Ivo Hadzhiyski nasce nel 1967 a Dupnitza (Bulgaria) e vive a Sofia. Si è laureato in filosofia alla Sofia St. Kliment Ohridski University. Oltre a essere editore di poesia nonché consulente antiquario per antiche edizioni, si occupa di traduzioni verso il bulgaro. Dal 2014 è il responsabile della Collana Bianca delle Edizioni Scalino di Sofia.
Fotografia dell’autore di Emilia Mirazchiyska.
Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa
Il discorso poetico modernista in Europa nasce per l’esigenza di rendere l’implicito, esplicito. Mandel’stam in Russia e Eliot in Europa introducono il dispositivo modernista nella poesia occidentale cambiandola in profondità. In discorso poetico implicito nasce perché non può essere reso esplicito, perché c’è un «ostacolo» che impedisce al discorso poetico di divenire «esplicito». Dopo Eliot la forma-poesia è stata ossessionata dalla esigenza della «comunicazione»; ma cos’è che impedisce al discorso poetico di tornare ad essere esplicito, cos’è che impedisce al discorso poetico di essere «comunicazione» poetica? Il fatto è che oggi tra la «comunicazione» del linguaggio relazionale e la «comunicazione» del discorso poetico si è stabilita promiscuità, e si è aperto un abisso.
Per troppi decenni la «comunicazione» del discorso poetico ha tentato in tutti i modi di corteggiare ed imitare la comunicazione di tutti i giorni, errore denso di conseguenze che ha attecchito la poesia costringendola ad essere una copia del quotidiano. Mi spiego con un esempio: oggi il linguaggio epifanico, mettiamo, di un Ungaretti di Allegria è caduto in disuso perché quell’epifania è stata derubricata dalla diffusione delle emittenti linguistiche elettroniche: dove c’è pubblicità e merceologia e spot non vi può essere alcuna epifania se non quella dozzinale del kitsch. Interi generi poetici oggigiorno vengono «dismessi», diventano oggettivamente obsoleti non per questioni di stile o etiche o estetiche ma perché la storia li ha messi nello sgabuzzino del rigattiere a fare funghi. Molta poesia degli ultimi decenni paga lo scotto di essere decorativa e nulla più, si limita a decorare la comunicazione con fraseologie eufoniche.
La poesia di Ivo Hadzhiyski è consapevole dello scenario della crisi della centralità dell’io nella poesia occidentale contemporanea, e da qui si dispiega fra i bordi e gli orli che delimitano le varie discipline; una poesia che sconfina in fisica, filosofia, psicologia, estetica, epistemologia.
Hadzhiyski è sgomentato dallo spaesamento indotto dalla de-centralizzazione, anzi ‘a-centralizzazione’ del soggetto, dell’io, rinvenibile quasi contestualmente nella letteratura e nell’arte del modernismo.
Rivoluzione ‘a-centrica’ (prendo in prestito questo termine da Enrico Castelli Gattinara), Hadzhiyski rivela che si può avere una prospettiva ‘de-centrata’ (il soggetto è ancora lì a far valere le sue istanze dogmatiche, sia pure in un rapporto dialettico con un altro da sé), che c’è una prospettiva ‘a-centrata’, dove il focus non si sposta da un punto di vista ad un altro, ma dove sono presenti molteplici incroci di punti di vista.
Ecco perché Ivo Hadzhiyski impiega esclusivamente il discorso dell’implicito, perché là fuori il discorso dell’agorà mediatica è ingombro di masserizie del politico, del mediatico e del prossemico, ci sono miliardi di parole «chiare» che aspettano il teleutente all’amo della propria chiarezza e politura poliziesco-mediatica. Ecco perché la poesia di un poeta di oggi non può che impiegare, se vuole difendersi dalle aggressioni della poesia qualunquoide e telematica, il discorso eterodiretto, ovvero, il discorso dell’implicito.
Ivo Hadzhiyski sa tutto ciò, anzi, penso che lo dia per scontato. Prende il discorso da un punto lontanissimo, e poi, per vie tutte sue e imperscrutabili, sbroglia la matassa a suo modo, lo prosegue a zig zag, va da Fibonacci, passando per Leibniz e Keplero e arriva alla partita a scacchi di Geller contro Fischer; c’è un filo rosso che congiunge tutte queste cose, un filo rosso che soltanto l’autore sa e il lettore viene tenuto al guinzaglio delle ubbie e delle idiosincrasie scrittorie del poeta. E già, il poeta, altra questione davvero spinosa. Dove mettere il poeta? Come leggere la sua poesia? Della parola armonica ed eufonica oggi ci sono rimaste le ceneri. Ecco come si esprime ironicamente Ivo Hadzhiyski:
la teoria dell’armonia nell’arte
l’avevo trovata in un passo di Keplero
citato da Geller…
È chiaro qui il sarcasmo verso il concetto di «armonia» e di «eufonia» di certa poesia moderna, con tutti i suoi annessi e connessi; concetto aulico, nobile, sublime, ipnagogico, oggi, invero, relegato in soffitta tra le masserizie e le suppellettili delle «cose» che la civiltà tele mediatica ha posto in disuso. Perché in realtà di questo si tratta, Ivo Hadzhiyski scrive la poesia che un poeta attento oggi può scrivere, una poesia lontana da ogni concetto di utenza telefonica, tele mediatica, animistica, «armonica» e delle scritture convenevoli che stanno «sulla ruota panoramica che gira», quella medesima ruota panoramica che stritola interi generi poetici e intere generazioni di poeti minori e li relega nella soffitta degli oggetti a perdere e del dejà vu. Il sarcasmo e l’ironia di Ivo Hadzhiyski si mostra sempre in diagonale, a spezzare il ritmo certo non rutilante della sua esposizione introspettiva:
…se il passato è infinitamente grande
e se il futuro è infinito,
e se ci troviamo nel mezzo tra l’infinitamente lontano
e l’infinitamente vicino,
allora nessuno vive in un giorno preciso in un posto preciso.
Il poeta bulgaro si rivela essere un poeta raffinato e introspettivo, che impiega la lente di ingrandimento e il cannocchiale, gli strumenti di Galileo, per meglio mettere a fuoco la condizione esistenziale degli umani di oggi. Qui non ci sono le inutili topologie urbane, non ci sono manierismi stilizzati, i descrittivismi. Sono convinto che la poesia di Ivo Hadzhiyski, così cerebralmente complessa e contraddittoria, abbia spazi di sviluppo nel prossimo futuro.
Un mito muore o diventa un poema
o diventa storia – proprio dalla nostra storia.
Backstage del Commento
Recentemente, Donatella Costantina Giancaspero mi ha rivolto la seguente domanda:
Domanda: Tu hai scritto:
«Il linguaggio è fatto per interrogare e rispondere. Questa è la verità prima del Logos, il quale risponde solo se interrogato. Noi rispondiamo attraverso il linguaggio e domandiamo attraverso il linguaggio. Il nostro modo di essere si dà sempre e solo entro il linguaggio».
E fai un distinguo, affermi che il linguaggio poetico del minimalismo romano-lombardo si esprime mediante il linguaggio dell’esplicito, un linguaggio esplicitato (hai fatto più volte i nomi di Vivian Lamarque, Valerio Magrelli, Valentino Zeichen, etc.) tramite la forma-commento, la poesia intrattenimento, la chatpoetry, la forma che vuole comunicare delle «cose»: tipo fatti di cronaca, di politica, insomma, fatti che hanno avuto una eco e una risonanza mediatica. Puoi portare un esempio di poesia non appartenente a questi tipi di scrittura che oggi vanno molto di moda?
Risposta: Interrogando il logos il poeta ci dice che interrogare significa domandare. L’uso del linguaggio, implica l’interrogatività dello spirito, è atto di pensiero. Lo spirito abita l’interrogazione. Non era Nietzsche che diceva che «parlare è in fondo la domanda che pongo al mio simile per sapere se egli ha la mia stessa anima?». La questione del Logos poetico ci porta ad indagare il funzionamento interrogativo del linguaggio. Anche quando ci troviamo di fronte a sintagmi impliciti, il poeta risponde sempre, e risponde sempre ad una domanda posta, o quasi posta o a una domanda implicita. Nella risposta esplicativa il poeta introduce sempre uno smarcamento, una nuova istanza che solleva nuove domande-perifrasi alle quali non può rispondere se non attraverso un linguaggio-altro, un metalinguaggio.

Ivo Hadzhiyski
Ivo Hadzhiyski
Poesie epigrammatiche
(inediti)
Traduzione dal bulgaro di Evelina Miteva
Отразяк
Свършвайки вече с това, което казах
пред голямата поставка за плодове
обърната с лице към Лайбниц
като чаша, превърната в клетка –
е, не бе в контрапозиция
нали е с разпределена граница,
но цялата процедура ми се стори незавършена,
което си беше един своебразен маньовър:
този образ се загнезди в мисълта ми
и ми напомни, че
теорията за хармонията в изкуството
я намерих у пасаж на Кеплер
цитиран от Гелер, който се чудел
какво да отговори на 20. а3 –
и което, остаряло или не
кара човек да трепне
сред несигурното виене на свят
изпитвано от всеки, качил се на виенско колело
кръжащо през неясната цялост на небе
размазано в цветни петна
от скоростта на светлината,
и, сияещ, го скъсва от писък
пред сецесионови здания
под кореопсиси в каменни вази по тротоарите
които свършват със запалени светлини над главата,
и вероятно, свършва доста преди мен
така, както започнах
Ето партията Фишер – Гелер, играна през есента на 1967 г. в Скопие, която в позицията на диаграмата белите губят. Два часа след партията на Фишер му хрумва етюдния път към победа: 20. Дф4
Ritaglio
Finendo già con ciò che dicevo
davanti alla grande fruttiera
rivolta verso Leibniz
come un bicchiere, trasformato in gabbia –
comunque non era una contrapposizione
non c’era forse un limite assegnato,
ma l’intera procedura mi sembrava incompiuta,
un fatto in sé che era già una singolare manovra:
questa immagine si annidò nel pensiero
e mi ricordò che
la teoria dell’armonia nell’arte
l’avevo trovata in un passo di Keplero
citato da Geller* quando non sapeva
cosa rispondere al 20. а3 –
e questo, anche se di vecchia data,
fa sì che a uno vengano i brividi
tra le incerte vertigini
che prova ciascuno a salire sulla ruota panoramica
che gira nell’intero oscuro di un cielo
spalmato in macchie colorate
dalla velocità della luce
e, sorridente, lo spacca di grida
davanti alle palazzine dell’epoca della Secessione
sotto le coreopsideae nelle fioriere di pietra sui marciapiedi
che finiscono con le luci accesi sopra le teste
e, forse, finisce molto prima di me
così, come sono iniziato.
* Geller gioca contro Fischer nell’autunno 1967 a Skopje. Nella posizione citata i bianchi perdono. Due ore dopo la fine della partita Fischer si rende conto quale avrebbe dovuto essere l’étude vincente: 20. Df4.
В императорската епоха
Траян е една огромна колона с множество барелефи
взета от земята и навита на спирала
воля за слава и воля за едно може би
защото сетивата знаят само това, което ги среща
въртят се около оста си – изразително или неочаквано
бивайки, несъвместими в себе си, по-добри от себе си.
Може би затова е толкова лесно да се направи понятието „число“
необходима е само една операция
и вече всичко се вижда като тъждествено, обратимо и
преносимо
и формите се отнасят помежду си като числа.
Съвършено битие! Всяко друго битие е тройно по-сетнешно от теб
по действие, по цел и превъзходство.
И никоя държава не трябва да се разрушава без необходимост!
Траян не е вписан във „Втората книга на диалектиката“ от 1556 г.
която отбелязва, че щом миналото е безкрайно много
и бъдещето е безкрайно
и щом сме на еднакво разстояние от безкрайно далечното
и безкрайно близкото
никой не живее в определен ден на определено място.
Nell’epoca degli imperatori
Traiano è una colonna enorme con tantissimi bassorilievi
presa dalla terra e avvolta a spirale
forse la volontà di fama e la volontà dell’uno
perché i sensi sanno solo quello con cui si scontrano
girano attorno al proprio asse – espressivi o inattesi
incongrui con sé stessi, migliori di sé stessi.
Forse per questo è così semplice creare la nozione di “numero”
ci vuole un’operazione sola
e già tutto sembra identico, reversibile e commutabile
e le forme si riferiscono tra loro come numeri.
L’essere perfetto! Ogni altro essere è tre volte più successivo di te
in atto, scopo e superiorità.
Nessuno stato deve essere distrutto senza necessità.
Traiano non è stato inserito nel Secondo libro della dialettica del 1556,
nel quale è scritto che se il passato è infinitamente grande
e se il futuro è infinito,
e se ci troviamo nel mezzo tra l’infinitamente lontano
e l’infinitamente vicino,
allora nessuno vive in un giorno preciso in un posto preciso.
ХХХІV
Все пак се нуждаем от определени духовни и
телесни упражения в един момент и от
различни упражнения в друг момент
Игнацио Лойола в писмо до Франсис Боргия
Рим, 20 септември, 1548 г.
„Коментарът винаги предполага добросъвестност“ написа Галина Гончарова
в едно непубликувано изследване „Еротика и Ренесанс“.
Без да избързвам с многото въпроси, без да повтарям статуквото, че
речта се образува от мисълта, но и мисълта се образова от речта
и образът е една идея по-добър отпечатък от предмета
(по-добър не само защото се различава от нощните бдения на
Бонаветура напр.
и от вълшебния свят на романтиците, в който човек намира утеха и наслада
както споменава още Хораций)
ще се върна към стария ред на Фибоначи –
мястото на кое и да е число се определя от
значението на предхождащите го две числа, които са с по-малък индекс.
Работата не е в това, че освен черно и бяло има и нещо цветно,
а че не може да се различи черно от бяло от цветно
да речем, защото в един израз от типа „Стъклото е еластично“
може да си помислиш „Стъклото е еластично, а не чупливо“
или „Стъклото, а не словото е еластично“.
Разбира се, това не е аргумент, т.е. не е задължаваща употреба
по-скоро е метафора, частно изказване, служещо общо взето
добросъвестно:
да бягам, ако ще ме чакат, да забравям, връзвайки тенекия
да нагазвам в спиращи дъха усещания, ако ще се вслушам в Архипиита Кьолнски
или да крада от силата на земята Антей без пръст да мръдна
Метаморфози, ІХ, 183
Един мит умира или като се превръща в поема
или става история – от нашата собствена история.
XXXIV
Abbiamo comunque bisogno di certi esercizi spirituali e fisici in un momento
e di altri esercizi in altro momento.
Ignazio di Loyola in una lettera a Francesco Borgia
Roma, 20 settembre 1548
“Un commento presuppone sempre conscienziosità”, scriveva Galina Gonciarova
in uno studio inedito su ”Erotismo e Rinascimento”.
Senza affrettarsi con tante domande, senza ripetere lo status quo
secondo il quale un discorso nasce dal pensiero, ma anche il pensiero nasce dal discorso
e l’immagine è di un soffio un’impronta migliore dell’oggetto
(migliore non solo perché è distinta dalle visioni notturne di
San Bonaventura, ad es.
e dal mondo magico del Romantici, nel quale uno trova consolazione e diletto
come menzionato già in Orazio)
e allora torno alla vecchia successione di Fibonacci –
la posizione di un numero qualsiasi si definisce tramite
la valenza dei due numeri precedenti con indice minore.
La storia non è quello che c’è oltre il bianco e nero o un qualcosa di colorato,
ma che sono indistinguibili il nero dal bianco dal colorato,
poiché, diciamo, in un’espressione del tipo “Il vetro è elastico”
si potrebbe pensare un “Il vetro è elastico e non fragile”
ma anche “Il vetro, e non il verbo, è elastico”.
Questo certo non è un argomento, cioè non è un uso inderogabile
ma piuttosto metafora, locuzione privata, che può servire, comunque
conscienziosamente:
scappare, se mi aspettano, dimenticare per fare bidone
guadare in sensazioni che mi tolgono il fiato, se ascolterò l’Archipoeta di Colonia,
o arraffare dal potere della terra Anteo senza muovere un dito
Metamorfosi IX, 183
Un mito muore o diventa un poema
o diventa storia – proprio dalla nostra storia.
Първа поява на Мария Куманката
Премрежваше очи така, сякаш
следеше с върха на пръста си избран контур на тялото
губеше го и го улавяше издълбан в колоните на двореца
носен с гласа на вятъра:
тази игра – красотата ѝ
Мраморният под режеше на квадрати сянката
редеше я
в мозаечния остър звук на виолите
Правеше крачка встрани или друга, към осветения пиластър
да премери колко още остава
до хоризонта – изплува или се скрива другият образ
в погледа
Поява
чиято съдба Христина Василева пееше
защото, помисли в миг, колко различен е животът наоколо
където птиците излитат право нагоре
странно, глъхнеше на ловджийски рогове гласът
странно, че той не е тук
La prima apparizione di Maria La Cumana
Socchiudeva gli occhi come per seguire
con la punta del dito un contorno lungo il corpo
lo perdeva e ritrovava scanalato nelle colonne del palazzo
trasportato nella voce del vento:
questo gioco – la sua bellezza
Il pavimento di marmo tagliava a quadrati l’ombra
la metteva in ordine
nel suono acuto di mosaico delle viole
Faceva un passo di lato o un altro verso il pilastro illuminato
per misurare quanto ancora mancasse
fino all’orizzonte – nello sguardo riaffiorava
l’altra immagine
Apparizione
della cui sorte Christina Vassileva cantava,
perché quanto è diversa la vita intorno, pensò in un attimo:
gli uccelli volano diritti verso l’alto,
che strano: si spegneva la voce dei corni da caccia,
strano che lui non sia qui.
Смъртта и индукцията
Стоеше изправена, небрежно подпряна
на олтара в митрополитската църква на Самоков
(олтарните икони, изписани от брата на Захари Зограф също стояха)
такива, каквито я познават малцината дето
е канила на обяд в женския метох „Покров Богородичен“
с бяла дреха, изискана (чудно, че някои я намират отблъскваща)
и даже леко предизвикателна;
държеше тефтер, но не с оръфани страници,
мазен, като онези дето се подмятат из храмовете на Родос
и са пълни със списъци имена на оцелели от корабокрушение
(става въпрос за времето преди Иван Патев да издири архива на митрополит Доситей скрит в скрина зад олтара на църквата)
всъщност, държеше да си прави кефа и нищо чудно, че не записваше нищо
чакаше изглежда някой
очевидно смяташе да свърши работа преди отплуването на деня,
което обливаше в смут душите, отвикнали от работа.
La morte e l’induzione
Stava dritta e inerte, trascurata
appoggiata all’altare della chiesa metropolìta di Samokov
(le icone d’altare dipinte dal fratello di Zaccaria, il pittore d’icone ci stavano anche loro)
tale come la conoscono quei pochi
che lei invitava a pranzo nel convento femminile “Coltre della Madonna”
in abito bianco, sofisticata – strano che alcuni la trovassero disgustosa –
sembrava leggermente provocante
teneva un libro con dei numeri, però non dalle pagine mangiate
consumato come quelli che si trovavano nei templi di Rodi
pieni con elenchi di nomi di sopravvissuti dei naufragi
(era molto prima che Ivan Patev trovasse l’archivio del metropolìta Dossiteo
nascosto nel cassettone nel presbiterio della chiesa)
voleva farsi piacere e non sorprendeva il fatto che non scrivesse nulla
sembrava che aspettasse qualcuno
ovviamente intendeva fare il suo lavoro prima che salpasse il giorno
che bagnava in perplesso le anime non avvezze al lavoro.
Traduzione di Emilia Mirazchiyska
Sposalizio del Mare
Хиподрумът на Константинопол е смълчан.
Крясъци на воините Христови
pour l’amour de Die
глъхнат в плячката.
Mult sages et mult preuz
казано от Вилардуен за Дандоло
Четирите коня преплуваха морето
и спряха неподвижни пред църквата
Гондолите, гондолите потъват
обелени кестени разпилени върху морската повърхност
букет рози в сребърна ваза
хиляда златни пръстена по дъното на Адриатика
Сълза по скулптурите на Лизип –
в очите на безсмъртните
и в твоите очи, Ахиле…
Мартино да Канале с вкочанените ръце.
Sposalizio del Mare
Tace l’ippodromo di Constantinopoli.
Le grida dei soldati di Dio
pour l’amour de Die
si spengono nel bottino di guerra.
Mult sages et mult preuz
Dice Villehardouin in nome di Dandolo
I quattro cavalli hanno solcato il mare
e sono rimasti immobili davanti alla basilica
le gondole, le gondole affondano
ippocastani sgusciati e sparsi in mare
un mazzo di rose in un vaso d’argento
mille anelli d’oro sul fondo dell’Adriatico
Una lacrima sulle sculture di Lisippo –
negli occhi degli immortali
e nei tuoi occhi, Achille…
Martino da Canale con le mani intirizzite.
Traduzione di Riccardo Campion
Evelina Miteva è nata nel 1981 a VIlnius (Lituania), vive a Colonia (Germania) e lavora presso l’Università di Colonia. Ha conseguito il dottorato di ricerca in filosofia e storia della filosofia presso l’Università di Bari e di Colonia. Ha pubblicato traduzioni in bulgaro dal latino, inglese, tedesco e italiano. E’ tra i curatori del giornale open access Philosophia
… volevo dire:
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/05/ivo-hadzhiyski-poesie-epigrammatiche-inedite-in-italiano-traduzione-dal-bulgaro-di-evelina-miteva-riccardo-campion-e-emilia-mirazchiyska-con-un-commento-impolitico-di-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-19853
Il post-contemporaneo
Il post-contemporaneo è una categoria problematica, priva di collocazione spazio temporale essa abita il «presente» ablativo e il suo luogo di applicazione ermeneutico è l’opera poetica e artistica. Il fatto che salta agli occhi è che la parola della poesia non fonda né stabilisce nulla tranne la propria interrogazione. Un tempo forse la sua finalità era quella di dare un senso più puro alle parole della tribù, oggi questa è una domanda che la poesia rivolge a se stessa. Questa domanda può essere un atto di fede, ma preferirei parlare di dubbio, di ricerca; diciamo che l’interrogazione poetica abita di preferenza il traslato, il discorso indiretto, il discorso implicito, il meta discorso, c’è una sfiducia diffusa sulle capacità discorsive della forma-poesia. Alcuni segni si proiettano su un fondale bianco da cui si diramano una molteplicità di significati possibili. Il significato di questi segni non può essere conosciuto dal poeta, i segni viaggiano nel tempo, o meglio, si diramano in più temporalità, ma l’interpretazione di ciò che il tempo dice diventa sempre più problematico. Il tempo dice: nulla. Dunque, nichilismo.
La «secolarizzazione» che ha investito il discorso poetico lo ha privato, da un lato, del radicamento ad uno sfondo metafisico-simbolico, dall’altro, lo ha reso, nelle sue versioni epigoniche, sempre più riconoscibile, di aproblematica identificazione; tutti i luoghi sono simili, si assomigliano, gli aeroporti, i cavalcavia, le stazioni ferroviarie, i cinema, gli interni ammobiliati delle nostre abitazioni, le carlinghe degli aerei, i portabagagli delle nostre automobili, le nostre valigette ventiquattrore… tutti i luoghi della nostra vita quotidiana si assomigliano, viviamo in non-luoghi, siamo noi stessi il precipitato dei non-luoghi, di non-eventi, viviamo in temporalità terribilmente somiglianti. Ecco, direi che è esattamente questo il post-contemporaneo.
Il nostro modo di esistenza ha prodotto la moltiplicazione degli istanti, la moltiplicazione delle temporalità, la moltiplicazione delle immagini.
Che cos’è l’immagine? L’immagine è l’istante.
Che cos’è l’istante? Per Parmenide l’istante, o meglio l’istantaneo è: «L’istante. Pare che l’istante significhi (…) ciò da cui qualche cosa muove verso l’una o l’altra delle due condizioni opposte [del Passato e del Futuro]. Non vi è mutamento infatti che si inizi dalla quiete ancora immobile né dal movimento ancora in moto, ma questa natura dell’istante è qualche cosa di assurdo [atopos] che giace fra la quiete e il moto, al di fuori di ogni tempo…». (Parm., 156d-e).
La moltiplicazione dell’esistenza tipica della nostra civiltà post-contemporanea ha prodotto la conseguenza di una moltiplicazione di superfici riflettenti quali sono le immagini nella civiltà tele mediatica. Questo processo è esploso in questi ultimi decenni a velocità forsennata ed ha prodotto una profonda modificazione del nostro modo di percepire e recepire il mondo; il mondo si è frantumato in una miriade di spezzoni. Fare un processo al mondo per quanto accaduto non è nelle nostre intenzioni, questo della moltiplicazioni delle superfici riflettenti è un dato di fatto incontrovertibile, noi non altro abbiamo fatto che prenderne atto e fare una poesia di superfici riflettenti. Questo processo epocale fra l’altro ha prodotto una conseguenza anche sull’idea di Soggetto e di Io (idea teologica filosoficamente destituita di fondamento già da Freud e dal sorgere della psicanalisi). Il Soggetto è scomparso. È diventato un fonatore. Anche l’enunciato è qualcosa di diverso dal Soggetto enunciatore. Il predicato si è scollegato dal Soggetto. Si tratta di questioni che la filosofia del nostro tempo ha chiarito in modo ritengo sufficientemente attendibile. Fare oggi una poesia del Soggetto che legifera nella propria sfera di influenza è, a mio avviso, una ingenuità filosofica ed estetica. La poesia dell’Io è un falso, e una banalità.
Quanto ai concetti di armonia, di eufonia, di musica, di verso musicale, di poesia e di anti poesia etc., si tratta di concezioni tolemaiche legate ad una visione ingenua della poesia che ha fatto il suo tempo e verso i quali mi viene da sorridere, anzi, provo addirittura nostalgia per quell’età in cui si scriveva credendo fideisticamente in quelle categorie estetiche. La nuova ontologia estetica lascia questi concetti semplicemente come abiti dismessi sulla sedia a dondolo per chi vuole ancora dondolarsi in ozio intellettuale. Pecchiamo di arroganza? Forse. Non lo so. E neanche mi interessa.
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/05/ivo-hadzhiyski-poesie-epigrammatiche-inedite-in-italiano-traduzione-dal-bulgaro-di-evelina-miteva-riccardo-campion-e-emilia-mirazchiyska-con-un-commento-impolitico-di-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-19868
Copio e incollo questa poesia e la lettera giunte alla mia email da Alberto Tommasi:
Caro Giorgio Linguaglossa,
mi sono sentito coinvolto dalle sue riflessioni e proposte volte a fondare una Nuova Ontologia Estetica, vd. L’Ombra delle parole, aprile 2017, DIBATTITO A PIÙ VOCI: NON LA POESIA È IN CRISI MA LA CRISI È IN POESIA ecc. La temperie di problemi sollevati mi ha stimolato a riscrivere e risemantizzare completamente dei frammenti di immagini e parole che mutavano da 30 anni senza trovare forma persuasiva.
Il testo che segue le è idealmente dedicato per due motivi. Sia in quanto la prima strofa sviluppa il tema amaramente attuale da lei ri-lanciato, sia perché nel seguito si rivolge a lei quale membro del comitato che valuterà l’eventuale inserimento nel blog. (Mi scuso se a fine aprile la testa della Musa è venuta a sedersi sulle mie spalle, imponendomi l’endecasillabo, pur irregolare).
Cordialmente,
Alberto Tommasi
Epitaffio per la morte delle nuvole
(Io) mi nutro d’un tempo non umano
taglio vetri in fiumi senza rive
qui non è dato levare
tele d’angoli male esistiti.
Hölderlin non più s’avvolge in spire
di quest’unico cielo tra colline –
da quando il maschio (non il padre)
cacciò le vacche (bandì le figure)
dall’azzurro x N all’infinito.
Sicché spento il dolore del ritorno
le perifrasi crollano dei cieli.
Astratta sempre lacca di cobalto
e mai nessuno visita la tomba.
Accoglimi, guardiano delle giare.
Da custodire ti fingo
con secchi fiori un giardino
nel quale l’erba intorno ascolta
l’invecchiare di ruvide piscine.
Tramonti gialli e brevi ti crescono
di là dal muro del giardino.
Qualcuno a casa t’attende.
«Epitaffio per la morte delle nuvole» è un titolo efficacissimo, potrebbe essere il titolo ideale di un libro di poesia, oppure potrebbe essere il titolo di un mio prossimo libro di filosofia che sto allestendo, filosofia a partire da alcuni testi di poeti recenti e di oggi. (nel caso che decidessi Le chiederei la liberatoria).
All’ultima parola dell’ultimo verso io scriverei: «ti attende».
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/05/ivo-hadzhiyski-poesie-epigrammatiche-inedite-in-italiano-traduzione-dal-bulgaro-di-evelina-miteva-riccardo-campion-e-emilia-mirazchiyska-con-un-commento-impolitico-di-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-19894
Sono convinta che la poesia di Ivo Hadzhiyski, “così cerebralmente complessa e contraddittoria”, come la definisce Giorgio Linguaglossa nel suo perfetto commento, abbia già conquistato molti di noi che ci riconosciamo nella Nuova Ontologia Estetica (NOE). Le tematiche, la forma in cui sono rese le immagini e, in particolare, quella peculiare dizione fortemente implicita, così estranea a qualsiasi tipo di narrazione tradizionalmente intesa, avvicinano la poetica di Ivo Hadzhiyski alla ricerca estetica che noi perseguiamo, nella teoria come nella pratica dei nostri esperimenti, con lo scopo di fondare una «Nuova Poesia». Un progetto ambizioso, è vero, ma necessario, come più volte abbiamo ribadito, qui, nella Rivista, e altrove: ovunque, insomma, ci sia concesso parlarne. Perché dobbiamo abbandonare il passato per andare oltre il già detto. Come impongono le problematiche del nostro Tempo, la precarietà in cui viviamo, ormai, da quando la crisi ha minato tutto di noi e intorno a noi. E quanto è stato non è più.
Gheorghi Arnaoudov (Sofia, 1957), musicista e compositore bulgaro.
Autore di musica contemporanea, è considerato uno dei maggiori rappresentanti della corrente minimalista e della musica postmoderna bulgara.
Versi che “storicamente razionalisti” che con pennellate difficilmente modificabili se ne stanno lì a fissare gli eventi trascorsi non più soggetti alla conteggio dei numeri, questi di per se inutili se rivolti al passato… i personaggi citati, non a caso, testimoniano che il Tempo è indifferente al ritorno come al non-ritorno, perché ciò che ha valore è ciò che vive, e non certo quel che si prepara al vivere.
I versi dedicati alla città lagunare si aggiungono ad altri del passato di autori assommandosi a atmosfere più che note, ma sempre affascinanti, e restando ai poeti russi del secolo trascorso… con Blok fino a Pasternàk :
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Venezia
Io qui ridestato innanzi giorno
da un colpo del vetro della finestra.
Come ciambella di pietra, intrisa
Venezia nuotava nell’acqua.
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mentre Tjiutcev scrive di “anelli di sponsai”
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e per finire con Brodksij “sepolto dai secoli acquatici”.
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ma debbo fermarmi qui perché questo poeta qui presentato non lo conosco bene.
HA CESSATO DI ESISTERE IL LINGUAGGIO CRITICO MILITANTE DELLA POESIA https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/05/ivo-hadzhiyski-poesie-epigrammatiche-inedite-in-italiano-traduzione-dal-bulgaro-di-evelina-miteva-riccardo-campion-e-emilia-mirazchiyska-con-un-commento-impolitico-di-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-19902
Il problema della critica militante di poesia è un problema serio. Sono ormai 40 anni che non abbiamo più un linguaggio critico, l’ultimo rappresentante in poesia in possesso di un linguaggio critico è stato Franco Fortini scomparso nel 1995, dopo di lui c’è stato il vuoto. S’intende che continua a sopravvivere il linguaggio critico della critica accademica, ma quello è un’altra cosa, rispettabilissima cosa ma diversa; continua ad esistere il linguaggio delle pagine culturali e informative del Sole 24 ore e del Corriere, ma quello è un’altra cosa, è un linguaggio informativo che svolge un’altra funzione, una funzione appunto informativa.
È per questo che io ho dovuto forgiarmi, quasi da solo, un linguaggio critico “nuovo” prendendolo a prestito da altre discipline: la filosofia, la psicologia, la psicanalisi, la narrativa, il linguaggio giornalistico, la psicofilosofia… ho fatto un mix di tutti questi linguaggi, e ne è derivato il mio (personalissimo) linguaggio critico che qualcuno (molto ignorante) ha definito «inventato»; e in effetti è «inventato», perché un linguaggio lo si «inventa», proprio come si inventano tante altre cose, è il prodotto di una continua invenzione, non lo si trova già bell’è fatto.
In effetti, il linguaggio critico con cui ho commentato queste poesie di Ivo Hadzhiyski è un linguaggio «inventato», non avrei potuto fare altrimenti.
E poi, un’ultima considerazione: quando una forma d’arte rimane senza pubblico (come è avvenuto alla poesia italiana degli ultimi 50 anni), è inevitabile che si perda anche la memoria storica di ciò che è stato il linguaggio critico: non si ha più un linguaggio critico; voglio dire che quel linguaggio critico che non ha più un riscontro di comprensibilità con un pubblico di persone colte e libere, quel linguaggio, dicevo, cessa semplicemente di esistere.
e noi ti ammiriamo per questo Giorgio, ma non voglio fare piaggeria…7h7
Grazie Francesca, so che ci sono delle persone, come te, in grado di distinguere uno scritto critico da uno scritto agiografico e amicale e questo mi dà la forza di andare avanti…
devi andare avanti
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Ci vuole un certo coraggio, anche critico, a presentare un poeta bulgaro, che trova oggettivamente il 90/% dei lettori di questo blog, spaesati e sbalestrati; quasi inetti a intervenire anche sono gli “esperti” di poesia internazionale (non dico di quelli nazionali)…
(ma questo si è ripetuto più volte in passato verso altri autori slavi)
“poesia bulgara”?; e cosa è? –
Già quando scrivo dei grandi poeti cechi del secolo trascorso, che nulla hanno da invidiare a quelli europei (cominciando dal simbolismo, futurismo e per finire al surrealismo), vedo molti autori -specie nostrani – voltarsi sdegnosi indietro e porsi quelle due domande.
E che dire se io parlo dei “poeti dell’impazienza” ungheresi ? (che non sono slavi: questo per chi non lo sa)-
O dei poeti futuristi polacchi?
O della poesia rumena?….
Parlerei a vuoto? No, parlerei ai “vuoti poeti” italiani! E tanti altri stranieri della stessa risma.
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Giorgio Linguaglossa fa bene a porsi delle domande sul suo linguaggio “inventato”, che è un efficace linguaggio critico e poetico, le cui origini egli stesso di/spiega. Poteva anche non dispiegarsi, ma lo ha fatto perché la poesia deve essere fatta “per” tutti (Lautreamont/Majakovskij), con tutti (Pasternàk), difficilmente “da” tutti.
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Per quanto mi riguarda anche io mi sono inventato un linguaggio poetico – mi sono creato? Ma invenzione e creazione vanno a braccetto, e spesso non si conosce bene la differenza; forse è meglio non conoscerla; forse si, poiché bisogna rispondere alle istanze del tempo presente e futuro con nuove sfide, e sfida significa nuovi e diversi linguaggi critici e poetici che siano.
Ma resta il fatto che il “poetino” nostrano storce il suo nasino… e conosco pure il suo pensiero provinciale, che secondo lui è dotato di “universalismi” e non ha bisogno di conoscere altri autori, ovviamente stranieri compresi.
per esempio così si esprime “il sempliciotto ispirato”:
“Puškin? ah si. Puškin, lo conosco bene”, dichiara apertamente e sicuro di se, ma non dategli retta: conosce solo il nome e non ha mai letto un suo verso o una sua opera. E dico del maggiore dei poeti russi!
Figuriamoci con gli altri grandi poeti slavi.
P.e…. : se persino il giorno dopo la morte di Evtušenko (poeta russo con cui si chiude davvero la poesia russa del novecento) un poeta noto e “stimato” come il Magrelli scrive fanfaronate, citando fra l’altro erratamente alcuni autori russi (Block per Blok), cosa dobbiamo aspettarci?
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Ma vedete, credo di non sbagliare, se affermo che la stessa cosa succede da noi, p.e. quando si parla di Leopardi si nomina soltanto il suo “pessimismo”, senza aver letto mai, p.e., le sue “Operette morali” o altro.
Gli studiosi di questo poeta poi fanno cadere le braccia: mai uno che ce lo mostri con un linguaggio critico fuori dagli schemi (ancora ottocenteschi)… un giorno – primi anni settanta del secolo scorso – mi dissero: “leggiti gli studi del Getto su Leopardi, sono rivoluzionari”… dopo dieci pagine buttai il libro.
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E dice esatto il Linguaglossa quando scrive che “in effetti, il linguaggio critico con cui ho commentato queste poesie di Ivo Hadzhiyski è un linguaggio «inventato», non avrei potuto fare altrimenti. E poi, un’ultima considerazione: quando una forma d’arte rimane senza pubblico….”
“Senza pubblico…” e questo è tragico!
E come fare una poesia “per” – “con” – “da” tutti???
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caro Antonio Sagredo,
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/05/05/ivo-hadzhiyski-poesie-epigrammatiche-inedite-in-italiano-traduzione-dal-bulgaro-di-evelina-miteva-riccardo-campion-e-emilia-mirazchiyska-con-un-commento-impolitico-di-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-19914
È stato possibile parlare di Nuova Ontologia Estetica,
solo una volta che la strada della vecchia ontologia estetica si è compiuta,
solo una volta estrodotto il soggetto linguistico
che ha il tratto puntiforme di un Ego in cui convergono, cartesianamente, Essere e Pensiero,
quello che Descartes inaugura e che chiama «cogito».
Copio e incollo parte di una lettera inviatami da Alberto Tommasi alla mia email:
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“Il suo commento impolitico a Hadzhiyski mi pare perfetto. Lei è creativo ma mica tanto audace, anzi piuttosto conservatore e per questa sua attualità si merita una lode. Se lo scopo non è pratico-amministrativo, del tipo processare studenti universitari così che si laureino in fretta, c’è forse un’alternativa all’essere creativi, ma non troppo? O lessicalmente o sintatticamente o per qualche altro aspetto? Il significato di un testo letterario non è qualcosa di già dato e nominabile, bensì problematico, tutto da scoprire e da far nascere al linguaggio. La descrizione del senso di un testo letterario è esso stesso una specie di testo letterario. Il critico deve saper pensare come un filosofo-filologo e saper scrivere come un romanziere. Si sarebbero così bene diffuse le idee di Sigmund Freud o Umberto Eco se i rispettivi autori non avessero avuto un’eccellente cultura letteraria? Come si può essere efficaci nella designazione di ciò che ancora non esiste o comunque è raramente condiviso, senza un minimo di innovazione linguistica? Vogliamo ridurre le scienze umane a scienze della natura, cioè appiattirci tutti su una lingua nomenclatrice della realtà? Un tempo c’era il preventivo elenco dei peccati, tra cui scegliere nel confessionale cattolico, oggi ci toccano i possibili temi del poetare come categorie commerciali del libro di poesia? Speriamo che non sia vero. A parte la filosofia di Heidegger, anche il Verfremdungseffekt è passato di moda?”