Mariella Colonna. Sperimentate le forme plastiche e del colore (pittura, creta, disegno), come scrittrice ha esordito con la raccolta di poesie Un sasso nell’acqua. Nel 1989 ha vinto il “Premio Italia RAI” con la commedia radiofonica Un contrabbasso in cerca d’amore, musica di Franco Petracchi (con Lucia Poli e Gastone Moschin). Radiodrammi trasmessi da RAI 1: La farfalla azzurra, Quindici parole per un coltello e Il tempo di una stella. Per il IV centenario Fatebenefratelli sull’Isola Tiberina è stata coautrice del testo teatrale La follia di Giovanni (Premio Nazionale “Teatro Sacro a confronto” a Lucca), realizzato e trasmesso da RAI 3 nel 1986 come inchiesta televisiva (regia di Alfredo di Laura). Coautrice del testo e video Costellazioni, gioco dei racconti infiniti in parole e immagini (Ed.Armando/Ist.Luce) presentato, tra gli altri, da Mauro Laeng e Giampiero Gamaleri a Bologna nella Tavola Rotonda “Un nuova editoria per la civiltà del video” ha pubblicato, nella collana “Città immateriale ”Ed.Marcon, Fuga dal Paradiso. Immagine e comunicazione nella Città del futuro (corredato dalle sequenze dell’omonimo film di E.Pasculli), presentato nel 1991 a Bologna da Cesare Stevan e Sebastiano Maffettone nella tavola rotonda sul tema “Verso la città immateriale: nell’era telematica nuovi scenari per la comunicazione”. Nel 2008 ha pubblicato Guerrigliera del sole nella collana “I libri di Emil”, ediz. Odoya. Nell’ottobre 2010 ha pubblicato, con la casa editrice Albatros “Dove Dio ci nasconde”. Nel febbraio 2011 ha pubblicato, presso la casa editrice. Guida di Napoli “Due cuori per una Regina” / una storia nella Storia, scritto insieme al marito Mario Colonna. Un suo racconto intitolato “Giallo colore dell’anima” è stato pubblicato di recente dall’editore Giulio Perrone nell’Antologia “Ero una crepa nel muro”; nel 2013 ha pubblicato “L’innocenza del mare”, Europa edizioni; nel 2014 “Paradiso vuol dire giardino”, ed Simple; nel 2016 coautrice con il marito Mario di “Mary Mary, La vita in una favola.”
Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa: «La nuova poesia ontologica»
Nella poesia di Mariella Colonna si verifica lo spostamento del baricentro narrativo, dal tempo cronologico, (fondato sul presente, sull’«hic et nunc», assunto come unica realtà), al tempo simultaneo e compossibile. Si tratta di una scelta non da poco, per un duplice motivo. In primo luogo, per l’intrinseca labilità che sembra avere questa dimensione, testimoniata dalle immagini e dalle espressioni che usiamo tutti i giorni quando parliamo del presente, dicendo, usualmente che esso “passa”, “scorre”, “fugge” o, addirittura, “vola”. In secondo luogo, per la difficoltà che il pensiero filosofico e scientifico in generale hanno di confrontarsi con l’esperienza fenomenologica immediata e con l’affermazione di «presenza» di una situazione, nonostante il fatto che essa sia di natura pubblica e appaia fondata su una condivisione di esperienza tra tutti i soggetti ‘presenti’ in comunicazione diretta.
Questa difficoltà è ben testimoniata dall’analisi della struttura nomologica della fisica, all’interno della quale la nozione di presente, se non intesa in senso pragmatico, è del tutto assente. Le leggi della fisica, infatti, non possono dipendere dal particolare istante di tempo in cui le consideriamo, né vale certo, come possibile confutazione di questo assunto, il riferimento alle condizioni iniziali, che, anche a voler prescindere dal fatto che, nell’ambito della cosmologia, non possono essere così chiaramente distinte dalle leggi di natura, dipendono solo dallo stato precedente del sistema fisico in esame, e non da uno specifico istante di tempo. L’omogeneità del tempo della fisica fa infatti sì che nessun istante possa essere privilegiato come unicamente esistente o distinto dagli altri.
La fisica non si interessa dell’accadimento di un determinato evento, né guarda le cose dal punto di vista temporale associato a un insieme particolare di eventi, secondo una prospettiva, cioè, che renderebbe del tutto naturale affermare che, in quel particolare tempo, solo quegli eventi esistono. Nell’ambito di essa viene invece assunta un’esistenza di tipo più generico, intesa nel senso di esistere a un qualche (e non in un determinato) istante di tempo, corrispondente dunque a considerare le cose sub specie aeternitatis.
Non si tratta soltanto di una mera «variazione di significato» ma anche di un mutamento di paradigma e del concetto stesso di «reale», che diventa l’insieme o la somma di tutti i punti di vista possibili, cioè di tutti gli eventi che esistono indipendentemente da quando accadono. E questo è il concetto guida delle poesie di Mariella Colonna, come della «Nuova poesia ontologica», il cui concetto di «reale» presuppone la compresenza e la contemporaneità di eventi lontanissimi nel tempo e nello spazio.
L’io (moi) non è il soggetto (Je).
Il primo, appartiene a una dimensione immaginaria, il secondo coinvolge il piano simbolico e concerne ciò che Lacan chiama «soggetto dell’inconscio». E l’inconscio, dirà Lacan nei suoi Scritti, «è il discorso dell’Altro». La soggettività è una dimensione aperta, trascesa, ma ferita dall’intervento del significante. L’essere del soggetto non si esaurisce nell’Io (moi), perché quest’ultimo è un miraggio, il luogo di una dis-locazione e affonda le sue radici nella nientificazione. Esiste una sfasatura tra moi e Je e questa sfasatura è ciò che Lacan chiama soggetto dell’inconscio. Vediamo di cosa si tratta. L’inconscio è strutturato come un linguaggio ed il linguaggio parla. La struttura simbolica del linguaggio dell’inconscio non conosce la rigida partizione del tempo: passato, presente e futuro, né la rigida partizione dello spazio degli eventi, ma il tutto comunica con il tutto. Il discorso poetico di Mariella Colonna è strutturato come la dimensione inconscia del linguaggio dove il soggetto è un «assente» che parla in quanto abitato dalla dimensione linguistica del simbolico.
Ne L’interpretazione dei sogni Freud vede nel lavoro onirico, nella condensazione (Verdichtung) e nello spostamento (Verschiebung)
i meccanismi tipici, eminenti, di quel lavoro onirico che la censura dell’Io applica dando vita al sogno. Metonimia e metafora diventano la trascrizione in termini retorici di questi meccanismi. Per Freud il sogno, i sintomi, i lapsus, il motto di spirito, sono rivelatori di un qualcosa che accade all’insaputa del soggetto, che svelano la presenza nella vita del soggetto di pensieri e desideri di cui egli non ne sa nulla ma che insistono nella vita e nell’esperienza di tutti i giorni in termini inconsci. Freud può affermare che il sogno è la «via regia» per l’inconscio, in quanto ha potuto osservare come, attraverso le operazioni che chiama di condensazione e di spostamento, vi sia un al di là dell’io, una dimensione che si esprime attraverso un discorso che oltrepassa la volontà esplicita del soggetto che a sua insaputa continua a manifestarsi nella vita del soggetto.
La poesia di Mariella Colonna prende forma dalla assimilazione di questi due procedimenti all’interno della traslazione simbolica in un discorso poetico che è la dimora stabile dell’Altro dal soggetto, che parla per interposta persona come discorso dell’Altro.
Mariella Colonna in queste poesie fa un discorso dell’Altro, narra di eventi e personaggi lontanissimi come se fossero vicinissimi, letteralmente, vede i suoi personaggi muoversi come da un cannocchiale del tempo e dello spazio, come nella poesia «Quattro cavalieri», vero apice della poesia colonniana, dove i cavalieri sembrano sbucare dalla notte del tempo, al galoppo, tra «la polvere di stelle» mentre la reietta Raquida sta partorendo in solitudine… Nella poesia della Colonna il prosaico è sempre in diretta correlazione con il sublime, l’empireo; gli angeli sono sempre in correlazione diretta con i reietti, l’età dell’oro del tempo mitico con l’età del ferro dei nostri giorni opachi.
La poesia «Chissà se Goya» è una vera passeggiata lunare con le stampelle da equilibrista, ci porta nella Parigi dell’Ottocento attraverso le Folies Bergère in rue Richter, 32 dove c’era stato Toulouse Lautrec, per passare poi al CERN di Ginevra dove hanno scoperto «la particella di Dio», e poi attraverso rocambolesche peripezie si arriva ad un misterioso poeta che abita a Roma nel secolo presente. Il tutto è davvero ardito, c’è una compresenza di eventi e di personaggi che provengono da secoli e mondi diversi, ma, si sa, che nella «Nuova poesia ontologica» tutto è possibile, il tutto confluisce nel tutto e defluisce nel nulla. Si avverte la presenza del «vuoto» che aleggia un po’ dovunque. E questo è il segreto della poesia ontologica di Mariella Colonna, che non c’è più alcuna legislazione che valga per tutti gli aspetti del reale, ammesso che il reale sia quello che ci hanno raccontato e non sia altro.
Essere e linguaggio, insomma, obbediscono a leggi diverse:
si dà ordine del senso, a livello ontologico e proposizionale, solo nella misura in cui ne va dell’essere, e cioè nella misura in cui la sfera dell’essere resta incisa dal linguaggio, evirata, se così si può dire, della sua integrità e della sua mitica purezza. Nell’unità dell’essere, in questa unità ideale e pre-simbolica, il linguaggio appare così come discorso dell’Altro, introduce il segno come traccia, iscrizione di un Altro, del «poeta invisibile» al quale viene indirizzata la poesia, o quel Nikandros, figlio di Nessuno, o figlio prediletto dell’io narrante…. Ed è grazie al gioco di presenza-assenza che il significante dischiude sempre nuove possibilità fiabesche e narrazionali. Il discorso poetico diventa così il luogo in cui il soggetto si annulla. Nel discorso poetico il soggetto incontra la propria nientificazione, il proprio essere-per-la-morte, quella inaugurale sottrazione che scinde la presenza ripetitiva del «godimento» lacaniano, del piano della pienezza dell’eessere dalla rappresentazione di cui il significante, come luogo in cui il soggetto evanesce, è marca della disparizione.
Alienazione e separazione, metafora e metonimia, costituiscono così il binario duale della poesia colonniana.
Nella «dimensione fantasmatica» che abita una topografia fantasmatica vediamo allestita la messa in scena del venir meno del soggetto di fronte al mancare della «Cosa», quella sorta di estrema quanto inconscia riparazione simbolico-immaginaria a un cedimento strutturale avvenuto a livello ontologico, cedimento da cui proviene ciò che Lacan chiama, nel suo significato più generale, il «soggetto parlante». Il «fantasma» è così al contempo, il limite del simbolico e un’illusione ma anche l’estrema risposta al venire a mancare della «Cosa» come fondamento dell’essere del soggetto. Ciò che mi preme sottolineare è proprio l’aspetto scenico della poesia colonniana, la sua natura squisitamente letteraria dove il soggetto si ritrova come osservatore e autore al contempo di quello che può a tutti gli effetti essere definita la narrazione della sua mancanza, del suo venir meno. Il fantasma è infatti, in ultima istanza, una entità frastica che rappresenta lacanianamente il limite del simbolico. A livello linguistico simbolico esso si presenta come una proposizione; a livello immaginario, è una scena e si presenta in modo ricorsivo, come il ritorno del «fantasma» nella poesia colonniana e, più in generale, nella «nuova poesia ontologica», attraverso la rappresentazione di personaggi simbolici in azione.
Si veda J. Lacan, La direzione della cura, in Scritti, cit. p. 633.
Chissà se Goya
mi avrebbe accompagnato, a Paris, in rue Richter 32,
allo spettacolo delle Folies Bergères!
Ci andò, a fine Ottocento, Toulose Loutrec per vedere
gli illusionisti, l’incantatrice di serpenti Nala D.,
la danzatrice Loie (con dieresi), che si avvolgeva e svolgeva
nel ballo in lunghissimi veli.
(Ma ora non è più tempo di simili follie, ora gli scienziati
al CERN di Ginevra, hanno scoperto il Bosone,
la particella di Dio e che la materia è, per il 64% “oscura”,
invisibile e perciò non si conosce di che cosa sia fatta:
troveranno il modo di scoprirlo?)
So che sembra incredibile, ma io ero presente a Les Folies
quando Manet dipinse il vivacissimo BAR
con la deliziosa cameriera in nero e la bella
Mademoiselle Bois de Rose corteggiò, scoprendo la caviglia
e anche più su, un grande poeta critico assai hot, oggi più che allora,
ma non ebbe successo perché il cuore del poeta era già perso
dietro una fascinosa cantante vestita di nero
con una rosa rossa nei capelli.
Ah, le temps d’antan toujour present que j’adore!
Il profumo del peccato sfiorato, del fiore non colto
visto da lontano, le souvenir de la mémoire,
de l’inconnu e poi fuggire via, LibertèVeritéFraternitè,
libera come una rondine più di una rondine!
Ma adesso ci sono altri spettacoli, gli tsunami
della morte liquida, le aurore boreali ai tropici e poi
la “caduta delle nuvole” a Ravenna
fotografate da un passante
(non la caduta dalle nuvole, roba del passato!)
Il poeta che incontrai chez la Rome de France
e che incontro online nella Roma de Roma
è un genio della parola che, per la parola in versi, delira
e la connota in tutte le direzioni e in tutti i sensi,
significante – significato, destinatario – mittente
(e viceversa) la parola – immagine, la parola –
musica e quella ontologica e psicanalitica
(la mia) e attraverso queste molteplici funzioni
e pulsioni analizza vite poetiche,
universi dentro – fuori e multiversi, per non parlare
della Storia e della Filosofia che, grazie a lui,
si integrano disintegrano in presenza dell’analogia.
Questo critico, cultore estremo della parola
e dell’ombra della parola, quando scrive poesie ci fa sognare
con memorie, frammenti di realtà eventi di storia
e di vita vissuta. Poi si allontana, scompare.
Non vi arrendete: se vi considera veri amici
e veri poeti ritornerà…
ma prima, se la notte è serena, farà un salto sui tetti
del Moulin Rouge
per contemplare le stelle. Credo sia un grande romantico fuggito
dal secolo XIX.
Nella II metà di quel secolo
c’ero anch’io
a Parigi.
Quattro cavalieri
Quattro cavalieri di enorme statura
mantelli ricamati in oro e argento, armi scintillanti,
cavalli neri come la notte,
mi vennero incontro sollevando una nuvola di polvere stellare.
Alle mie spalle, il mare in tempesta, onde fino al cielo
e uno strano profeta che divorava un piccolo libro.
Ruggiva il mare leone inferocito,
sembrava volesse ingoiare la terra.
Io, Raquida, nascosta dalla nuvola di polvere stellare
dentro un bozzolo creato dal vento che mi vorticava intorno,
tormentata dalle doglie del parto imminente,
piegai le ginocchia sulla sabbia
e, aperte le braccia, cominciai a pregare.
A sud i travolti dall’acqua gemendo imploravano aiuto.
A nord, ineffabile musica astrale, il canto dei quattro cavalieri
di fronte al mulinello di vento che mi nascondeva.
Un mondo spaccato in tre. E io nel terrore di partorire sola,
senza mia madre e le sorelle in quell’inferno.
Il mio grido di dolore si levò più alto, fece tremare il cosmo
come un dardo lanciato da un guerriero,
raggiunse Allah. Egli sentì nel suo cuore la mia sofferenza,
ne soffrì come fosse la sua, provò pietà.
Si domandavano in molti quale prodigio
stesse trattenendo la mano di Allah sulla terra e in cielo.
Fu allora che la gente della spiaggia
si avvicinò al mulinello di vento:
mi videro assorta nella preghiera
E si misero in ginocchio sollevando le mani verso l’alto.
Vidi dei cavalieri soltanto gli occhi
che penetravano l’anima.
Mi alzai in piedi e dissi: “Sono Raquida, irakena”
devota ad Allah, ho perduto mio marito in mare…e adesso
mio figlio sta per nascere. In vita mia non ho mai visto
un mare così, sembra che voglia divorare la terra!”
“Raquida, questa è l’Apocalisse: e tu la vuoi fermare
con la preghiera?”. “Guardate laggiù” risposi.
Anche le onde immense si erano calmate,
sembrava che il mare dormisse.
“Il mondo non può finire adesso, proprio adesso
che devo dare alla luce mio figlio!
Allah il Misericordioso ascolterà la mia preghiera.”
“Sei sicura che sia Allah ad ascoltare la tua preghiera?”
“Puoi anche cambiare il suo nome: chiamalo Dio,
a Lui non importa d’essere chiamato con un nome o un altro.”
“Ragioni rettamente, Raquida. Nelle Sacre Scritture
Dio ha detto: «metto la mia legge nei vostri cuori»
In tutti i cuori. Perciò ogni atto di vera fede,
da qualunque religione venga, ottiene la sua misericordia. ”
La donna partorì un bimbo robusto e sano:
con le forze che le rimanevano lo affidò ad un’amica
che aveva tre figli e lo prese come uno dei suoi,
ma Raquida spirò mentre stringeva tra le braccia il figlio
ringraziando Dio per la sua vita
e un rivolo del suo sangue raggiunse il mare.
Uno dei cavalieri la prese in braccio, saltò
in sella al cavallo e i quattro con Raquida
volarono verso regioni più lontane del cielo,
lasciandosi alle spalle l’umanità smarrita.
Quanto vi ho narrato accadde moltissimi secoli fa.
Sembra che dopo la tempesta sia ritornata
in tutta la sua furia, ma senza le montagne d’acqua
che avrebbero sommerso il mondo.
Questa leggenda dice che il mondo si salvò
per la fede il coraggio e il sacrificio di una madre.
Possiamo anche pensare che non sia vero, ma allora,
credetemi, è tutta un’altra storia.

Mariella Colonna
Democrito diceva
che la preghiera muove gli atomi…
io dico che le tue parole fanno danzare le particelle.
Tu insegui il movimento degli astri dai il là alle parole
che adesso io scrivo.
Una musica molto originale: il tuo greco arcaico lineare B,
in alternanza con il mio barbarocretese geroglifico lineare A.
Se tu non scrivessi più si fermerebbe il movimento
dei miei pensieri legato a quello dei mari e degli oceani
e il fiume della nostra città
annullerebbe il tempo che ci lega alla Storia.
Le tue parole cadono nella loro ombra
sassi nell’acqua creano cerchi concentrici
che raggiungono le costellazioni.
Il cuore della notte che la tua mano incide sul bianco
della carta è luce.
Non penserai che, sdoppiandomi, io parli di me stessa?
Un po’ è vero, in parte io sono anche te, ma mia grande passione,
lo sai, è la magia evocativa: se tu me lo chiedi
e se ti domando “Tu chi sei?” un motivo c’è.
Quando sarò certa che tu sia tu, potrò chiederti:
“Dalle parole d’ombra… fammi sorgere il sole!”
Ora so che sei tu e aspetto paziente il sole
sulla spiaggia di un’isola nel Pacifico,
mentre il cielo rosarancio annunzia già l’aurora.
E mentre aspetto raccolgo per te sassolini colorati
conchiglie di madreperla e le altre piccole cose
che ti piacevano tanto da bambino.
Mi domandi come faccio a saperlo. Non ricordi?
In riva al mare noi giocavamo insieme
a chi trovava le pietruzze o le conchiglie più belle,
un po’come facciamo adesso con le parole.
Quando hai fatto nascere il sole da una nuvola
mi hai detto “Te lo regalo.” Da allora il sole è mio.
Ho avuto il piacere di leggere in anteprima questi versi della carissima Mariella. Le faccio con l’affetto che lei conosce bene, i miei migliori auguri per questa sua nuova poesia, lieta di trovarla qui oggi e di leggere un autore al giorno (complimenti, Giorgio, per aver smentito quanto ti ho scritto in mail, ma non avevo dubbi che lo avresti fatto).
Magari davvero siamo su una nuova strada.
La lettura critica di Linguaglossa arpiona questi testi da lontano, prima di condurli vicino al lettore; ma la ricchezza e la densità dei testi, per chi crede nella “spiegazione” della poesia, permetteva introduzioni alle medesime pari ad un saggio ed oltre, comprendo. Torno a leggere un’autrice a me davvero molto cara prima di tutto come persona. Grazie.
Grazie carissima Angela, grazie per aver commentato per prima “l’evento poetico” di oggi e per le parole di affetto che condivido in pieno. Sono confusa e commossa per lo spazio che in questa sede prestigiosa mi è stato concesso da Giorgio Linguaglossa che mi aveva incoraggiato a continuare, ma non si era mai espresso sulla mia poesia in termini così positivi, forse per spingermi ad un impegno sempre più rigoroso. Devo a lui, ai suoi consigli, al suo incoraggiamento, la mia svolta espressiva (una rivoluzione copernicana) e il mio ritorno alla poesia dopo il vagabondaggio nelle varie arti e nell’esperienza della narrativa.. Perciò mille volte grazie a Giorgio e anche ad AnGre che mi ha ospitato per prima nel suo elegante
“Sasso nello stagno”, a Mario Gabriele (che mi ha ospitato ben due volte nella sua favolosa “Isola dei poeti”) e a Gino Rago per l’entusiasmo con cui hanno accolto i miei commenti alle loro creazioni poetiche, nuovissime sul piano ontologico e, sia pure in direzioni diverse, “quadrimensionali” e intensamente significative. Devo a Giorgio la passione e l’impegno che metto nei commenti perché le sue creazioni poetiche mi hanno trascinato dentro il cerchio magico della Nuova Poesia ontologica, prima ancora di esserne consapevole. Grazie a tutti quelli che credono nella Poesia come forza motrice dell’uomo e delle collettività umane: e, quando parlo di Poesia non penso soltanto alle parole e alla loro ombra, ma anche, in assenza di parole ma ad un modo di essere “nei confronti della vita e del suo mistero”. In questo momento, una lieve scossa di terremoto muove la mia scrivania…
A me arriva una Mariella Colonna che buca il nero cosmo del linguaggio prima del linguaggio con infiorescenze luminose. E nelle narrazioni in cui avvicina cose/luoghi/persone modula – più che descrivere – questi piani luminosi che non so più se mi trovo a reggere in mano materia concreta o un pentagramma. Mia preferita “Democrito diceva…” , ma con sconfino a Parigi accanto a Loutrec.
Grazie, gentile Chiara, per le tue parole che sono , a loro volta, poesia!
Davide Nota: SOLO LE LETTERE IN BOTTIGLIA RESISTONO AL TEMPO
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/01/18/mariella-colonna-tre-poesie-inedite-chissa-se-goya-quattro-cavalieri-democrito-diceva-una-interessante-versione-della-nuova-poesia-ontologica-commento-impolitico-di-giorgio-lingua/comment-page-1/#comment-17400
La divisione dellʼarte in discipline è folle quanto la scansione dellʼinfinito in epoche, della carne in generi, dellʼesistenza in ruoli. Come uscire dal tedioso presente? Chi tornerà a scrivere sui campanili, in vernice nera, “Aboliamo il tempo”?
Se le rivoluzioni del Novecento sono fallite è perché erano già state contaminate dal dogma borghese del progresso, dalla metafora militare dellʼavanguardia. I comunardi sparavano contro gli orologi dei campanili di Parigi. “Il tempo ha restaurato la sua crudele tirannia”, scrive Baudelaire nello Spleen di Parigi.
Dopo la grande restaurazione del 1848 non si esce più da questo paradigma violento e a ben pensarci ottuso di linearità, di avanzamento, di marcia, esso occupa tutto lʼesistente. E lʼopera di Baudelaire è del tutto fraintesa. Noi non viviamo in unʼepoca nuova. La nostra è unʼepoca vecchissima.
Ciò che oggi si realizza nelle forme del “sacrificio della realtà”, da parte del meccanismo tecnico che avviluppa il mondo, è la destinazione ultima di un percorso intrapreso circa due secoli fa, quando la marcia del progresso festeggiò, tra i balletti dellʼintrattenimento, la grande repressione di Napoleone III. I fiori del male di Baudelaire sono le spoglie insanguinate di una resistenza massacrata allʼombra dello Spettacolo.
La rottamazione del “sacro” conduce alla strumentalizzazione del logos e cioè, abolito lʼenigma, al dominio della “comunicazione”. Le insorgenze parigine del 1848 e del 1871, così come le opere di Baudelaire e di Rimbaud, rappresentano gli ultimi tentativi di rivolta dellʼuomo spirituale contro la consegna dei destini umani agli ingranaggi della tecnica.
La marcia su Roma è, di fatto, la prima performance di tale dominio dove la virtualità manipola il reale e lo persuade. La sua storia potrebbe essere descritta in tre fasi: il fascismo e la radio, il consumismo e la televisione, la tecnocrazia e il web. In tale dominio, in cui la rottamazione delle forme tradizionali di intermediazione è una funzione del controllo, avviene un capovolgimento di paradigma che neutralizza anche la rivolta non idonea alla comprensione di tale passaggio.
La storia delle avanguardie del Novecento è esemplare. Ovunque esse si siano pensate come un momento di discontinuità storica il loro destino fatale è stato quello di aderire allʼegemonia come una sorta di involontario “realismo capitalista” funzionale a una estetizzazione ludica delle logiche del dominio. Ma nella società del ludus, dove dalla comunicazione alla tecnofinanza il dadaismo è il nuovo potere, la ludicità è una forma di mimesi e non di sabotaggio. In termini più semplici: dallʼabolizione della luna alla rottamazione dellʼumanesimo mai nessuna avanguardia artistica è riuscita a essere più allʼavanguardia del potere stesso.
“Distruggere il passato, creare il futuro.”, sostiene Eric Packer, il tycoon del romanzo Cosmopolis di DeLillo, inebriato dalla visione di una rivolta luddista che contempla dal vetro oscurato della propria limousine. “Il presente è più difficile da controllare.” – spiega la sua consulente di teoria, Vija Kinski – “Lo stanno risucchiando fuori dal mondo per fare posto a un futuro di mercati incontrollati ed enormi potenziali di investimento.”.
Il cyberspazio è uno spettacolo totalitario ma spontaneo. La comunicazione non è più un oggetto da comprendere ma un ambiente da cui essere compresi. Anche lʼeconomia virtualizzata si è resa autosufficiente. In quale olimpo metafisico essa si muova è difficile definire. I giganti sono tornati. Cyberciclopi con animo ingiusto e occhio di spycam, per aggiornare la nota descrizione di Omero. Uno stato che crolla, uno tsunami finanziario. Esseri invisibili che si nutrono del mondo, noi possiamo percepirli solo dalle conseguenze del loro passaggio, indirettamente.
Perlopiù ne siamo spettatori. La vita umana si è fatta funzione. Unʼorizzontalità massificata nel flusso continuo della simulazione, in una pseudo-spontaneità in cui è possibile condividere news diramate dai maggiori centri di comunicazione virale accompagnate da opinioni che certifichino pubblicamente la nostra identità di fronte ad una cerchia di amici, i “contatti”, che simulano “il mondo”. La condizione immaginaria è comunque uno stare in pubblico, perpetuamente. Anche nel mondo psichico, dove si è giudicati e promossi.
Lʼarte si è scissa anchʼessa in cerchie specialistiche, in discipline ermeticamente confinate in lager inviolabili, “gruppi chiusi”. Poeti recitano poesie di fronte ad altri poeti. Politici svolgono comizi di fronte ad altri politici. Nessuno ascolta. Tutti pensano di parlare.
Il pubblico finge di essere interessato. Il poeta finge di rispondere alle domande. Il presentatore finge di avere delle curiosità. Finito lʼevento più nulla consiste, perché non è mai esistito. Un teatro pieno di Roma o un cardo montano, cosa importa? Uno stato di performance non prevede influenza, né interferenza estetica reale. Una disperata simulazione di consistenza. Il pubblico vuole essere convinto di esistere. Anche lʼartista chiede la medesima cosa. E tutto il mondo va avanti così, per simulazione. Non realtà virtuale, ma virtualità reale. Solo le lettere in bottiglia resistono al tempo.
•http://www.huffingtonpost.it/davide-nota/solo-le-lettere-in-bottiglia-resistono-al-tempo_b_14239250.html?utm_hp_ref=italy
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Le avanguardie vengono sempre più consumate a caldo, quando scoppiano come ciclisti (salvo quelli dopati) sui tapponi dolomitici: tutto quanto fu poco ortodosso, anarchico e avanguardista, avvenne a Fiume, la marcia su Roma fu su un vagone letto, finisce che le avanguardie non sono alternativa, sono i prodromi di mode e istituzioni, ma non voglio divagare.
Trovo la poesia di Mariella Colonna a metà strada esatta tra il Whitman letto ieri sera e il Mario Gabriele di oggi, il che non mi dispiace affatto nel suo cantar storie e nei suoi versi densi/immensi. Dipinga con la penna o coi pennelli (belli i suoi quadri pubblicati in novembre qua sopra) Mariella Colonna sa dipingere.
Grazie grazie, Flavio Almerighi! Oggi sono veramente felice per la vostra apertura nei miei confronti, cari poeti dell’Ombra, liberi da frasi e da atteggiamenti convenzionali! Flavio, come ha fatto a ricordare i miei quadri pubblicati a novembre? Grazie anche per questo!
me li ricordo perché mi piacquero, inoltre da buon lettore di provincia mi distraggo raramente
“…gemella/ di quella che incastonano i tuoi cigli/ e fai brillare intatta in mezzo ai cigli/ dell’uomo, immersi nel fango…” posso io, cara Mariella,
non crederti sorella?
E un incanto l’icasticità di scrittura di Mariella Colonna vuoi come interprete
degli altrui versi, vuoi come autrice di propri versi.
Versi che, per riprendere alcune meditazioni ermeneutiche di Paolo Lagazzi
sul polso di tanta parte della nostra poesia, sanno esprimere il miracolo che s’annida anche nello strazio e nel sangue dei momenti.
Anche questi versi di Mariella Colonna sono forse le ultime preghiere
nel mistero gaudioso dell’universo e nel naufragio della speranza,
forse anche per la forza di Mariella di creare a getto continuo immagini metaforiche da proiettare ben oltre i confini del nichilismo:
“Dalle parole d’ombra…fammi sorgere il sole!”
Gino Rago
Certo che ti sono sorella, Gino…e ti sono grata per il tuo rispetto e simpatia affettuosa per l’altra metà del genere umano, sentimenti e pensieri rari ai nostri giorni! Hai capito la mia vocazione, l’impulso irrefrenabile che mi viene dalla mente e dal cuore: vedere oltre il nichilismo, prevedere la nuova svolta della Poesia che trascina, che sprofonda, risale e , infine, anche a nostra insaputa, ci salva! Tutto questo l’ho vissuto in prima persona, nonostante le sofferenze per la mia difficoltà di movimento. Tu hai capito perché io sono poeta, Gino, e perché questo mi rende felice. Vorrei che, dalle parole d’Ombra di noi tutti, potesse nascere il sole.
“Dalle parole d’ombra fammi sorgere il Sole”certo si può con la velocità,non esistono due Realtà,una sola dimensione,(Democrito)versi immaginativi che avvicinano. Tutto é uno e il centro dell’universo é dovunque in ogni momento.
Grazie anche a te, egillarosabianca! Il mio professore di filosofia teoretica alla Sapienza, Ugo Spirito, si esprimeva con le tue parole per spiegare a noi allievi la sua nuova teoria: “L’onnicentrismo”. In seguito, però, l’ha abbandonata e il titolo del suo ultimo libro è stato: “Le memorie di un incosciente”, in parte di taglio socratico…solo in parte.
Democrito l’atomista come sa precursore della termodinamica prima di Planck
noi enti divenienti non separati dall’Essere, ma più di tutto mi intriga la velocità che cambia gli stati della materia Non l’ho espresso chiaramente ma l’intuito vince nella sua poesia(al di là dei saperi sempre relativi)Grazie
Sono pienamente d’accordo: il nostro sapere è sempre relativo, più sappiamo più ci accorgiamo di quanto non sappiamo. Sì, a volte l’intuizione poetica ci avvicina al mistero dell’essere, ma la mente non può coglierlo e le parole non possono esprimerlo. Però la Poesia è una grande risorsa per l’umanità inaridita e sofferente. Grazie a te Egilllarosabianca!
Cara Mariella Colonna,
i versi d’esordio del mio breve commento precedente sono del Montale de
“L’anguilla”, come esempio magistrale dell’uso del correlativo oggettivo che tu sapientemente sai usare anche nelle tue liriche ove, forse, i silenzi sono più incisivi delle parole nella – anch’essa montaliana – fuga dalla catena ferrea della necessità e/o del caso in cui nitida si staglia un’autobiografia
mitica. Gli eccellenti commenti che precedono i miei mi hanno lasciato poco, breve spazio di manovra, esaustivi com’essi sono e per i quali mi complimento con il magistrale Giorgio Linguaglossa, con Angela Greco (denso di affetto), con Chiara Catapano (poesia nella poesia), con Flavio Almerighi (sobrio, acuto, intelligente).
Gino Rago
Ben trovata su queste pagine, Mariella Colonna. Il verso che ha bloccato la mia lettura negligente è stato: ma allora, / credetemi, è tutta un’altra storia.
Mi tolgo il cappello davanti alla prosa e mi chiedo se non ci siamo illusi, nei generi, di essere tanto diversi.
Poi so già che dovrò tornare, e più di una volta, a rivedere lo sforzo di Linguaglossa nello stringere in un discorso logico la revisione del tempo. Io che fino ad oggi sapevo delle molte vite per altre vie, tutto sommato simili alle tue di queste poesie.
Bene, complimenti.
Grazie, Lucio Mayor, per la tua attenzione alle mie poesie: hai colto il mio punto forte o debole, se preferisci: il tempo. E anche, in altre liriche, l’orologio, grazie al quale misuriamo il nostro tempo nei giorni della vita, seguendo il movimento delle lancette. Da Giorgio Linguaglossa ho imparato con maggiore chiarezza quello che avevo intuito nelle mie poesie: che il tempo come memoria dà spessore al vissuto e al linguaggio poetico trascinandolo verso la 4° dimensione. La poesia ontologica rappresenta per me la liberazione dal timore di uccidere la realtà pietrificandola nelle parole…ci saranno altre occasioni per approfondire. Comunque, se ti riferisci alla reincarnazione è un’ipotesi come altre, ma non era mia intenzione dare alla “bilocazione” in tempi e spazi diversi quel significato…
…la reincarnazione come anche recenti studi sul DNA e, per quel che posso capirne, nel campo della fisica la relatività ristretta ecc. fermo restando che la cosa che qui più ci interessa, è la poesia come macchina del tempo 🙂
esatto! Mi piace questa definizione che riflette il tuo modo di essere! E mi piace il dibattito sul blog in cui tu sei uno dei più agguerriti, Lucio!
The only way of expressing emotion in the form of art is by finding an “objective correlative”; in other words, a set of objects, a situation, a chain of events which shall be the formula of that particular emotion; such that when the external facts, which must terminate in sensory exprerience, are given, the emotion is immediately evoked… The artistic “inevitability” lies in this complete adequacy of the external to the emotion.
(T.S. Eliot, The sacred wood),
Credo che per troppo tempo abbiamo dimenticato questo principio e ci siamo limitati a scrivere dei bei pensieri poetici che però non trasmettevano emozioni perché non erano costruiti nella formula del correlativo oggettivo ma con la scatola acustica del pensiero lineare, prosastico, unidirezionale… in una parola, informazionale.
Per semplificare: la poesia non è informazione.
Mariella, come promesso torno sui tuoi versi.
Della tua poesia mi colpisce l’intreccio dei tempi, che sai sapientemente dosare, invitando il lettore in una passeggiata senza sosta tra “le temps d’antan toujour present que j’adore!” e questa quotidianità stramba e spesso incomprensibile. Immetti nei tuoi versi la tua curiosità e il tuo vissuto, accostandoli ad episodi storici, a richiami letterari, a quel passato, insomma, su cui solidamente poggia il tuo presente. E mi sembra una grandissima lezione, questa, da tenere bene a mente. Tecnicamente non mi permetto di scriverne, poiché Linguaglossa che segue l’evoluzione della tua poesia ha più voce di me, ma condivido con lui la stima e l’apprezzamento verso i tuoi lavori e, soprattutto, l’incredibile voglia di nuovo che anima la tua poesia.
“Alexander” mi aspetta 😉
Angela, grazie per essere tornata sui miei versi e aver detto le tue sintetiche scultoree impressioni. Hai messo a fuoco una delle mie passioni: il tempo e lo strumento tecnico, l’orologio, con cui lo misuriamo. Mi piace giocare con le parole e con l’ironia su me stessa operare quel distacco dal vissuto senza il quale non si approda ad una visione veramente libera e rinnovata, più che nuova, del mondo. Abbiamo il dovere, verso noi stessi e verso gli altri, di non prenderci troppo sul serio, altrimenti la nostra lotta per la sopravvivenza diventa insostenibile. Il tempo è un’illusione, ma, si chiami tempo o in un altro modo, ha una sua realtà e sta a noi usarla nel modo giusto per avere anche…la volontà e “il tempo” per sorridere e godere la gioia della creazione poetica. Il mio presente è passeggero, come quello di tutti noi, ma il mio passato sta a me trasformarlo in qualcosa di utile a me stessa e a quelli che mi vivono accanto o, comunque, sono in rapporto con me. Apprezzo la tua schiettezza e spero che la nostra amicizia cresca e maturi di nuove esperienze di lettura-scrittura sull’Ombra della parola e con il tuo interessante e ricco di voci e colori etc.. “Sasso nello stagno”! Grazie ancora e…buon lavoro!
Non vorrei sbagliare, ma queste poesie di Mariella Colonna mi fanno pensare alla pittura di Lucian Freud, così come i suoi di quadri, quelli dell’autrice, rimandano a Chagall, ad una nuova oggettività.
Dove si possono vedere i quadri di Mariella?
Io ne ho trovato alcuni nelle pagine di questa rivista.
Grazie, trovato. Sì, la stessa gioia che traspare nelle sue poesie, come in Matisse e Ghagall.
Grazie Lucio e Giuseppe Talia per aver apprezzato la mia vena creativa!
Lucio, sapessi da quali prove fiorisce la mia gioia! Grazie ancora a tutti!
Cara Mariella, non posso saperlo. Per me la gioia è gioia: una forma naturale di salvezza in questo mondo maledettamente serio. Penso anche che se non ha una ragione d’essere sia anche meglio, così non corre il rischio di tramutarsi nel suo opposto. E via dicendo.
è come hai detto tu,Lucio, ma ègioia riconquistata grazie alla mia voglia di vivere e all’ancoraggio della Poesia, che devo a Giorgio e a voi tutti, di cui, salvo alcuni, ho letto belle Poesie e belle critiche, tutte-o quasi- aderenti ai nuovi parametri (per così dire) della Poesia ontologica. E questo incide sul cambiamento del mio modo di fare poesia! Grazie, Lucio, del tempo che mi hai dedicato.
Ogni partenza intelligente – prima o poi – trova un avversario alla sua altezza.
Autore dell’aforisma: Bruno Salvi, nonno materno di Alessio Cerasuolo che mi ha aiutato a sbloccare il meccanismo infernale dell’account WordPress che mi impediva di commentare ulteriormente (non sono fuori di testa)! 🙂