Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot

*

Onto Gabriele

Mario Grabriele, grafiche di Lucio Mayoor Tosi

Caro Giorgio Linguaglossa,

accolgo volentieri l’invito a decriptare i miei testi dalla struttura base, per una maggiore esemplificazione della metafora e di altre figure retoriche. L’idea di una poesia per ”frammenti”, rimane per me un percorso obbligato e di grande interesse. Tu paragoni questo modo di poetare a tanti elementi disgiuntivi  che  si ricompongono poi in un unico corpo, ma anche a una fotografia, che alla fine riporta in superficie spazi e sottofondi celati. Immaginiamo per un istante uno specchio che si rompe in mille pezzi. Ognuno di questi è essenziale per tornare a ricostituire la forma originaria. Si tratta, in altre parole, di una specie di implantologia, per inserire elementi in grado di armonizzare il “trapianto”, restituendo al corpo poetico la sua funzione. Credo che un buon poeta debba agire rimuovendo la terra lessicale che sta al centro della germinazione, per riportare alla luce e in superficie il primo granello, ossia la materia stessa che è la sostanza originaria, necessaria ad essere l’Uno e il Tutto del linguaggio per riformularlo nel giro di un nuovo circuito dove il disvelamento, e l’identificazione della parola interagiscono fino ad annullarsi e a riprodursi ogni volta. Considerare questa rete di connessioni, e di interazioni, presupponendo per un istante che il frammento non è il transitorio elemento del dire linguistico, ma la particella essenziale, che è il mistero stesso della poesia, e della sua evoluzione, significa dare infusioni vitali per esistere al di là di ogni naufragio della parola. Sottoporre all’attenzione dei lettori, certi canoni estetici, non rientranti nella omologazione passata e presente, può destabilizzare gusti e coscienze, fino a produrre smarrimento. Da cosa partono le mie riflessioni sul rapporto tempo-spazio? Proprio dalla percezione della realtà che non è mai unica e monotematica, perché poggia su un nichilismo che non lascia aperte le porte all’illusione, ma crea altri universi frammentati, unicellulari, come soggetti-oggetti, e ologrammi riproducenti larve, fantasmi, tracce, segmenti di vita nella perdita del senso. Ciò che occorre non è la camera delle ibernazioni linguistiche di certa letteratura novecentesca, ma quella delle trasfusioni lessicali di diversa provenienza, in armonia con ciò che è il linguaggio contemporaneo, che si collega a varie fenomenologie artistiche, sociali, scientifiche, politiche, economiche ecc., tra ciò che è il “tempo interno” e il “tempo esterno”. E’ il mio modo di confrontarmi anche con altri poeti, nel comune bisogno di esternare la realtà con la poesia, secondo le proprie esperienze culturali e stilistiche in un comune Progetto di Rinnovamento e di Ossigenazione della parola. Il territorio letterario e poetico è così multiforme che non esiste un solo Paradigna adatto per tutti i tipi di poesia. Ciò che avvilisce la parola è il lirismo che ha una grande responsabilità nell’affossare i progetti linguistici contemporanei. Viviamo nel terzo millennio, tra parole e cose sempre in continua fibrillazione e attecchimento nell’ordinario linguaggio. Ci si abitua ad una terminologia consumistica, informatica, mediatica, i cui termini sono corrispondenti all’azione del nostro volere e della nostra capacità di accettare il clima culturale, in cui si vive. La poesia per frammenti ricorre a questi strumenti, per innestarli in un unico corpo, che si connette a molti elementi in(organici) che danno l’esatto valore all’espressionismo linguistico, senza alcuna connessione con l’elegia.Su questo tema, mi collego a una citazione di Mario Lunetta, tratta da una intervista rilasciata a Simone Gambacorta, in risposta alla domanda sul “fare” poesia, ed è questa: “Detesto il lirichese, oggi così di moda in questo nostro stupido paese. Mi ritengo un poeta dialettico, che non guarda solo il proprio ombelico e non celebra le proprie pulsioni individuali. Il mondo è vario, anche se sempre più omologato nella volgarità, e un poeta deve avere il coraggio e la consapevolezza di guardarlo e confrontarvisi. Per farlo, occorre rinunciare alle scorciatoie del lirismo e dell’elegia – Baudelaire diceva che “tutti i poeti elegiaci sono delle canaglie” – per misurarsi coi linguaggi complessi. Quindi, non emozionalità di primo grado, ma lucidità e straniamento“. Detto questo, non posso esentarmi dal riportare alcuni tratti del mio fare poetico da In viaggio con Godot di prossima pubblicazione:

(….)
Linda guardò l’Origine del mondo di William Blake.
-In principio era il Verbo.
Poi venne la luce divisa dalle tenebre.
Il mare si popolò di meduse e il cielo di volatili.
Nel Giardino maturò l’inganno,
la carne divenne cenere e la notte eterna-.
Così parlò padre Oddone da Larino.
Remember me!

La prima nota di eccezione è la mancanza di liricità. Si stravolgono qui gli assetti strumentali e formali: i cosiddetti canoni estetici di cui si è nutrita la poesia post-montaliana. Siamo di fronte ad una presa d’atto della coscienza che si fa avanti tenendo a confronto la riproduzione coloristica della Creazione del Mondo da parte di William Blake, di fronte a una visitatrice di nome Linda, facendo poi seguire, da parte mia, in forma più descrittiva, la Creazione del Mondo dell’Antico Testamento, fino al Peccato Originale e alla condanna del genere umano con la morte. Tutto questo è riportato da Padre Oddone da Larino nei suoi sermoni domenicali. La fine dell’uomo ha una sola preghiera con il Remember me, prima dell’oblio. Ritengo il tema non retorico e astratto, in quanto si tratta del destino dell’umanità esaminato dalla filosofia atea e dalla religione. Nella struttura del testo si notano ben sette punti di interruzioni, che non interrompono il concetto, ma lo integrano dandogli un senso compiuto. Ecco l’armonia del frammento!

(….)

Linda guardò l’Origine del mondo di William Blake.
-In principio era il Verbo.
Poi venne la luce divisa dalle tenebre.
Il mare si popolò di meduse e il cielo di volatili.
Nel Giardino maturò l’inganno,
la carne divenne cenere e la notte eterna-.
Così parlò padre Oddone da Larino.
Remember me!

La visita nel Museo Condè continua da parte di Linda ammirata dalle miniature dei Fratelli Limbourg. Vi è un dialogo, una sorta di avvertimento fra il guardiano o speaker e i turisti, per evitare che essi superino le transenne, che demarcano il luogo, dando la precedenza alle sofferenze passate e presenti, in particolare, a quelle citate in Esodo 3,1-12 e del dolore provocato nella guerra di Aleppo di oggi. Anche in questa struttura non retrocedono i frammenti. Diventano uniformi con quelli della prina strofa. Ne armonizzano il significato globale. Non c’è deriva di autocompiacimento o di esaltazione psicoestetica, nè di lirismo tout court. Siamo di fronte al linguaggio mentale?. A quello storico?. Al Modernismo citazionistico?. Alle luminarie del verso?. O ad una situazione culturale capace di creare nuove realtà dinamiche e di programmazione di una Voce che chiede ascolto? Queste domande sono in effetti pre-risposte circa la funzione del frammento.

(….)

Nel Museo Condè splendevano le miniature
                     dei Fratelli Limbourg.
Uno speaker avvisò i turisti
di non oltrepassare le transenne.
-Prima di voi- disse,
-ci sono le piaghe del mondo e di Aleppo-.
Citò i passi da Esodo 3,1-12,
i Vangeli Apocrifi e quelli di Luca e Giovanni.

Il dinamismo temporale ed esistenziale non trova pausa in questa strofa neanche con il ricorso al Kyrie Eleison. Siamo alla resa dei conti della solitudine esistenziale e al fenomeno delle immigrazioni, che qui rivestono un ruolo umanitario e sociale, dove sotto il “ponte di Londra / scorrono i corpi dei naufraghi o già di “fantasmi” che non hanno mai conosciuto una vita migliore.

(…..)

Odette si fermò a Walterplatz.
Scrisse appunti brevi come haiku
sulle pagine del Die Welt.
Lasciò ciclamini e primeroses
sulle tombe a Magdeburg
e in via San Giovanni,
dove anche  la tua  lampada,
 mammy, era spenta.

La chiusa del testo, tranne qualche altro passaggio non inserito, è il significativo omaggio e ricordo dei vivi verso i morti, che rimangono così sempre nella memoria, anche se si spegne la lampada della vita. Questi sono i soggetti principali che diventano i miei frammenti, più vivi e attuali e traccia segreta e metaforica di un dire poetico sempre in assalto dentro la mia sensibilità.

 

da: IN VIAGGIO CON GODOT

1

Il Decalogo è chiaro, il Codice pure.
I convenuti furono chiamati all’appello.
Chiesero perché fossero nel Tempio.
A sinistra del trono c’erano angeli e guardie del corpo.
Solo il Verbo può giudicare. L’occhio si lega alla terra.
Non ha altro appiglio se non la rosa e la viola.
Un gendarme della RDT, lungo la Friedrichstraße,
separava la pula dal grano,
chiese a Franz se mai avesse letto Il crepuscolo degli dei.
Fermo sul binario n.1 stava il rapido 777.
Pochi libri sul sedile.Il viso di Marilyn sul Time.
-Quella punta così in alto, che sembra la Torre Eiffel cos’è?-,
chiese un turista.
-E’ la mano del mondo vicina all’indice di Dio-, rispose un abatino.
Allora, che salvi Barbara Strong,
e il dottor Manson, l’abate De Bernard,
e i morti per acqua e solitudine,
e che non sia più sera e notte finché durano gli anni,
e che ci sia una sola primavera
di verdi boschi e alberi profumati,
come in un trittico di Bosch.
Ecco, ora anch’io vado perché suona il campanaccio.
——-
Ci  furono mostre di calici sugli altari,
libri di Padre Armeno e di Soledad,
e un concerto di Rostropovic.
Usciti all’aperto prendemmo motorways.
Nella terra di miti, dove ci si scorda di nascere e di  morire,
c’erano cartelloni pubblicitari e blubell.
A San Marco di Castellabate
la stagione dei concerti era appena cominciata.
Il palco all’aperto aspettava il quintetto Gospel.
Si erano perse le tracce del sassofonista del Middle West.
Il primo showman raccontò la fuga d’amore di Greta con Stokowski.
Le passioni minime vennero con gli umori di Medea,
di fronte alle arti visive di Cornelis Esher.
Un relatore rimandò ad una nuova lettura
I Cent’anni di solitudine di Garcia Marquez.
Quest’anno il postino non suonerà più di tre volte.
Et c’est la nuit, Madame, la Nuit! Je le jure, sans ironie.

2

Signora Schneider oggi è il suo compleanno
e un altro petalo se ne va!
Questa mattina siamo andati a cercare fiori,
ma c’erano germogli
e barchette di sogno nello Spittelmarkt.

La sera fummo vicini a Wisley
che vedeva fantasmi nella stanza.
Per ore rimanemmo inchiodati ai tavolini
aspettando Veronica Strauss
con gli ultimi oroscopi e un nuovo spartito.

George volle fare un altro viaggio
prima di finire le vacanze.
L’ispettore Franz scoprì il trucco delle quattro stagioni.

Abbiamo consumato gli occhi
leggendo  Domusday Book e Our Afterlife,
eppure c’è stato qualcosa
che ci ha fatto superare le notti di paura.

Due strassekinder indicarono la strada per Birkenau.
Un down sulla carrozzella
inseguiva le api nella mente.

Cominciammo a cercare negozi e iPod
per  fermare  le mani del tempo sul viso di Clara,
prima di lasciare RosaLuxemburgplatz
e  tanta  gente davanti al teatro,
per Malone muore.

Derek Walcott Anna Ventura

3

Da tempo più non leggiamo Le Metamorfosi
e la lettera di Freud al dottor F.S.Krauss.
Nella metrò c’era chi prendeva il largo,
chi pattuiva con il silenzio  
il preambolo con la morte.
Una modesta proposta ci venne incontro.
Furono gettate le reti a sinistra della barca,
fatte le oblazioni  nel silenzio della sera.
C’era neve a New York, pioggia a Bangkok.
Il primo attore della Compagnia Arti e Mestieri
divagò sulle 12 maschere dell’anno.
Come un àspide  tornò il dilemma inglese.
Provaci ancora Hamlet!
Un ospite tradì  i commensali fuggendo nel pineto.
-Cercatelo  in ogni luogo-, disse il capo ai serventi.
-Gli faremo la conta dei suoi averi,
lo passeremo ai chiodi
e alla Vergine di Norimberga,
e a chi sa usare la garrota:
sarà cibo per  gli anni  futuri-.
Un cherubino, senza fissa dimora,
lasciò sugli altari croci di frassino puro.
Saverio parlò della Condizione umana.
Un vecchio si prostrò ai nostri piedi,
lasciando il libro di Rut, la spigolatrice.
-Pregate  per  me- supplicò,
-e per  tutto  ciò che ho amato e odiato-.
Abram non ha mai cercato la vita interiore.
 Fu dopo l’happy new year
 che cominciammo a sfogliare gli almanacchi,
senza  guardare il viso sfiorito di Nöel.

Stefanie Golisch Edith Dzieduszycka

4

Una lettera nella cassettiera.
Due o tre riviste letterarie: Il Caffè di Vicari
e i Quaderni piacentini.
La signora Dominich senza più un memorial day.
Non ti riconobbi più
con le scarpine di pelle di lòntra.
Il primo poster alle pareti:
Il Moulin de la Galette di Picasso:
girandola di danza con due Madame  
al tavolino in primo piano. Festa borghese.
Uno stabsunterroffizier cercava Daniele.
Anni 60. Il bello dell’Hermitage.
Qualcuno doveva aver abbandonato
la Cappella Sistina e il Ponte dei sospiri.
La ragazza Carla  mi lasciò un fil rouge.
Alle sette apriva il Magazine.
Nel fortilizio Gina attendeva uomini e cani.
Fu un inganno la Befana.
Ma per Jodie tutto era un teatro.
Ritornava marzo con i campi di mais.
Si spezzò il fil rouge.
Non ho mai capito chi fosse il baro,
se il tempo o la luna.
Abbiamo sempre avute le malinconie.
-Piccolina! Qui c’è solo Sigmund
a prenderti per mano-.
Non abbiamo fatto nulla,
se non restituire la vita ogni giorno.
Le sedie non hanno retto.
Due volte, soltanto due volte,
ci fu una fuga sui monti matesini.
L’abbiamo giocato alla roulette
il jolly del biscazziere,
e ora tu bussi alla porta, Miss Memory?

5

Abbiamo fatto il cammino a ritroso,
conteggiati gli scalini del tempo,
disperse le ceneri così come fu detto e scritto.
La signora Meyer non va più sul balcone.
Ha un trenino per Times Square.
Non aspetta il Natale.
Prepara l’acqua ai re Magi.
Intinge la bocca ai moribondi.
-Dove  tu morirai-, dissi,- morirò anch’io-.
Allora  quelli  che sopravvissero
alle parole di padre Orwell
si fermarono prima del buio
a guardare le stelle cadere.
Cosa migliore non può venire da Herbert,
sempre attaccato alle piccole cose.
L’anno scorso siamo andati a sentire
i cantori di Africa World.
Non so come dirti ma la spiga di grano
ha sempre una punta per ferire.
Shervin ha finito il diario di giornata,
e pensare che ogni pagina è come una foglia.
Matilde, a quest’ora, accende il barbecue.
C’è sempre qualcosa che si dissolve o rimane.
Non puoi essere come la madre di Summer
che sembra un orologio a pendolo.
Chissà cosa dirà la ragazza del Campus
ora che la casa è senza formiche
e i muri hanno i colori di Pollock.
Se questa tristezza non andrà via
sarà dura l’estate.
Pierrot  ha uno strano modo di fare regali.

*

Da quale rovo sei venuta. Non so.
La stagione porta trappole.
Temi le Centurie, i mesi bisestili.
Un testamento è nel Caveau.
Aspettami quando il leone e l’agnello
si saranno fermati all’ombra delle oasi.
Noè ha attaversato il Topanga Canyon.
Il frutto dell’albero è maturo.
E’ diventata cieca la tua memoria.
Una tettoia d’anni è finita sul selciato.
L’anfora è rotta, Ubaldo!
L’anfora più bella è rotta.
Sono venuti giù acqua e neve.
A tratti si è fermato l’anticiclone.
Il vecchio Osborne non se ne è accorto.
Sta a guardare il sole che nasce e muore.
Preghiamo per i nostri gelsomini.
Il Signore solleva dalla polvere il misero,
innalza il povero dalle immondizie.
Scendiamo in una valle silente
nel giorno di tristezza di Makeda.
Il gran sacerdote,
lasciò messaggi nelle crepe del Muro,
senza piccioni viaggiatori
e pagaie, azzurro-mare.
Il pony express aspetta.Tace.
Augura: Feliz Navidad.
Il cammino si accorcia,
senza il miracolo da ponente.
A Daisy non diremo nulla
che possa scuotere i rami del suo bosco,
nulla di come è fatto il lazzaretto.

Laboratorio 4 Nuovi

Mario M. Gabriele è nato a Campobasso nel 1940. Poeta e saggista, ha fondato nel 1980 la rivista di critica e di poetica Nuova Letteratura. Ha pubblicato le raccolte di versi  Arsura (1972); La liana (1975); Il cerchio di fuoco (1976); Astuccio da cherubino (1978); Carte della città segreta (1982), con prefazione di Domenico Rea; Il giro del lazzaretto (1985), Moviola d’inverno (1992); Le finestre di Magritte (2000); Bouquet (2002), con versione in inglese di Donatella Margiotta; Conversazione Galante (2004); Un burberry azzurro (2008); Ritratto di Signora (2014): L’erba di Stonehenge (2016). Ha pubblicato monografie e antologie di autori italiani del Secondo Novecento tra cui: Poeti nel Molise (1981), La poesia nel Molise (1981); Il segno e lametamorfosi (1987); Poeti molisani tra rinnovamento, tradizione e trasgressione (1998); Giose Rimanelli: da Alien Cantica a Sonetti per Joseph, passando per Detroit Blues (1999); La dialettica esistenziale nella poesia classica e contemporanea (2000); Carlo Felice Colucci – Poesie – 1960/2001 (2001); La poesia di Gennaro Morra (2002); La parola negata (Rapporto sulla poesia a Napoli (2004). È presente in Febbre, furore e fiele di Giuseppe Zagarrio (1983); Progetto di curva e di volo di Domenico Cara; Poeti in Campania di G.B. Nazzaro; Le città dei poeti di Carlo Felice Colucci;  Psicoestetica di Carlo Di Lieto e in Poesia Italiana Contemporanea. Come è finita la guerra di Troia non ricordo, a cura di Giorgio Linguaglossa, (2016). Si è interessata alla sua opera la critica più qualificata: Giorgio Barberi Squarotti, Maria Luisa Spaziani, Domenico Rea, Giorgio Linguaglossa, Letizia Leone, Luigi Fontanella, Ugo Piscopo, Stefano Lanuzza, Sebastiano Martelli, Pasquale Alberto De Lisio, Carlo Felice Colucci,  Ciro Vitiello, G.B.Nazzaro, Carlo di Lieto. Altri interventi critici sono apparsi su quotidiani e riviste: Tuttolibri, Quinta Generazione, La Repubblica, Misure Critiche, Gradiva, America Oggi, Atelier, Riscontri. Cura il Blog di poesia italiana e straniera Isoladeipoeti.blogspot.it.

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42 risposte a “Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot

  1. Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    Caro Giorgio, se uno come te, mette in gioco tutta la sua reputazione critica ponendo sull’altare la mia poesia, denaturalizzata da alcuni visitatori occulti, allora un motivo di grande osservazione estetica, ci deve essere, rispetto alle incompetenze osservative di chi per irraggiunta maturità o altro, attacca, senza rendersene conto la mia produzione poetica è il frutto di una sensibilità, non improvvisata, legata alla voce di coloro che un giorno lessero la vita e che io la ravvivo prolungandola in citazioni in tempi di precarietà assoluta. Non mi dilungo,anche per evitare eccessi che potrebbero sembrare egocentrici. Ma desidero farti presente che nel viaggio con Godot ho inserito poesie di cui ho dato il nulla osta solo dopo attenta valutazione critica. Questo discorso sulla poesia non sarebbe completo se nel contesto generale dimenticassi la mia amicizia con un altro poeta Ubaldo De Robertis che cito in questa poesia di cui ti chiedo scusa per l’immissione, ringraziandoti di tutto il lavoro svolto che per me non è poco.
    ————–
    Da quale rovo sei venuta. Non so.
    La stagione porta trappole.
    Temi le Centurie, i mesi bisestili.
    Un testamento è nel Caveau.
    Aspettami quando il leone e l’agnello
    si saranno fermati all’ombra delle oasi.
    Noè ha attaversato il Topanga Canyon.
    Il frutto dell’albero è maturo.
    E’ diventata cieca la tua memoria.
    Una tettoia d’anni è finita sul selciato.
    L’anfora è rotta, Ubaldo!
    L’anfora più bella è rotta.
    Sono venuti giù acqua e neve.
    A tratti si è fermato l’anticiclone.
    Il vecchio Osborne non se ne è accorto.
    Sta a guardare il sole che nasce e muore.
    Preghiamo per i nostri gelsomini.
    Il Signore solleva dalla polvere il misero,
    innalza il povero dalle immondizie.
    Scendiamo in una valle silente
    nel giorno di tristezza di Makeda.
    Il gran sacerdote,
    lasciò messaggi nelle crepe del Muro,
    senza piccioni viaggiatori
    e pagaie, azzurro-mare.
    Il pony express aspetta.Tace.
    Augura: Feliz Navidad.
    Il cammino si accorcia,
    senza il miracolo da ponente.
    A Daisy non diremo nulla
    che possa scuotere i rami del suo bosco,
    nulla di come è fatto il lazzaretto.

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  2. Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    SUL FRAMMENTO

    di Alessandro Alfieri (nel saggio di cui a “Aperture” n. 28, 2012, scrive):

    «Il frammento può venire compreso come la cifra caratteristica della modernità; il mondo moderno, infatti, si pone sotto il segno della dispersione, della deflagrazione del senso, della moltiplicazione delle prospettive… differenti modi per riferirsi alla secolarizzazione e alla laicizzazione della vita sociale avvenuta nella cultura occidentale compiutasi nel XIX secolo, e che ha trovato nella filosofia di Friedrich Nietzsche la più piena espressione. La morte di Dio, e la fine della visione platonico cristiana, è difatti la scomparsa del centro, la decadenza della verità assoluta, l’impossibilità di ricondurre la frammentarietà ad un’unità di senso.

    Il prospettivismo nietzschiano può venire interpretato come una promozione della frammentarietà di contro alle tesi di ordine metafisico, che rivendicano di venire recepite in una loro presunta verità indiscutibile e dogmatica. Infatti, è a partire proprio dalla filosofia di Nietzsche che, tra la fine dell’Ottocento e l’avvento del Novecento, alcuni autori svilupparono determinate e peculiari “filosofie del frammento” in grado di restituire dignità alle irriducibili singolarità che caratterizzano l’esperienza concreta di ciascuno.
    *
    Parafrasando Adorno, possiamo dire che il frammento è il sigillo di autenticità dell’arte moderna, il segno del suo sfacelo.

    Mario Gabriele è, a mio modesto avviso, il poeta italiano, tra i viventi, che è più in avanti in questa ricerca di una nuova forma-poesia, il poeta che si è spinto nella investigazione più in avanti di tutti. È ovvio, caro Mario, che nessun letterato accetterà mai di essere estromesso dalla novità del tuo linguaggio poetico, alla luce dei loro riflettori intellettuali la tua poesia è incomprensibile o, al massimo, i più intelligenti la rubricano come un tipo di poesia post-eliotiana, una operazione di nicchia intellettuale. Ovviamente, a mio parere questa è una miscomprensione totale della tua poesia (consapevole o inconsapevole il risultato non cambia), ma è normale che essa venga equivocata e derubricata come di nicchia e laterale, non devi affatto inalberarti dinanzi a queste miscomprensioni (in buona fede o in cattiva fede, non cambia il nocciolo della questione). Oggi poi l’assenza di una critica degna di questo nome condanna inevitabilmente le esperienze più avanzate alla generale miscomprensione generale.

    Ecco, questo avevo in animo di dire, e questo lo dico e lo ripeto. E aggiungo: andate tutti a scuola di poesia da Mario Gabriele, lui potrà darvi utilissimi input e lasciate stare i fabbricatori di filastrocche alla Filippo Strumia pubblicato da Einaudi….

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    • nessun poeta può essere Jung o Freud

      Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


      La mia reazione a eventuali pareri negativi nasce dalla consapevolezza che i miei testi si portano dietro un lavoro continuo, notturno e diurno, ed io so quanta fatica mi procurano. Se la struttura e i contenuti non mi soddisfano tendo sempre a rimodulare l’espressione per offrire al lettore un testo degno della sua attenzione, avvicinandomi al suo modo di Essere. qui e ora-. E’ come se ad una persona tu gli dai un dono credendo di farle cosa gradita e te lo rifiuta. Ovviamente questo non vuol dire che non si possano esprimere pareri contrari, ma se poggiano su considerazioni di altro genere corrispondenti al carattere, alla personalità e al temperamento di ognuno, allora nessun poeta può essere Jung o Freud. Si sa che la sfera cognitiva è una complessa rete di connessioni di obiettivi e stimoli provenienti dalla psiche. Il pensiero è l’organizzazione di processi mentali di carattere simbolico che si concretizza nelle idee. L’intelligenza è il complesso eterogeneo di capacità acquisite che si utilizzano anche per agire nella vita relazionale, sia in senso positivo che negativo. In definitiva la personalità poetica ha queste connotazioni che si riflettono nell’ambiente in cui opera. La psicoanalisi, in questo caso, offre interpretazioni più selettive e interpretative tra Soggetto Principale, che e il poeta, e Soggetto Laterale o Esterno, che è il lettore, anche se poi questi soggetti sono figli della stessa Natura che li proietta in un mondo misterioso da decriptare con o senza Dio.. In quest’ultimo caso nascono le differenze teoretiche di filosofi e scienziati, ognuno con la propria bussola di riferimento.Da qui le dicotomie culturali che portano ad una situazione reattiva del subconscio e dei vari meccanismi di identificazione. in un testo poetico o quant’altro identificabile nel mondo delle Arti.

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  3. Francesca Dono

    complimenti Mario.

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  4. Già Hugo Friedrich nella sua analisi, ormai classica, sulla struttura della lirica moderna

    Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    Riporto il Commento di Letizia Leone alla poesia di Mario Gabriele di cui all’ultimo post sull’Ombra che mette un punto fermo per la interpretazione della migliore poesia contemporanea:

    Già Hugo Friedrich nella sua analisi, ormai classica, sulla struttura della lirica moderna individuava in quella “ostilità verso la frase” tipica della poesia moderna una conclamata rottura con la tradizione che apriva al frammentarismo. Il frammento rientrando dunque a pieno titolo nelle strategie linguistiche di una nuova poesia quasi si rivelava modalità espressiva di quella Age of anxiety postulata poeticamente da Auden. Un “pathos della distanza” e l’impotenza nel riscattare esteticamente un’esistenza lacerata. Il rischio continuato di sprofondare nella reificazione e nell’insensatezza.
    I lirici nuovi non narrano più, procedono per disgiunzioni di senso e dislocazioni spazio-temporali attraverso una versificazione ellittica e spezzata che enfatizza l’oscura ambiguità del dettato. Si tratta quasi di “uno scrivere per lemmi”.
    L’anti-sintassi, lo straniamento o il nominalismo sono peculiarità riscontrabili nei massimi poeti moderni: “soprattutto via tutti i verbi. Buttare tutto sul sostantivo, erigere torri di sostantivi”, scriveva Benn nel 1926 denunciando nei tedeschi del proprio tempo una “speciale inclinazione a non voler vedere la reale situazione dell’uomo d’oggi, nel continuare a guardare all’umanesimo e all’antichità trapiantandovi qualcosa di paolino e appiccicandovi sopra un cerotto classicistico”.

    Auden: ecco un poeta dal quale invece si sarebbe dovuto imparare, secondo Benn.
    Ma se è vero che a fondamento di ogni “poetica” vi è un’ontologia, è con estrema lucidità che Friedrich ritrova nella “lirica moderna” i segni dello Zeitgeist, quello che è lo spirito del tempo, la “freddezza del suo mestiere, la tendenza all’esperimento, la sua durezza di cuore”. Ci conferma Eliot che non si tratta di espedienti stilistici ma di una resa espressiva al disorientamento epocale: “Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine”.
    In molti testi di autori diversi troviamo l’irrompere del “non formalizzato e del non-formalizzabile”, un materiale eterogeneo dall’immediatezza della vita, il mondo là fuori, il vissuto che a questo livello entra nella figurazione poetica come cortocircuito intertestuale refrattario ad una codificazione estetica ma pregnante di valore documentale che certifica un ritorno alla realtà; si pensi alle “poesie-collages” di Apollinarie, alle “poesie-reportage” di Benn o alle “poesie-conversazione” di Eliot e Auden, per fare qualche esempio.

    Tutti poeti votati alla critica estetica, all’esasperata attenzione alla filosofia del linguaggio e alla dura disciplina dell’arte. “Tutta la grande poesia è realistica” sostiene Erich Heller nel suo saggio “Lo spirito diseredato” e l’interpretazione di un’opera non può risolversi solo nell’analisi stilistica svincolandola dai problemi culturali e reali del proprio tempo: “Qualsiasi cosa faccia, la poesia non può che confermare l’esistenza di un mondo significativo, anche quando ne denunci la mancanza di senso. Poesia significa ordine, anche quando si scagli l’accusa di caos; significa speranza, anche con il grido della disperazione. La poesia riguarda la statura vera delle cose; quindi tutta la grande poesia è realistica”.

    Premessa sommaria questa, per rintracciare le coordinate novecentesche di una eredità letteraria in volontaria rottura con la tradizione, (“ogni scrittore degno di questo nome deve scrivere contro tutto ciò che è stato scritto finora” sosteneva Francis Ponge), e inoltre, per fare il punto sulle ricerche attuali che elevano il frammento e l’estraneità a categorie ontologiche dell’uomo del ventunesimo secolo. Un uomo “senza contenuto” automatizzato e reificato dai sistemi autosufficienti della mondializzazione.

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  5. Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    Penso che M ario Gabriele sia uno dei pochi grandi poeti dei nostri giorni.Mi stupiscono certe sue incertezze, certi spunti di autocritica troppo severi,che, spero, non saranno di ostacolo alla sua preziosa scrittura,di cui tutti possono nutrirsi.

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  6. Giuseppe Talìa

    Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    Se Mario M. Gabriele, dopo una vita intera spesa in versi, e non solo, decide, d’un colpo di cambiare registro e di spaziare nell’ignoto-noto, qual è la nuova formula del “frammento”, un perché ci sarà. Il Nulla che impera, ci avverte l’autore, o meglio dal Nulla, dall’azzeramento al Tutto e dal Tutto, in contrapposizione al Nulla, a “una specie di implantologia, per inserire elementi in grado di armonizzare il “trapianto”, restituendo al corpo poetico la sua funzione.” Ma se Nulla indica l’assenza di ogni cosa, e ogni cosa indica ciò che esiste (Ente) e quindi ciò che è, il Nulla allora è un non-ente (Heidegger) o il contrario di “qualcosa”. Se per Parmenide il non-essere-non è, quindi “è-nulla”, ed essendo il Nulla il contrario del Tutto (o almeno il contrario di ciò che è in quanto esiste) il solo pensare al Nulla è impossibile, in quanto solo l’Essere, esistendo, può permeare il pensiero, il quale pensiero coglie o cerca di cogliere la verità dell’Essere. Il Nulla come non-essere dell’essere di qualcuno o qualcosa. I neoplatonici cercavano addirittura una dialettica tra i due poli opposti. L’Uno è indefinibile, ogni sua definizione lo ridurrebbe, per cui, parlando di Uno si dovrebbe dire ciò che Uno non è, in luogo di ciò che Uno è. Leibniz, invece, non trovando risposta all’esistenza del nulla invece che il tutto pone la questione come l’Esistenza vittoria del sul nulla. Anche Hegel cerca una certa dialettica tra essere e nulla, i quali si identificano nella loro indeterminatezza (Omnis determinatio est negatio)
    Ogni cosa che esiste (essere) nega a sua volta il non-essere: “ogni determinatezza attesta la presenza del nulla come negatività (Hegel). Per Croce, invece, la tematica del nulla si circoscrive nell’ambito della morale. Sartre definisce il Nulla come essere-per-sé e lo fa coincidere con la nostra coscienza. Bergson distingue tra nulla assoluto (impensabile) e nulla relativo (manifesto nel momento in cui nulla accade).

    Il discorso, ci avverte Sergio Givone in Storia del Nulla, non può essere lineare e la storia del nulla non può essere speculare a quella dell’essere, a causa di un lungo esorcismo nei confronti del nulla sia da parte della logica sia della metafisica. Il nulla si configura, in fin dei conti, come un concetto “maledetto”, che la metafisica e la storia della filosofia hanno tentato di annullare, di nascondere. Tuttavia, nonostante tale ostracismo, il nulla talvolta, spesso in ambito estetico ed artistico, è stato tematizzato in modo autonomo ed è venuto alla luce in tutta la sua potenza e rilevanza, ponendosi addirittura come alternativo all’essere o come suo abissale fondamento.

    Dunque, a fronte di quanto sopra può ritornare ciò che scrive Mario M Gabriele: “Credo che un buon poeta debba agire rimuovendo la terra lessicale che sta al centro della germinazione, per riportare alla luce e in superficie il primo granello, ossia la materia stessa che è la sostanza originaria, necessaria ad essere l’Uno e il Tutto del linguaggio per riformularlo nel giro di un nuovo circuito dove il disvelamento, e l’identificazione della parola interagiscono fino ad annullarsi e a riprodursi ogni volta.

    Riproducibilità. Scrive l’autore Mario M. Gabriele che “Il territorio letterario e poetico è così multiforme che non esiste un solo Paradigna adatto per tutti i tipi di poesia. Ciò che avvilisce la parola è il lirismo che ha una grande responsabilità nell’affossare i progetti linguistici contemporanei.” Si può obiettare a questa giusta osservazione che molti dei giovani poeti pubblicati da Mondadori & C. di lirismo non ne hanno traccia, per esempio un Villalta o un Pellegatta, i quali, sebbene si muovano nell’ambito di una tradizione minimal-chic non presentano germi lirici, piuttosto anti-lirici.
    Scrive ancora Mario M. Gabriele nella parafrasi del testo “Linda guardò l’Origine del mondo di William Blake” che “nella struttura del testo si notano ben sette punti di interruzioni, che non interrompono il concetto, ma lo integrano dandogli un senso compiuto. Ecco l’armonia del frammento!” Si può ben obiettare e ritenere che il “frammento” non debba essere caratterizzato solo da una precisa interpunzione. Uno degli esercizi di cui mi avvalgo nei laboratori di letteratura italiana, poesia, è quello di pulire il testo da ogni segno grafico di interpunzione, chiedendo poi agli studenti di segnare le virgole e i punti al testo proposto. E’ significativo come riescano a indovinare le interpunzioni a partire dal respiro, dall’emissione o riduzione del fiato, come anche, aldilà delle suggestioni fonetiche, percepire il senso compiuto della frase.. A fronte di questo, crediamo che l’interpunzione in poesia sia una variabile alquanto trascurabile (Apollinaire), quando, invece, per un discorso grafico e lirico, o anti-lirico, si dovrebbe, essenzialmente, mettere l’accento accusatorio sull’enjambement (consumato e abusato), sull’anafora (anti-frammento), sull’ellissi, sull’inversione (dolce e chiara è la notte e senza vento) come specialmente sull’anastrofe (inversione del normale ordine sintattico: sempre caro mi fu quest’ermo colle).
    C’è da considerare, però, che autori come Boine, come Sereni, come de Palchi, e tanti altri ancora queste figure retoriche le hanno abolite a prescindere da quel dì.

    Con i testi di Mario M. Gabriele, si può fare “parafrasi” perché essi contengono tutto un materiale letterario e citazionistico, una stratificazione di “varie fenomenologie artistiche, sociali, scientifiche, politiche, economiche ecc.,” che, indubbiamente rimandano a una lettura complessa, specialistica, a fronte di un linguaggio piano, apparentemente chiaro e lineare.

    Sui testi proposti ci si riserva uno spazio di indagine più adeguato.
    Una nota un po’ polemica. In un recente, infervorato, commento Mario M. Gabriele hai sottolineato come la NOE, sostanzialmente, sia rappresentata da Te e da Linguaglossa, e poi ci sono altri (???).
    Chi sono gli altri?

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    • Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


      Caro Giuseppe Talìa,
      grazie della sua presenza che mi onora moltissimo, come quella di Giorgio Linguaglossa. Terrò questi vostri preziosi interventi, come quelli di Steven Grieco Rathgeb, di Letizia Leone e di Sagredo nel calice d’oro dei riscontri che un giorno dovrò pure mettere in evidenza in un probabile resoconto del mio percorso poetico. In questa sede lei e Giorgio siete entrati con uno studio critico ,specifico ed equilibrato, senza enfasi e monumentalismo retorico. La lettura esposta abbraccia le variazioni estetico-filosofiche connesse ai testi. Li avete vivisezionati per estrarre la linfa vitale di cui sono produttori. E che altro aspettarsi dai critici, se non la loro imparzialità, onestà e cultura, per consegnare al lettore un passepartout come conoscenza della poesia, di cosa sta sotto di essa, come nasce, come nuore, come sopravvive. Direi che questo operare è un manuale indicativo per giovani e adulti, come specchio di rifrazione e di indirizzo, e di conoscenza, alla pari delle vecchie Antologie dei critici italiani del 900, da Cesare Segre a Luperini, a Berardinelli. Le diverse generazioni poetiche,(gli invisibili) la quarta, la quinta, la sesta e via dicendo, anche se non sono presenti nelle Storie della Letteratura Italiana del Novecento, sopravvivono negli scaffali delle biblioteche regionali e nazionali, e in qualche libreria o bistrot, che sta fallendo perché non si legge più, per colpa della crisi,e del tecnicismo mediatico più sfrenato, a cui un giorno dovremo pure convivere, e mutare forse anche il linguaggio poetico.Per finire la sua richiesta, caro Talìa, volta a conoscere chi sono i fortunati presenti nel nuovo Progetto, mi limito a citare Giorgio, io, Steven Grieco Rathgeb, Lucio Mayoor Tosi, Sagredo,tu e altri nomi a cui Giorgio tiene nel Caveau. Attendiamo questa gestazione con pazienza, perché alla fine si dovrà pure uscire con un documento ufficiale della NOE. Con i più sinceri ringraziamenti.

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  7. Per Walter Benjamin l’immagine è dialettica nell’immobilità.Le immagini si danno soltanto in “costellazioni”

    Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    Scrive Walter Benjamin:

    «Non è che il passato getti la sua luce sul presente o il presente la sua luce sul passato, ma immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’ora in una costellazione. In altre parole: immagine è dialettica nell’immobilità. Poiché, mentre la relazione del presente con il passato è puramente temporale, continua, la relazione tra ciò che è stato e l’ora è dialettica: non è un decorso ma un’immagine discontinua, a salti. – Solo le immagini dialettiche sono autentiche immagini (cioè non arcaiche); e il luogo, in cui le si incontra, è il linguaggio».1]

    Il concetto di «costellazione» è importantissimo anche per la NOE. le immagini si danno soltanto in “costellazioni”. L’immagine dialettica si oppone alla epoché fenomenologica, è una diversa modalità di percepire gli oggetti attraverso la «fruizione distratta», non più attraverso la «contemplazione» di un soggetto eterodiretto, e la percezione distratta è un fenomeno tipico della modernità, fenomeno ben presente all’alba della poesia del Moderno: la poesia di Baudelaire.

    Dal punto di vista della NOE il ripristino della percezione distratta e il concetto di immagine come «dialettica della immobilità», sono elementi concettuali importantissimi per comprendere un certo tipo di operazione estetica della poesia e del romanzo moderni: Salman Rushdie, OrhanPamuk, Mario Gabriele…

    Tanto più oggi che viviamo in mezzo ad una rivoluzione permanente (che non è certo quella della dittatura del proletariato ma quella della dittatura delle emittenti linguistiche… anche le immagini sono percepite dall’occhio come icone segniche, immagini linguistiche…), oggi la percezione distratta è diventata il nostro modo normale di interagire con il mondo, anzi, il mondo si dà a noi sub specie di immagine in movimento… con buona pace di chi pensa ancora la poesia con schemi concettuali pre-baudeleriani…

    Così commenta Alessandro Alfieri nel saggio citato: «I frammenti sono da un lato prodotti della cultura del consumo, della moda, della meccanizzazione dell’agire, ma su un altro livello sono anche promessa di futuro, possibilità offerta agli uomini di scardinare la storia dei vincitori e il tempo mitico del sempre-uguale.
    La frammentarietà che caratterizza il mondo moderno, oltre ad essere il contenuto ovvero il tema di gran parte della produzione benjaminiana, è al contempo anche fondmento formale e stilistico; Benjamin non ha più alcuna fiducia per il trattato esauriente e per il sistema, ed è la sua stessa produzione a essere espressione della medesima frammentarietà di cui parla, prediligendo per esempio la scrittura saggistica su determinati argomenti o autori. Ma è soprattutto nella sua ultima grande opera, rimasta incompiuta, che tale frammentarietà assurge alla sua più piena espressione, ovvero i Passages, un “montaggio” di impressioni, idee, citazioni, “stracci” appunto, che nel loro accostarsi fanno emergere significati inediti, elementi che contribuiscono a sconfiggere quella fantasmagoria seduttiva in grado di anestetizzare il pensiero critico».2]

    Stante quanto sopra, non è chi non veda la stretta attinenza di questa problematica con il metodo compositivo della poesia di Mario Gabriele, la sua strategia compositiva è più simile al mosaicista che sistema con tenacia e pazienza le singole tessere di un mosaico-puzzle piuttosto che ad un amanuense che scrive i suoi endecasillabi sonori e i suoi ipersonetti. Gli «stracci» e i «tagli», le citazioni,, le faglie,, le schisi e i titoli da cartellone pubblicitario di Gabriele sono tessere iconiche e semantiche di un mondo frammnentato e frammentario abitato non già da una nicciana «verità precaria» ma dalla stessa precarietà della nozione di verità e della sua umbratile condizione ontologica nel moderno avanzato.

    1] W. Benjamin I “passages” di Parigi, Einaudi, Torino 2007, p. 516
    2] Alessandro Assiri In Aperture, n. 28, 2012

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  8. antonio sagredo

    Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    Carissimo Gabriele Ti rispondo come uso da sempre con dei versi, p.e. su Blake:

    Ai metafisici inglesi

    Meglio di voi io so cantare il verme
    perché passo il testimone d’alloro
    da una Morte all’altra col solo sguardo
    di chi un giorno o forse una notte
    fece brillare l’armilla, il colore
    dell’ombra nel tempo antelucano.

    Trascorsi chi sa quanti inverni accanto a quel fuoco
    che divorava non bruciando sogni d’amori mai sognati,
    speculae di concetti in filigrana, smanie di ossa, riflessi
    di perduta carne nei bordelli: tutti, in via dei Crocicchi, i lupanari!
    Tredici le stazioni – scosciate! – perché la vagina
    del mondo mostrata fosse alle orbite di teschi recidivi.

    Il commiato fu chiaro, intenzionale, come una visione
    di Blake! – un epitaffio estremo di chi non la vita lasci,
    ma l’amplesso goduto come una giovane leggenda,
    una batteria di percosse sotto la carnale artiglieria di sordidi capricci.

    Bardi gentili, io vi ringrazio dal Regno delle Ceneri,
    ma la rinuncia non è la chiave della rassegnazione!
    Ancora brucia, brucerà sempre, anche dopo l’inutile
    giudizio universale, il sesso di dove morti siamo usciti,
    di dove vivi rientriamo… per celebrare, truccati, una commedia!

    antonio sagredo

    Maruggio-Campo Marino, 24/25 luglio 2008

    ————————————

    Nelle ore antelucane convocai le mie ombre
    a patteggiare con le maschere che sognano finzioni
    con la trama dei tuoi passi che ignorasti, Orfeo!
    e per celebrare i Fasti della Misericordia
    non mi abbandonare alla rovina di una visione di Blake,
    che non so se femminile o ambigua antesignana
    di un tranello.

    E più che il Tempo e i suoi quadranti senza tempo
    è il corpo che mi porto dietro e avanti che non conosco,
    e quello feriale è più spietato di un numero incurvato!

    antonio sagredo

    Vermicino, 13 febbraio 2009
    ———————————————————–

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  9. Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    I Suoi scritti sono densi e potenti.
    La Critica che leggo svolge la sua fondamentale missione con tiepida presa.
    Probabilmente per incidere al pari Suo dovrebbe dimagrire scavando.
    Grazie, signor Gabriele.

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  10. Giuseppe Talìa

    Gentile magyarfarkas (Szabó Ádám, az Aggteleki Nemzeti Park Igazgatóságának zoológiai szakreferense, a hazai farkasok elsőszámú szakértője pontosan tudja, hányan vannak a “magyar farkasok”, de nem szívesen osztja meg a számokat. Még mindig olyan mélyen gyökerezik az emberekben a farkasoktól való félelem, irtózás, hogy nem szeretne erről beszélni. Tiszteletben tartjuk, nem faggatjuk), IO sono sottopeso, invece Lingualossa è in piena forma fisica da quel che ho potuto constatare a Roma, recentemente per Capricci lettarari.
    Sicuramente scriveremo ancora , sia io che Linguaglossa, dei potenti versi di Mario M. Gabriele e metteremo su qualche chilo di sapienza in più.
    Lei, invece, dovrebbe dimagrire.

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  11. Giuseppe Talìa

    Chissà come mai al cliccare sul nome magyarfarkas si è catapultati come un sasso nello stagno in un ignoto blog. Provateci signori. Fox Lady.

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  12. Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    Ho sempre letto con attenzione gli articoli di questa rivista, i poeti e le poesie proposte, i commenti e i successivi dibattiti ecc. Ho letto la rivista da profana, consapevole di esserlo e in quanto tale desiderosa di apprendere sul fare e dire poetico. Ebbene, dopo aver seguito fin dai primi passi la nascita della NOE, inorridisco davanti all’esibizione di questo un’egoigo filosofeggiare sulla poesia e davanti a chi autoproclama non solo poeta ma anche “Il Poeta” e parla della propria poesia come de “l’unica vera Poesia” nell’odierno panorama culturale italiano.
    Questo nostro povero mondo dis-graziato forse merita da parte vostra maggiore attenzione, la vera attenzione che spinge il poeta, quello che mai osa definirsi tale, a scavare dal Nulla o più realisticamente da se stesso, dalla Natura, oppure dai conflitti, dalla disperazione, dalla paura delle persone, non il frammento puramente citazionista e intellettuale, ma la Parola impossibile che sappia ancora parlare all’uomo dell’essere umani oggi.
    Ricordatevi che, oltre alle vostre disquisizioni – filosofiche e non – sulla poesia, esistono ancora i Lettori di poesia. Ebbene, io sono una Lettrice, anzi mi autoproclamo la Qualunque Lettrice che, pur avvezza a ogni dire poetico, dal lirismo più antico all’avanguardismo sfrenato – neo e non -, pur dotata di una cultura in grado di comprendere i cosiddetti “frammenti” nozionistici ed elitari dell’onestissimo poeta M. Gabrieli (tanto per citare quello che mi sembra essere stato proclamato come il secondo Poeta della nuova corrente poetica italiana NOE), ebbene, dopo la lettura delle sue poesie mi impietrisco avvertendo dentro di me una sensazione di nulla, e non parlo del famigerato e rivalutato Nulla. Niente delle sue pur sofferte, di duro lavoro, parole versificate riesce ad emozionarmi, ad aprire che so uno squarcio di luce nelle tenebre della mia vita, a fornirmi nuovi strumenti di lettura del reale o dell’immaginario ecc.
    Ci sono fior fiori di poeti, nazionali e internazionali, che stanno ancora a chiedersi, con modestia, cosa è la poesia, se esiste ancora la Parola o il linguaggio che possa dire, e voi, dietro il vostro oscuro frammento, vi proclamate addirittura l’unica e valida “corrente poetica” italiana?
    Che poi tutto questo citare il poeta Tranströmer alla base della teoria dei vostri frammenti, beh posso dire che quelli dello svedese fanno vibrare cuore e mente, sono a volte come degli haiku illuminanti ( cito a mente: “D’un tratto si fece buio come per un temporale/ Io ero in una stanza che conteneva tutti gli istanti/ Un museo di farfalle./ Tuttavia il sole era forte come prima/ i suoi pennelli impazienti dipingevano il mondo.”) mentre i vostri sono spesso solleticanti e pur piacevoli virtuosismi mentali, niente di più.
    Inoltre mi chiedo: in un’epoca che fa del frammentario la sua arma di comunicazione (o di distruzione, è meglio) di massa, inneggiare al frammento vi sembra veramente questa grande rivoluzione di pensiero? Allora frammentiamo tutto, smettiamola di parlare, di cercare nuovi linguaggi e chiudiamolo una volta per tutte questo libro santo dell’umanità.
    Scusate questo spontaneo e immediato commento, ma parla una lettrice delusa. Certa che la mia dipartita da queste pagine non scalfirà di un nulla il vostro Ego, vi auguro sinceramente Buon vento e ..
    Remember.
    I’m a reader of poetry

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  13. Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    gentile Vengo dal mare,

    quando mai qualcuno di noi ha mai scritto: “l’unica vera Poesia”? Mi trovi il luogo della citazione, prego. Invece
    io ho scritto, e l’ho ripetuto più volte, che oggi in Italia al di fuori della NOE non mi risulta che ci sia alcuna proposta di poesia innovativa con il suo corredo di ricerca teorica. Mi indichi lei quali altre proposte di ricerca teorica e di pratica poetica ci sono oggi in Italia che non siano delle auto celebrazioni pubblicitarie della bontà e beltà dei propri prodotti.
    Ovviamente, lei ha tutto il diritto di esternare il suo gusto personale, non mi meraviglia che la poesia di Mario Gabriele non le piaccia, anzi, mi avrebbe meravigliato il contrario… Come è sempre accaduto nell’Ottocento e nel Novecento e accadrà anche in futuro, le proposte innovative hanno dovuto faticare per imporsi alla attenzione dei contemporanei, in specie oggi che veniamo da un cinquantennio di desertificazione della ricerca poetica. Anche Leopardi era considerato dalla generalità dei suoi contemporanei un signor nessuno…
    E cmq compito di chi fa critica è cercare di parlare e scrivere in un nuovo modo e con nuovi vocaboli,,,,

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  14. antonio sagredo

    Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    dedicata alla “maggior attenzione del signor “vengo dal mare”
    da chi “viene dal giardino”, e che consiglia la lettura dei Canti di Maldoror
    a tutti quelli che vengono dal mare, ma non dagli oceani.

    ——————————————————————————

    E dal giardino che io vengo con raffiche e portenti
    a racimolare sui rami gemme e gonfiori, e sui tumuli
    volgere i ceri in fatui incendi e i volti del mio sembiante
    scambiare con coriandoli e scintille di veneziane maschere

    in calore, che sotto portici e ponti conteggiano colonie
    di inchiostri e fanghi… io… io vedo veleggiare nel medio
    tempo la ciambella di Boris e gli estivi in lontananza amori
    sui binari che scartano ferraglie, e quel ritmo di bufere e sbuffi.

    Conoscere un poeta inclassificabile è confessare una incapacità
    d’amare il canto, è avere paura, terrore dei concetti che nel suono
    oscure ritrovano le trascorse glorie, quell’oriente amato più che mai,
    più della morte e dei tramonti… e quel patio, e quelle palme di Antonio

    e gli inchini, le riverenze, e quei preludi abbracci di gorgiere
    a tenerezze… sono spietate le tre fedi!… i cantucci e le finestre
    io spalanco a quei suoni, e ai fiori, ai tre girasoli che confortano
    il mio cammino brindisino, ma quella via Lata non cede il passo!

    antonio sagredo

    Roma, 5/6 maggio 2011

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  15. gino rago

    Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    Desidero evidenziare un dato per me inoppugnabilmente vero e pregnante, un dato che palpita nei versi di Mario Gabriele e che Giorgio Linguaglossa propone alla nostra lettura su questa pagina de L’Ombra delle Parole: la coerenza fra dichiarazione di poetica e fare poetico dell’autore, così come emerge in tutta la sua portata da talune pagine di un libro, tanto magro quanto ricco di cultura poetica, filosofica, esegetica; un libro che ho subito sentito, ricevendolo, come una sorta di riserva d’acqua quando sembra che tutto intorno possa sfaldarsi, in ogni istante, a scaglie di fuochi fatui, il cui titolo è «La porte ètroite».

    “La porte ètroite” è una intervista-colloquio fra Linguaglossa e Gabriele sulla scrittura per frammenti; alla prima domanda formulata dall’intervistatore Linguaglossa, a un certo punto Gabriele risponde così: «…Ho rifiutato il pentagramma lirico di vecchia classe istituzionale, per addentrarmi non nella cellula poetica degli oggetti, ma in quella dei soggetti vivi e morti, entrambi destinati all’oblio, e per questo motivo ne rivitalizzo la presenza-assenza con la citazione dei loro versi, che formano una doppia aura all’interno di un’unica cornice… La forma adottata è estranea a qualsiasi concetto di “moda” poiché ho voluto ricondurre l’esercizio della scrittura alla libera invenzione della lingua, anche se poi qualsiasi mezzo adoperato in poesia si logora da sé, subendo la contaminazione del tempo…»

    Le altre domande dell’intervistatore e le conseguenti risposte dell’intervistato si sdipanano in armonia con tale premessa estetica, direttamente legata alla forma-poesia che Mario Gabriele adotta dalla presa di coscienza dello sgretolamento della metafisica. Il sigillo dell’autenticità poetica di Mario Gabriele, e lo segnalo come esempio , è per me proprio in tale coerenza fra ciò che il poeta dichiara nelle sue intenzioni artistiche e il suo reale fare poesia, così come suggellano i versi che da ieri su L’Ombra… tutti possiamo leggere. Con piacere frammisto ad arricchimento.

    Gino Rago

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  16. Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    RIPORTO QUI UNO SCAMBIO DI PENSIERI TRA ME E CLAUDIO BORGHI ACCCADUTO SU QUESTA RIVISTA POCHI GIORNI OR SONO,, PERCHE STA QUI IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE:

    giorgio linguaglossa
    9 aprile 2017 alle 12:21

    Scrive Maurizio Ferraris:

    INTERVISTA DI DONATELLA COSTANTINA GIANCASPERO A MAURIZIO FERRARIS SULLE QUESTIONI AFFERENTI A UNA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA (a proposito del suo libro appena edito Emergenze, Einaudi, 2016)

    «A livello ontologico, il quadridimensionalismo come iscrizione della traccia (perché questo, in ultima istanza, è il quadridimensionalismo: che insieme al lungo, al largo e al profondo ci sia anche il passato) assicura l’evoluzione, ossia lo sviluppo delle interazioni. in secondo luogo, a livello epistemologico, quello in cui la memoria ricorda, il quadridimensionalismo permette la historia, la ricostruzione dello sviluppo temporale degli individui. Se Proust ne avesse avuto il tempo, avrebbe potuto scrivere la storia dell’universo. Provo a spiegare questa affermazione magniloquente.

    La domanda ontologica “che cosa c’è?” può allora venire articolata in due domande distinte: da una parte “che cosa c’è per noi, in quanto osservatori interni allo spazio tempo?”; dall’altra “che cosa ci sarebbe per un osservatore privilegiato, che osservasse lo spaziotempo dal di fuori?”.»

    Cari amici Claudio Borghi e Mario Gabriele,

    io sono profondamente convinto che la poesia che dobbiamo scrivere è quella che apre degli spiragli sulla quadri dimensionalità. Come farlo sta al talento di ciascun poeta, al proprio bagaglio di esperienze storiche, la NOE non pone alcuna recinzione a questo compito, tutte le strade sono possibili e percorribili, quello che a noi della NOE sembra indiscutibile è che in questo modo si aprono per la poesia possibilità ed esiti inattesi e potenzialmente ampi per l’espressione poetica. Io penso (ma è solo un mio pensiero) che per far questo sia indispensabile costruirsi un proprio metro, il cosiddetto «libero», che poi non è libero affatto, l’importante è abbandonare la visione monoculare della poesia pentagrammatica e fonetica che dà luogo ad un verso unilineare e temporalmente condizionato da una mimesi filosoficamente ingenua. In questo modo si mette in archivio la impostazione unilineare del tempo e dello spazio. Quel tipo di poesia lì si è fatta per secoli e per tutto il novecento, adesso è venuto il momento di cambiare registro.

    Claudio Borghi
    9 aprile 2017 alle 13:54 Modifica

    Questo è il punto critico, Giorgio. Tu sostieni (coerentemente parli di un tuo libero pensiero, che non pretendi imporre) che “l’importante è abbandonare la visione monoculare della poesia pentagrammatica e fonetica che dà luogo ad un verso unilineare e temporalmente condizionato da una mimesi filosoficamente ingenua”, ecc. Ma in che senso la poesia novecentesca è monoculare? In quanto interpreta il tempo come unilineare e non lo sente appartenere a una struttura quadridimensionale? L’esperienza del tempo psicologico, in quanto prolunga la mente nella memoria, è per tutti quella di una quarta dimensione vissuta dall’interno: ritenere di fondare su questa consapevolezza una rivoluzione estetica è a mio avviso ingenuo, soprattutto laddove si ritiene di caratterizzarla sul verso libero, sul metro vario in antagonismo con la presunta statica “unilinearità” dell’endecasillabo. Il novecento è stato il secolo delle sperimentazioni linguistiche, il verso libero e la poesia in prosa sono, come sai, un portato ottocentesco, del simbolismo francese in particolare (Aloysius Bertrand, Baudelaire, Rimbaud…), ma il problema non è tanto questo. Tu ribadisci la necessità di andare oltre, lasciarsi indietro Bertolucci, Bacchini, ecc., come si trattasse di esponenti di una poesia che ha esaurito le sue potenzialità in quanto legata a una concezione ingenua del tempo lineare. In che senso il tempo interiore è non lineare? Forse che si ritiene psicologicamente di poter di sperimentare il tempo come legato a una struttura quadridimensionale? Non è chiaro questo aspetto (lo stesso Ferraris in sostanza non ha risposto laddove la Giancaspero l’ha sollecitato su questo punto, ha fornito un’analisi impeccabilmente fenomenologica in quanto, credo, ha sentito il pericolo del possibile anomalo legame tra ontologia ed estetica, che dovrebbero restare sempre separate), sembra una volontà e una dichiarazione di intenti confusamente quanto suggestivamente legata alla scienza. La relatività è costruita su una varietà quadridimensionale, lo spaziotempo, ma il tempo relativistico nulla a che fare col tempo della coscienza o con la memoria. Dal mio punto di vista, e a questo è orientata la mia ricerca sia in fisica che in poesia, il problema è come avvicinare la scienza e l’arte o la scienza e la filosofia, dopo che le rivoluzioni della fisica teorica hanno stravolto la rappresentazione che del mondo gli uomini sono fatta fino all’ottocento. E’ questo che, in particolare nelle sezioni in prosa di Dentro la sfera, ho cercato di fare, e mi sono sentito dire (incredibile, vista una realtà che a me pare piuttosto oggettiva) di essere legato all’unilinearità novecentesca, quindi, in un certo senso, a una percezione ingenua del reale. L’arte, Giorgio, è il portato di un’esperienza spirituale profonda: non si supera l’arte del novecento, in ispecie quella dei suoi esponenti più ricchi di forma immaginativa e di pensiero, sostenendo che hanno indagato il mondo alla luce di una “mimesi filosoficamente ingenua”, in quanto nessuna visione del mondo è ingenua se nasce da un’esperienza di vita spiritualmente autentica. Per far dialogare arte e scienza occorre conoscerle entrambe, non lasciarsi guidare da suggestioni teoretiche tentando esperimenti di quadridimensionalità di cui, almeno così a me pare, non è chiaro lo scopo, a parte l’intenzione esplicita di “cambiare registro”. Oltre allo spazio in cui nuotano i nostri sensi c’è il tempo in cui nuota la memoria e più in generale la mente, di cui la memoria è una componente necessaria. L’arte è grande se riesce a sondare questa profondità non spaziale, a innescare luce in un baratro scuro in cui l’io, cerino acceso, riesce a vedere ben poco con le sue povere forze, ma ugualmente tenta sintesi, cerca contatti, indaga forme, inventa armonie, elabora teorie.

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  17. Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    tEMPO INTERNO, TEMPO ESTERNO, TEMPORALITà, SPAZIATURA DEL TEMPO E TEMPORALIZZAZIONE DELLO SPAZIO… TUTTI CONCETTI CHE DEVONO ESSERE VISSUTI FORTEMENTE DA UN POETA PRIMA DI POTERLI METTERE SULLA CARTA.
    prendiamo una poesia di Mario Gabriele, a caso:

    L’anno scorso siamo andati a sentire
    i cantori di Africa World.
    Non so come dirti ma la spiga di grano
    ha sempre una punta per ferire.
    Shervin ha finito il diario di giornata,
    e pensare che ogni pagina è come una foglia.
    Matilde, a quest’ora, accende il barbecue.

    Ci sono tre personagggi che parlano ed agiscono in un unico tempo contemporaneo in questi versi. Tutti e tre sono in avanscena, compiono gesti rituali come accendere il barbecue, uno di loro commenta qualcosa sulla punta di una spiga di grano, un terzo personaggio dice che «l’anno scorso siamo andati a sentire i cacntori di Africa World». parole fra loro che si intreccciano, sconnesse e disarticolate. Come al solito Gabriele ci presenta un ventaglio di scene che si svolgono in contemporanea, le dà tutte insieme al lettore perché è il lettore il vero giudice di un testo. L’autore si limita a consegnare questi, come vogliamo chiamarli?, frammenti, questi stracci, queste schisi…

    Si tratta di tempo interno? di tempo esterno?, non lo so,, è il lettore che deve decidere…
    Leggiamo una poesia di Tranströmer sulla questione del tempo:

    Talvolta si spalanca un abisso tra il martedì e il mercoledì ma ventisei anni possono passare in un attimo: il tempo non è un segmento lineare quanto piuttosto un labirinto, e se ci si appoggia alla parete nel punto giusto si possono udire i passi frettolosi e le voci, si può udire se stessi passare di là dall’altro lato.

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    • Un giorno d’aprile del 1960, quando ero a Bergamo per il servizio di leva, una domenica, libero dal turno di guardia, mi recai a vedere una mostra di quadri di Modigliani, con tanta gente ferma ad aspettare il suo turno. Dopo quasi un’ora entrai in una grande sala illuminata e mi fermai, attratto dalla sequenza dei ritratti di Lunia Czechoweska. Una signora, con felpa e diamantino all’anulare sinistro, si fermò, stropicciandosi gli occhi, credendo forse di avere le allucinazioni. Poi se ne andò a visitare altri ritratti. Ma, tornò subito dopo, puntando l’attenzione sulla Czechowska. -Mi scusi-, disse, -ma sono io che non vedo bene, oppure questi sono i colli di una giraffa? Non mi piacciono-, e se ne andò, quasi delusa. Intanto altri visitatori si alternavano di fronte a questi ritratti. Un signore, interessato alla mostra, si fermò a lungo, prese appunti, mentre io, in disparte lo osservavo. Ad un tratto, nel silenzio della stanza sentii dire: -mi piacciono-, non prima avermi guardato, forse timoroso di aver detto cose diverse dal vero concetto di Arte. Allora compresi quanto sia difficile recepire le riproduzioni di radici, alberi, spine, fiori, uomini, donne seminude, palazzi obliqui, mattonelle vesuviane, tra l’informale e l’espressionismo astratto, tra lo spazialismo e il New Dada, ecc. che ad altri possono sembrare forme provocatorie, ma che in effetti sono parte integrante di un linguaggio spaziale, concettuale, rappresentativo della psiche dell’autore, fuori da una idea tradizionale della pittura. E ciò che si verifica oggi anche nella lettura di testi poetici di diverso valore etico e liberatorio, dove le identità individuali di un poeta appartengono a lui, alle sue percezioni e trasfigurazioni; tutti materiali esondativi all’esterno, ma profondamente soggettivi, di chiara forma immaginativa e indagatrice di fronte al movimento ondulatorio e sussultorio degli eventi della natura e dei suoi delitti, del mistero della vita e della morte, e dell’universo frantumato all’origine, con il grande Big Bang. Sta al lettore immedesimarsi ed estraniarsi da questi eventi o considerarli come parti di se stesso, nel bene e nel male.

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  18. Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    Nelle poesie di Mario Gabriele ci sono una infinità di tessere iconiche ciascuna con il proprio tempo o temporalità, e tutte queste tessere ccollassano e collidono, con le loro proprie temporalità, in una unica apocatastasi. Quello che resta sembra essere il nulla, come dopo l’incontro di materia e anti materia.

    Nella poesia di altri autori della NOE, per esempio nella poesia di Gino Rago invece l’azione e lo svolgimento delle composizioni si svolgono in una unica temporalità perché il personaggio prescelto è sempre unico (di solito un personaggio mitico del ciclo di Troia) che vive nella propria temporalità gli accadimenti che narra.

    Ecco, questi sono due modi totalmente diversi di utilizzare il «frammento» e il «tempo interno» di ogni singola tessera iconica o personaggio… ma nulla vieta che ci possano essere altri modi di impiegare il «frammento» e il «tempo interno» di ogni singolo personagggio raffigurato.

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  19. gino rago

    Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    Caro Giorgio Linguaglossa,
    ecco, a conferma di ciò che giustamente affermi nel tuo commento sulla
    mia ricerca poetica fondata, giova ribadirlo, sul “metodo mitico frammentato” tendente verso la composizione di un poema, una meditazione di Mariella Colonna, tratta dal saggio recentissimo che dedica
    alla mia poesia “Il poeta che canta è già una stella” in cui coglie alcuni
    segmenti estetici di primaria importanza della filosofia del frammento come
    base di costruzione della NOE, i quali non collidono con quelli che sostengono il percorso poetico attuale di Mario Gabriele ma che con essi
    vanno a integrarsi, a fondersi verso il nuovo spazio espressivo integrale:

    “Il poeta che canta è già una stella”:
    Poesia inedita di Gino Rago

    Commento di Mariella Colonna

    “una nuova poesia di Gino Rago, l’occasione per sprofondare nel cuore del passato e ritrovarci nel mondo mitico e misterioso di Troia immerso nell’ombra: non sappiamo se sia l’ultima notte o una delle tante della decennale guerra tra Greci e Troiani. E’ certo una notte diversa da tutte le altre; dopo una estenuante giornata di battaglia
    “Achille, in preda all’ira, si chiude nella tenda”, al contrario Ettore è in preda agli accesi furori di una momentanea insperata vittoria, perciò incoraggia i soldati ordinando che si accendano falò e si preparino carni arrosto da assaporare con vino a sazietà.
    Nella sterminata ombra i fuochi ardono, illuminando la campagna a giorno.
    Gino Rago riesce a creare intorno al lettore un’atmosfera di suggestione quasi onirica, si entra quindi in una grande sfera magica (l’Aleph di Borges?) in cui ci trascina il tempo della memoria, filtrato da una personalità poetica ricca d’immaginazione… e si è avvolti da uno spazio evocato da raffinati tocchi di grande realismo, come emersi dal presente che, in questo caso, è alle spalle: frammenti capaci di dare corpo al tutto che immerge il lettore in un’esperienza di “realtà” e, per dirla alla NOE, quadrimensionale: abbiamo la fortuna e l’opportunità di essere presenti a Troia nello spaziotempo in cui scopriamo una realtà del passato-presente perché la poesia, quando è grande, non racconta linearmente, ma penetra in profondità,, tocca, accarezza, ferisce, accoglie la sensibilità, l’intelligenza, il cuore e la ragione creando nel lettore le condizioni di un ascolto differente rispetto ad altri generi letterari ed arti visive: è un po’ come il cinema d’autore dove il regista riesce a sorprendere i punti-chiave di un mondo senza descriverlo, ma individuandone la profondità ontologica che raccoglie le emozioni di cose e persone che lo abitano, in sinergia con le proprie….” (Mariella Colonna)

    La pagina di oggi è dedicata a Mario Gabriele; ma questa meditazione della Colonna, per i temi che tocca e mette sul tappeto, può essere estesa
    a tutte le voci poetiche della Nuova Ontologia Estetica.

    Gino Rago

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    • Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


      Cari Amici e Lettori,
      in attesa del cambio di pagina, è mio dovere, ringraziarvi per l’attenzione, il tempo, e i commenti fatti, che sono poi il più bel riscontro che io abbia avuto, qui, ma anche in altri post precedenti e a me dedicati. Il confronto è sempre utile e necessario, come conoscenza del lavoro svolto da me e da altri, tanto più che si tratta, di rifarmi a voi per vedere se questa mia operazione poetica, chiamiamola NOE o Frammenti, sia feconda e vicinissima a un cambio di rotta, dopo l’afasia poetica durata decenni. Non mi sento in colpa per aver attaccato vecchi canoni statutari, e, se qualche volta, proprio su questa operazione, si sono scontrati pareri diversi, da parte di chi rivendicava il proprio credo metafisico e surreale, e di chi sempre pronto a idealizzare forme e linguaggio, che nella evoluzione del tempo, restano simulacri ingialliti, ora che la mutazione linguistica non è più autobiografica, e da cantilena carducciana. Non ho (abbiamo) visioni terroristiche, circa l’assalto alla tradizione, e ai poeti ottuagenari che la praticano. Abbiamo un’idea che è quella di rinnovare le arie chiuse, aprire i balconi, fare operazione di disinfestazione, ora che è primavera e bisogna rinnovare gli arredi. E’ bene chiarire un punto ai resistenti del vecchio potere linguistico, siano essi scienziati, filosofi, professori ecc.noi non siamo portatori di “Helicobacter pylori, il batterio che produce ulcere gastriche ai nostri contestatori, né siamo contro le loro posizioni avversative; abbiamo i gastroprotettori in grado di salvaguardare ogni tipo di riflusso gastroesofageo. Grazie, infine a Giorgio Linguaglossa, a Francesca Dono, ad Anna Ventura, entrata recentemente nel Comitato di Redazione della Rivista, a Giuseppe Talìa, ad Antonio Sagredo, il Rimbaud della poesia italiana, a magyqarfaKas, e a Gino Rago, sempre disponibile ad ogni tipo di confronto, e a quelli che verranno dopo la chiusura di questo elenco nominativo.

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    • caro Gino,

      però dovresti postare anche la poesia di cui tratta il commento di Mariella Colonna.

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  20. antonio sagredo

    “ad Antonio Sagredo, il Rimbaud della poesia italiana”?! … tanto per ridere:
    il “Rimbaud senile”… anzi il: ” …….. senile”.

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  21. Giuseppe Talìa

    Mario M. Gabriele a proposito del «Frammento» – Esemplificazione e racconto della propria poesia dal punto di vista del «Frammento» con Poesie da In viaggio con Godot


    ATTENZIONE, le parole che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità o insensibilità. Si avverte, oltremodo, che fatti o persone non sono riconducibili a fatti reali né a persone esistenti. Si tratta di pura fiction.

    Sabato scorso, 22 aprile, dopo un pomeriggio intero passato a leggere con gusto la pagina dedicata al Poeta Mario M. Gabriele, mosso da un personale interesse per i testi del poeta e per l’autoanalisi che l’autore ha offerto ai lettori, decriptando metafore e figure retoriche presenti in grande e pertinente quantità nei “frammenti”, ho scritto una nota di lettura che prontamente ho postato in pagina. Non so se la mia nota sia di qualità, né se io sono un critico, forse sì (nel senso che lo siamo tutti). Mario M. Gabriele ha apprezzato e dunque le sue parole successive alla mia nota mi hanno confortato.
    Dopo la lettura del commento di magyarfarkas, commento prezioso in quanto sostanzialmente elogiava i versi di Mario M. Gabriele, mettendo in discussione che un certa Critica (in maiuscolo nel commento) potesse davvero penetrare il senso profondo degli scritti in esame, incuriosito feci una ricerca sul nome magyarfarkas e vi ho trovato una bellissima volpe, ma qualcosa non mi tornava perché farkasok, in ungherese, significa lupi, allora lupi magiari (magyar) (?) pensai. Le associazioni nella mia mente si intrecciarono, un po’ alla Holmes de’ noantri, e mi ricordai del mese intero passato in Ungheria, viaggiando in lungo e in largo, il lago Balaton, la puszta, le terme di Debrecen, Budapest. Non rimaneva che dare significato alla volpe, e così la mia memoria recuperò il ricordo di Jimi Hendrix, Foxy lady, e anche la cover della stessa fatta dai The Cure. Sono andato su youTube e ho riascoltato i due pezzi. Ritornato sul blog di magyarfarkas ho cercato qualche notizia sul gestore del blog, nella speranza di leggere qualcosa di interessante e di conoscere il nome del proprietario, ma con mio grande disappunto del gestore non ho trovato traccia.
    Gorgone era lì, nel mio pensiero, pronta ad impietrire, o meglio a scagliare pietre (Gorgone è la sensazione che ho avuto, e non si riferisce a nessuno in particolar modo, libera associazione, art. 21 della Costituzione italiana).
    Le parole non sono proprietà di nessuno. Se dico sasso o stagno non è che per forza io stia indicando qualcosa di preciso appartenente a qualcuno di preciso.
    Nella mia vita di lettore di poesia ho letto moltissimi versi ricchi di allusioni leopardiane, per esempio, versi ricchi di allusioni bibliche (quando vere e proprie copiature dei Salmi), versi di versi e versi inversi. L’allusione è una illusione. L’allusione è una figura retorica. Una celebre frase di Andreotti recita: a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca.

    Quella stessa notte feci un sogno. Un nugolo di zanzare mi attaccavano. Grosse zanzare che mi ronzavano insistentemente attorno e che io potevo schiacciare con il palmo della mano.

    Al risveglio trovai sulla mia posta privata una serie di messaggi deliranti, offensivi e maleducati. Ora, non è facile offendermi con parolacce, tipo “poveraccio”, per esempio, perché poveraccio è un sostantivo che mi garba molto, mi ricorda bohémien come anche Leopardi, Campana, Calogero e tanti altri, tutti Poeti che dai loro simili del tempo furono considerati poveracci. Non mi offendo nemmeno se qualcuno mi manda a quel paese. Chi manda a quel paese forse lo conosce meglio di chi ci dovrebbe andare. Di solito chi dà indicazioni conosce il luogo, altrimenti come farebbe a indicare a qualcuno quella data via o quel paese?

    Invece, la cosa che mi colpì profondamente fu che le mail maleducate e deliranti fossero indirizzate a molti altri amici e conoscenti. A loro chiedo scusa io per il disturbo arrecato, non da me, certo. Ci mancava che le mail fossero mandate anche al Papa perché le citasse nell’omelia domenicale!

    E certo, se di allusioni si deve parlare, allora l’allusione che “poveraccio”, nei nostri confronti, venga direttamente da G. Linguaglossa (vedi e-mail) potrebbe instillare qualche goccia di veleno, come si vorrebbe che fosse. Ma, come detto sopra, non siamo minimamente interessati alla definizione, trovandola invece molto poetica.
    Sono, in verità, i poveri di spirito che ci fanno veramente paura.

    Mi si accusa nelle e-mail di aver usato un cognome diverso da quello che è il mio per anagrafe. Talìa è il cognome di mia madre. Essendo orfano di padre, posso permettermi di usare il cognome che appartiene alla mia famiglia. E mi devo anche ritenere fortunato perché i miei due cognomi possono anche convivere bene insieme. Vi immaginate, invece, se per sfortuna mio padre facesse Campo di cognome e mia madre Santo? Quantomeno imbarazzante, con tutto il rispetto per il luogo di memoria. Oppure, peggio ancora, come nel film commedia, “Mi presenti i tuoi?” una famiglia, cito a memoria, facesse Faharti e l’altra Fotter?

    Un sedicente poeta, qualche tempo fa ci provò ad alludere. Ecco, quello è il vero poveraccio, senza retaggio letterario, però.
    I miei cognomi non si toccano. Sono sacri.

    Detto l’antefatto, ora mi addentro nella narrazione, nella fiction, nell’allusione letteraria, nel racconto immaginativo, premettendo sempre che fatti o persone non sono riconducibili a fatti reali né a persone esistenti.

    Avete presente Angry Birds? Il videogioco rompicapo in cui alcuni uccellini molto arrabbiati, Angry appunto, vengono scagliati, tramite una fionda, verso i Piggies, maialini verdi, colpevoli di aver rubato le uova di cui gli Angry Birds si cibano? Interessante notare con gli uccellini arrabbiati si cibino delle loro stesse uova. Siamo in presenza di una dicotomia, di Tantalo, della Sindrome di Münchhausen per procura.

    Angry Bird, allora, era uno di quegli uccellini, cresciuto e pasciuto in un bel nido ricco di cibo e di stimoli. Dopo esser stato allevato con cura dai due genitori, Nyelv e Gàbor, decide d’un colpo di abbandonare l’accogliente nido scagliandosi contro tutti i Příbuzní, incantato dal sibilo di ничего. Abbandonato il nido, però, Angry Bird, in realtà non smise mai di perderlo d’occhio, anzi, giornalmente lo controllava da qualche ramo vicino, nascosto tra le fronde, con la speranza di trovare un segno della sua assenza. Ma niente. Nessuno sembrava soffrire della sua mancanza. Volava nel frattempo, Angry Bird, da nido in nido, depositando come il cuculo uova nei nidi degli altri, affilando il becco sulla corteccia del faggio. Fino a quando un giorno…

    (adesso continuate voi la storia e trovate un finale adeguato, purché sia raffinato e intelligente).

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  22. caro Giuseppe Talia,

    … penso che non ci sia un «finale», perché quelle persone sono frammentate nella loro psiche psicotica, inseguono l’affermazione e l’imposizione del loro piccolo «io» egolatrico e egoglogico, proprio in quanto narcisisti patologici affetti da scissione bipolare… questi signori e signore vanno lasciati andare alla deriva delle loro manie di persecuzione e dei loro furori pantoclastici…

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  23. caro Giuseppe,
    adesso possiamo tornare a scrivere poesie… però, devo farti una confessione: sento la nostalgia degli interventi di Claudio Borghi e del signor Inchierchia. E non lo dico con ironia… ma con il massimo rispetto verso chi non riesce proprio a capire le tue argomentazioni…

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    • Giuseppe Talìa

      Caro Giorgio,
      anche io sento la mancanza di Borghi. Borghi è un intellettuale di tutto rispetto e le discussioni dialettiche si svolgevano sempre su piani di alta cultura. Mi dispiace solo che a Borghi manchi solo un pizzichino di ironia e di autoironia. Con la giusta quantità di questi due elementi costitutivi della personalità mentale, Claudio Borghi sarebbe, come lo è, un ottimo interlocutore. In fondo, come dice sempre Sagredo, si tratta di giostre, di tornei, di montagne russe a bordo di navicelle di Logos.

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  24. antonio sagredo

    dall’intervento di Talìa

    “Caro Giorgio,
    il finale sta in una domanda che tu conosci bene: “Adesso che i tartari se ne sono andati possiamo tornare a scrivere poesie?”…
    Caro Talìa,
    devo ricordarti che la poetessa russa Anna Achmatova era di origine “tartara” e si intendeva parecchio di Poesia, tanto da non ritornare a scriverla!!!

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    • Giuseppe Talìa

      Caro A. Sagredo, “adesso che i tartari se ne sono andati possiamo tornare a scrivere poesie?” è una citazione presa da La Filosofia del Tè, di Giorgio Linguaglossa, 2015 Edizioni Ensemble, Roma.
      Un libro gustosissimo che ho riletto più volte ultimamente, bevendo, ovviamente, del tè e sbocconcellando qualche tartare.

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  25. antonio sagredo

    scozi… (scusi)…

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  26. antonio sagredo

    la vera natura del frammento è in questi versi dedicati all’amico filosofo-poeta ateista polacco Andrzej Nowicki (1919-20111) :

    a Andrzej Nowicki

    FRAGMENT…AZIONE

    Ti stai avvicinando al più lontano dei pensieri radianti:
    – quello che non esiste ancora e che possiede il tutto
    – quello che sarà in tutti i luoghi ancora sconosciuti
    – quello che rimanda la conoscenza ad altra conoscenza,
    come una risacca senza requie e che sa il mobile infinito.

    Il traguardo è già dietro alle tue spalle ed è un luogo
    conquistato, ma altri luoghi affollano nuovi pensieri
    e molteplici spazi aspettano i soggetti: quante filosofie
    ancora abbiamo da conquistare! Le Muse vogliono baciare
    l’ultimo frammento, invano! Brunite sono le parole nei cieli!
    L’imperfezione giuliana trionfa sul concetto monolitico:
    spazza via l’assoluto indegno, le totalità inutili!

    La parola-ingresso frantuma l’autostrada in milioni di sentieri!
    Rivoli di culture s’intrecciano, si assorbono, si superano…
    Lo specchio degli Artefici s’è rotto! Si spargono dovunque luminose
    scintille di pensieri: volano via le vele dei Saperi – per altre terre!

    Antonio Sagredo
    Vermicino, 16 settembre 2010

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