana-contemporanea-a-cura-di-giorgio-linguaglossa-come-e-finita-la-guerra-di-troia-non-ricordo-progetto-cultura-roma-2016-pp-352-e-18-commento-di-donatella-bisutti-s/comment-page-1/#comment-19931
    «… le poetiche del novecento, d’altronde, hanno uno spiccato carattere ontologico: considerano l’arte come il luogo in cui la verità è raggiunta o istituita; ed hanno anche un significato epistemologico: intendono determinare la condizione disciplinare e le pretese che l’arte può rivendicare entro lo spazio della cultura e, più ampiamente, della vita. Perché gli artisti sentono il bisogno, quasi al punto di soffocare il loro fare artistico, di munirsi di un apparato epistemologico che li protegga e li giustifichi? Una prima spiegazione potrebbe essere che l’artista, mutato il rapporto con il proprio pubblico nella società industriale e di massa, e avendo perso un contatto immediato con i committenti, tenta di recuperare una propria visibilità rivendicando il diritto alla sua esistenza; una seconda spiegazione potrebbe essere che l’artista, trovandosi di fronte all’impellenza, quasi ossessione, di produrre un‘opera originale, non veda altro mezzo che la fondazione di un linguaggio completamente nuovo che non si rifaccia a nessuna tradizione precedente, un linguaggio che per dirsi tale ha bisogno di un quadro teorico-epistemologico di natura, daccapo, giustificativa. Vattimo vuole andare al di là di queste spiegazioni che, a suo parere, non colgono l’aspetto decisivo e muove da una considerazione elementare: le opere d’arte contemporanea, per essere fruite, hanno bisogno di un cappello critico che le introduca e le spieghi: il linguaggio dell’arte necessita della mediazione del linguaggio-parola, non è più autosufficiente: le poetiche aprono proprio quell’ambito di comprensibilità che dischiude l’intelligibilità del linguaggio dell’opera d’arte e colma la sua insufficienza comunicativa. Sorge un’altra domanda: perché il linguaggio dell’arte deve essere supportato dal linguaggio-parola? La risposta a questa domanda ci porterebbe direttamente alla discussione sulla fruizione artistica; per quel che fin qui interessa occorre notare che l’artista, nel 900, è portato a farsi epistemologo di se stesso: il fare artistico sembra così legarsi alla giustificazione di se stesso.»

    Quindi, nulla di strano o bizzarro in questo nostro operare per rifondare, non solo il linguaggio poetico ma anche e soprattutto la forma-poesia della poesia italiana così come si è solidificata nel tardo novecento e in questi tre lustri del nuovo secolo. È del tutto ovvio, anzi, è naturale, da parte nostra, questo tendere al rinnovamento delle forme estetiche e dei linguaggi artistici e poetici… chi non si pone il problema del rinnovamento del proprio linguaggio artistico non è un artista serio, è un amatore, un dilettante… io penso molto semplicemente che ogni artista serio, ogni poeta non possa non avere una propria poetica, che altro non è che una posizione dinanzi alle questioni tecniche e non tecniche che la prassi artistica inevitabilmente pone di continuo.

    Il fatto che per tanti decenni non ci sia stato un rinnovamento della forma-poesia è un aspetto che mi convince sempre di più dello stato di arretratezza della poesia italiana, ancora immobilizzata in strutture estetiche antiquate, acritiche da parte di chi ha tutto l’interesse a tenere sotto controllo la poesia italiana…

  10. vincenzo petronelli

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/08/antologia-della-poesia-italiana-contemporanea-a-cura-di-giorgio-linguaglossa-come-e-finita-la-guerra-di-troia-non-ricordo-progetto-cultura-roma-2016-pp-352-e-18-commento-di-donatella-bisutti-s/comment-page-1/#comment-19932

    Complimenti a Donatella Bisutti (che peraltro già conosco per la sua attività divulgativa tramite la rivista “Poesia”) per la sua presentazione capace di condensare esaustivamente ed al tempo stesso in modo limpido tutte le tematiche che sottendono la NOE. Trovo di grande spessore i brani riportati, tutti incisivi, ognuno a proprio modo, nel guidarmi nella mia ricerca verso una nuova via alla poesia.Andando a ritroso a memoria, senza risalire con il cursore a rileggerli uno per uno, mi sono rimasti impressi i componimenti di De Palchi(vera rivelazione per me), Tosy,Grieco, “Canio” di Talia, Minore, De Robertis, ma solo chiaramente per una questione di sensibilità “immediata” personale; ma ripeto, ritengo arricchente e stimolante il confronto con l’intero complesso dell’opera della NOE. Lunga vita alla NOE ed all’Ombra.

  11. https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/08/antologia-della-poesia-italiana-contemporanea-a-cura-di-giorgio-linguaglossa-come-e-finita-la-guerra-di-troia-non-ricordo-progetto-cultura-roma-2016-pp-352-e-18-commento-di-donatella-bisutti-s/comment-page-1/#comment-19935
    Con l’Antologia Come è finita la guerra di Troia, ho cambiato registro, o almeno ci ho provato. Non più una antologia di rione o regionale o circondariale ma una antologia di ampio respiro che indicasse una direzione di ricerca e una via di uscita dalle secche della poesia italiana di oggi. Qualcuno dice che ho sbagliato, che ho fatto il passo più lungo della gamba, che nella antologia non c’è niente di nuovo e di diverso da ciò che conoscevamo e conosciamo; qualcun altro asserisce invece che ho sbagliato perché non ho osato, non ho allungato il passo e non ho allestito una antologia di vera e propria poetica, puntando su un gruppo più ristretto di poeti ma più compatto, che avrebbe avuto una maggiore forza d’urto. A questi ultimi rispondo che si è sempre in tempo ad allestire una Antologia della Nuova Ontologia Estetica pubblicando soltanto gli Autori che hanno fatto una scelta di campo e che condividano la piattaforma del Grande Progetto. Come ha intuito benissimo Donatella Bisutti nel suo articolo, credo che questa futura Antologia sia già nelle cose, è già in divenire, la stiamo preparando tutti insieme.

    I difensori della poesia lirica

    Il 14, 15 gennaio 2016 e seguenti si è sviluppata sulla Rivista L’Ombra delle Parole una querelle che ha visto schierati su opposti fronti i difensori della «poesia lirica» alla Rafael Alberti e chi come me pensava e pensa che continuare ad utilizzare la formula poesia lirica di contro alla poesia non-lirica, sia controproducente e fuorviante, oltre che errata, perché indurrebbe a trascurare le grandi novità che nel frattempo nel corso del Novecento sono intervenute. Scrivevo: «Non vorrei apparire presuntuoso o ultimativo nei miei giudizi, che sì, riflettono il mio gusto personale, forse, ma anche e soprattutto le convinzioni che ho sul Novecento e sul suo legato testamentario in poesia. Riprendendo la formula dicotomica di Gianfranco Contini: poesia innica (Dino Campana) o poesia elegiaca (Eugenio Montale), io di recente su questa Rivista ho proposto un emendamento, una correzione delle categorie continiane di poesia innica e di poesia elegiaca, e questo sulla base del concetto novecentesco e mandel’stamiamo di Discorso poetico. È questa la chiave che apre il Novecento, la linea dicotomica che separa la poesia «ingenua e sentimentale», anche di buona fattura, di Quasimodo, Ungaretti e della Generazione di poeti spagnoli del 27, dal versante critico che ha operato il trasbordo dalla lirica al discorso poetico. Adottando questa categoria mandel’stamiana si apre un nuovo scenario sulla poesia italiana ed europea, ed è indiscutibile che in ambito europeo c’è una genealogia e una gerarchia di valori molto diversa da quella in vigore in Italia.

    Io mi sentirei di tracciare una linea che va, in diagonale, da Corrado Govoni e Aldo Palazzeschi , passando per i crepuscolari e lo Sbarbaro di Pianissimo (1914), al primo Montale. La prima metà del Novecento italiano vive in questa gamma di possibilità stilistiche entro la quale si possono situare tutti gli altri poeti. Con il secondo Novecento la questione si sposta e diventa preponderante il problema del discorso poetico, cioè l’adozione di un territorio linguistico contaminato, ibrido, spurio, contagiato dalla narrativa, dal pensiero saggistico, dai nuovi linguaggi mediatici. Tutto ciò ha avuto ed ha tuttora un enorme peso sulla poesia del secondo Novecento e su quella di oggi a maggior ragione, direi un peso determinante. E quei poeti che, come Rafael Alberti, invece, continuavano a fare della rispettabilissima «poesia innica» (secondo la terminologia di Contini) o «lirica» (come diceva Croce), si sono venuti a trovare fuori dal binario principale entro il quale correva la nuova poesia europea, quella figlia di The waste land (1925) di Eliot. In tal senso Le ceneri di Gramsci (1956) di Pasolini, Laborintus (1956), Erotopaegnia (1960) indicavano senza ombra di dubbio che si era entrati in una nuova epoca della ex poesia lirica. Che cosa succede poi? Succede che Montale con Satura (1971), cambia le carte in tavola e, da grande poeta «elegiaco», diventa post-moderno e narrativo, scettico, riduzionistico e antisimbolistico.

    La linea Maginot

    Il resto è cosa nostra. Oggi siamo ancora dentro il clima post-simbolistico e anti simbolistico del dopo Montale. La poesia italiana del tardo Novecento è ancora ristretta dentro questi asfittici confini. E occorrerà pur romperla in qualche punto questa linea Maginot, oppure, sorpassarla con una manovra laterale di avvolgimento; in ogni caso, bisognerà pur fare i conti, non con la poesia lirica dei poeti lirici alla vecchia maniera (come Rafael Alberti), ormai sorpassata dal tempo, ma con il nuovo «discorso poetico» che il nuovo eone mediatico richiede a viva forza. In questo contesto storico, la antiquata nomenclatura tono simbolica e metrica incentrata sull’endecasillabo si è venuta a sgretolare, e sarà inutile tentare un massaggio cardiaco su un corpo che il tempo ha dichiarato deceduto. E poi, sì, è vero, non amo lo sfoggio di tutti quei tratti sopra segmentali, tutta quella incorniciatura connotativa della lirica dei poeti innici alla maniera di Rafael Alberti. Mi annoia. Ma forse mi sbaglio. Forse ho preso un abbaglio. Insomma, tra Rafael Alberti e Durs Grunbein, preferisco quest’ultimo.

    Io mi sentirei di tracciare una linea che va, in diagonale, da Corrado Govoni e Aldo Palazzeschi, passando per i crepuscolari e al Pianissimo (1914) di Sbarbaro fino al primo Montale degli Ossi (1925) e delle Occasioni (1936). La prima metà del Novecento italiano vive in questa gamma di possibilità stilistiche entro la quale si possono situare tutti gli altri poeti».
    Con questa asserzione, ho inteso sostenere che la prima metà del Novecento ha una ampia metratura stilistica, ed è dentro questa campitura che vanno allineati tutti gli altri poeti italiani. Non intendevo mancare di rispetto ad alcuno né del passato né del presente. Ho dato poi per scontato che dopo la seconda guerra mondiale le cose sono cambiate per la poesia (e anche per il romanzo), e non con il neorealismo poetico, che per fortuna è durato poco, già agli inizi degli anni Cinquanta, la poesia italiana si avvia in una nuova direzione di cui una delle prime esemplificazioni è data da Sessioni con l’analista di Alfredo De Palchi, scritta in gran parte durante la prigionia dal 1945 in poi fino al 1956, che vedrà la luce solo nel 1967 ne con Mondadori per l’interessamento di Vittorio Sereni. Lì è evidente che l’esistenza irrompe nella forma-poesia con una intensità sconosciuta al primo Novecento. L’esistenza e il quotidiano irrompono nella poesia dettando e imponendo le nuove impaginazioni stilistiche.

    Per tornare a Rafael Alberti, condivido, in parte, il giudizio positivo su quel poeta espresso da Paolo Statuti, ma non è questo il punto, dico soltanto che quel tipo di poesia appare a un certo gusto di oggi di tipo, come dire, pre-moderno, una esperienza stilistica antiquata, già archiviata, forse si potrebbe dire, esaurita… ma, ovviamente, questo è un mio giudizio personale, fondato sull’oggi, un punto di vista temporalmente determinato. La stessa diatriba sorse tempo fa sulla rivista telematica L’Ombra delle Parole quando espressi la mia impressione sulla poesia di Giovanni Giudici, La vita in versi (1965), dicendo che ad un uditorio odierno quella poesia appare «invecchiata». Apriti cielo, sono subito intervenuti in difesa del poeta milanese i difensori dell’imputato i quali hanno subito contestato il mio giudizio dicendo che era stato dettato dalla vanità di chi lo aveva pronunciato e similia…

    Per quanto riguarda la vexata quaestio della metratura stilistica entro la quale riepilogare la poesia italiana del secondo Novecento, è ovvio che ogni parte interessata traccia la propria metratura, il cardo e il decumano che più le giova. Ma questo è già un altro discorso. E siamo giunti ai giorni nostri. Il punto è sempre quello: ripartire dal punto in cui Pasolini aveva gettato la spugna con Trasumanar e organizzar (1971).

  12. gino rago

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/08/antologia-della-poesia-italiana-contemporanea-a-cura-di-giorgio-linguaglossa-come-e-finita-la-guerra-di-troia-non-ricordo-progetto-cultura-roma-2016-pp-352-e-18-commento-di-donatella-bisutti-s/comment-page-1/#comment-19936
    A proposito dell’asse trasversale Govoni-Palazzeschi-Sbarbaro, adottato da Giorgio Linguaglossa come utile chiave di lettura di buona parte del Novecento lirico italiano, propongo un Camillo Sbarbaro alle prese con un (auto) ritratto su misura.

    In una lettera inviata a Elio Filippo Accrocca, per un importante lavoro di mappatura degli scrittori italiani contemporanei viventi (1957), l’autore di Pianissmo così di sé scriveva:

    “ Nacqui a Santa Margherita Ligure il 12 gennaio 1888. Nel 1911 i compagni di liceo
    pubblicarono a loro spese il mio primo libretto di versi. Collaborai a periodici letterari come
    “Riviera Ligure”, “La Voce”, “Lacerba” e fugacemente alla terza pagina di giornali, come “Il Lavoro” di Genova. Finito il Liceo mi impiegai alla Siderurgica di Savona, quindi all’Ilva di Genova.
    Dopo la parentesi della guerra del ’14, cui presi parte prima come crocerossino poi come soldato di Fanteria, mi stabilii con la famiglia (mia zia e mia sorella) a Genova e vissi insegnando il greco e il latino e collezionando muschi e licheni (miei erbari si trovano in Università e Musei americani ed europei).
    Dal ’51 abito con la sorella a Spotorno.
    Il mio atto di nascita come poeta, il primo vagito, deve ancora trovarsi in qualche casa a Savona, dove finì in occasione d’un trasloco: una poesia inserita a titolo antologico in un’annata della «Illustrazione Popolare» dove di sua mano la trascrisse mio padre, il quale, mentre negava potessi esserne io l’autore, tradiva così la sua speranza che davvero lo fossi. Il nome che vi figura sotto è quello di D ’ Annunzio.
    Con la lode, palesemente eccessiva, implicita in quella attribuzione s’iniziava la mia carriera letteraria.
    Povero babbo.
    L’opera prima la maturai nei primi due anni di liceo. Ogni componimento ambiva alla
    perfezione e ognuno era sempre l’ultimo cui mi accingevo. Lo ruminavo in lunghe passeggiate solitarie, che l’età ha accorciato ma di cui conservo il gusto, rammendando, come con una «bella immagine» si dice da noi, e cioè percorrendo su e giù il litorale ligure instancabilmente. Solo quando era nella mia mente compiuto, lo consegnavo alla carta. E per qualche giorno unicamente su quello puntavo.
    (…) Per quei versi venni in fama tra i condiscepoli; e furono essi a stampare di loro tasca il libretto e ad imporgli il titolo: Résine. (Il mio era più modesto e, per quel che ancora mi pare, più apropriato, Bolle di sapone ). A quello sgorgo di linfa seguì un periodo di siccità; ma di una siccità di cui non soffrii;
    l’avventura era chiusa; il libretto diventato a me estraneo “come all’albero la foglia caduta“; venuta la definitiva vacanza che, ad ogni parto, m’ero sempre invano promessa. Da alcuni anni durava la tregua quando una notte che coi sensi sazi giacevo a letto “lungo disteso come in una bara”, mi venne da sé alle labbra la constatazione: Taci, anima stanca di godere e di soffrire… Prendevo coscienza di me;
    nasceva il mio secondo libretto di versi: una specie di sconsolata confessione fatta a fior di labbro a me stesso, dove sull’affiorare di torbidi istinti e di nausee sessuali dominava il lutto, patito in anticipo per la morte, che vedevo prossima, di mio padre. Qualcosa che mandai alla «Voce» – il periodico fiorentino che si attendeva a quel tempo come un’amante – piacque a Soffici ed ebbi una calda lettura di Prezzolini che, poco dopo, nel 1914, stampava il libretto.
    (…)Pianissimo è la mia voce di quando ero vivo; da allora (e cioè da quando imparai ad appagarmi di un colore del cielo), una voce che mi scotta ogni volta che la riodo.”
    Camillo Sbarbaro

    (Anche nel curare quella che noi oggi chiamiamo una nota bio-bibliografica, poeti veri come Sbarbaro erano sempre immersi nel linguaggio poetico, quasi a farsi divorare da un inguaribile desiderio di poesia. Da qui lo stoico messaggio di lotta a oltranza, ma anche di vitalità inestinguibile, in quel consapevole rapporto di estraneità fra ‘uomo’ e ‘cose’, gonfio di conseguenze per la sensibilità novecentesca.
    Gino Rago

  13. letizia leone

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/08/antologia-della-poesia-italiana-contemporanea-a-cura-di-giorgio-linguaglossa-come-e-finita-la-guerra-di-troia-non-ricordo-progetto-cultura-roma-2016-pp-352-e-18-commento-di-donatella-bisutti-s/comment-page-1/#comment-19937
    Complimenti e ringraziamenti a Donatella Bisutti per la sua lettura critica profonda e chiarificatrice. Il suo articolo ha fatto il punto sulla responsabilità di allestire un’antologia che abbia un senso critico- estetico forte oggi nella confusione mediatica delle pubblicazioni e delle antologie, florilegi tematici o vetrine, più o meno lustre, di una società letteraria a compartimenti stagni. E soprattutto aver puntualizzato in maniera approfondita che al di là dell’operazione stilistica prevale l’operazione di pensiero in questa progettualità di un discorso poetico in divenire. Work in progress dunque di un gruppo eterogeneo di intellettuali/artisti/poeti, ognuno con la propria personalità stilistica, ma impegnati nella ricerca di una parola poetica storicamente responsabile in tempi di quasi totale analfabetismo poetico. La sfida è ardua ma coinvolgente come ben sa Giorgio Linguaglossa, critico da barricata, instancabile nella sua militanza. Un caro saluto a tutti!

  14. Posto, per eventuali interessati, l’Invito alla Giornata mondiale della poesia in Mongolia:

    http://event.mend-ooyo.mn/#/home

  15. A PROPOSITO DEL NICHILISMO E DELLA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA: DIALOGO SERGIO GIVONE E GIORGIO LINGUAGLOSSA
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/08/antologia-della-poesia-italiana-contemporanea-a-cura-di-giorgio-linguaglossa-come-e-finita-la-guerra-di-troia-non-ricordo-progetto-cultura-roma-2016-pp-352-e-18-commento-di-donatella-bisutti-s/comment-page-1/#comment-20131
    Il nichilismo, a differenza dell’ateismo, non vuole vedere il male, non può vederlo. E questo per la semplice ragione che Dio non è più l’antagonista, il nemico: semplicemente non è più. Lo stesso si deve dire del male: non è più. evaporato, dissolto, fattosi impensabile. «L’unico senso che io do alla parola peccato – ha detto Gianni Vattimo – è quello che è contenuto nell’espressione: che peccato!» Viva la chiarezza.
    Il nichilismo subentra all’ateismo. Potremmo dire che il nichilismo altro non è che una forma di ateismo in cui Dio non è più un problema, come non è più un problema il male – Dio è morto, e questa sarebbe l’ultima parola, non solo su Dio, ma anche sul male. Questo nichilismo amichevole e pieno di buon senso, oltre che perfettamente pacificato, continua a essere la cifra del nostro tempo. Lo sarà finché nella morte di Dio vedremo un fatto che per noi non significa più nulla e invece quel che intravide Nietzsche: un evento la cui portata è ancora tutta da esplorare.

    (Sergio Givone tTrattato teologico-politico, il melangolo, 2017, p.42)

    È erraneo ed ultroneo mettere il nichilismo in antagonismo con il male e con il bene, perché esso trascende l’antica dicotomia di male e bene. Il nichilismo semplicemente è. A questo punto delle cose, è ultroneo ed erraneo contrapporgli la perdita di dio e la morte di dio. Perché dio (scritto con la minuscola) non soltanto è morto, ma è stato dimenticato. L’oblio della memoria è lo stadio successivo alla perdita di dio, perché dio non c’è più neanche come ricordo di dio. Ed è ultroneo giudicare un dato ontologico (l’oblio di dio) con categorie morali come male e bene. Le categorie morali sono categorie mortali. Invece la nuova forma con cui si dà la scomparsa di dio è l’oblio di dio. Soltanto i poeti possono rappresentare questo oblio, ad essi corre l’obbligo e la responsabilità di rappresentare poeticamente l’oblio di dio. E questa nuova sensibilità è presente nella nuova ontologia estetica.

    (Giorgio Linguaglossa)

  16. L’ha ripubblicato su RIDONDANZEe ha commentato:
    Lettura di Donatella Bisutti

    Un’antologia che si propone uno scopo ambizioso: quello di dare atto e insieme di indicare una svolta, di voltare una pagina per aprirne un’altra, nuova, come a suo tempo, nel Novecento che abbiamo alle spalle ma che ci influenza ancora pesantemente avendo posto le premesse del nostro presente, hanno fatto antologie come quella dei Novissimi (1961), di Alfredo Giuliani che all’inizio degli anni Sessanta pose le basi della Neoavanguardia, o quella di Giancarlo Majorino, Poesia e Realtà (1977), che usci alla fine degli anni 70 dando alla poesia una nuova angolazione storica e politica, o La Parola Innamorata di Giancarlo Pontiggia e De Mauro, uscita a solo anno di distanza (1978) ma che rovesciò la situazione proponendo contro la neoavanguardia una poesia nella linea simbolista lirica orfica.

  17. milaure colasson

    caro Mauro,

    ti sei dimenticato della Antologia di Mario Lunetta, Poesia della contraddizione, del 1981, uscita con Newton Compton.

  18. Nunzia Binetti

    Ho letto queste poesie gustando il loro sapore del tutto insolito , davvero nuovo. Anche io ho maggiormente gradito i testi meno prolissi che a mio avviso vincono in efficacia. Ho trovato straordinario il testo critico e parodico, ad un tempo,su Penelope e sulla stessa Odissea.Credo molto nella NOE e mi auguro che si faccia strada nella attuale panoramica culturale e letteraria . Quest’ultima ci consegna una poesia ormai logora e oltremodo invecchiata. Non smetterò pertanto di ringraziare l’Ombra delle parole per esserci e naturalmente Giorgio Linguaglossa che la guida con tanta competenza. Grazie anche ad Antonella Bisutti per la sua eccellente disanima.

  19. cara Nunzia Binetti,

    la strada della nuova fenomenologia del poetico che abbiamo intrapreso da tempo ha preso definitivamente le distanze dai concetti di «armonia» e di «eufonia» dall’ economia curtense della poesia del quotidiano, con tutti i suoi annessi e connessi, io e i miei compagni di strada ci siamo limitati a prenderne atto. Alcuni di essi sono ritornati tra i ranghi della poesia regionale, gli è mancato il coraggio e la tenacia di portare la ricerca ad esiti ulteriori, ma questo era già scritto, ciascuno è libero di fare la poesia regionale che vuole, ma la ricerca non può fermarsi né può essere ritardata. Tutti quei concetti del lontano novecento, li abbiamo relegati in soffitta tra le masserizie e le suppellettili delle «cose» che la civiltà tele mediatica ha posto in disuso e derubricati. Perché in realtà di questo si tratta, la poesia italiana più attenta e avveduta, la poetry kitchen, scrive  una poesia davvero lontana da ogni ontologia regionale e da ogni concetto di utenza telefonica, tele mediatica, animistica, ipnagogica, da ogni scrittura convenevole  che sta sulla ruota panoramica del luna park che gira e rigira, quella medesima ruota panoramica (la storia) che stritola interi generi poetici e intere generazioni di poeti minori e li relega nella soffitta degli oggetti a perdere, delle scatole vuote e del dejà vu.

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