PITTURA E POESIA Rosario La Polla – Gino Rago. Noi siamo qui per Ecuba:   metafora delle vittime – Rimane lei per sempre la Regina, Il figlio d’un eroe spaventa i vincitori, Noi siamo qui per  Ecuba –  Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa e Commento di Mariella Colonna

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Note sulla cartella “Ecuba”- Pittura e Poesia Rosario La Polla – Gino Rago.
Caratteristiche delle opere grafiche della cartella “Ecuba”.
Disegni originali ideati ed eseguiti per il presente progetto editoriale – digitalizzati in base
monocroma nera su cartoncino «Tintoretto» – interamente e singolarmente acquarellati a mano dall’Autore e retouché con matita litografica – Tirati in 75 esemplari – cm 33 x 48

Nota di Gino Rago  

Noi siamo qui per Ecuba:  « metafora delle vittime »

Le liriche dedicate a Troia si basano sul destino dei vinti; meglio, sulla sorte delle donne quando sono ridotte a « bottini di guerra ».

Nelle liriche, l’orrore si focalizza nella prospettiva delle vittime, dei  loro corpi umiliati, spogliati  delle loro identità.

Ilio  in fiamme dunque è da intendere come luogo archetipico del saccheggio, della distruzione, dei crimini di guerra, della  deriva di una terra devastata e di un popolo calpestato.

Il destino dei vinti, né omerico, né euripideo, viene seguito nell’articolazione di una sorta di défilé di tre figure femminili emblematiche: Andromaca, Cassandra e soprattutto Ecuba, su cui incombe il trauma della partenza verso un altrove di schiavitù e miseria, nella certezza che nessun tribunale di guerra potrà mai riparare la catastrofe di queste donne (« Ecco, piego  questo mio vecchio corpo/ e batto la terra con le mani», un esempio della potenza di Ecuba.)

Noi siamo qui per Ecuba è paradigma su cui meditare e modello da riattraversare fino  alle riscritture prossime a noi  a riflettere gli snodi traumatici del Novecento: Troiane di Franz Werfel  (1914 e 1920); Troiane di J.P. Sartre (1964); Troiane di Suzuki Kadasci (1977) in cui  i fantasmi del mito “ripetono e insieme rappresentano le atroci esperienze di vite offese e di corpi violati” (D. Susanetti), al di là dei confini dello spazio e del tempo, perché il mito antico è metodo per dare significato e forma alla caotica, altrimenti  indicibile,  realtà del presente. Da qui, il “metodo mitico”, nel poemetto espresso per “frammenti”.

Ma in quale teatro d’azione Ecuba, Elena e Andromaca  agiscono nelle liriche a comporre il poema/ciclo di Troia “Noi siamo qui per Ecuba”?

Per una attendibile definizione del perimetro, o dello scenario  d’azione delle tre  onne non si può prescindere dalle memorie dello Schliemann, l’archeologo cui viene attribuita la scoperta di Troia come acme d’una vita interamente consacrata a trarre dalla leggenda una  storica verità.

Nelle sue memorie Schliemann scrive: «(…) Secondo Omero, Troia è vicina al mare, di fronte all’isola di Tenedo e il suo orizzonte va dalla vetta di Samotracia – ove ha sede Poseidon –  al monte Ida dove siede Zeus. I Greci sono accampati presso il mare; la città non deve essere lontana; ogni sera i Greci tornano all’accampamento e i Troiani tornano in città. Quando Priamo va al campo greco a riscattare il corpo di Ettore, raggiunge il campo durante la nottata. Tra i Greci e i Troiani scorre lo Scamandro. Ettore una volta oltrepassa il fiume e si accampa dall’altra parte, facendosi mandare dalla sua città le cibarie; e Agamennone sente i suoni di flauto e vede le luci del campo troiano dalla sua tenda. Sotto Troia si udivano scorrere due sorgenti, una fredda e una tiepida. In questo paesaggio soltanto Achille poteva essere in grado di inseguire Ettore tre volte di corsa intorno alla città… Perciò la mia attenzione si fissò sulla collina, assai prossima al mare, detta Hissarlik…»

Il poema “Noi siamo qui per Ecuba” adotta  queste memorie a base del  teatro, dello scenario d’azione in cui Ecuba e le altre agiscono , ancorché  nel tratteggiare Ecuba debba segnalare che non ho mai perso di vista l’Ecuba dantesca del XXX Canto dell’Inferno:

«…Ecuba trista, misera e cattiva,/ poscia che vide Polissena morta,/ e del suo Polidoro in su la riva/ del mar si fu la dolorosa accorta,/ forsennata latrò sì come un cane;/ tanto il dolor le fé la mente torta».

Ecuba, figlia di Dimante, fu la seconda e fecondissima moglie di Priamo, re di Troia, cui diede 19 figli, morti quasi tutti nel corso o appena dopo la guerra contro i Greci. Caduta Ilio, fu schiava di Ulisse.

                                                                                                               Roma,  gennaio 2013

grecia La contesa per il tripode tra Apollo ed Eracle in una tavola tratta dall’opera Choix des vases peintes du Musée d’antiquités de Leide. 1854. Parigi, Bibliothèque des Arts Décoratifs

La contesa per il tripode tra Apollo ed Eracle in una tavola tratta dall’opera Choix des vases peintes du Musée d’antiquités de Leide. 1854. Parigi, Bibliothèque des Arts Décoratifs

Rosario La Polla CoverCommento impolitico di Giorgio Linguaglossa

 Il poeta Gino Rago e il pittore Rosario La Polla «cantano» per volere di Mnemosyne. Ed ecco l’Estraneo che si avvicina e il «mito» che ritorna. E all’approssimarsi dell’Estraneo (Unheimlich), le nottole del tramonto singhiozzano. E all’approssimarsi del «mito», il tempo ritrova se stesso dopo l’Oblio della Memoria.

La poesia di Gino Rago proviene da Mnemosyne e dall’Oblio della Memoria, dal periechon (dall’infinito della periferia, e quindi del «divino», secondo il pensiero dei greci), dalla perdita dell’Origine e dalla perdita della Patria (Heimat). La sua poesia è il volto codificato del dolore. Il duplice moto di andata e ritorno dal sacro al profano, e viceversa, caratterizza il nunc e l’hic dell’evento che si dà per noi, nella singolarità di un accadimento irripetibile. La guerra di Troia assume l’aspetto di simbolo di tutte le guerre e di tutti gli eccidi della storia umana. La rivisitazione del mito è fatta dalla parte delle donne, delle perdenti, dalla parte di Ecuba, moglie di Priamo e regina di Troia, madre di 19 figli. Il tum dà profondità al nunc per rifrazione e sedimentazione del tempo, e l‘hic, il qui, rivela la singolarità dell’evento. «Nell’evento lo spazio e il tempo fanno uno, ed è il tempo che è primario, che solo nell’evento rompe la continuità della durata e si rivela come istante, perché solo nell’evento il nunc ha contro di sé l’infinità circoscrivente del semper e fa centro, e il punto non è isolabile se non in una convergenza […] Il tempo circolare è il tempo continuo e infinitamente divisibile del logos, dove nessun istante è isolabile, perché in ognuno il principio coincide con la fine… Ciò è vero anche per il mito dell’eterno ritorno, che fin che è mito, ha sempre valore escatologico… Non appena il logos prevale sul mito, la coscienza religiosa lo sente come un’oppressione e cerca l’evasione nella rottura del ciclo e nell’unione definitiva con l’Uno».1

«Ciò che è Perduto non può essere ritrovato se non nella forma di “frammento”, che non indica il Tutto se non come un tutto frammentato e disperso. Di qui il “dolore” della poesia».

La gestualità statuaria di Ecuba di Rosario La Polla narra il mito, fissato e immobilizzato nell’eternità del tempo del «sacro». Il nunc è il tempo della mancanza, della povertà.  Il mito invece è narrazione del tempo del tunc. Sia La Polla sia Gino Rago sono i cantori delle gesta del «sacro». È qui che la storia prende forma nelle vesti striate e multicolori della figura di Ecuba tracciata dal pittore di Trebisacce.  La «Forma» è nella magia del colore. La «Forma» è ciò che rimane. Con le parole di Gino Rago: «lei per sempre la Regina», Ecuba e tutte le donne violentate e fatte schiave di tutti i tempi della storia umana. Negli occhi della «Regina» il tempo si ferma, si irrigidisce nel volto deformato dal dolore.

1 Carlo Diano Linee per una fenomenologia dell’arte 1968, Neri Pozza, p.36.37

2 Michel Foucault Le parole e le cose 1975 p. 139

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Poesie di Gino Rago
Rimane lei per sempre la Regina

Di fronte a noi si muove il re spartano.
A Telemaco vanta le molte virtù e l’astuzia del padre
per la cava insidia nel cavallo di legno. Fatale
ai Troiani ma che gli Achei sottrasse alla rovina.
Noi non siamo qui per Menelao.
Né siamo qui per Elena.
L’amante fuggiasca
che nonostante i crolli, i lutti, le rovine,
il sangue – per dieci anni a correre
ai bordi d’ogni corpo –
sul trono a Sparta siede ancora da regina.
Noi siamo qui per Ecuba,
la sposa ormai prona al suo destino,
la madre a ignorare l’inganno delle dee. Afrodite,
Era e Atena hanno di Paride fatto inerme preda.
«Eppure in cuor mio un tempo amavo i Greci.
Oggi hanno il fuoco negli occhi. Che fine hanno fatto
il rispetto dei vinti, la pietà, la sosta sulle ceneri dei morti.
Chi più ricorda il gesto moderato. L’armonia delle forme …
Sorelle d’Ilio. Fare senno pure nel male. A ciò tutte vi esorto.
Fare senno anche nella sventura. Conviene
alla calma, alla saggezza dopo la disfatta.»
Così la donna china sulla riva si rivolge a tutte le troiane.
Alle spose ferite nell’onore. (Gli sguardi opachi verso terre ignote).
Alle figlie d’Ilio (nel delirio turpe dei guerrieri vincitori).

Le mura franate. I cadaveri umiliati. Il Palazzo violato.
Priamo sgozzato. Lo scettro del Re frantumato…
Noi siamo qui per Ecuba ora che tutto perde.
Ma pure con il passo incerto sulla rena
rimane lei per sempre la Regina.

.
Il figlio d’un eroe spaventa i vincitori

Ecuba ripudia il vecchio corpo.
Raschia la terra con le mani.
Si lacera il seno di fronte al bimbo morto.
Evoca la voce dei defunti
prima dei giorni della schiavitù.
Noi con Ecuba attendiamo Aurora.
La dea dalle ali bianche diffonde il giorno
chiaro sulla città in fiamme.
Le coste risuonano di morte.
L’urlo di Priamo si strozza nella gorgia
dinanzi alle sue terre a ferro
e a fuoco. Noi siamo qui per Ecuba
già nelle fiamme del rogo finale.
Nuvole di polvere tagliano l’azzurro.
Trono, palazzo, torri merlate:
un tonfo di frantumi su macerie ardenti.
Ilio è un nome scritto sulla cenere.
I troiani senza numero periscono
per i capricci di un’unica donna.
Nemmeno Astianatte viene risparmiato:
il figlio di un eroe spaventa i vincitori.
Noi siamo qui per Ecuba.
Cos’altro ancora manca al suo disastro
perché gli Achei lo sentano completo…
La dimora della Bellezza va in fumo.
La casa dell’amore si sfarina.
La fiamma greca incenerisce Troia.
La Regina sul baratro maledice Atena.
E Thanatos danza
sull’uniforme grido dei frammenti.

 

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Noi siamo qui per Ecuba

Paride amò nel talamo di Troia
senza mai saperlo
forse un’idea. Una chioma di cenere.
Una nuvola di nulla. Un cirro.
Senza carne.
Noi siamo qui per Ecuba. Tutto le fu tolto
per una bolla d’aria. Dissennato
il massacro sull’Acropoli
per la spartana rapita. Una sposa fuggiasca.
Sbarcò da Priamo come il simulacro
della bella regnante di Sparta.
A suo dire mossa dall’Olimpo
come fuoco nel sangue o fremito nei lombi
Elena non è mai giunta a Troia.
Una città mangiata dalle fiamme.
Siamo qui per la saggia compagna del suo Re.
Sconfitta va verso la nave.
Lo sguardo fisso nell’occhio dell’Acheo.
Quasi a sfida delle avverse dee
nel disastro aduna sulle schiave
la gloria d’Ilio. Eterna come il mare.
La donna. Ormai bottino di guerra.
La madre. Sulle ceneri.
La Regina. Sul baratro.
Noi siamo qui per Ecuba.
L’unica a sentire che Ilio è la sua anima.
Giammai sarà inghiottita dall’oblio.
Per tutto il tempo viva.
Di cetra in cetra. Da Oriente a Occidente.
Quel sangue prillerà nel canto dei poeti.
Arrosserà per sempre il porfido del mondo.
L’unghia dell’Aurora è già sull’orizzonte.
Perentoria schiocca la frusta di Odisseo
alla sua vela : « Si vada verso l’Isola…»
L’inno dei forti piega le Troiane. Si stacca dalla costa.
E sulla morte resta il gocciolio dell’onda.

grecia Eveone, Un efebo serve il vino al banchetto. Lato A da una kylix attica

Eveone, Un efebo serve il vino al banchetto. Lato A da una kylix attica

commento di Mariella Colonna

Nell’evocare le vicende di Troia la poesia di Gino Rago è un prodigioso e vertiginoso scorrere di parole – ombra in cui l’assenza dell’evento ormai divorato dal tempo si materializza immediatamente nella presenza “ontologica” dentro il corpo la mente l’anima del lettore, qui adesso: chi riesce a leggerla senza lasciarsi “incantare” dal primo livello di significato delle parole che generano la propria ombra, cioè il mistero che racchiudono, entra nel mondo richiamato in vita dal poeta: chi legge il Ciclo di Troia a cuore aperto è già dentro la città in fiamme, sente l’odore acre del fumo, dei corpi bruciati, brancola nel buio alla ricerca dei sopravvissuti, inciampa nei massi e nelle pietre che si staccano dalle mura e dai palazzi assaliti dalla furia del nemico…poi incontra Ecuba piegata che batte la terra con le mani mentre evoca la forza dei defunti e si ferma a contemplare l’icona statuaria di questa Madre che non teme la morte (come un’altra Madre certamente più cara ma non più drammaticamente “vera” di Ecuba) anzi invoca e quasi richiama indietro i morti con la forza dell’amore che è più forte della morte, sempre sul piano dell’essere dominante nell’epica di Rago, al di là dell’evento storico. Qui adesso, non ieri o l’altro giorno, ho incontrato Ecuba per la prima volta nella mia vita culturale e reale, avrei voluto consolarla, avvolgerla nell’abbraccio dell’amore oltre il tempo ma avrei abbracciato me stessa…ho atteso l’Aurora, la bella dea della luce che esalta la devastazione delle rovine Troia, ma ne fa risaltare la drammatica realtà più forte del tempo e dell’oblio che tutto cancellano: Troia diventa così l’emblema di una civiltà violentata dalla civiltà successiva, da piangere e rimpiangere per la grandezza dei suoi personaggi ed eroi. Ettore, il più grande guerriero troiano, trova la morte per mano di Achille, dopo aver varcato le fontane di fuoco e di ghiaccio presso la torre di Priamo e il suo cadavere viene gettato in pasto agli uccelli. Priamo mortoAstianatte scagliato con furia per le mura d’Ilio / per dare fine alla stirpe troiana…Incendiate le Mura,distrutti i sacri Lari/ perduti affetti e beni“Noi siamo qui per Ecuba”è l’affermazione del poeta, che incide con parole solenni la presenza collettiva (noi) di quelli che provano il suo stesso dolore e la sua meraviglia di fronte al coraggio di una vecchia Regina che ora, nella notte dei secoli, è diventata soltanto se stessa sul piano dell’essere ed è vittima dei più astuti, non dei più forti: una moglie e una Madre in cui si raccolgono coralmente le Madri che sanno amare oltre se stesse e gli affetti terreni, diventando simbolo di tutta la comunità e della terra dove hanno vissuto, messo radici, fatto nascere e pianto generazioni di uomini e di eroi. Questa notte dei tempi che Gino Rago ci fa rivivere nella sua piena e complessa drammaticità ha la potenza di un vulcano che arriva fino a noi in continua eruzione di fuoco lava pietre incandescenti, ci fa sentire nel corpo e nell’anima fino a che punto sia aberrante e assurda la morte in guerra che rende disumani vincitori e vinti: infatti uno dei miti vuole che la stessa Ecuba, che a Troia ci si presenta come una statua di fronte all’eterno, fatta schiava da Ulisse, raggiunto il Chersoneso Tracico, abbia vendicato la morte dell’ultimo figlio Palinuro accecando il traditore Polimestore e facendone uccidere i figli. Questi sono i frutti della violenza folle che spesso rende folli i persecutori  e le vittime. 

Giorgio Linguaglossa su L’Ombra delle parole un anno fa definiva Gino Rago poeta del Mediterraneo: essendo la sua civiltà ideale tramontata per sempre… di qui… nel poeta prende vita la ricerca di una patria ideale da far rivivere con l’ausilio della poesia. E la sua patria Rago la ritrova nel passato mitico della guerra di Troia e nelle sventure delle donne di quella città.

Ma, leggendo altre poesie di Rago ci accorgiamo che, al dramma della civiltà omerica rappresentato nell’Iliade, il poeta associa la consapevolezza di quanto sia generosa oggi la natura della sua terra e di quelli che la abitano…in Fatelo sapere alla Regina: …Siamo ricchi di noi/ dei profumi del sole nelle primavere…Olio e ferite, vino e fatica,/ festa e camicia pulita,/vento fanciullo a danzare/ nell’erba, amore nelle mani/ quando cercano/ altre mani, oblio d’anemoni/ sui nervi delle pietre…

Ecco il contrasto, inciso a colpi di scalpello tra l’ombra profonda del passato con l’epica del dolore che annienta e dell’amore coraggioso che riscatta e la gioia incandescente di sentirsi figlio di una terra dove il sole ha fatto crescere le spighe mosse dal vento, dove si lavora con fatica ma si riprende forza con un bicchiere di vino, dove si è ricchi di se stessi per i canti del cuore/ la saggezza del pane, la quieta/ sapienza del sale:/ per le sciabole/ rosse dei papaveri nel grano. In questa dialettica scultorea tra ombra e luce, tra parole – ombra per evocare e far rivivere il passato e parole – sole e natura  Gino Rago offre in dono al lettore la gioia di esserci, oggi – e senza nostalgie o falsi miti che allontanino dalla meraviglia e dal mistero di esistere.

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Gino Rago

Gino Rago nato a Montegiordano (CS) il 2. 2. 1950, residente a Trebisacce (CS) dove, per più di 30 anni è stato docente di Chimica, vive e opera fra la Calabria e Roma, ove si è laureato in Chimica Industriale presso l’Università La Sapienza. Ha pubblicato le raccolte poetiche L’idea pura (1989),Il segno di Ulisse (1996), Fili di ragno (1999), L’arte del commiato (2005). Sue poesie sono presenti nelle Antologie curate da Giorgio Linguaglossa Poeti del Sud (EdiLazio, 2015) Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Progetto Cultura, Roma, 2016)   Email:  ragogino@libero.it

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Mariella Colonna

Mariella Colonna.  Sperimentate le forme plastiche e del colore (pittura, creta, disegno), come scrittrice ha esordito con la raccolta  di poesie Un sasso nell’acqua. Nel 1989 ha vinto il “Premio Italia RAI” con la commedia radiofonica Un contrabbasso in cerca d’amore, musica di Franco Petracchi (con Lucia Poli e Gastone Moschin). Radiodrammi trasmessi da RAI 1: La farfalla azzurra, Quindici parole per un coltello e Il tempo di una stella. Per il IV centenario Fatebenefratelli sull’Isola Tiberina è stata coautrice del testo teatrale La follia di Giovanni (Premio Nazionale “Teatro Sacro a confronto” a Lucca), realizzato e trasmesso da RAI 3 nel 1986 come inchiesta televisiva (regia di Alfredo di Laura). Coautrice del testo e video Costellazioni, gioco dei racconti infiniti in parole e immagini (Ed.Armando/Ist.Luce) presentato, tra gli altri, da Mauro Laeng e Giampiero Gamaleri a Bologna nella Tavola Rotonda “Un nuova editoria per la civiltà del video” ha pubblicato, nella collana “Città immateriale ”Ed.Marcon, Fuga dal Paradiso. Immagine e comunicazione nella Città del futuro (corredato dalle sequenze dell’omonimo film di E.Pasculli), presentato nel 1991 a Bologna da Cesare Stevan e Sebastiano Maffettone nella tavola rotonda sul tema “Verso la città immateriale: nell’era telematica nuovi scenari per la comunicazione”. Nel 2008 ha pubblicato Guerrigliera del sole nella collana “I libri di Emil”, ediz. Odoya. Nell’ottobre 2010 ha pubblicato, con la casa editrice Albatros “Dove Dio ci nasconde”.  Nel febbraio 2011 ha pubblicato, presso la casa editrice. Guida di Napoli “Due cuori per una Regina” / una storia nella Storia, scritto insieme al marito Mario Colonna. Un suo racconto intitolato “Giallo colore dell’anima” è stato pubblicato di recente dall’editore  Giulio Perrone nell’Antologia “Ero una crepa nel muro”; nel 2013 ha pubblicato “L’innocenza del mare”, Europa edizioni; nel 2014 “Paradiso vuol dire giardino”, ed Simple; nel 2016 coautrice con il marito Mario di “Mary Mary, La vita in una favola.”

78 commenti

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78 risposte a “PITTURA E POESIA Rosario La Polla – Gino Rago. Noi siamo qui per Ecuba:   metafora delle vittime – Rimane lei per sempre la Regina, Il figlio d’un eroe spaventa i vincitori, Noi siamo qui per  Ecuba –  Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa e Commento di Mariella Colonna

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  9. Mi sembra importante cogliere l’occasione di questa nuova proposta, sull’Ombra delle parole, del Ciclo di Troia di Gino Rago, commentato dalle interessanti interpretazioni pittoriche di Rosario Polla che si è cimentato con onore e in sintonia con il poeta, in un genere estremamente difficile, in cui hanno dato grande prova di sé i più famosi pittori contemporanei, tra i primi Giorgio de Chirico. Torno a Gino Rago: la sua poesia va letta più volte e approfondita, non solo per la raffinata novità di alcuni stilemi, , ma anche per non perdere la sua interpretazione “singolare” dei suoi personaggi-chiave, l’articolazione mai improvvisata dei ritmi e significati metaforici simbolici e allegorici che spesso si sovrappongono dando spessore alla poesia (ne riparleremo in seguito). La poesia di Rago è come un mare in cui si può felicemente navigare a fior dell’onda e godere la gioia del salmastro che penetra dentro e ci fa respirare, delle ondate-versi che talora s’infrangono di spuma, altre volte s’incupiscono minacciose…ma non basta, perché il mare nasconde in profondità i suoi misteri. L’epos del poeta è tutto volto ad afferrare ciò che il tempo ha occultato nella stratificazione delle rovine, i respiri profondi della civiltà “sepolta” di Troia che ama appassionatamente: sembra proprio che abbia “respirato” e fatto proprio i ritmi avvolgenti ondisonanti del Canto di Omero…ma improvvisamente si volge a penetrare con tutto il corpo, non solo con lo sguardo della mente e dell’immaginazione, Troia in fiamme e il dramma dei vinti: egli si fa corpo ed anima in uno con loro, soffre ,si lascia ferire e perfino uccidere dalla violenza del nemico per…dar vita ai morti, accomunando così i suo destino a quello della Madre che cerca di far rivivere i figli caduti in battaglia battendo i pugni a terra. Il poeta piange insieme alle donne, a Cassandra , Andromaca e soprattutto, come in una scena teatrale, accende una luce potente sull’anziana Regina, anch’ella piangente, che diventa così rappresentazione del dolore umano.
    La poesia di Gino Rago è “ontologica” perché egli non descrive, “è” i personaggi, il dolore, la Storia che ci presenta nei suoi versi: e sembra un sopravvissuto alla guerra di Troia e testimone diretto dei fatti. Le brocche e le suppellettili che immaginiamo andare in frantumi, le mura e le dimore di Ilio che cadono…sono “frammenti” di una storia sepolta nel tempo che il poeta fa risorgere con evidenza plastica: sono “frammenti” di realtà, che, nel raggiungere l’essere del poeta, ne acquistano un supplemento di vita e una dimensione tutta umana.

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    • Aggiungo che ho dedicato la mattina dell’otto marzo, festa delle donne, al Poeta che le ha cantate non per la loro bellezza ma per la condizione di “vittime” della violenza: e dedico la mia ammirazione e sostegno a quelle donne che, affrontando innumerevoli prove e sacrifici a tutti sconosciuti, casi hanno voluto tramandare alle generazioni future l’aspirazione profonda alla pace e all’amore tra i popoli.

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  10. gino rago

    Riferendosi ai miei versi per Ecuba, Mariella Colonna afferma: “La poesia di Gino Rago è “ontologica” perché egli non descrive, “è” i personaggi, il dolore, la Storia che ci presenta…”
    E’ il massimo, e il più silenziosamente desiderato, dono da attribuire o da
    riconoscere alla mia ricerca di poesia nei suoi esiti estetici e di stile.
    Perché da quando mi sono imbattuto in questa equivalenza, semplice e rivelatrice, “Profumo del Vangelo-Odore delle pecore” non sono più riuscito a slegarmene, inseguendola in ogni mio verso per la sua immediatezza
    e compiutezza, pur con un numero minimo di parole, se sono le parole
    “giuste”.
    Riconoscenza a Mariella Colonna, anche se mi carica con questo suo commento d’un peso gravoso per le attese che intorno al mio verso accende.
    Gino Rago

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  11. Caro Gino, sei sempre tu, con l’inarrestabile proiezione del tuo essere pronto ad accogliere i fremiti delle cose, dei personaggi e del mondo, l’origine del bello e del buono che si dice di te! Sono pronta ad accendere un fuoco che nessuno potrà mai spegnere intorno ai tuoi versi che hanno in sé ed ispirano qualcosa di sacro! E’ il valore supremo della vera Poesia che
    sola ti induce a varcare il limen e ad entrare nel tempio da dove scaturisce il limpido torrente dei versi di ogni grande poeta. Pensa Dante: “…Quali colombe dal disio chiamate, con l’ali aperte e ferme ad dolce nido per l’aere vanno dal voler portate…” Caro Gino, credimi, tu hai le doti necessarie a varcare quel “limen”…ricordi che hai chiamato “vestali” me e Chiara Catapano: noi veglieremo sul tuo “fuoco sacro”: puoi essere sicuro che, anche grazie a noi due, non si spegnerà!

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  12. Ricevo e trascrivo il Commento di Alfredo de Palchi giunto alla mia email:
    19:21 (51 minuti fa)

    Caro Giorgio Linguaglossa,

    non sapendo su quale spot inserire la mia opinione qui scritta, ti prego d’inserirla tu stesso perché sia letta dai protagonisti e da interessati.

    Durante la giornata di ieri,13 marzo 2017, la mia casella postale si è riempita di corrispondenza inviatami cc, per conoscenza. Non scherzo, per decifrare la lettura (ripeto che sono quasi orbo) e capire il contenuto ho sprecato parecchie ore notturne

    Ho capito che Flavio Almerighi, accusato di antisemitismo dalla Signora Letizia Leone, adesso accusa la direzione de L’Ombra delle Parole (anche se non ti menziona io leggo Giorgio Linguaglossa) di essere stato censurato. Personalmente, non seguendo quotidianamente L’Ombra delle Parole, i dettagli mi vengono vaghi. Tuttavia, è facile accusare di antisemitismo, come è facile accusare di censura. La mia esperienza personale di aver vissuto come marito e come amico di una ebrea per quarantanni, e di aver avuto un avvocato difensore ebreo (ex Pubblico Ministero ai processi di nazisti a Norinberga) alla mia revisione del processo a Venezia nel 1955, posso testimoniare che criticare il governo d’israele si corre il rischio d’essere facilmente frainteso. Mia moglie e l’ex Pubblico Ministero criticavano il governo d’Israele negli anni 1960 e non erano accusati di antisemitismo. C’è un altro lato, gli israeliani e gli ebrei in generale si sono appropriati del razziale semita senza ammettere che anche le odierne tribù arabe sono (almeno erano) di razzao semita.Allora, cosa dobbiamo dire degli ebrei americani e israeliani che criticano la politica del governo israeliano. Difendono lo stato d’Israele e allo stesso tempo difendono i palestinesi. Accusare di antisemitismo talvolta è un modo furbesco per silenziare, censurare, chi critica l’operato d’Israele. È chiaro che lo Stato non vuole uno Stato Palestinese, e I Palestinesi vorrebbero annientare Israele. Per me, la brusca critica di Almerighi può aver intensificato il triste giorno della memoria che la Signora Letizia Leone ricordava. Per principio, ripeto quello che scrissi in un commento, ricordo ogni giorno soltanto olocausti di animali. Quelli di umani commessi da umani non valgono di essere ricordati dagli umana ipocriti.

    Da questa storia che mi narro leggendo la corrispondenza, si passa a quello che Flavio Almerighi e Angela Greco pensano sia censura. Veramente non so cosa sia stato censurato. . Per mantenere llibertà di pensare e di scrivere vale lottare, ma non se il linguaggio è ritenuto volgare e carico di insulti diretto a una o più persone su una pubblica rivista cartacea o internet. Non si tratta di morale, di decoro, etc., manifestazioni ipocrite, si tratta di leggi che possono portare accusatori e accusati in tribunale per vilipendio. Ancora, questa storia che si prolunga è una banalità esagerata che io cestino. Mi si mandi dove si vuole. Basta!

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  13. Donatella Costantina Giancaspero

    Le considerazioni del poeta De Palchi sono di una logica rigorosissima e schiacciante. Dice bene: “Accusare di antisemitismo talvolta è un modo furbesco per silenziare, censurare, chi critica l’operato d’Israele”. Infatti, la politica è una cosa, l’antisemitismo è un’altra. Inoltre, dovremmo riflettere a lungo su quest’altra frase: “quelli [gli olocausti] umani commessi dagli umani non valgono di essere ricordati dagli umani ipocriti”. Vero: quanta falsità di comodo accompagna spesso le commemorazioni pubbliche. In quella falsità si annida anche la privazione della libertà. Si annida nell’ipocrisia delle frasi di circostanza, non in un parlare schietto, ragionato, veritiero, che non ha bisogno di sostenersi con la violenza. Le Parole non hanno bisogno di parolacce. E nessuno le cancella. Ma le chiacchiere, i pettegolezzi, i battibecchi da condominio, quelli sì, vanno censurati: sui blog e nella vita.

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  14. LO RIPETO PER L’ENNESIMA VOLTA:

    chi scrive su questa rivista parolacce, diffamazioni e provocazioni dirette alle persone e agli interlocutori, verrà cancellato e sottoposto a moderazione preventiva. Questo è un luogo dove si parla di letteratura, di arte, di musica, di filosofia… se qualcuno ha degli argomenti da proporre, è il benvenuto, se qualcuno insulta, verrà immediatamente cancellato e sottoposto a moderazione preventiva. A maggior ragione se qualcuno scrive frasi diffamatorie per l’homo sapiens. Credo che questo sia un principio elementare di democrazia da tutti condivisibile.

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