Miljana Cunta, classe 1976, è una poetessa slovena. Laureata in Letteratura Comparata e Inglese e ha conseguito in Master sulla Poesia inglese nel periodo vittoriano presso l’Università di Lubiana. Si è occupata di organizzazione culturale, traduzione e lessicografia. Ha diretto per alcuni anni il Festival Internazionale di Letteratura di Vilenica. Ha pubblicato sulle riviste “Sodobnost”, “Nova revija”, “Lirikon”, “Poetikon”, “Zvon”, “Tema”. Sue poesie sono state trasmesse alla radio per i Notturni letterari. Vive tra Sempeter, vicino al confine italo-sloveno, e Lubiana. Il suo primo libro, Za pol neba (Per metà del cielo), edito nel 2010 dalle edizioni Beletrina di Lubiana, e ha ricevuto le nomination per il Premio Veronika e il Premio Jenko, ed è stato tradotto in italiano da Thauma edizioni (2013).
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Chiara Catapano sulla poesia di Miljana Cunta: Za pol neba
La poesia di Miljana Cunta m’ha lasciato in sospeso cento promesse: cento promesse come cento chiese. E io attendo, immersa nella gracilità dell’alba, dalle altezze di cento campanili, il primo timido rintocco di campana.
Ecco che, dentro un’immagine, tace improvviso il mondo. La chiesa diventa anelito al tempio della fede nell’uomo e nella sua natura mitologica.
Me ne accorgo quando Miljana legge nella sua lingua madre: frenature, sfregamenti e parole – rintocchi: lo spazio tra i suoni è “l’alveo silenzio” di cui parlavo. Nulla lo colma, così come Achille non raggiungerà mai la tartaruga.
L’eroe si distacca dal fondo. Vibra in terra il passo risuonato dal distacco. Lì al suolo, opportunità estrema estenuata parola: occhi brevi, eterna scintilla di rinascita, scrutano l’attimo lasciato cadere con volontà, il granello che spiegherà, in chi lo colga, il finale.
Sono, queste, poesie che svelano nell’imprecisione della formula poetica il femminile come principio, e la sua forma: interrogazioni insistenti, ma solo quando l’intrico di sonorità e silenzio introduce – e invoca – i teneri virgulti della naturalità. Legare e sciogliere, “drama” antico, azione che rende umani.
Ho ritrovato la chiave della lettura mitologica del contemporaneo, l’equilibrio scalfito continuamente, e insistentemente ristabilito: l’ardore del tizzone eruttato al centro dell’oceano-mare, e lì sprofondato alla ricerca delle sue immutate radici.
È una poesia scritta dalle figlie per i padri, nasce dalla contraddizione: poesia corale, per voce sola.
L’eros in “Per metà del cielo” ci giunge “dal cielo avvolto in un mantello di porpora”, come quello cantato a fil di voce nei talami di Saffo. Piede leggero che segue, nel tetragono della danza, il tirso alzato e abbassato al suolo a ristabilire il contatto sulla linea spezzata di due orizzonti. L’attimo precedente e quello immediatamente successivo allo schianto del bastone ai piedi del danzatore, il sospeso anelito a essere nel divenire, è la formula imprendibile dell’amore che attraversa sosta e passa, come vita dentro la vita: “Un tempo eri attento e silenzioso” (Lepidotteri/Metulji). Un tempo, poi non lo sei stato più. Solo di quel tempo si può raccontare, nulla si può dire del prima (se mai è esistito) o del dopo con le sue case di paglia, le notti brevi e senza alba.
L’eros famelico che sboccia oltre l’inquieta favola, il luminoso compagno di Thanatos, se ne trascina dietro le ombre e le proietta nella convessità sacra, la polla angusta di quel religioso stupore che genera ed è generato dal silenzio.
A noi che viviamo il tempo della disattenzione rimane l’altra metà del cielo, il rifugio della parola pronunciata come una formula, rito d’assoluta definizione dei ruoli, proprio per poter vagare lungo i confini, lungo le linee spezzate che infinitamente rincorrono la loro perfezione.
***
Carissima Miljana,
desidero inviarti questi miei “appunti sulla poesia di Za pol neba”. Prendili per quel che sono: il modo in cui la luce rifranta sopra un destino in parola ne illumina altri. Spero quanto scrivo possa essere nelle tue corde e nel tuo sentire.
Un caro abbraccio e davvero a presto,
Chiara
Carissima Chiara,
(…)
Mi sono commossa leggendo la poesia dedicata a me. E cosi delicata, allusiva e allo stesso tempo intensa – bellissima, grazie di cuore! E poi la tua critica / i tuoi pensieri. Sento che sei entrata veramente dentro nella mia scrittura e che non ti fa paura ma ti inspira (cosa oscura anche a me). Ti ringrazio per queste parole, per il tempo che hai dedicato alle mie poesie.
Miljana
Poesie di Miljana Cunta
Mare
Per quasi tutto il giorno, l’ultima
volta, abbiamo guardato il mare.
Non volevamo muovere i piedi,
volevamo restare svegli,
il sole restava alto, sospeso.
Verso sera abbiamo fatto appena in tempo
ad inspirare la luna, l’acqua
ci raggiungeva sino al collo.
Uno sguardo alla deriva.
Ma lo stesso, per un giorno ancora,
stava il nostro giaciglio sulla riva.
L’albero
L’albero nel nostro giardino
al mattino ha figliato un sasso.
L’intero giorno vi stiamo sotto ed aspettiamo
risposte.
L’albero tace un tempo illimitato
quando è provocato, lo sappiamo,
per questo facciamo in modo che tutto sia
come ieri, quando nel giardino cadevano mele.
Stendiamo la biancheria e rivoltiamo la terra,
piantiamo pomodori nelle fosse dei ravanelli,
congetturiamo sul tempo,
contiamo i baci del sole.
Ma l’albero tace.
Tutto il giorno
l’albero
tace.
Vecchi incanutiti, ceniamo
alla sua ombra di sasso,
con le orecchie irsute allunghiamo
il collo indurito verso la cima
della sua vegetazione, giust’appena
sotto il cielo attendiamo
che dica quale magia lo possiede
o se gli fa male.
La casa è polvere,
l’erbaccia uccide il giardino,
gli arti prosciugati si ricordano del contatto,
c’è solo l’albero.
L’albero, possente sino al cielo,
innalza il suo vigore
e sceglie
le parole.
Un tempo allora
Un tempo vivevamo con un uccello silenzioso.
L’autunno se ne stava sopra le logore
abitudini e cuciva le fenditure
nelle parole, perché le indossassimo fitte
ed intere. Cullava la quiete invernale
sotto le morbide ali, mentre dipingevamo,
noi due bambini, la sua strada verso il sud.
Nella casetta del mangime gli spargevamo i ricordi.
La primavera stormiva sotto le ali,
la guardavamo mentre covava l’oblio.
D’estate cercavamo le ombre
nella fredda immobilità degli occhi.
Allora vivevamo con un uccello silenzioso.
La casa
Quando mi chino sulla tua anima, mentre dormi,
e ascolto…
Juan Ramón Jiménez
Mentre dormi demolisco la nostra casa
perché so: per costruirla, devi demolirla tre volte.
La prima distruzione fa male.
Strati su strati di mattoni fatti di foglie rosse
invitano ad abbandonarti nell’abbraccio dell’autunno.
Nella seconda distruzione sussuriamo
che fa lo stesso,
che prima del quieto riposo
dei giochi impolverati in soffitta
non c’era stata infanzia.
I muri sono il presagio degli sguardi murati
e non vi è fuoco che sappia disegnare i coniglietti sul letto.
Nella terza distruzione della casa
soffia il vento da ogni dove,
i rami imbizzarriti dei castagni sollevano i frutti
verso il sole rovente.
La terra brucia il proprio midollo,
rimette con eruzioni sulla superficie
la voluttà.
La selvaggina, occhio socchiuso della natura,
nel conforto dell’estate
si muove libera per il giardino fecondato.
Sullo stoino lavato della casa
i primi visitatori
si asciugano i piedi.
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Lettera
Ti scrivo
che la Neva lentamente si prosciuga.
Spudoratamente, negli occhi del lungo sogno russo,
assente disegna le ultime curve
come una celebrazione funebre
senza bara.
Vive ancora solo nei giornali
che con la congettura della vera causa
dell’imprevisto deperimento
fermamente iscrivono alla storia.
Ma lei più non sa
quando lungo la sua schiena liscia scivolano le prime stelle,
quando dal fitto nucleo sciaborda un presagio di vita,
come titillano le gocce di pioggia,
come l’occhio sopra essa ha memoria.
Nello scherno alla dura malinconia
della madre Russia ancor più greve
gli steli vermicolari delle foci
fa scendere nel nido della terra,
dove la morte schiude i becchi affamati.
Un fiume carsico sarà un giorno
la bella Neva, annuiscono coloro che sanno,
congetturano l’angolo del pendio e la composizione dell’acqua,
dividono la singolarità del conoscere col tempo della ricerca
e sommano la gloria,
mentre
naturalmente
si prosciuga, la bella Neva,
spudoratamente,
negli occhi
del lungo
sogno
russo.
.
Betulle
Han spogliato nude le betulle
nel profondo nella gola del bosco.
I corpi scortecciati trepidano,
la pelle scuoiata si disgrega nella terra.
Bacio le betulle svelate
tutte le notti da sola.
Mi attacco delicatamente agli sfregi,
accarezzo i cerchi degli anni,
vezzeggio le fessure nelle radici,
tendo la mano alle secrezioni dei rami.
Han spogliato nude le betulle
nel profondo nella gola del bosco.
Quando nelle chiome secche si configge
il quarto di luna che scioglierà l’oscurità,
bacio le svelate betulle.
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Lepidotteri
Un tempo eri attento e silenzioso.
I gialli lepidotteri scivolavano
sul paesaggio della pelle
e comprendevi i loro movimenti,
indovinavi le direzioni. Quando aprivi la bocca
il pensiero si liberava dalla
simultaneità dell’odore, del movimento, dello sguardo
che tu chiamavi corpo.
Era l’acqua sino al lembo
del mistero; vi mettevi a mollo la biancheria
dell’infanzia, perché da quella si detergesse il tempo.
Ad essa sparavi perché si vedessero i segni
del desiderio. A ognuno davi un nome,
prima che il cerchio in superficie scomparisse.
Guardavi le persone come fossero un bosco,
verde per quanto vicino.
All’alba sei entrato nel corpo duttile sapendo
che solo il silenzio puoi compartire con altri;
nell’alone del chiaro di luna sul lago
non vi è spreco di parole.
Ma la poesia c’era.
La vanitosa tiranna giunse
inaspettata, ma in una sfilata regale.
C’era il fuoco, arrivava sino al margine della mortalità.
Poiché avevi donato agli dei
del tuo profitto,
era la morte la tua compagna.
Insieme avete levigato i lembi dell’esistere
nel far penzolare il giorno
nell’oscurità.
Un tempo
eri attento e libero.
I gialli lepidotteri
svolazzavano lungo i contorni del volto
e comprendevi le loro direzioni.

miljana_cunta
Cinque lamenti di Medea
I
La punizione fu terribile, Medea:
le tue membra prolungherai attraverso i millenni,
come ammonimento.
Oggi
lunghi capelli neri
cadono dal cielo durante un tremendo temporale,
docilmente le forme sferiche
si sollevano dall’oceano,
sulle dimenticate linee parallele della superficie terrestre
le isole della tua malinconia visitano le anime perdute.
Ed i consapevoli che misurano il diametro del tumulto.
Le unghie affilate
graffiano la gonfia sfera del cielo
perché si riversi a tempo debito
il liquido amniotico,
il capezzolo bagna la terra
in tempo di siccità.
Immersa in sé, Medea, non dormi più,
nella diffusa quiete stai in ascolto:
del ruotare della terra e
dell’oscillazione degli amanti.
Ne va della tua anima, per la tua anima
mercanteggiano gli sciacalli della legge
che non sanno
che la punizione è già stata,
terribile,
poiché non vi era trasgressione
che potessi sopportare lo sguardo sul sangue del figlio.
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II
Chiudete le finestre, sbarrate le porte
che giunge la salvezza, che giunge a
essere qui,
sola con il mio respiro,
sola con il mio respiro.
Spegnete le stelle, zittite il chiacchierare delle vecchie
davanti alle porte, sono falene,
s’intromettono nelle ultime piccole luci dell’anima
e attorno ci volano sino al suicidio.
Il suicidio di chi?
Portate stracci di cotone, erbe,
sanguinano coloro che amo!
Soffiate via la polvere,
che non ci sia memoria,
lavate la soffitta caliginosa,
che non piova la notte!
Rammendate la cieca feritoia,
che non vi passi, strisciando, la formica,
che non rimetta il conforto del mondo.
Soffocate l’uccello nella gabbia,
tutti coloro che amo tacciono,
tutti coloro che detesto battono il tamburo
sulla pelle troppo tesa
delle passioni, che non conosca passioni!
Corro, corro,
sanguinano coloro che amo,
dove vado, dove corro?
Capelli oltre il volto,
unghie sino al cuore,
le fasce mi pongo sulle ossa,
una creatura grottesca, i corvi nel giardino
si fanno beffe degli occhi rigonfi.
Chiudete le finestre, sbarrate le porte!
Che giunga la salvezza, che giunga a
essere qui,
sola con me,
sola con te.
III
Quando ti sei chinata sul fiume,
là dove le donne lavano i vestiti dei figli,
c’era il sole
nell’incavo tra l’addome ed il seno
che tramonta.
Attorno e attorno
ti allettava l’urlo del vento
e tu ti sei sollevata
dalle faccende,
alta
come una statua in alabastro nel tempio
tenevi testa con orgoglio agli sguardi fortuiti.
Una sola mano poteva
toccare il capo,
afferrare i neri capelli e scuoterti sino a prevaricarti.
Non hai mai chiesto, mai hai contestato,
tutta palpitavi la promessa di fede,
a me,
sino a che un giorno il fiume
è uscito dai propri argini
ed ha soffocato il sole.
Nell’incavo tra l’addome ed il seno
ha trovato casa la notte, ed hai detto
che la colpa sta nella casa di mio padre.
IV
Prima che, il terzo giorno, tu riprendessi coscienza,
l’imponente balena bianca
si è arenata sulle chiome degli alberi
nel giardino di casa della tua infanzia
e lentamente
ha lasciato cadere l’ombra del disonore sul podere.
Tutti i tuoi per te pregavano
sotto l’oscurità sempre più densa
sino alla fine, sino
al buio completo.
Negli occhi dei pesci ora
cerchiamo conforto,
con le labbra incollate cerchiamo i resti
della luce dell’anguilla.
La punizione è stata orribile, Medea,
hai infamato la casa di tua madre.
V
Tacciono amati.
Tacciono.
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Miljana Cunta, estratto dalla raccolta Per metà del cielo (titolo originale “Za pol neba”). Thauma edizioni, 2013.
Appare per la prima volta in italiano la sua raccolta completa, ad opera del poeta e traduttore Michele Obit, per Thauma edizioni.

chiara-catapano
Chiara Catapano nasce a Trieste nel 1975. Si laurea nell’ateneo tergestino in filologia bizantina.
Vive per alcuni anni tra Vienna, Atene e Creta, approfondendo così i suoi studi sulla cultura e la lingua neogreca. Collaborazioni recenti: Fondazione Museo storico del Trentino: assieme al dott. Andrea Aveto dell’Università di Genova; riedizione dei “Discorsi militari” di Giovanni Boine, nell’ambito di uno studio sull’autore portorino. Per Thauma edizioni: ha curato l’edizione di “Per metà del cielo”, della poetessa slovena Miljana Cunta (trad. Michele Obit). Per l’Istitucio Alfons el Magnanim CECEL – Consejo Superior de Investigaciones Cientìficas, rivista “Anthropos” numero di febbraio 2015, l’articolo: “Sopra la rappresentazione transmoderna del sé”.
http://www.anthropos-editorial.com/DETALLE/LA-CONDICION-TRANSMODERNA.-ROSA-MARIARODRIGUEZ-MAGDA-RA241
Con Giulio Perrone esce a giugno 2011 la sua prima raccolta “Apice stretto” in “Verso libero- antologia poetica a cinque voci” con prefazione di Letizia Leone.
A ottobre 2011 esce la sua raccolta “La fame” edita da Thauma Edizioni
A novembre 2013 pubblica la raccolta “La graziosa vita” (Thauma edizioni) dialogo sulla tomba di Giovanni Boine, uscita sotto l’eteronimo di Rina Rètis – opera dedicata allo scrittore portorino.
Ha collaborato fino al 2013 con l’associazione culturale “Thauma” di Pesaro, per la cui casa editrice è stata curatrice.
Ha curato per il Comune di Bolzano, assieme alla regista Katia Assuntini un cortometraggio nell’ambito di un progetto d’integrazione delle giovani ragazze immigrate: in particolare ha coordinato il lavoro di traduzione per una giovane poetessa pakistana.
Cortometraggio poetico basato sul poemetto inedito “Alìmono”, in collaborazione con gli artisti pugliesi Iula Marzulli, Marianna Fumai (RecMovie) e Gaetano Speranza: prima proiezione il 26 dicembre 2016 al Lecce Film Fest.
Collabora con la compagnia teatrale Fierascena, fondata dall’attrice e regista Elisa Menon.
Sue poesie e prose poetiche sono apparse in riviste, siti e blog letterari, quali:
blog di intercultura italo-slovena La casa di carta-Papirnata hisa, “Poeti e poesia” e “AbsolutePoetry” (http://www.absolutepoetry.org/il-figlio) a cura di Francesca Matteoni (2011);
“Fiabesca”, blog di Francesca Matteoni;
Catalogo della mostra personale di Jara Marzulli (http://www.jaramarzulli.it/) “Come bocca di pesce i pensieri”;
“Di là dal bosco”, ed. Le voci della Luna, 2012;
Le voci della Luna, rivista: n. 55 “L’inutile bellezza, il senso di colpa nella poesia di Maria Barbara Tosatti”, marzo 2013; n. 56 “L’artista primordiale, omaggio a Odysseas Elytis”, luglio 2013.
“A Topolò, questa dolce sera…”, e “Oggi a Udine è risorto un poeta” – apparsi sul sito ufficiale del poeta Gian Giacomo Menon, voluto e curato dal giornalista Cesare Sartori. http://www.giangiacomomenon.it/testimonianze/oggi-udine-e-risorto-un-poeta/
Intervista sul sito “World War I Bridges”, http://www.worldwarone.it/2015/12/rediscovering-italian-intellectualsnew.html?m=1
“Giovanni Boine: la punta dell’iceberg”, nel blog di Alberto Cellotto, Librobreve.
Ha presentato nell’ambito del Festival “Trieste Poesia” la raccolta “La graziosa vita”, presso lo storico caffè San Marco
Presentazione-intervista con Michele Obit, presso il Festival internazionale “Stazione Topolò”, luglio 2014
Con un cordiale saluto, mi pregio e mi onoro farVi pervenire il mio piccolo ‘ capolavoro’ in allegato alla presente, inserito in una ‘C.L.U’ Collana Letteraria Universale della KELTIA EDITRICE I Ligustri Rilucenti Mistery Racconti di Insolite Vicende a pag. 162, 163, 164 che considero l’antidoto ai mali dell’Umanità , naturalmente nel suo “Piccolo” tra le dovute ” “. antonino freni maestro poeta e giornalista/pubblicista, autore anche delle Figurine Parlanti e del libro di Poesie “QUELLO CHE CONTA è … LA QUALITà DEGLI AFFETTI”.
“Il capezzolo bagna la terra/ in tempo di siccità”: che non sia per Miljana Cunta il correlativo oggettivo della ” Parola “, anche quella d’ogni giorno, ma sapientemente elevata ad arte , come ultima resistenza al dilagare dei barbari, in quest’ora sciatta di questo nostro mondo scadente, chiassoso e perfino volgare?
Oggi, Chiara Catapano scrive una pagina memorabile interpretando la poetica e i versi di Miljana Cunta evidenziandone la cartografia psichica incentrata sulla triade comune ai grandi poeti: l’anima, l’Io, l’Io reale (ovvero l’Io me stesso); vale a dire, l’ethos, il pathos e la facoltà di conoscere del poeta che ben coesistono e fremono e cantano nei versi della Cunta nella limpidezza del dettato, nel ritmo proprio d’un “fiume carsico”, nel tono, nella ricchezza del lessico. E in “Medea”, grazie alla proposta poetica di Chiara Catapano e sorretta da Giorgio Linguaglossa, a volte ho udito lontane risonanze di quel trasporto e di quella speranza che fecero grande Emily Dickinson “(…) Così avviene con tenebre più vaste/ Quelle notti dell’anima/
In cui nessuna luna ci fa segno,/ Nessuna stella interiore si mostra…)”, in una asse stilistico-estetico Dickinson – Guidacci – Cunta.
Gino Rago
Caro Gino, attento a ogni riverbero, ad ogni sfumatura. Mi piace quel che hai posto in evidenza.
Questi sloveni (mi viene in mente anche Peter Semolič – qui con un suo Ulisse fantastico: http://www.atelierpoesia.it/portal/it/poesia-it-mul/poesia-estera-mul/item/163-peter-semolic) mantengono un filo diretto con tradizioni antiche e più recenti; hanno, nell’intaglio della lingua, la forza di un’assimilazione e di un superamento. Io non leggo lo sloveno – e questa mancanza mi spiace, per ovvie ragioni – , ma ho sentito Miljana Cunta piagare i suoni di una mitologia più accosta certo a quella dei greci che a quella tipicamente “all’occidentale”. Vi è una trasparenza incorruttibile, che la Cunta appoggia, verso dopo verso.
La Medea ero certa t’avrebbe catturato: è nelle tue corde, e tu t’accorgi di ogni vibrazione minima del mito.
Umano troppo umano, direbbe qualcuno.Non posso crederci qualcuno intitola “Albero””Mare”.Forse Medea per me ha sensi a 5 punte troppo interrati sanguinante lattiginosa mammaria, ma questo mio gusto personale poco importa. E’un si!
Questa poesia di Miljana Cunta mi sembra segua nelle orme della grande poesia degli slavi del Sud (Yug), così potentemente simbolica, in cui ogni immagine, ogni oggetto, ogni pensiero irradia una intensità “pre-scritturale” (Marina Lipovac-Gatti) che difficilmente troveremmo altrove. Sento in lei l’eco di grandi poeti non lontani culturalmente da lei, Slavko Mihalic, Ivan Lalic, Vasko Popa. Meno, stranamente, si sente Edvard Kocbek, che pure è suo connazionale.
Nelle poesie di Miljana Cunta puoi quasi seguire passo per passo, come l’oggetto di ogni giorno, dentro un pensiero creatore, inizia a trasformarsi, a diventare favoloso, fiabesco, portandoci così molto avanti sulla via che arriva a sfiorare l’archetipo, laddove tutto diviene possibile, tutto crea e si crea in una dimensione epica.
Sento forte in poesie come “la casa”, “L’albero”, “La Lettera”, “Betulle”, la presenza di quella radice simbolica – quello che, a proposito dei poeti slavi del sud, sempre Marina Lipovac-Gatti ha chiamato “la luce dell’archetipo” – che oggi può offrire alla poesia europea una linfa immaginifica di cui essa ha disperatamente bisogno. La linfa dei poeti slavi del sud.
Ma lei più non sa
quando lungo la sua schiena liscia scivolano…
Quando aprivi la bocca il pensiero /si liberava….
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non riesco a considerare queste parole come versi…
e la poetessa questi esempi dovrebbe eliminarmi,
giulia rispoli