TRE DOMANDE DI GIORGIO LINGUAGLOSSA A FRANCO DI CARLO SULLA QUESTIONE DI SATURA (1971) DI MONTALE E DEL NODO irrisolto DELLA NORMATIVIZZAZIONE DEL LINGUAGGIO POETICO A LINGUAGGIO STANDARD MASSIFICATO – Evento accaduto inROMA, LABORATORIO DI POESIA DEL 30 MARZO 2017 Libreria L’Altracittà

Pier Paolo Pasolini Life

COMUNICATO ALL’ANSA

 Notizia inedita pubblicata sul numero odierno della Rivista telematica di Letteratura L’Ombra delle Parole. Due mesi prima di essere assassinato, l’11 gennaio 1975, P.P. Pasolini confida ad un giovanissimo studioso, Franco Di Carlo, che aveva in mente un Nuovo Progetto, che sarebbe stato necessario il Rinnovamento del Linguaggio Poetico e della Lingua della Poesia, attraverso la mescolanza (alchemica) Plurilinguistica e Pluristilistica di Atti Espressivi e di Stile, secondo l’Esempio il Modello e il Paradigma Dantesco

L’11 gennaio 1975 Pier Paolo Pasolini ad un incontro nella biblioteca di Genzano di Roma con Franco Di Carlo, confida al giovanissimo critico che con Trasumanar e organizzar (1971), l’ultimo suo libro,  era già evidente che il Progetto, già ideato e programmato, fin  dall’inizio degli anni Sessanta, era giunto ad un punto di non-ritorno: la transumanazione, eternizzazione e “santificazione” (il Mistero) di se stesso in quanto Poeta attraverso la sua Pragmatica Azione e Organizzazione del “Fare Poetico”. Per scrivere nuova poesia, sarebbe stato necessario il Rinnovamento del Linguaggio Poetico e della Lingua della Poesia, attraverso la mescolanza (alchemica) Plurilinguistica e Pluristilistica di Atti Espressivi e di Stile, secondo l’Esempio il Modello e il Paradigma Dantesco (Divina Mimesis), di provenienza alto-colta, medio-parlata, giornalistica e mass-mediatica: un messaggio e un linguaggio non-chiaro, criptico, ancipite, Ambiguo (“finché è vivo”), che solo con e dopo la morte sarebbe dovuto divenire Espresso, essere esplicito.  Con questa strategia “comunicativa” e con questo Codice Espressivo-Formale, tutto da decifrare, Pasolini consegnò i Segni-Segnali-Archetipi dell’unicità e irripetibilità del suo Progetto filosofico-poetico-esistenziale (e con questo noi intendiamo una sua possibile “solitaria avanguardia personale“), ben consapevole ormai della definitiva inesistenza del pubblico della poesia e dell’avvento e sviluppo  di un universo orrendo e di una società e politica degradate e in rovina, dove sta già avvenendo la borghesizzazione del proletariato ed anche la proletarizzazione della borghesia, con conseguente omologazione e massificazione antropologica, esistenziale, linguistico-espressiva e culturale.                    

1) Domanda: Il dattiloscritto de Le ceneri di Gramsci, composto da undici poemetti scritti tra il 1951 e il 1956, venne spedito da Pasolini a Garzanti nell’agosto del 1957. L’opera, come già era successo per Ragazzi di vita, accese un contrastato dibattito critico ma ebbe un forte impatto sul pubblico che in quindici giorni esaurì la prima edizione. Al premio Viareggio, che si tenne nell’agosto di quell’anno, il libro venne premiato insieme al volume Poesie di Sandro Penna, e Quasi una vicenda, di Alberto Mondadori. Italo Calvino aveva già espresso, con dure parole, il suo giudizio nei confronti del disinteresse di alcuni critici marxisti sostenendo che per la prima volta “in un vasto componimento poetico viene espresso con una straordinaria riuscita nell’invenzione e nell’impiego dei mezzi formali, un conflitto di idee, una problematica culturale e morale di fronte a una concezione del mondo socialista

 Risposta:  Calvino coglie in modo preciso e puntuale l’importanza e la novità dei Poemetti delle Ceneri di Gramsci (1957) e della ricerca teorico-estetica del Pasolini di”Officina”, del saggista e critico di Passione e ideologia, oltre che del narratore di Ragazzi di vita :il superamento del neorealismo puramente documentaristico e cronachistico nonché il prevalere della spinta politico-etica su una strumentazione linguistica e formale ancora carente e poeticizzante. Le Ceneri di Gramsci rappresentano, in poesia, l’esito più alto e riuscito di una poesia realistica, di matrice marxista, in vista di una resa espressiva appropriata e attrezzata anche sul piano dei mezzi espressivi utilizzati:  di qui il suo impianto dantesco-pascoliano con lasciti evidenti da Foscolo e Leopardi, eroico-contestativi e combattivi, oltre che dal Gramsci “marmoreo” e “carcerato”: Una poesia che non ha nulla di decadentistico o irrazionalistico, di squisito e raffinato o addirittura aristocratico o di alessandrinismo ideologico (come affermano negativamente i vari Salinari Trombatore e poi Asor Rosa).  Accanto all’insaziabile vitalismo passionale e “privato”, infatti,troviamo, come rilevò Fortini, l’adesione programmatica e progettuale, al plurilinguismo e quella, antinovecentesca e antiprospettivistica, al poemetto narrativo e ad una stilizzazione in senso storico-organico e razionale, emblematizzata nella figura “leopardiana” e nel pensiero del Gramsci “sepolcrale” e “cimiteriale”. È quindi normale che i neoavanguardisti (Guglielmi e Sanguineti in particolare) insieme ad alcuni critici comunisti,polemizzarono in modo molto accentuato e severo,non riuscendo a cogliere il vero significato di questo ritratto a nuova,progettuale e insieme “classica”, poesia pasoliniana.  Merito di Franco Fortini, G.Barberi Squarotti, G.Caproni, F.Leonetti e poi G.Scalìa, che seppero, invece, individuare gli stimoli e gli esiti innovatori,a livello sia di contenuto sia di forma e tecnica espressiva, presenti nell’opera di Pasolini, in rapporto anche alla nuova situazione storico-politica inaugurata dal XX Congresso del PCUS.

2) Domanda: Il divario e lo scontro tra Pasolini e Montale rappresenta bene un nodo irrisolto della storia d’Italia, tra un intellettuale che si limita a fare poesia al chiuso della propria stanza e un altro intellettuale che invece fa letteratura, poesia, cinema e teatro uscendo dalla propria stanza, andando alla ricerca dello scontro con il mondo. Qual è il tuo pensiero?

 Risposta:  Anche se tra i due poeti il preferito fu sempre Ungaretti, la posizione assunta da Pasolini nei confronti della poesia di Montale fu sempre di grande stima e ammirazione, ad eccezione del saggio su Satura (1971), dove il giudizio si mostrò quasi del tutto negativo e polemicamente ironico, in particolare sul versante ideologico e ideologico-letterario. Ma già dagli anni della tesi su Pascoli (1944-45) e poi nell’ampio e approfondito intervento critico su  “Pascoli e Montale” (1947)  e infine nel saggio (1957) su La bufera (1956), Pasolini delineò un  ritratto esaustivo e completo della poesia montaliana, individuandone i cardini fondamentali nella “poetica degli oggetti” (di origine pascoliana) proporzionali alla vastità del cosmo e alle sue “occasioni” infinite: il mondo degli oggetti subisce una dilatazione iniziale, quasi metafisica, per poi essere assunto a toni spazi, tempi, temi e stilemi “minori” e “minimi”, eccentrici e periferici.  Dati che fanno pensare Pasolini più ad un universo di oggetti che non ad una vera e propria poetica dell’oggettività. Con Satura il discorso pasoliniano si fa più serrato inclusivo e conclusivo: il bilancio su Montale non è positivo, in quanto emerge un poeta che costruisce il suo “laconico” e “grigio”, indifferente, “cinico”, snobistico stoicismo, ironicamente”sfiduciato”, di buona e conservatrice medietà borghese: una sorta di descrizione romanzesca di se stesso, come sostiene Pasolini, dando luogo ad nuovo “sistema stilistico”, quello del “mezzo parlato”, una nuova oggettività che continua il discorso iniziato con Ossi di seppia (1925), che diviene più esplicito e diretto nella satira, determinandone quindi anche la forma espressiva, che appare in tono “parlato” e colloquiale, “minore”. Ma è la scelta, pragmatica e ideologica, invece che morale, che, secondo Pasolini, non è giusta: gli errori della scienza e della filosofia positivistiche e di quella di Hegel, fanno dedurre a Montale quelli del marxismo: non c’è progresso nei tempi e nei mondi migliori.  In realtà, evidenzia Pasolini, questo è vero, ma vale anche per la filosofia e la pragmatica “borghesi”, che, come quella marxista, parlano del”domani” e del “tempo” e del “mondo migliore”: quindi anche il Potere e le Istituzioni hanno un loro ruolo nell’illusione del futuro, e tutto ciò che avviene ed è “descritto in”Satura”, è basato sulla”naturalezza del potere”.

La “reazione” di Montale fu molto dura, aspra, violenta, aggressiva e spesso anche offensiva: basti pensare ed osservare attentamente l’ultima parte della Lettera a Malvolio-(Pasolini), dove, come ricorda Claudio Magris (“I puntini di Montale”, in “Corriere della Sera”, 12 agosto 1987), Montale, in un biglietto, mise i puntini al posto del nome di “Malvolio”-(Pasolini). La risposta di Pasolini, come si evince, fu molto breve e pacata. La distanza si fece enorme e incolmabile.

(Da precisare,infine, che i riferimenti a Leopardi da parte di Pasolini, esposti da F. Gherardini, non uscirono nel saggio “Satura”,  in “Nuovi Argomenti” (n.s., 21, gennaio-marzo, 1971), ma sul settimanale “Tempo” il 18 ottobre 1974, poi in “Descrizioni di descrizioni”, Torino, Einaudi, 1979, pp.398-399, in una breve recensione del vol. di Iris Origo,”Leopardi”, Milano, Rizzoli,1974)

eugenio montale 23) Domanda: Ecco la Lettera a Malvolio di Montale indirizzata a Pasolini. Leggiamola con attenzione.

Eugenio Montale

“Lettera a Malvolio”, ovvero,  P.P. Pasolini

Scrive Francesco Gherardini:

«Pasolini sulla rivista “Nuovi Argomenti” aveva sostanzialmente attaccato Montale perché “pessimista metafisico”, negatore dell’idea di progresso, portatore dell’ideologia liberista che in fondo fissava il potere borghese come fatto naturale e non modificabile, falso moralista o moralista in malafede anche perché ad esempio aveva edulcorato l’immagine di Leopardi (nei fatti narcisista, egocentrico, megalomane, impotente, maniaco, pieno di allergie) dando l’idea di una straordinaria perfezione morale, con ciò disconoscendo di proposito la complessità della realtà umana. In definitiva non un uomo che si confrontava con i temi veri del suo tempo, ma un conservatore, fors’anche un reazionario; un personaggio pubblico – forse suo malgrado – che non prendeva partito rispetto alla realtà di quel periodo (le stragi, la guerra del Vietnam ecc.).

La Lettera a Malvolio è la risposta. Per quattro strofe Montale si attribuisce un merito: quello di tenersi alla larga, di aver sempre preso le distanze dal mondo dei potenti di turno prima e dopo, durante il Fascismo e con l’avvento della Repubblica; chiarisce per quattro strofe che questo atteggiamento non era da tutti e non era stato di tutti; forse era stato più facile quando le separazioni tra bene e male erano nette, ma dopo si era creato un “ossimoro permanente”, una “focomelia concettuale”, con l’onore e l’indecenza stretti insieme; chi teneva le distanze e badava a mantenere alta la propria moralità finiva per essere semplicemente deriso o confinato nel più profondo silenzio. Nella quinta strofa, la più lunga, esce il ritratto del suo antagonista; un quadretto terribile: Pasolini sarebbe quello che ha furbescamente mescolato marxismo e cristianesimo, traendone grandi vantaggi e guadagni personali proprio mentre, apparentemente, ostentava la nausea per questo tipo di relazioni umane e di società..

Montale si dice orgoglioso del suo modo di essere: non ha mai voluto fuggire dalla realtà, piuttosto la sua è stata una “fuga immobile” (bell’ ossimoro ironico) e neppure ha avuto mai un fiuto particolare (quello che invece attribuisce al suo avversario) per tenersi vicino ai potenti. Il suo atteggiamento è stato esattamente il contrario di quella furbizia che – a suo dire – esercita il suo oppositore, quell’ arte cortigiana/servile che gli impedisce di vedere e tenere le giuste distanze; un’astuzia, che comunque in un auspicabile e diverso domani non sarà più esercitabile. Parole molto grosse, tanto più se indirizzate ad uno spirito libero, fortemente critico e senza paure come fu Pasolini.2

La conclusione di Montale in fondo però appare perfino ottimistica: è vero che ora, hic et nunc, a mala pena si può cercare la speranza nel negativo (cfr. Non chiederci la parola), ma questo atteggiamento di fermezza morale può essere stimolo per tanti e comunque “la partita resta aperta”.

Non tardò la replica di Pasolini con una poesia intitolata “L’impuro al puro”.

Non ho banda, Montale, sono solo.//Non ti rimprovero di aver avuto //Paura, ti rimprovero di averla giustificata.//Male forse ne voglio, ma il mio.//Ti ha ottenebrato la tua un po’ troppo //Musa oscura.//Astuto poi non lo sono://di solito è astuto chi ha paura.

Da questi otto versi emerge un chiaro riferimento biografico, un’insinuazione relativa all’argomento della “Paura”: il poeta ligure era sempre stato antifascista, vedeva nel fascismo un’offesa all’intelligenza e alla moralità; aveva firmato nel 1925 il Manifesto degli Intellettuali antifascisti, ma nel 1938 per timore di perdere il suo posto di lavoro al Gabinetto Vieusseux, si “costrinse” a chiedere l’iscrizione al Partito Fascista, iscrizione subito negata con conseguente licenziamento a Dicembre. Da qui il rimprovero di Pasolini a Montale: per aver tentato di giustificare questo gesto, non tanto per averlo fatto, come purtroppo tanti altri uomini semplici erano stati costretti dalle circostanze a fare».1]

1] https://ilsillabario2013.wordpress.com

Eugenio Montale

Lettera a Malvolio*

Non s’è trattato mai d’una mia fuga, Malvolio,
e neanche di un mio flair che annusi il peggio
a mille miglia. Questa è una virtù
che tu possiedi e non t’invidio anche
perché non potrei trarne vantaggio.
No,
non si trattò mai d’una fuga
ma solo di un rispettabile
prendere le distanze.
Non fu molto difficile dapprima,
quando le separazioni erano nette,
l’orrore da una parte e la decenza,
oh solo una decenza infinitesima
dall’altra parte. No, non fu difficile,
bastava scantonare scolorire,
rendersi invisibili,
forse esserlo. Ma dopo.
Ma dopo che le stalle si vuotarono
l’onore e l’indecenza stretti in un solo patto
fondarono l’ossimoro permanente
e non fu più questione
di fughe e di ripari. Era l’ora
della focomelia concettuale
e il distorto era il dritto, su ogni altro
derisione e silenzio.
Fu la tua ora e non è finita.
Con quale agilità rimescolavi
materialismo storico e pauperismo evangelico,
pornografia e riscatto, nausea per l’odore
di trifola, il denaro che ti giungeva.
No, non hai torto Malvolio, la scienza del cuore
non è ancora nata, ciascuno la inventa come vuole.
Ma lascia andare le fughe ora che appena si può
cercare la speranza nel suo negativo.
Lascia che la mia fuga immobile possa dire
forza a qualcuno o a me stesso che la partita è aperta,
che la partita è chiusa per chi rifiuta
le distanze e s’affretta come tu fai, Malvolio,
perché sai che domani sarà impossibile anche
alla tua astuzia.

* Malvolio è un personaggio shakespeariano (La dodicesima notte ndr. quella dell’ Epifania), un maggiordomo serioso e compassato, untuoso, segretamente innamorato della padrona, involontariamente comico, puritano, ipocrita, che disprezza il divertimento, il gioco; insomma, un  presuntuoso arrogante che alla fine viene beffato.

Risposta: L’11 Gennaio 1975, in un incontro nella Biblioteca Comunale di Genzano di Roma, Pasolini ci confidò e informò che il suo Progetto filosofico-poetico sarebbe stato quello di dedicarsi totalmente alla poesia (come aveva già fatto tra il ’41 e il ’60), dopo aver completato e realizzato altri due tre films. In realtà, con Trasumanar e organizzar (1971) fino a La nuova gioventù (1975), era già evidente che il Progetto, già ideato e programmato, fin  dall’inizio degli anni Sessanta, era giunto ad un punto di non-ritorno: la transumanazione, eternizzazione e “santificazione” (il Mistero) di se stesso in quanto Poeta attraversò la sua Pragmatica Azione e Organizzazione del “Fare Poetico”: per scrivere nuova poesia sarebbe stato necessario il Rinnovamento del Linguaggio Poetico e della Lingua della Poesia, attraverso la mescolanza (alchemica) Plurilinguistica e Pluristilistica di Atti Espressivi e di Stile, secondo l’Esempio il Modello e il Paradigma Dantesco (Divina Mimesis), di provenienza alto-colta, medio-parlata, giornalistica e mass-mediatica: un messaggio e un linguaggio non-chiaro, criptico, ancipite, Ambiguo (“finché è vivo”), che solo con e dopo la morte sarebbe dovuto divenire Espresso, essere esplicito.  Con questa strategia “comunicativa” e con questo Codice Espressivo-Formale, tutto da decifrare, Pasolini consegnò i Segni-Segnali-Archetipi dell’unicità e irripetibilità del suo Progetto filosofico-poetico-esistenziale (e con questo noi intendiamo una sua possibile “solitaria avanguardia personale“), ben consapevole ormai della definitiva inesistenza del pubblico della poesia e dell’avvento e sviluppo  di un universo orrendo e di una società e politica degradate e in rovina, dove sta già avvenendo la borghesizzazione del proletariato ed anche la proletarizzazione della borghesia, con conseguente omologazione e massificazione antropologica, esistenziale, linguistico-espressiva e culturale.      

Pier Paolo Pasolini e Franco Di Carlo, 1969

Franco Di Carlo e Pasolini Biblioteca di Genzano gennaio 1975

  Franco Di Carlo (Genzano di Roma, 1952), oltre a diversi volumi di critica (su Tasso, Leopardi, Verga, Ungaretti, Poesia abruzzese del ‘900, l’Ermetismo, Calvino, D. Maffìa, V. M. Rippo, Avanguardia e Sperimentalismo, il romanzo del secondo ‘900), saggi d’arte e musicali, ha pubblicato varie opere poetiche: Nel sogno e nella vita (1979), con prefazione di G: Bonaviri; Le stanze della memoria(1987), con prefazione di Lea Canducci e postfazione di D. Bellezza e E. Ragni: Il dono (1989), postfazione di G. Manacorda; inoltre, fra il 1990 e il 2001, numerose raccolte di poemetti: Tre poemetti; L’età della ragione; La Voce; Una Traccia; Interludi; L’invocazione; I suoni delle cose; I fantasmi; Il tramonto dell’essere; La luce discorde; nonché la silloge poetica Il nulla celeste (2002) con prefazione di G. Linguaglossa. Della sua attività letteraria si sono occupati molti critici, poeti e scrittori, tra cui: Bassani, Bigongiari, Luzi, Zanzotto, Pasolini, Sanguineti, Spagnoletti, Ramat, Barberi Squarotti, Bevilacqua, Spaziani, Siciliano, Raboni, Sapegno, Anceschi, Binni, Macrì, Asor Rosa, Pedullà, Petrocchi, Starobinski, Risi, De Santi, Pomilio, Petrucciani, E. Severino. Traduce da poeti antichi e moderni e ha pubblicato inediti di Parronchi, E. Fracassi, V. M. Rippo, M. Landi. Tra il 2003 e il 2015 vengono alla luce altre raccolte di poemetti, tra cui: Il pensiero poetante, La pietà della luce, Carme lustrale, La mutazione, Poesie per amore, Il progetto, La persuasione, Figure del desiderio, Il sentiero, Fonè, Gli occhi di Turner, Divina Mimesis, nonché la silloge Della Rivelazione (2013)                

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27 risposte a “TRE DOMANDE DI GIORGIO LINGUAGLOSSA A FRANCO DI CARLO SULLA QUESTIONE DI SATURA (1971) DI MONTALE E DEL NODO irrisolto DELLA NORMATIVIZZAZIONE DEL LINGUAGGIO POETICO A LINGUAGGIO STANDARD MASSIFICATO – Evento accaduto inROMA, LABORATORIO DI POESIA DEL 30 MARZO 2017 Libreria L’Altracittà

  1. POSTO DI NUOVO IL COMMENTO SCRITTO IN OCCASIONE DEL PRECEDENTE POST SU PASOLINI.
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/03/31/tre-domande-di-giorgio-linguaglossa-a-franco-di-carlo-sulla-questione-di-satura-1971-di-montale-e-del-nodo-irrisolto-della-normativizzazione-del-linguaggio-poetico-a-linguaggio-standard-massificato/comment-page-1/#comment-18915

    Non ero a conoscenza di questa confidenza di Pasolini al giovanissimo poeta e critico Franco di Carlo. Questa confidenza cambia le carte in tavole della poesia italiana del tardo Novecento e dei giorni nostri: Pasolini era ben consapevole che ormai, con Satura (1971) la poesia italiana si era avviata nella sua fase di declino, e aveva deciso di reagire, di tornare a scrivere poesia secondo un Nuovo Progetto filosofico-esistenziale.

    Questo punto è importantissimo, rimette tutto in discussione, e soprattutto avvalora la nostra tesi che ormai da vent’anni ripeto e ripeto ottenendo in cambio soltanto sordità e sordità.

    Il problema può essere espresso in questi semplici termini. Sì, lo so che mi attirerò le antipatie di quanti si credono arrivati a vette eccelse, ma sono costretto a ribadire la mia tesi:

    La poesia italiana dal 1971 non ha più prodotto un poeta e una poesia di rango europeo. Perché? Quali sono le ragioni che hanno impedito alla poesia italiana di raggiungere vertici sopra nazionali?

    La risposta l’ho fornita in molteplici scritti, anche d’occasione, che la poesia italiana aveva un disperato bisogno, già dal 1971, di una RIFORMA RADICALE DEL CONCETTO DI FORMA-POESIA. La mancata realizzazione di questa riforma ha condannato la poesia italiana a percorrere un ripido pendio di epigonismo e di poesia minoritaria e auto pubblicitaria, tanto che un critico come Bearardinelli ha smesso da più di venti anni di interessarsi di poesia italiana. Oggi siamo ancora nel mezzo del guado di una stagnazione stilistica e di idee. La risposta a questo stato di cose è semplice e la proposta di una Nuova Ontologia Estetica intende colmare questa storica lacuna. Chi ha interesse per questa problematica non ha da fare altro che sbirciare tra i numerosissimi articoli disseminati su questa rivista.

    DA P.P. PASOLINI DI TRASUMANAR E ORGANIZZAR (1971) ALLA POESIA ONTOLOGICA DI OGGI

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/03/15/pier-paolo-pasolini-franco-di-carlo-legge-trasumanar-e-organizzar-garzanti-1971-intervento-di-franco-di-carlo-tenuto-al-laboratorio-di-poesia-dell8-marzo-2017-libreria-laltracitta-roma/comment-page-1/#comment-18705

    Trasumanar e Organizzar (1971) è un libro che taglia in due la poesia italiana del Novecento, e la taglia per una ragione di fondo: perché finalmente un poeta italiano, dagli anni della Commedia di Dante, rinuncia a scrivere con il linguaggio dei «chierici», dei letterati, per intenderci, della «borghesia» e della sua rappresentanza intellettuale, tanto per utilizzare una parola di Pasolini che oggi sembra della lingua dei marziani, con la lingua della «falsa coscienza» dei letterati italiani, con la lingua della tradizione stilistica della poesia italiana. Pasolini intuisce prima di tutti gli altri intellettuali italiani che la società italiana è ad un punto di svolta: corruzione, malaffare, servizi segreti deviati, stragi di stato, nesso mafia-politica, corruzione della Chiesa, conformismo del P.C.I., conformismo degli intellettuali italiani, sistema della corruttela giunto alle sue estreme propaggini, insomma Pasolini capisce che giunti a questo punto, occorre rinunciare a scrivere nella lingua dei «chierici» per adottare il linguaggio di tutti i giorni, quello parlato dalla medietà degli italiani, quello mediato e divulgato dalla televisione di stato, quello di largo uso e consumo, in una parola: il volgare, senza rifiiutare il linguaggio di «Carosello» (fortunatissima e popolarissima trasmissione pubblicitaria dell’epoca) purché miscelato come una miscela esplosiva con il linguaggio colto e con il linguaggio giornalistico, «un Progetto, perciò, metapoetico e metalinguistico», come acutamente annota Franco Di Carlo.

  2. Posto di nuovo il mio commento al precedente post sulla questione di Pasolini e la mancata riforma del linguaggio poetico italiano:

    IL MONITO DI FRANCO FORTINI

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/03/15/pier-paolo-pasolini-franco-di-carlo-legge-trasumanar-e-organizzar-garzanti-1971-intervento-di-franco-di-carlo-tenuto-al-laboratorio-di-poesia-dell8-marzo-2017-libreria-laltracitta-roma/comment-page-1/#comment-18725

    Scriveva Franco Fortini nei suoi «appunti di poetica» nel 1962: «Spostare il centro di gravità del moto dialettico dai rapporti predicativi (aggettivali) a quelli operativi, da quelli grammaticali a quelli sintattici, da quelli ritmici a quelli metrici (…) Ridurre gli elementi espressivi. La poesia deve proporsi la raffigurazione di oggetti (condizioni rapporti) non quella dei sentimenti. Quanto maggiore è il consenso sui fondamenti della commozione tanto più l’atto lirico è confermativo del sistema».
    Ritengo queste osservazioni di Fortini del tutto pertinenti anche dopo cinquanta anni dalla loro stesura. I problemi di fondo, da allora ad oggi, non sono cambiati e non bastano cinquanta anni a modificare certe invarianti delle istituzioni stilistiche. Vorrei dire, per semplificare, che certe cattive abitudini di certe istituzioni stilistiche, tendono a riprodursi nella misura in cui tendono a sclerotizzarsi certe condizioni non stilistiche. Al fondo della questione resta, ora come allora, il «consenso sui fondamenti della commozione». Insomma, attraverso la lettura e l’ingrandimento di certi dettagli stilistici puoi radiografare e fotografare la fideiussione stilistica (e non) che sta al di sotto di certe valorizzazioni stilistiche; ed anche: che certe retorizzazioni sono consustanziali alle invarianti del gusto, del movimento delle opinioni, alla adesione intorno al fatto poetico… insomma.

    Scrive Franco Fortini ne L’ospite ingrato (1966): «La menzogna corrente dei discorsi sulla poesia è nella omissione integrale o nella assunzione integrale della sua figura di merce. Intorno ad una minuscola realtà economica (la produzione e la vendita delle poesie) ruota un’industria molto più vasta (il lavoro culturale). Dimenticarsene completamente o integrarla completamente è una medesima operazione. Se il male è nella mercificazione dell’uomo, la lotta contro quel male non si conduce a colpi di poesia ma con “martelli reali” (Breton). Ma la poesia alludendo con la propria presenza-struttura ad un ordine valore possibile-doveroso formula una delle sue più preziose ipocrisie ossia la consumazione immaginaria di una figura del possibile-doveroso. Una volta accettata questa ipocrisia (ambiguità, duplicità) della poesia diventa tanto più importante smascherare l’altra ipocrisia, quella che in nome della duplicità organica di qualunque poesia considera pressoché irrilevante l’ordine organizzativo delle istituzioni letterarie e, in definitiva, l’ordine economico che le sostiene».

    Vogliamo dirlo?
    Ancora una volta Pasolini e Fortini, gli ultimi due poeti in grado di porsi anche come critici del loro tempo. In Italia si è smesso di pensare sulla poesia, i poeti di questi ultimi cinquanta anni si sono dimostrati non all’altezza del compito che la Musa aveva messo sulle loro spalle, e si sono limitati a fare poesia dell’immediatezza, hanno ricominciato a parlare di Bellezza, di Musica, di Ispirazione, di Grazia… etc, con tanto di benedizione di un pensiero estetico acritico, inesistente, inconsistente.

  3. gino rago

    Saltando a piè pari , da Palazzeschi e Rebora, le esperienze rondiste, ermetiche, postermetiche ed anche l’esperienza della vocazione realistica in cui si chiese al poeta e alla sua parola lo sguardo della comprensione, e della pietà, a catturare l’eco di miserie di guerra in un mondo sconvolto, attraverso il suo stesso assioma rivelatore :«Non la poesia è in crisi, ma la crisi è in poesia», consideriamo il sentimento di “ars poetica“ nel Pier Paolo Pasolini di:

    La mancanza di richiesta di poesia
    ( Da Poesia In forma di rosa, 1964)

    “Come uno schiavo malato, o una bestia,
    vagavo per un mondo che mi era assegnato in sorte,
    con la lentezza che hanno i mostri
    del fango – o della polvere – o della selva…
    C’erano intorno argini, o massicciate,
    o forse stazioni abbandonate in fondo a città di morti
    con le strade e i sottopassaggi
    della notte alta, quando si sentono soltanto
    treni spaventosamente lontani,
    e sciacquii di scoli, nel gelo definitivo,
    nell’ombra che non ha domani.
    Così, mentre mi erigevo come un verme,
    molle, ripugnante nella sua ingenuità,
    qualcosa passò nella mia anima – come
    se in un giorno sereno si rabbuiasse il sole;
    sopra il dolore della bestia affannata
    si collocò un altro dolore, più meschino e buio,
    e il mondo dei sogni si incrinò.
    «Nessuno ti chiede più poesia!»
    E: «E’ passato il tuo tempo di poeta…»
    «Tu con le Ceneri di Gramsci ingiallisci,
    e tutto ciò che fu vita ti duole
    come una ferita che si riapre e dà la morte!»
    Pier Paolo Pasolini

    Poeta per vocazione, per scelta, per sorte, per disgrazia , per necessità, il timore della perdita della poesia in Pasolini coincide con la paura della perdita della grazia.
    Ma sebbene già insoddisfatto del linguaggio e della forma-poesia del suo tempo (su cui non è il caso di dilungarsi, dopo l’eccellente saggio di Franco Di Carlo su Trasumanar e organizzar) Pasolini immette negli ultimi versi di questa poesia una novità formale ed estetica : il parlato…
    E’ una inserzione colloquiale, quasi a voler spezzare l’aspetto e il tono austeri della poesia… (è un brandello dell’intervento di ieri pomeriggio al Laboratorio Poesia a L’Altracittà, 30 marzo 2017).

    Quel “parlato” che al contrario viene istituzionalizzato, canonizzato, quasi mezzo secolo dopo la poesia pasoliniana, precisamente nel 2017, in “Preghiera di una madre” da un Giorgio Linguaglossa alle prese con un lavorio intenso sul “linguaggio poetico” come molteplicità di linguaggi…
    Gino Rago

  4. Giuseppe Talìa

    QUALE POETA ITALIANO DAL 1971 AD OGGI, SECONDO VOI, SAREBBE STATO DEGNO DI ESSERE INSIGNITO DEL PREMIO NOBEL?
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/03/31/tre-domande-di-giorgio-linguaglossa-a-franco-di-carlo-sulla-questione-di-satura-1971-di-montale-e-del-nodo-irrisolto-della-normativizzazione-del-linguaggio-poetico-a-linguaggio-standard-massificato/comment-page-1/#comment-18918
    Dice Berardinelli a proposito di Pasolini, in un incontro sui 40 anni dalla morte dell’autore: “Da un certo punto in poi, come molti altri, ho avuto un certo fastidio nei suoi confronti. Pasolini è uno scrittore imperfetto. Calvino è un perfetto scrittore minore, Pasolini, invece, è un grande scrittore mancato. Tirava via. Da un certo punto in poi gli articoli che scriveva diventavano sempre più belli, mentre le poesie sempre più brutte. Sandro Penna è un poeta migliore di Pasolini, la Morante lo superava di non so quante leghe, Sciascia era un ottimo saggista.
    Pasolini il suo massimo lo ha raggiunto con Scritti Corsari e Lettere Luterane. Oggi si parla ancora di Pasolini solo per questi due ultimi scritti. Attualissimi. Persino intellettuali raffinati come Fortini e Calvino non hanno mai capito niente di Pasolini. Pasolini nelle sue poesie è un personaggio in scena, un protagonista della sua stessa opera.”

    Riguardo al plurilinguismo, come quello di tipo dantesco, che spazia dal domestico alla filosofia, dalla scienza ad altre lingue, vi sono ottimi esempi in molti poeti della generazione del secondo novecento, il problema è individuarli nel mare magnum delle pubblicazioni che si sono riversate nel mondo dell’editoria minore, perché quella maggiore, si sa, ripete una politica esangue fatta di do ut des.
    Il grande problema è ricercare e valorizzare tali poeti. E chi dovrebbe farlo? Quale critico? Ci sono critici capaci di fare questo scandaglio?

  5. antonio sagredo

    Ho ascoltato con interesse quanto veniva dicendo Franco Di Carlo ieri sera di cui sottolineo la sua emozione quando parlava del “lucidissimo” poeta per me “scellerato” come i grandi poeti più o meno “maledetti” del passato… non ho mai compreso perché quest’ultimo termine viene appioppato a certi autori in senso negativo, quando poi sono più benedetti dei santi! – ce ne fossero a iosa di questi autori! Quanto rivelava Di Carlo ha singolare importanza poiché dice di progetti sulla Poesia… da questi progetti – se fosse vissuto ancora 20 anni – avremmo saputo di più, tanto da poter affermare che un nuovo sentiero avrebbero percorso le scarpe della Poesia…

  6. Giuseppe Talìa

    Caro Sagredo,
    Pasolini non era affatto un poeta maledetto, al contrario era di una dolcezza indefinita. In Italia non vi sono stati e non vi sono poeti maledetti, nel vero senso del termine, un po’ edulcorati o di posa. Forse Campana, forse Bellezza, quest’ultimo un intellettuale che ha avuto vita breve, Toma (?) ma bisogna rifletterci (presi sostanzialmente da una disperata vitalità più che da maledettismo).
    Se Pasolini fosse vissuto ancora 20 anni e avesse operato veramente la rivoluzione in poesia come pare avesse intenzione di fare, come la metteremmo poi con il tuo piede giambico?

  7. QUALE POETA ITALIANO DAL 1971 AD OGGI, SECONDO VOI, SAREBBE STATO DEGNO DI ESSERE INSIGNITO DEL PREMIO NOBEL?

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/03/31/tre-domande-di-giorgio-linguaglossa-a-franco-di-carlo-sulla-questione-di-satura-1971-di-montale-e-del-nodo-irrisolto-della-normativizzazione-del-linguaggio-poetico-a-linguaggio-standard-massificato/comment-page-1/#comment-18922

    caro Giuseppe Talia,

    a correzione delle affermazioni di Berardinelli, dico subito che Pasolini, Calvino, Moravia e, in minor misura, la Morante erano tutti e QUATTRO di caratura europea, e quindi degni di essere insigniti del premio Nobel. Penna a confronto di Pasolini è un decoratore di cammei in rima, se così possiamo dire; poeta perfetto e rotondo ma, appunto, piccolo e minore che non apriva alla nuova poesia, ma che chiudeva una lunga stagione stilistica.

    HO ACCOLTO CON MOLTO INTERESSE LA PROPOSTA DI PASOLINI DI TORNARE A SCRIVERE POESIA CON UN PROGETTO DI RIFORMA RADICALE DELLA FORMA-POESIA.

    Questo fatto cambia le carte in tavola, avvalora quello che andiamo dicendo e facendo su queste colonne da alcuni anni: che è necessario e indifferibile procedere (pur con circa 50 anni di ritardo) ad una riforma del linguaggio poetico italiano.

    Detto questo,
    RIPROPONGO LA MIA DOMANDA AI LETTORI DELLA RIVISTA: QUALI SONO SECONDO VOI I POETI DI RANGO EUROPEO DAL 1971 AD OGGI? OVVERO, DA TRASUMANAR E ORGANIZZAR E DA SATURA?

    Sono molto curioso di conoscere le proposte dei lettori.

    Ad avviso di chi scrive, non abbiamo avuto nessun poeta italiano degno di essere messo a confronto, che so, con Tranströmer, Herbert, Espmark etc.

  8. Stefano Cardarelli

    Bisogna vedere se per “dal 1971 ad oggi” ci si intende riferire a poeti emersi dopo quell’anno, oppure già noti e che dopo quell’anno abbiano pubblicato opere di levatura europea. Nel primo caso farei il nome di Milo De Angelis, poeta di rilievo internazionale. Nel secondo caso penso a Mario Luzi, che a partire dagli anni Sessanta in poi ha scritto le sue cose migliori. Altri due nomi che mi vengono in mente sono quelli di Silvio Ramat e di Valentino Zeichen. Insomma, dopo il 1971 non c’è stato certo il deserto per la poesia italiana.

  9. antonio sagredo

    “Pasolini non era affatto un poeta maledetto, al contrario era di una dolcezza indefinita”. – Si può essere dolci e maledetti allo stesso tempo: non sono dei contrari, e non l’ho mai pensato. Mi riferivo a come era etichettato, e nulla di più. – Nessun poeta maledetto si è ucciso: troppo dolcezza possedevano.
    Quanto a Toma non è maledetto perché si è ucciso; Bellezza: lasciamo stare.
    Rispondo a Cardarelli Stefano: ho conosciuto De Angelis quando non era nessuno nell’inverno del 1969, adesso lo è ancora un nessuno e questa caratura internazionale è una bufala da vendere altrove, fra gli sciocchi e i cretini. Io e Tommaso-Riccardo gli consigliammo di non scrivere versi: non era capace, e poiché era incapace ha vinto premi su premi, come tanti altri della sua specie. Poi dice di Luzi: il suop posto nelò silenziario! – Poi dice di Ramat, anche lui nello stesso luogo; poi Zeichen, conosciuto di persona -anche lui dal 1969 – e incontrato diverse volte: stesso posto per lui.
    Dopo il 1971 c’è stato il deserto? Ma soltanto nel suo cerebro… il deserto era nel cervello di quelli che Lei ha nominato… non credo che Lei abbia vastità di letture…
    adieu

    • Stefano Cardarelli

      Dice a me? Ma chi voleva una risposta da lei?! Comunque vedo che ha conosciuto di persona i vari signor nessuno della poesia italiana… che grande sfortuna!… meno male che c’era lei a riequilibrare… si, è vero non ho vastità di letture, cercherò di rimediare leggendola… qual è il suo nome?

  10. antonio sagredo

    Di certo non volevo dare una risposta a Lei specificatamente. ma a tutti quelli che la pensano come Lei: d’altronde la Sua ironia rivolga a se stesso che ne ha bisogno e alla Sua conoscenza, non certo ri-conoscenza. Sono anche la persona che cerca di chiarire le cose: conoscere quei poeti di persona e giudicarli non è una colpa, anzi è una maniera per evitare le idealizzazioni di chi non ha incontrato alcun poeta e se ne fa una idea sbagliata… e poi mi legga, conosce il mio nome e cognome perché appare… ma non se la prenda più di tanto: non tocca a Lei giudicare, tocca a chi se ne intende, a chi come me – e altri come me che non solo hanno il diritto ma pure il dovere di farlo…
    e che non ha vastità di letture se lo ha detto da se stesso, non certo io… dal 1971 Lei non ha letto alcun verso italiano?… e allora vada un po’ in giro per l’Europa e il mondo, almeno sarà meno provinciale, il che è già per Lei una grande conquista; ma mancando di dialettica critica e pure linguistica dovrebbe essere più umile e chiedermi più chiarimenti critici, invece risponde tutto piccato quasi l’avessi offeso, invece l’ho difeso: questo lo comprende?
    …per quanto mi riguarda basta così.

    • Stefano Cardarelli

      Continuo a ricevere insulti per aver risposto a una domanda ed espresso un parere personale su alcuni poeti… comunque perché dovrei sentirmi offeso da uno che sostiene che Mario Luzi aveva il deserto nel cervello? Anzi, grazie per le risate che mi ha fatto fare!

  11. Dario Zumkeller

    Che ne pensate di Adriano Spatola? Forse dal ’71 ad oggi è stato l’unico poeta italiano di rilievo internazionale e uno dei massimi esponenti della poesia visiva.

  12. CIRCA LA MINORITA DELLA POESIA ITALIANA DEGLI ULTIMI 50 ANNI https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/03/31/tre-domande-di-giorgio-linguaglossa-a-franco-di-carlo-sulla-questione-di-satura-1971-di-montale-e-del-nodo-irrisolto-della-normativizzazione-del-linguaggio-poetico-a-linguaggio-standard-massificato/comment-page-1/#comment-18954
    CARO DARIO ZUMKELLER,
    credo di averti già risposto quando ho scritto:

    ad avviso di chi scrive, non abbiamo avuto nessun poeta italiano degno di essere messo a confronto, che so, con Tranströmer, Herbert, Espmark etc.

    Adriano Spatola non può trovar luogo neanche negli sgabuzzini della Standa della poesia italiana del Novecento.
    Quanto ai ventilati Zeichen e Silvio Ramat, dai, siamo seri per favore…
    Quanto a Milo de Angelis, è senz’altro un bravo poeta, ma, a mio avviso non all’altezza dei poeti europei menzionati sopra. Quindi, il problema della minorità della poesia italiana da Satura in poi è un problema reale, se ne era accorto immediatamente Pasolini da quell’intellettuale e poeta di rango quale era, capace di guardare il futuro immediato e lontano della poesia italiana con un periscopio formidabile…

    • Stefano Cardarelli

      Forse questo voler paragonare i poeti fra di loro alla fine può rimanere solo un gioco, anche se interessante. Perché i poeti non sono centometristi a cui puoi attribuire una scala di talento sulla base della carta millimetrata dei loro risultati cronometrici e delle loro vittorie. Poi confrontare poeti di nazioni, e quindi di linguaggi diversi ma anche di ambiti e radici culturali distinte ecc, complica ancora di più le cose.
      I poeti che ho menzionato (ma anche tutti i poeti in generale?) possono anche non piacere affatto, ma credo che meritino più rispetto. Trovo un po’ supponente la pratica di “gettarli nel cesso” tutto compreso.
      Mi sono dimenticato di citare il nome di una grande poetessa italiana, non conosciuta come meriterebbe, Anna Lamberti-Bocconi. Da cestinare anche lei?
      Un caro saluto

  13. gentile Stefano Cardarelli,
    quanto a “gettarli nel cesso tutto compreso”., i poeti, come lei si esprime, dico solo una cosa: questo è il suo linguaggio, non il mio. Se lei fosse più pacato e misurato riuscirebbe a vedere nella domanda che ho posto ai lettori della rivista il problema reale che c’è dietro la «domanda».
    Tenga presente che dal suo linguaggio io e la rivista ci dissociamo nettamente.

    • Stefano Cardarelli

      Gentile Linguaglossa,

      “gettarli nel cesso” era una forzatura paradossale ma di sostanziale neutralità espressiva, era una mia traduzione del “trattamento” ricevuto da alcuni poeti, come semplice constatazione, oltretutto marginale all’interno del mio intervento. Mi spiace che il tono sia stato frainteso. Mi spiace anche che la prima parte del mio intervento e quella finale ,dove propongo un altro nome di poeta, che mi sembravano almeno degne di attenzione e sulle quali ero molto interessato a un suo parere, siano state completamente ignorate, per concentrarsi su un passaggio del tutto marginale con qualche pruderie fuori luogo. Potete dissociarvi dai miei gusti poetici, nessun problema, io sono solo un lettore, ma non c’è nessuna ragione di farlo rispetto al mio linguaggio che è stato sempre rispettoso, anche quando ho dovuto difendermi da qualche Napalm51 (la parodia di Crozza è evidentemente molto realistica!) che sparava a casaccio. Ma comprendo che costui è un componente della rivista stessa e quindi non posso aspettarmi autodissociazioni.

      Un caro saluto

  14. antonio sagredo

    …..infatti non ho offeso, ma puntualizzato ed espresso pareri non condivisibili forse, ma il fatto è che non esiste il fatto in se quanto le varie rap/presentazioni dello stesso fatto… da qui la mia acrimonia verso il sentito dire o parlare, spesso a vanvera… “non ho dunque rinunciato all’immortalità”, dice il Poeta… ma rinuncio, afferma il Poeta, quando la sordità si fa endemica come l’assenza di visione, che è peggio della mancanza… è ovvio dunque che gli accenti possono andare sopra le righe, e non certo sotto, quando si ha di fronte l’impossibilità di una speranza… critica.

    Bisogna strappare gli occhi alla visione
    e…

  15. Franco Campegiani

    Vorrei tentare di riportare il dibattito nei limiti di una sana conversazione, tornando alle ragioni iniziali da cui si è partiti. Approfitto anzitutto dell’occasione per salutare Franco Di Carlo, che conosco ed apprezzo dagli anni giovanili. Ricordo perfettamente l’incontro con Pasolini avvenuto, per sua iniziativa, nella Biblioteca di Genzano (vicinissima a Marino, che è la mia città). Fu un momento importante, e tanto più lo fu per la confidenza (che io non conoscevo) di cui qui si parla, riguardante il proposito del grande intellettuale di rifondare il linguaggio poetico secondo un paradigma (dantesco) di mescolanza plurilinguistica: alchimia complessa, ricca, onnicomprensiva, da cui forse non è necessario che la “lingua dei chierici” sia esclusa. Ogni lingua, tanto, è conformistica, convenzionale, frutto di adattamenti, contaminazioni e sincretismi tendenti alla standardizzazione, all’omologazione culturale. Di mode comunque parliamo e non di atti innovativi o rivoluzionari. Questi avvengono – se e quando avvengono – nella patria interiore degli spiriti creativi molto prima che si depositino nel manierismo di un qualunque linguaggio espressivo. Il rinnovamento dell’uomo è l’antefatto di ogni rinnovamento culturale e non credo possa esser vero il contrario. In assenza di forti personalità creative (come Pasolini, appunto, o Dante addirittura), che in un mondo livellato, squassato e corrotto dai vari conformismi sanno tener desta la radice dell’umano, non è producibile alcun rinnovamento culturale. Tutto dipende dal singolo, o dai singoli, dalla loro evoluzione individuale. Non è culto della personalità, questo, come potrebbe sembrare, bensì demolizione della personalità, ricerca di quella spiritualità al di fuori degli schemi che pretende autocritica, vuoto mentale e azzeramento delle posizioni acquisite. Sta qui, da che mondo è mondo, la vera natura dell’ispirazione creativa. Un ribelle e impervio andare controcorrente, non certo un oziare tra festosi augelli e fiori olezzanti, in attesa della vezzosa Musa.

    Franco Campegiani

    • Sandro Angelucci

      Non è mia abitudine intervenire quando il dibattere su temi – peraltro molto interessanti – scade e si trasforma in sterile querelle. Ciò nonostante intendo lasciare una risposta al post di Franco Campegiani (se non altro perché mi sembra giusto dare seguito alla sua riflessione).
      Conosco anch’io Franco Di Carlo: è un intellettuale serio e non mi stupisce affatto che Pasolini si sia con lui confidato sull’esigenza del Rinnovamento del Linguaggio Poetico. Dico questo per sgombrare subito il campo da errate interpretazioni, che potrebbero farmi passare per uno che vuole unicamente prendere le difese dell’amico.
      Ciò premesso, mi sento di condividere in toto questi pensieri: “Ogni lingua, tanto, è conformistica, convenzionale, frutto di adattamenti, contaminazioni e sincretismi tendenti alla standardizzazione, all’omologazione culturale. Di mode comunque parliamo e non di atti innovativi o rivoluzionari.”, e ancora: “In assenza di forti personalità creative… che in un mondo livellato, squassato e corrotto dai vari conformismi sanno tener desta la radice dell’umano, non è producibile alcun rinnovamento culturale. Tutto dipende dal singolo, o dai singoli, dalla loro evoluzione individuale.”, che rispecchiano fedelmente la mia opinione sulla situazione linguistica ed umana del nostro tempo.
      Concludo ringraziando Giorgio per aver dato spazio, su “L’ombra delle parole”, ad una notizia di profonda investigazione creativa e Franco per avermi segnalato questo post.

      Sandro Angelucci

  16. VERSO UNA NUOVA ONTOLOGIA DEL POETICO E DEL ROMANZO https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/03/31/tre-domande-di-giorgio-linguaglossa-a-franco-di-carlo-sulla-questione-di-satura-1971-di-montale-e-del-nodo-irrisolto-della-normativizzazione-del-linguaggio-poetico-a-linguaggio-standard-massificato/comment-page-1/#comment-19031
    cari Franco Campegiani e Franco Angelucci,

    il problema è sicuramente quello che indica Franco, che il fenomeno del conformismo è proprio di tutte le lingue, ma qui stiamo parlando di linguaggi poetici, quelli che fanno gli uomini nella loro prassi storica… certo, poi ci sono le singole personalità: i Leopardi, gli Hölderlin che fanno tutto da soli, ma si tratta di eccezioni, credo. Purtroppo tra di noi non c’è nessun Leopardi, altrimenti non ci sarebbe modo di discutere.
    Ma se i linguaggi poetici sono stati mandati al macero della medietà, ci saranno dei responsabili: quei piccoli letterati che hanno fatto (e fanno) gli affari propri tentando di eternizzare il proprio nome magari legandolo ad una Antologia di poesia o scrivendo per i docenti delle università della post-massa.

    Aver messo a fuoco questo problema è già qualcosa, ci conforta il fatto che un poeta intellettuale del rango di Pasolini lo avesse intravisto già nel 1975 – Perché sia chiaro che i poeti di rango APRONO al futuro, scrivono per tutti coloro che verranno, costruiscono un linguaggio da cui partire e chi verrà potrà usufruirne; i piccoli poeti invece prosperano sulle spalle di una tradizione letteraria, non innovano, si limitano a introdurre delle “varianti” di superficie.
    Noi dell’Ombra abbiamo messo a fuoco questo problema (con 45 anni di ritardo) e abbiamo deciso di proseguire questa riflessione, sempre sui testi e dai testi.

    • Franco Campegiani

      Ottimo il lavoro che svolge “L’ombra delle parole” e nel mio piccolo incoraggio il blog, come il suo promotore, a continuare. Lavorare sulla lingua è indispensabile per chiunque intenda scrivere, particolarmente in poesia. Intendevo soltanto dire che, se oggi mancano i Leopardi e gli Holderlin, il problema, prima di essere linguistico, è di ordine umano.
      Franco Campegiani

  17. Sandro Angelucci

    Sono d’accordo con Giorgio: “i linguaggi poetici sono stati mandati al macero”, e i responsabili vanno ricercati tra i letterati stessi: piccoli e grandi, però, mi si lasci dire (come ebbe ad affermare Giuseppe Conte in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nell’ormai lontano 2003).
    Certo – l’ho già scritto – encomiabile il fatto di avere sollevato il problema da parte de ” L’ombra delle parole”; meno lodevole chi dimostra di non essere pronto a recepirne il messaggio.
    Giustissimo quello che asserisci, caro Giorgio: “i poeti di rango APRONO al futuro”. Della vita, insieme a quello della lingua.

    Sandro Angelucci

  18. guido garufi

    Davvero complimenti per il dibattito su un tema o nodo fondamentale. La questione Montale-Pasolini qui evocata mi porta indietro nel tempo. Non sono uno studioso di Pasolini, mi sono occupato di Montale ( adiuvante Jacomuzzi) proprio quello del “secondo tempo” , da Satura in poi, perché ero attratto dal versante prosastico-parodico di questo nuovo registro, quello che non rinunciava al recupero del “lirico” nella prosa… Ora leggendo che il mio vecchio e caro amico ( mio e di Remo Pagnanelli) Franco di Carlo, anche lui giovanissimo, aveva interpellato Pasolini su questo “nodo” ( plurilinguismo ed altro) , non posso non pensare come questi dibattiti ( grazie anche a Linguaglossa) siano oggi scomparsi, e che tale scomparsa ( dico di “categorie critiche” o ” avventure del testo”) sia davvero un sintomo oggettivo della totale omologazione della stessa lingua, di quella che si “usa” in poesia. Ancora complimenti: Guido Garufi

    • Grazie Guido,

      ormai siamo i soli in Italia che tiriamo fuori dall’oblio le questioni che scottano… ma noto che i poeti delle istituzioni bene educate si guardano bene dal dire qualcosa… e questo è un sintomo di quanta pochezza intellettuale ci sia in giro…

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