Archivi del giorno: 9 gennaio 2017

COMUNICAZIONE DI SERVIZIO In data odierna entrano nella redazione dell’Ombra delle Parole i seguenti poeti e scrittori: Sabino Caronia, Chiara Catapano, Donatella Costantina Giancaspero, Lucio Mayoor Tosi e Giuseppe Talia. Ci guida la convinzione che la Rivista deve essere un lavoro collettivo, aperto al contributo di tutti, nel quale c’è posto per tutti, per chiunque abbia delle idee

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COMUNICAZIONE DI SERVIZIO

In data odierna entrano nella redazione dell’Ombra delle Parole i seguenti poeti e scrittori: Sabino Caronia, Chiara Catapano, Donatella Costantina Giancaspero, Lucio Mayoor Tosi e Giuseppe Talia. Ci guida la convinzione che la Rivista deve essere un lavoro collettivo, aperto al contributo di tutti, nel quale c’è posto per tutti, per chiunque abbia delle idee, poiché tra le idee non c’è rivalità ma semmai competizione, perché sono le idee migliori quelle che si faranno strada, e il nostro compito è quello di selezionare le idee, perché si avverte oggi nella poesia italiana il bisogno di un nuovo scatto, di nuove idee. Ci guida la consapevolezza che la «Nuova Poesia» non può che essere il prodotto di un «Nuovo Progetto» o «Nuovo modello», di un lavoro che si fa tutti insieme, nel quale ciascuno può portare un proprio contributo. In tal senso, la redazione affiancherà al lavoro della Rivista anche un Laboratorio Pubblico e gratuito aperto a tutti che si riunirà con cadenza all’incirca quindicinale presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 alle ore 18, del quale il prossimo appuntamento è fissato a mercoledì 1 febbraio alle h. 18.00. Ovviamente l’Invito a partecipare è rivolto a tutti e tutti saranno i benvenuti.

Scrivevo tempo fa, riprendendo una affermazione di Valéry secondo il quale «il mercato universale ha oggi prodotto un’arte più ottusa e meno libera», che l’Amministrazione degli Stati moderni ha imparato la lezione, è l’Amministrazione globale che gestisce la Crisi e gli oggetti della Crisi, e che la Crisi è nient’altro che il prodotto di una Stagnazione Permanente.

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Un aneddoto.

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Vi racconto un aneddoto. Una volta una rivista di questi giovanotti che scalpitano e sgomitano mi ha rivolto un questionario con domande sulla «critica della poesia». Mi avevano chiesto, questi giovani, che cosa intendessi per «critica della poesia», quale «scuola di pensiero estetico seguissi», se esistesse, a mio giudizio, oggi, «una critica della poesia»… E via di questo passo.
Io gli risposi che non sapevo cosa fosse la «critica della poesia», che non seguivo «nessuna scuola di pensiero estetico e che, a mio avviso, non esisteva la critica della poesia».
La risposta di quei giovanotti fu più o meno questa, mi chiesero: «se avessi inteso prendermi gioco delle loro domande e se intendessi proprio quello che avevo scritto». Inutilmente io ribadii che ero serissimo e che non mi sarei mai permesso di prendermi gioco di nessuno,, tantomeno delle loro domande. Il risultato fu che le mie risposte alle domande del questionario non videro mai la luce in quella rivista.
Questo aneddoto lo riferisco perché illumina bene il livello della «cultura» che quei giovanotti hanno introiettato e come sia ormai interiorizzato tra gli «appassionati alla poesia» un genere di credenze e convincimenti tipici di una cerchia sacerdotale la quale non ammette chi pone in discussione i presupposti della cultura di quella cerchia di sacerdoti del conformismo culturale. Intendo dire con questo aneddoto quanta strada all’indietro le nuove generazioni abbiano percorso dal pensiero critico di persone della mia età. Si è trattato, a mio modesto avviso, di una regressione a un pensiero soteriologico, sacerdotale,di chi si crede di detenere le chiavi per l’accesso al Paradiso delle lettere…
Insomma, non posso non notare una sorta di regressione profondissima verso un pensiero acrilico e acritico, L’aspetto più ridicolo è il concetto di cultura di cui quei giovanotti sono portatori, un concetto dal quale sono stati espunti gli elementi di critica delle ideologie e di critica tout court.
L’aspetto umoristico è che questi giovanotti hanno interiorizzato il meccanismo mentale dell’Amministrazione globale della Crisi, ovvero, il principio della censura e dell’esclusione di chi non condivide la loro cultura agiografica del presente. E questo è proprio il metodo di dominio che l’Amministrazione delle cose ha in Occidente: l’Amministrazione gestisce le CRISI insinuando nelle menti deboli di pensiero critico la convinzione secondo cui occorre espungere dal catalogo degli «addetti ai lavori» chi non la pensa come la maggioranza imbonita, chi la pensa in modo diverso. E chi agisce in modo diverso.
(Giorgio Linguaglossa)

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Chi ha paura delle idee?

In proposito scrive Maurizio Ferraris: «l’inventore della scrittura cercava un dispositivo contabile, ma con la scrittura si sono composti versi, sinfonie e leggi;, l’inventore del telefono voleva una radio, e viceversa; chi ha inventato le tazze da caffè americano non prevedeva la loro destinazione parallela a portapenne; l’inventore dell’aspirina pensava di avere scoperto un farmaco antinfiammatorio, mentre una delle sue più interessanti qualità è che sia un farmaco antiaggregante, quindi fluidificante del sangue, come sì è capito più tardi; l’inventore del web pensava a un sistema di comunicazione tra scienziati, e ha dato vita a un sistema che ha trasformato l’intera società. Lo stesso cellulare è evoluto da apparecchio per la comunicazione orale ad apparecchio per la comunicazione scritta e la registrazione, smentendo l’assunto secondo cui la comunicazione costituirebbe un bene superiore alla registrazione, e l’oralità un veicolo di scambio più gradito, naturale e addirittura appropriato della scrittura…».*
M. Ferraris, Emergenze, Einaudi, 2016 pp. 120 € 12

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Donika Dabishevci (1980) Il dissidio cosmico tra eros e thanatos (Amore e Morte) Introduzione e traduzione di Gëzim Hajdari – L’amore in Albania al tempo della stagnazione – la poesia femminile albanese

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Donika Dabishevci (1980) si è laureata in letteratura Albanese all’Università di Prishtina, dove è nata. Nel 2013 ha conseguito un dottorato in Letteratura albanese all’Università Statale di Tirana. Ha pubblicato tre raccolte poetiche. Ha lavorato alla televisione pubblica del Kosovo, ora insegna in un’università privata a Prishtina.
«La tua robinja», a cura di Gëzim Hajdari, è la prima traduzione in italiano delle poesie di Donica Dabishevci.
«La tua robinja/ Robnesha jote» è la sua prima raccolta tradotta in Italia, la cui pubblicazione è prevista nel 2017 con la casa editrice romana, Ensemble.

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Introduzione e traduzione dei testi
di Gëzim Hajdari

Il dissidio cosmico tra eros e thanatos (Amore e Morte) ha ispirato per millenni filosofi, artisti e cantori dall’antichità ad oggi, da Esiodo e Safo a D’Annunzio. Il mistico San Giovanni della Croce sosteneva che la “morte può essere amore”. Mentre Leopardi, dall’alto de “Il colle dell’Infinito” di Recanati, affermava: “Due cose belle ha il mondo, “Amore e Morte”. L’eros è la vera essenza divina, energia vitale e forza creatrice della vita, il sentimento più intimo del nostro io, lo spirito del nostro essere, che nel corso della storia è diventato fonte d’ispirazione e di tormento per i poeti di ogni epoca.
Basti pensare al celebre poeta latino Catullo, «Vivamus mea Lesbia, atque amemus /Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo». Versi struggenti che racchiudono il mistero dell’esistenza umana.
Il tema di eros e thanatos percorre con una forza dirompente i versi della raccolta «La tua robinja » della poetessa kosovara Donika Dabishevci. Quarantasette poesie che parlano delle passioni amorose ed erotiche, della sensualità, della vita, dello scorrere del tempo, del tormento e della morte. Scritte con un linguaggio scarno e lapidario, i versi esistenziali della Dabishevci, voce singolare della poesia albanese del Kosovo, restano scolpiti nella memoria del lettore.
La raccolta si apre con un testo-preghiera in cui la giovane fanciulla invita il suo uomo a non aver paura, ma di unirsi a lei per condividere insieme il desiderio d’amore. Il suo corpo maturo frema, la sua anima vibra. È il momento più atteso per l’amata inebriata di desiderio ed eros, che gioisce e soffre allo stesso tempo. Porta nel sangue il fuoco, simbolo del vigore e della giovinezza. E sogna l’attimo sublime in cui lui versi in lei la linfa vitale, come testimoniano questi versi:

«Non aver paura,
versati in me come un ruscello di sangue.

Entra nelle mie vene,
brucia il mio corpo,
le mie labbra,
accogli la mia preghiera
di donna».

Solo nelle braccia dell’amore ci si rende conto del valore della vita e del senso dell’esistenza dell’essere umano sulla Terra. Il vero amore è riempirsi del sé con gioia per poi condividerla con l’amato senza rimpianti e nostalgia. Donare all’altro quello che si è, suggerisce Donika. Del resto, ‘siamo nati per amare, non per odiare’, detto con le parole di Sofocle. L’eros nei suoi versi viene vissuto non soltanto come stato fisico ma anche come esperienza interiore, celebrazione dell’amore e della quotidianità:

«La vita sembra un soffio
quando mi perdo in te,//
doniamo a noi stessi
ciò che siamo».

L’autrice non ha paura di svelare la sua ‘nudità, le sue passioni erotiche e di vivere la sua libertà spirituale. «La cosa più bella è ciò che si ama», scriveva Saffo più di duemila anni fa’. È per questo che si rivolge al suo uomo con queste bellissime parole:

«Voglio che tu sia maschio,
senza veli nel corpo,
che mi scavi a fondo,
giunco incendiato
che si scioglie
nelle mie acque».

La donna desidera essere amata come solo un uomo vero può amare. La sua pelle trema. Colma di sete d’amore, vuole essere posseduta dalle braccia del dio eros. Immagina l’istante in cui il destriero del suo uomo si immerge nel desiderio e si tinge del rosso della sua ‘ferita’: vuole sentirsi donna tramite il piacere carnale. Tutto questo viene espresso con una passione travolgente:

«Vieni,
prendimi,
toccami,
amami,
fammi impazzire,
entra dove sai entrare solo tu,
fammi sentire donna».

(Donika Dabishevci)

È proprio questo forte dualismo esistenziale che seduce il Verbo di Donika Dabishevci. Eros e thanatos, con-presenti e conflittuali nella sua poesia, creano delle atmosfere erotiche intense e di straordinaria sensualità:

«Lasciami scavare follemente in te//
Voglio bagnare le labbra incendiate,
risalire alla tua sorgente
e inebriarmi di te».

Sono versi erotici del tutto nuovi per la poesia femminile albanese contemporanea. Durante la dittatura di Enver Hoxha, in Albania, i temi esistenziali e metafisici erano proibiti. Le parole: “toccare”, “baciare”, “eros”, “fare l’amore”, “thanatos”, “sangue della prima notte”, “follia” erano considerate tabù per la censura del regime comunista. Il valore di un’opera si misurava in relazione alla sua forza nel servire il partito, le masse e il socialismo reale. Lo slogan del cosiddetto “realismo socialista” era: «Il poeta dev’essere l’occhio, l’orecchio e la voce della classe proletaria». Si amava in nome del Partito, l’eros e il piacere carnale erano espressione che appartenevano alla morale e l’estetica borghese dell’Occidente reazionario.
È solo dagli anni’90 in poi che la poesia femminile albanese ha iniziato a scoprire le emozioni del corpo e dell’anima, i sensi e il piacere femminile tramite l’amore, come percorso di conoscenza e verità di vita, come pace interiore e libertà. L’amore coinvolge tutte le virtù del mondo spirituale e guida l’uomo verso la pienezza dell’essere, verso l’eternità. Eros significa bellezza del corpo e dell’anima, ricerca sull’animo umana, elevazione mistica.
Il sentimento erotico esalta il corpo femminile e il culto del piacere, ma non sempre rende felicità e pace interiore. Rimpianti, nostalgie e tormenti creano inquietudine nell’anima umana costringendola a vivere tra ragione e follia. Più la donna ama, più l’ombra del thanatos incombe sul suo amore. La nostra poetessa si rende conto che amare significa: gioia e panico. «All’amore – diceva Esenin – non si chiedono giuramenti/ Con l’amore si conoscono gioie e sventure».È una dura lotta quotidiana, ed è questo il lato divino e crudele del dramma umano:

«Maledetto possa essere
l’attimo che generò
questa selvaggia seduzione,
pura follia».

Amare per Dabishevci significa dare la besa al desiderio, per lei l’amore è la vera patria degli umani. Il sentimento amoroso è più forte della morte, e quest’ultima non può placare il bisogno di donarsi:

«Hai seminato radici di gioia
e di morte in me,
mio amore: dolore,
eros e lutto per me”.

«Più forte della morte
è il mio desiderio per te».

La sua forza trasforma in cenere e fiamme ogni minaccia del thanatos:

«Il mio fuoco trasformerà in cenere
e fiamme ogni tuo desiderio».

Nonostante la dura lotta quotidiana in questo dissidio cosmico: «Non riesco a placare le grida delle mie ferite», per la poetessa del Kosovo vale sempre la pena accettare la sfida del destino alla conquista della vera dimensione poetica, spirituale e intellettuale.
Dabishevci sceglie l’eros per far allontanare la morte come una sfida: «Voglio che tu fugga da me». Consapevole del fatto che “la sorella morte” ci accompagna tutti i giorni, la sua poesia può essere letta anche come un dialogo tra l’amore, la vita e thanatos. Amare significa vivere per l’autrice, ma amare significa anche piacere e sofferenza che oltrepassa la sua sfera personale diventando così un’esperienza spirituale e cosmica. Solo chi percepisce questa dimensione può scoprire nella poesia la vita, e nella vita l’amore che unisce e proietta nel futuro, per poi dissolversi in suono, voce, fuoco sacro e canto sospeso nel tempo e nello spazio, quindi morire per vivere e amare diversamente:

«Un giorno, io e tu,
non ci saremo in questo verde,
ci dissolveremo
nel vuoto del tempo».

Viene un momento in cui l’amore terreno diviene amore cosmico, come parte della totalità e dell’origine. È l’atto supremo dell’integrità dell’amore umano. Allora tutto è compiuto come appagamento spirituale dell’anima, come metafora dell’unione universale, in cui ognuno di noi, nella solitudine cosmica, si sente un po’ robinjë :

«È come allora,
nulla è cambiato in me,
ma ora è tardi,
in questa valle
parliamo la lingua degli alberi».

Ciò che distingue i versi di Donika Dabishevci è l’aspetto carnale dell’amore, sa comunicare con il proprio corpo e con la propria femminilità. La poetessa kosovara possiede un’enorme potenzialità creativa. Il suo linguaggio poetico, avvolto da un fascino orientale, è prepotente e suggestivo, senza cadere in un volgare erotismo, e mira la bellezza come punto di arrivo. È da notare che i testi in albanese sono stati scritti in dialetto gegë dell’Albania del Nord.
Quest’opera in bilingue: in albanese e italiano, la cui pubblicazione è prevista per il prossimo anno con la casa editrice romana, Ensemble, rappresenta la prima pubblicazione di una vera voce femminile del Kosovo in Italia.

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[1] Robìnjë: fanciulla che veniva presa viva dalle mani dei guerrieri vincitori, andava ai signori di guerra come trofeo.
[2] Besa: parola data per gli Albanesi.
[3]. Robìnjë: fanciulla che veniva presa viva dalle mani dei guerrieri vincitori, andava ai signori di guerra come trofeo.

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N ON AVER PAURA

Sei quello che sei.

Perché taci,
pietra tombale il tuo silenzio

Ho nelle vene il sole,
non gli abissi.

Maledetto possa essere
l’attimo che generò
questa selvaggia seduzione,
pura follia.

Perché ti spaventi?

Un giorno, tu ed io,
non ci saremo in questo verde,
ci dissolveremo
nel vuoto del tempo.

Tu diverrai una palude,
io una lava vulcanica,
tu, un torrente infuriato,
io una scia di luce
di arcobaleni e pioggia.

Non aver paura,
versati in me come un ruscello di sangue.

Entra nelle mie vene,
brucia il mio corpo,
le mie labbra,
accogli la mia preghiera
di donna.

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EPITAFFIO

Meravigliosi
il tuo respiro e il tuo corpo.
Voglio ricordarti
come l’uomo della mia ferita,
vigoroso,
malvagio,
uomo – quercia.

Hai seminato in me
radici di gioia e di morte,
amore e dolore,
eros e lutto per me.

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SENTO IL TUO PROFUMO

Sento il tuo profumo,
il mio corpo trema,
la mia anima sussulta,
non tardare
a venire,
la mia anima si spezzerà
se non mi raggiungi,
più forte della morte
è il mio desiderio per te.

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DIVENTERAI CENERE

Splende il tuo corpo,
ma il tuo orgoglio un giorno si spegnerà,
diventerai cenere,
come una quercia spaccata dalla tempesta;
cadrai per terra
sciogliendoti in granelli di polvere.

Il mio fuoco trasformerà in cenere
e fiamme ogni tuo desiderio,
sono pronta a incendiarti,
come una belva feroce e docile
.ti donerò segni di ferita.

VOGLIO AVERTI

Voglio averti
in un luogo lontano,
in un deserto infinito,
o su un’isola nel mare
dove posso consegnarmi
al tuo destriero
e alle tue bianche acque
su una pietra bianca e liscia,
sotto gli astri e la luna.

Ti amo
come non ti ho mai amato
in questa valle,
amiamoci
senza parole e gesti,
solo gemiti.

Sei il mio signore
senza le briglia,
ed io fremo di desiderio,
non temo nulla
in questa vita vuota,
toccami,
niente parole,
amiamoci
fino all’eternità.

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LA VITA SEMBRA UN SOFFIO

La vita sembra un soffio
quando mi perdo in te,

la stanza si stringe,
si riempie di uccelli
giunti dai mondi.

Non voglio altro da te,
né tu da me,
doniamo a noi stessi
ciò che siamo.

Respiriamo il mosto
della vita senza ritorno.

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VOGLIO CONCEDERMI ALLA TUA NOTTE

Voglio concedermi alla tua notte
come la luna al buio,

senza parlare,
senza nessun pegno,
nessuna condizione.

Voglio che tu sia maschio,
senza veli sul corpo,
che mi scavi a fondo,
giunco incendiato
che si scioglie
nelle mie acque.

E sentirmi felice
esserci in questo mondo
con te
almeno per un attimo,
lottare fino all’ultimo respiro.

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LA TUA ROBINJA

Sono la tua robinja
folle di te
mio signore.
Ho amato me stessa
guardandomi nei tuoi occhi,
voglio sentire nel mio centro
le tue morbide dita.

Vieni,
prendimi,
toccami,
amami,
fammi impazzire,
entra dove sai entrare solo tu,
fammi sentire donna.

Che le grida e i gemiti
diventino tutt’uno,
voglio domarti
con la mia brama d’amore

Vieni,
voglio saziarmi di te.

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AMIAMOCI

Lasciami scavare follemente in te
e di nuotare dentro di me
per sentirci sospesi sull’erba.

Amiamoci stasera,
c’è tempo per odiarci.

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IN TE

Ti ho rubato i sogni,
in te abitano
solo i tormenti.

Ho dato vita ai tuoi giorni,
in te ho bevuto
senza mai saziarmi,
poi ti ho lasciato volare,
in pace,
senza baciarti gli occhi
e stringerti al mio petto.

Sento la tua assenza,
ti ho cercato nel mio volto,
tra le piogge delle mie mani
le tue strade.

È come allora,
nulla è cambiato in me,
ma ora è tardi,
in questa valle
parliamo la lingua degli alberi.

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