L’IMMAGINE NELLA POESIA TRA «IL MONDO DI AVANSCENA» E «IL MONDO DI RETROSCENA» NELLA POESIA DI TOMAS TRASTRÖMER e la Teoria dell’Unificazione dei modelli di simulazione neurale del Fisico tedesco Burkhard Heim e il Paradigma olografico di Giorgio Linguaglossa – Filosofie del frammento di Alessandro Alfieri

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Giorgio Linguaglossa

Esiste un limite al di sotto del quale il nostro universo può funzionare? La risposta di Planck è “sì”: le lunghezze minime di tempo e le lunghezze minime di spazio secondo la teoria di Planck operano a livello subatomico e costituiscono il tessuto di quel vuoto superfluido che presupporrebbe l’esistenza dell’universo.

Ora, penso che dobbiamo supporre le “immagini”, ad esempio in poesia, come delle unità minime di tempo e di spazio configurabili in una certa cultura e, all’interno di essa, in una certa poetica.

La capacità di ricezione di un cervello è determinata da una informazione, ed è quindi limitata da abitudini e cliché culturali. Dobbiamo quindi fare uno sforzo per ampliare le nostre capacità di ricezione di immagini non convenzionali secondo la teoria dell’informazione.

https://lombradelleparole.wordpress.com/2016/11/29/donatella-costantina-giancaspero-due-poesie-da-ma-da-un-presagio-dali-2015-il-disordine-degli-oggetti-tempo-interno-tempo-esterno-mondo-interno-mondo-esterno-istante-privilegiato-una-po/comment-page-1/#comment-16331

Facciamo un esempio: poniamo di essere degli osservatori di oggi posti in un futuro tra 100 anni e di leggere una poesia o di guardare un quadro che saranno creati 100 anni dopo di noi. Ecco che a quel punto noi non capiamo affatto nulla di ciò che leggiamo e che vediamo. Appunto perché non abbiamo vissuto la distanza di quei 100 anni. È un paradosso che ci può aiutare a capire che cosa succede con la questione della freccia del tempo. Se siamo qui a bordo della freccia del tempo, non possiamo essere anche là (sempre a bordo della freccia del tempo). Così la metafora e l’arte che viaggiano a bordo della freccia del tempo.

Leggiamo ad esempio due versi di Tomas Tranströmer:

Le posate d’argento sopravvivono in grandi sciami
giù nel profondo dove l’Atlantico è nero.

Abbiamo qui un chiarissimo esempio di come le «immagini di avanscena» della lingua di relazione: «Le posate d’argento», i «grandi sciami», «giù nel profondo», «l’Atlantico è nero» in essa lingua di relazione sono correlate ad un significato letterale, additano al referente, mentre le medesime immagini, nel «mondo di retroscena», additano ad una significazione simbolica che abita la zona profonda dell’inconscio, quella zona ad altissima densità metaforica e simbolica allo stato quantico in una situazione di altissima instabilità quantica. È qui che si forma la significazione complessa delle immagini del poeta svedese, nella tensione della distanza tra il profondo della significazione simbolica («il mondo di retroscena») e la superficie della significazione della lingua di relazione («il mondo di avanscena»).

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Pubblico qui alcuni stralci di un articolo di Sabato Scala, un ricercatore che ha studiato e teorizzato una Teoria dell’Unificazione dei modelli di simulazione neurale. In quest’ultimo ambito ha condotto ricerche e proposto una personale teoria dei processi cognitivi e immaginativi suggerendo, sulla base della teoria del Fisico tedesco Burkhard Heim e del paradigma olografico, la possibilità di adozione del suo nuovo modello neurale per la rappresentazione di qualunque processo fisico classico o quantistico.

Assumo, dallo scienziato, il concetto di “modello di retroscena” per comprendere il modo di funzionamento del nostro sistema neurale ma anche quello di una forma poesia che si muova secondo lo stesso concetto: tenendo presente un “mondo di retroscena” che sta dietro il mondo dei fenomeni quantistici e il concetto di “vuoto superfluido” che opererebbe secondo il modello neurale del cervello umano. Questa nuova prospettiva cambia tutto il modo di intendere le funzioni delle immagini nella poesia di Tranströmer e nella migliore poesia contemporanea. Le immagini rispondono sia ad un “mondo di retroscena” sia a quello di “avanscena”, si situano nel mezzo, entrano in comunicazione istantanea con entrambi questi mondi. La poesia resta come sospesa nel vuoto, nella dimensione di un vuoto superfluido.

«Sono ormai quotidiane le notizie su nuove prove scientifiche a favore dell’esistenza di un substrato causale e di un “mondo di retroscena” che sottende ai fenomeni quantistici.
Esiste, quindi, una sorta di tessuto sottostante che definisce il modo in cui la particella agirà una volta “osservata” attraverso lo strumento di misura.

Onda pilota di Bohm

Sparisce, quindi, la casualità assoluta connessa al collasso della funzione d’onda ovvero all’evento della “Misura” che determina un passaggio con caratteristiche casuali ed imprevedibili di una particella, dal mondo della meccanica dei quanti a quella classica.
Questo salto di qualità non rende, però, ancora chiara la direzione che stanno prendendo i ricercatori e la convergenza tra diversi studi e ricerche, che ha subito una particolare accelerazione proprio tra la fine del 2014 ed il 2015.
Il “Mondo di retroscena” di Prigogine e di Bohm, stà avanzando a sempre maggiore velocità, prendendo la nitida forma della reintroduzione di un mezzo di “trasmissione” dell’informazione a effetto istantaneo (come quello previsto dalla “onda pilota” di Bohm) sparito all’inizio del secolo scorso: l’Etere.
La forma con cui questo “scomodo intruso” è ritornata è quella degli studi sui superfluidi e sulla sempre più probabile natura fluida, o meglio “superfluida” del vuoto.
Alcuni lavori che ho già segnalato già in passato anche su Altrogiornale, e che oggi sono ancora assai poco conosciuti e studiati, figureranno tra pochi anni tra i “classici” della fisica come vere e proprie pietre miliari per uno storico e radicale cambio di paradigma.
Ve ne sono tanti e tutti assai recenti, ma tra questi mi piace citare, oggi, “Physical vacuum is a special superfluid medium” di Valeriy Sbitnevi, pubblicato il 13 maggio 2015 su “Selected Topics in Applications of Quantum Mechanics“.

Questo lavoro è intimamente collegato alla pubblicazione di “Scientific American” e all’esperimento che conferma la natura Bohmiana della quantistica.
In esso, infatti, Sbitnevi mostra come il modello “superfluidico” del vuoto, ed in particolare le equazioni di Navier-Stokes, che descrivono la dinamica macroscopica dei vortici e dei moti nel fluidi, siano una diversa forma matematica della interpretazione Bohmiana della MQ e della “onda pilota” .
In altre parole un Etere in forma di vuoto superfluido è, matematicamente, affine all’interpretazione di Bhom della equazione di Schroedinger.
Precisiamo ancora meglio il concetto perché non sfugga il salto di qualità che si stà compiendo.

Il Vuoto Superfluido e la interpretazione di Bhom coincidono e il “Mezzo” che consente di diffondere ovunque e istantaneamente l’informazione di correlazione che da vita ai fenomeni di entanglement quantistico.
I fenomeni della meccanica dei quanti sono, quindi, matematicamente ricavabili dalle equazioni che descrivono il modo vorticoso in un superfluido.
A questo rilevantissimo e naturale secondo passaggio si aggiunge il terzo ancora più rilevante sul quale mi sono soffermato sia nel nostro libro “La Fisica di Dio”, sia negli articoli divulgativi che ho pubblicato su Altrogiornale e che può essere compreso senza grande sforzo, sfogliando gli articoli relativi alle ricerche sperimentali sui superfluidi.
Alcuni lavori, sempre recenti, infatti propongono l’uso di un modello noto con nome di “Vetri di Spin”, e quindi del modello di Ising, ovvero di una estensione del modello neurale di John Hopfield, per modellare sostanze in stato superfluifo come l’Elio 3.
In particolare i Vetri di Spin e, di conseguenza un modello affine alle reti neurali di Hopfield, è adoperabile per descrivere matematicamente bene le dinamiche e i vortici in una sostanza superfluida.
Non ci vuole molto a comprendere che questi studi portano a ritenere che il passo tra una descrizione “NEURALE” dell’Elio 3 e quella NEURALE DEL VUOTO superfluido è brevissimo. In altre parole, il salto che attendevamo per riportare al centro un modello deterministico (seppure nei termini indicati da Bohm) connesso alla natura neurale del vuoto è alle porte.

Ma torniamo al modello proposto da Bohm.
Esso è intrinsecamente olografico, ovvero prevede che l’informazione sia distribuita in modo uniforme ovunque, in tal modo consente la “Istantaneità” della propagazione delle correlazioni attraverso una “onda pilota” e, con essa, l’istantaneità dei fenomeni di entanglement.
Karl Pribram, con le sue sperimentazioni sulla retina dei gatti, ha mostrato in laboratorio quanto era già stato reso noto dalla matematica delle reti neurali: il cervello opera in modo intrinsecamente olografico. A questo punto il cerchio si chiude.
Il modello olografico che Bohm cercava e che non era riuscito a trovare, è quello neurale di Hopfield, o se si vuole è il modello di Ising che descrive le dinamiche del vuoto superfluido.
Le conseguenze della scoperta che il vuoto e i meccanismi della gravità quantistica operano con le stesse leggi ed equazioni che governano il nostro cervello, appaiono straordinarie e fantascientifiche anche a una mente profana».

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di Alessandro Alfieri (nel saggio di cui a “Aperture” n. 28, 2012, scrive):

«Il frammento può venire compreso come la cifra caratteristica della modernità; il mondo moderno, infatti, si pone sotto il segno della dispersione, della deflagrazione del senso, della moltiplicazione delle prospettive… differenti modi per riferirsi alla secolarizzazione e alla laicizzazione della vita sociale avvenuta nella cultura occidentale compiutasi nel XIX secolo, e che ha trovato nella filosofia di Friedrich Nietzsche la più piena espressione. La morte di Dio, e la fine della visione platonico cristiana, è difatti la scomparsa del centro, la decadenza della verità assoluta, l’impossibilità di ricondurre la frammentarietà ad un’unità di senso.
Il prospettivismo nietzschiano può venire interpretato come una promozione della frammentarietà di contro alle tesi di ordine metafisico, che rivendicano di venire recepite in una loro presunta verità indiscutibile e dogmatica. Infatti, è a partire proprio dalla filosofia di Nietzsche che, tra la fine dell’Ottocento e l’avvento del Novecento, alcuni autori svilupparono determinate e peculiari “filosofie del frammento” in grado di restituire dignità alle irriducibili singolarità che caratterizzano l’esperienza concreta di ciascuno.
[…]
(Per Walter Benjamin) il filosofo, o come era solito dire lui, lo “storico materialista”, il critico o anche l’artista, deve puntare il suo sguardo su oggetti apparentemente non degni di attenzione, deve farsi “pescatore di perle” per concentrarsi però sugli stracci, sugli elementi trascurati dagli accademismi ufficiali, sui frammenti dispersi e abbandonati ai margini delle strade e cacciati dalle teorie rigorose. Benjamin interpreta perciò frammenti, e il luogo privilegiato dove a dominare sono frammenti è proprio la metropoli moderna, con le vetrine dei suoi passages e le sue luci a gas, capaci di investire il passante con choc percettivi continui.

Le nostre metropoli, che proprio negli anni in cui scrive Benjamin stavano assumendo la fisionomia e l’assetto di quelle che sono diventate oggi, si caratterizzano per la velocizzazione inaudita dei ritmi di vita, dove a venire sacrificata è l’esperienza effettiva di ognuno di noi può fare del mondo, della realtà e dell’altro. Il mondo moderno è un mondo di frammenti impazziti, che alla “contemplazione” ha sostituito la “fruizione distratta” (…) Tale dimensione è in Benjamin sinonimo di rivoluzione: possibilità di riscatto da parte delle masse […]
In Benjamin distrazione e attività non sono in contraddizione: i fenomeni che sembrano costringere ciascuno, per volontà del capitalismo, all’omogeneizzazione e alla passività generalizzata, sono gli stessi che possono condurre l’uomo alla sua tanto sospirata rivincita e affermazione. I frammenti sono perciò da un lato prodotti della cultura del consumo, della moda, della meccanizzazione dell’agire, ma su un altro livello sono anche promessa di futuro, possibilità offerta agli uomini di scardinare la storia dei vincitori e il tempo mitico del sempre-uguale.

La frammentarietà che caratterizza il mondo moderno, oltre ad essere il contenuto ovvero il tema di gran parte della produzione benjaminiana, è al contempo anche fondamento formale e stilistico; Benjamin non ha più alcuna fiducia per il trattato esauriente e per il sistema, ed è la sua stessa produzione a essere espressione della medesima frammentarietà di cui parla, prediligendo per esempio la struttura saggistica su determinati argomenti e autori. Ma è soprattutto nella sua ultima grande opera, rimasta incompiuta, che tale frammentarietà assurge alla sua più piena espressione, ovvero i Passages, un “montaggio” di impressioni, idee, citazioni, riferimenti, “stracci” appunto, che nel loro accostarsi fanno emergere significati inediti, elementi che contribuiscono a sconfiggere quella fantasmagoria seduttiva in grado di anestetizzare il pensiero critico.
Qui assume un ruolo essenziale il concetto di “immagine dialettica” dominante proprio nei Passages; l’immagine dialettica, che si oppone all’epochè fenomenologica, vive del suo perpetuo relazionarsi all’altro da sé. Non v’è possibile ontologia dell’immagine nell’assenza di relazione, anzi, è la stessa immagine che, affinché possa sopravvivere, pretende di essere messa in rapporto ad altro. È nell’immagine dialettica che temporalità ed eternità si fondono insieme, passato e presente si amalgamano:

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“Non è che il presente getti la sua luce sul passato, ma l’immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’ora in una costellazione. In altre parole: immagine è dialettica nell’immobilità. Poiché, mentre la relazione del presente con il passato è puramente temporale, continua, la relazione tra ciò che è stato e l’ora è dialettica: non è un decorso ma un’immagine discontinua, a salti. – Solo le immagini dialettiche sono autentiche immagini (cioè non arcaiche); e il luogo in cui le si incontra è il linguaggio”.1]

Cogliere nel turbinio incessante e frenetico della modernità dei momenti di stasi improvvisi, delle “epifanie di senso”, capaci di illuminare di una luce differente ciò che invece ci sfugge repentinamente nella vita quotidiana dominata dalle regole del consumo: questo è il compito del filosofo dialettico e del critico della cultura; fissare lo sguardo sui frammenti per farne delle immagini dialettiche che rivelino i processi che li hanno determinati, le loro intenzionalità profonde, i loro valori allegorici e le opportunità che da esse si sprigionano.
[…]
Ontologicamente, ed anche da un punto di vista logico-semantico, l’immagine può dire qualcosa, ha un senso e può comunicare con noi solo perché è da subito a contatto con altre immagini, in rapporto di identità o differenza con esse. D’altronde, è la conoscenza stessa che opera in questa maniera, affidandosi alla “relazione” e non alla “cosa in sé”. Per comprendere questo punto, torniamo a Nietzsche: “Le proprietà di una cosa sono effetti su altre ‘cose’; se si immagina di eliminare le altre ‘cose’, una cosa non ha più proprietà; ossia: non c’è una cosa senza altre cose, ossia: non c’è alcuna ‘cosa in sé’”.2]
L’immagine rinvia continuamente a ciò che è altro da sé, slitta il suo senso ad un’altra immagine che rimanda a sua volta ad altre innumerevoli immagini. In questo terreno multiforme e frammentato, in assenza di un punto centrale e statico, la riflessione è demandata continuamente al suo passo successivo; questo processo consente al pensiero di vivere, di non esaurirsi in una risposta conclusiva, e di tenersi aperto all’indeterminato.

1] W. Benjamin, I «passages» di Parigi, Einaudi, Torino, 2007, p. 516
2] F. Nietzsche La volontà di potenza Bompiani, Milano, 2005, p. 308

40 commenti

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40 risposte a “L’IMMAGINE NELLA POESIA TRA «IL MONDO DI AVANSCENA» E «IL MONDO DI RETROSCENA» NELLA POESIA DI TOMAS TRASTRÖMER e la Teoria dell’Unificazione dei modelli di simulazione neurale del Fisico tedesco Burkhard Heim e il Paradigma olografico di Giorgio Linguaglossa – Filosofie del frammento di Alessandro Alfieri

  1. antonio sagredo

    [ Leggiamo ad esempio due versi di Tomas Tranströmer:

    Le posate d’argento sopravvivono in grandi sciami
    giù nel profondo dove l’Atlantico è più nero. ]

    semplicemente:

    le posate d’argento si mutano in sciami di pesce d’argento,
    che essendo posate (metalli)-pesci argentati non si muovono: stanno
    fissi (sono più o meno pesanti) sul fondo del mare e …” sopravvivono”
    non più come posate, ma come se fossero pesci vivi, ma noi sappiamo come di metallo che brilla, e poiché brillano sembrano come sciami di pesce in fondo al mare… ma noi sappiamo che è solo metallo (argento),
    e non pesci. Perciò è il trionfo dell’immobilità argentata (della morte) e non certo del vivente, come vorrebbe il poeta; è un semplice animare ciò che è immobile, morto; La chiave è tutto in quel “argento” di sardine o alici che si mutano (maschere !) in posate (perciò sopravvivono) e non il contrario, come vorrebbe il poeta.
    Ma si sbaglia.
    buona giornata
    as

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  2. Le immagini, o i frammenti della poesia di Tranströmer «devono essere abitabili e non visitabili. Se lo osservo bene in me stesso, questo desiderio di abitazione non è né onirico (io non sogno un sito stravagante) né empirico… il mio desiderio è fantasmatico, esso nasce da una sorta di veggenza che sembra portarmi avanti, verso un tempo utopico, o riportarmi indietro, non so verso quale regione di me stesso: duplice movimento che Baudelaire ha cantato nell’Invitation au voyage e nella Vie antérieure. Dinanzi a questi paesaggi prediletti, è come se io fossi sicuro di esserci stato o di doverci andare. Ora, parlando del corpo materno, Freud dice che “non c’è nessun altro luogo di cui si possa dire con altrettanta certezza che ci siamo già stati”. L’essenza del paesaggio (scelto dal desiderio) sarebbe allora questo: heimlich, che risveglia in me la Madre (niente affatto inquietante).1]

    Ho fatto questa citazione di Barthes perché vorrei dire una cosa: il macro frammento di Tranströmer indica un luogo non abitabile. È una metafora complessa che al suo interno ospita più frammenti e più metafore. In questo luogo non è possibile viverci, nemmeno per un istante perché siamo «giù nel profondo», dove «l’Atlantico è nero». Si tratta di un luogo-non-luogo, ad un tempo familiare ed estraneo, niente affatto abitabile. «Le posate d’argento» equivalgono, per il mondo di retroscena, ai pesci d’argento, si tratta di una equivalenza simbolica evidente che ciascun lettore fa in proprio, ma subito dopo la lettura il lettore viene respinto verso la superficie, verso un luogo abitabile ove sia possibile, come dice Barthes, viverci. Quindi, si tratta di un luogo respingente, da cui è bene stare alla larga. Quella immagine delle «posate d’argento» dice di più, molto di più, è una trovata metaforica di un grande talento che condensa in sé il mondo di superficie dove ci sono le posate d’argento della buona ed educata borghesia internazionale con le quali tratta i cibi da ingerire… e il mondo profondo dove quelle «posate» sopravvivono «in grandi sciami» semantici…

    R. Barthes La camera chiara. Nota sulla fotografia Einaudi, 1980, p. 41

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  3. Nelle tradizioni asiatiche lo stato di “Illuminazione” è accettato, non come dogma religioso o una filosofia, bensì come esperienza accessibile a tutti, percepibile nel corpo e nella coscienza. Questa esperienza equivale a vivere il vuoto, sentirne la densità e l’irradiazione. Non è una comprensione intellettiva: chi la realizza entra in una dimensione di non ritorno, “sa” in cosa vive, sa di cosa si tratta perché lo percepisce nel corpo. Da quel momento in poi il suo esistere non sarà più lo stesso. Da qui la storia di Buddha e di tutti gli illuminati.
    Dico questo perché mi sfugge l’oggetto della ricerca scientifica, la “cosa” su cui si sta indagando. Il vuoto, la sua composizione? Se ne avessimo conoscenza potremmo controllarlo ( che poi è questo l’obiettivo di molta parte della ricerca scientifica), ma pare non sia possibile. Non ancora almeno. Qualcosa mi fa pensare che se la scienza ne venisse a capo – al rebus di quale materia di forze sia composto il vuoto – su Marte ci andremmo in meno di un’ora. Servono riscontri naturali, come nell’esempio della particolare percezione visiva dei gatti; mentre, in tema di poesia, mi soffermerei sulla percezione della nostra mente in relazione ai fenomeni; se ci sia dell’analogia tra il farsi del pensiero e il cosmo superfluido; tra ordine e casualità. Il tema è d’attualità perché, penso, la nostra mente sta subendo trasformazioni che sono in gran parte dovute al moltiplicarsi di eventi tra loro scollegati – è inverno, fai la doccia, la radio trasmette musica, dove hai messo il cellulare? – Ecco, è con questa mente che ci troviamo a dover fare i conti. Come gli scienziati quando indagano sulla natura del caos, così nella poetica del frammento si tenta un possibile riordino, sapendo però che la natura non è più la stessa, nemmeno la stessa che dipingeva Courbet, più di un secolo fa: Courbet che pure era uno splendido realista.

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  4. antonio sagredo

    è quel verbo “sopravvivono” che mi è indigesto!
    Certo non posso dire nulla sulla traduzione poi che non conosco lo svedese. Un sinonimo migliore certo esiste.
    L’Atlantico? Ma questo è il suo mare. ma qui nell’accezione “mare” va bene qualunque mare che sia abbastanza profondo dall’essere perfino “più nero”
    Anche il Pacifico o il misterioso Indiano.
    dove l’oceano è più nero sarebbe stato di gran lunga un verso più misteriosamente estetico e valido, lasciando al lettore la sensazione dello smarrimento in qualsiasi abisso!
    E anche quel “giù” è inutile.

    as

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  5. Io invece considero quel verbo «sopravvivono» assolutamente azzeccato (un bravo al traduttore Enrico Tiozzo), e considero azzeccata anche la nominazione precisa di quale oceano si tratta («l’Atlantico»), perché in poesia la precisione onomatologica è un pregio, non un difetto.

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    • SILENZIO
      Qui la traduzione è di Gianna Chiesa

      Passa oltre, sono sepolti…
      Una nuvola scivola sul disco del sole.

      La fame è un edificio elevato
      che si sposta nella notte

      nella camera da letto si apre la colonna
      scura della tromba di un ascensore verso le viscere.

      Fiori nel fosso. Fanfara e silenzio.
      Passa oltre, sono sepolti…

      Le posate d’argento sopravvivono in grandi sciami
      giù nel profondo dove l’Atlantico è nero.

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  6. Ho scritto ed inviato da tempo a Giorgio, alcune mie poesie ed una piccolissima nota sul cosiddetto “frammento” e mi permetto di condividere qui (ma solo per conoscenza e magari sapere che ne pensano altri lettori) un inedito scritto una settimana fa, in cui vi sono elementi inerenti l’articolo di oggi. Riporto anche il link dei gentili commenti che questi pochi versi hanno ricevuto, aggiungendo soltanto qualche altra parola: il frammento, a furia di leggere spiegazioni e teorizzazioni a riguardo, sta assumendo la valenza di una questione di stato, mentre è qualcosa di più semplice, tanto che spesso abbiamo letto anche in commenti qui, che è sempre esistito. Ora, secondo me, si tratta soltanto di prendere coscienza che oggi esso ha un ruolo, un significato differente rispetto al passato; che esso è uno spartiacque tra la poesia del Novecento e quella che si tenta di consegnare al domani (tenuto sempre conto, come sappiamo che è il tempo che consolida tutto, va bene) e che non si deve considerare il suddetto frammento come un obiettivo o un obbligo che, seduti a tavolino decidiamo di usare, ma che esso, come tutta la Poesia, accade. L’importante è avere cognizione di questo accadimento, ma come si deve averne per ogni verso scritto, senza nulla di trascendentale, ma solo come frutto di studi, letture e per alcuni ricerca. Dunque mi permetto di suggerire a Giorgio di usare l’argomento “frammento” per creare una rete di scambi e quindi di crescita collettiva, invitandolo a postare esempi di poesie di tanti, ma tanti altri poeti e non solo evidenziando quanto ci interessa nei sempre presenti nomi che la Rivista ospita, così da essere reale palestra per chi, come me, ha tanta voglia di imparare e superare l’impasse novecentesca che ormai sembra stampata nel DNA di tutti i poeti.
    E se siete arrivati a leggere fin qui vi dedico, sorridendo, questi miei versi:

    #2

    «Dimmi cos’hai»
    40 anni. Una penna. Fame.
    Il libro degli astri. Un ricordo.
    Scegli.

    «E cosa vorresti?»
    Un biglietto per l’Orient Express.

    La voce legge Tranströmer:
    “un chiarore blu…una fessura
    attraverso la quale i morti
    passano clandestinamente il confine”.¹

    Mentre ci diluiamo con le ore della notte,
    una lampada velata aspetta l’alba.

    *
    Angela Greco, inedito

    ___________________________________________
    [1] Tomas Tranströmer, versi da Cuore dell’inverno (da La lugubre gondola, BUR,2011) -in corsivo nell’originale-

    Angela Greco, due inediti


    “Bene, cara Angela, queste due tue poesie sono perfettamente aderenti alla poetica del «frammento» come l’abbiamo denominata ne lombradelleparole.wordpress.com – Si tratta di un nuovo modo di concepire la poesia e un nuovo modo di scrivere. Mi accorgo con sorpresa e condivisione che la tua poesia corrisponde ai principi di poetica geometrica che abbiamo individuato nelle discussioni di gruppo. Nella tua poesia si respira un’aria nuova, fresca, ti sei liberata da ogni traccia di orpello e di ideologia del quotidiano. È una poesia oggettiva che non concede nulla al lettore di quanto era abituato a trovare in una poesia di stampo lineare fonodico. Ci sono improvvisi cambi di marcia e eccellenti inserti immaginifici alla maniera di Tranströmer interpretato in maniera originale. Complimenti.” (Giorgio Linguaglossa 29\11\’16)

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  7. donfrancesca23

    le conosco

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  8. quindi, memoria e frammento (realtà frammentata/non realtà) sono in antitesi?

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    • Provo a rispondere: secondo me il frammento è memoria – memoria in frammenti o frammenti di memoria – E’ il fattore spazio-tempo quello che decide e scombina l’organigramma degli eventi così come comunemente viene pensato. Se, ad esempio, dire memoria è pensare ad Auschwitz e a quel che tristemente ha insegnato, allora Auschwitz è qui adesso; altrimenti ne parleremmo in altro modo, ad esempio alla maniera del bravissimo Ken Follett; ma decisamente non sarebbe il signor “K” delle poesie di Giorgio. La memoria si attiva senza preavviso e i ricordi hanno presenza. Per questa ragione io non parlerei di passato, se il passato affiora nel presente… il fatto è che la mente seleziona conferendo ai pensieri un valore collettivo: da questo punto di vista il frammento rappresenta un’apertura verso segnali lasciati finora in disparte.

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    • scusa Flavio, non mi ero resa conto che la tua domanda era rivolta a me. Personalmente ho usato “il frammento” quando è sorta, nel percorso della mia poesia, la necessità di rendere in versi il ricordo, quindi la memoria, e la contingenza dell’attimo e non vi ho trovato, quindi, antitesi, ma piuttosto ho riscontrato che uno – il frammento – poteva servire all’altro – alla memoria -. Almeno, fin’ora, questa è la mia esperienza concreta.

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  9. “Le posate d’argento sopravvivono in grandi sciami/giù nel profondo dove l’Atlantico è più nero”.Si potrebbero spendere fiumi di parole,senza poter esprimere la potenza di questi versi,tale che qualunque commento potrebbe limitarla.
    E’ un dono, quello di averli potuti conoscere.

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  10. gino rago

    T.T., più d’una volta opportunamente proposto e sempre ben commentato,
    è apripista delle immagini metaforiche. Tra i primi a fissare lo sguardo sui
    frammenti per farne delle “immagini dialettiche” in cui il tempo non è continuo ma procede , come elettroni di Bohr nel modello quantistico, per salti..quantici (Plank).
    Meriti, onori al fondatore dell’Ombra delle Parole per avere dissodato
    il duro terreno della poesia europea estraendone una voce e una ricerca
    di linguaggio condotto ad uno stato zero come quelle di T. T., accanto ad altre voci scandinave traslate verso di noi, attraverso L’Ombra, dalla opera
    preziosa di E. Tiozzo.
    Gino Rago

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  11. antonio sagredo

    è quel verbo “sopravvivono” che mi è indigesto!
    Invito Tiozzo, che apprezzo come traduttore (scritto in altra occasione) di cercare altro sinonimo di “sopravvivere”.
    La liquidità di quei due versi, che menziono più sopra, è mortificata!

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  12. IL FRAMMENTO IN UNA POESIA DI STEVEN GRIECO-RATHGEB da “Entrò in una perla” (Mimesis Hebenon, 2016)

    L’IMMAGINE NELLA POESIA TRA «IL MONDO DI AVANSCENA» E «IL MONDO DI RETROSCENA» NELLA POESIA DI TOMAS TRASTRÖMER e la Teoria dell’Unificazione dei modelli di simulazione neurale del Fisico tedesco Burkhard Heim e il Paradigma olografico di Giorgio Linguaglossa – Filosofie del frammento di Alessandro Alfieri


    Scrive René Char: «Le parole che sorgono sanno di noi ciò che noi ignoriamo di loro».
    «La vita è l’origine non rappresentabile della rappresentazione».1]

    In questa sede mi occuperò di una poesia di Steven Grieco-Rathgeb che tratta della vita dal punto di vista della vita, da un punto di vista esterno. La poesia inizia con una annotazione da diario: oggettiva e sintetica, quasi stenografica:

    Due sorelle sulla veranda, in vestiti giallo-sera.
    (Fuori, un giardino.)

    L’autore sembra non esserci. In tal modo, si attua una dis-locazione dell’autore il quale non è più presente all’interno della composizione, ma si trova in un altro luogo. La frequente apparizione di verbi all’infinito e in forma riflessiva rende evidente questo allontanamento dell’autore il quale è fuori scena. Tutto accade perché accade, come gli «stormi dei piccioni in volo», non c’è un perché circoscritto nella poesia, e neanche all’esterno della poesia. Anche il sogno di Meena della «madre morta», accade e, in quanto accadimento, ha significato. Il significato quindi è svincolato dall’autore e dalla stessa poesia. La poesia non reca il significato perché questo le preesiste («Le parole che sorgono sanno di noi ciò che noi ignoriamo di loro»), e il poeta non fa che prenderne atto. Il significato è contenuto in un frammento di immagine, è tutto lì.

    Sulla veranda: Meena e Beena Mathur

    Due sorelle sulla veranda, in vestiti giallo-sera.
    (Fuori, un giardino.)

    Dopo il tramonto la loro quiete
    si ritira dal cielo rosa pieno di aquiloni
    mentre scende la notte –

    e nell’incrocio-intreccio, intessersi di traiettorie
    su vanno i triangoli e rombi di carta
    mentre da ogni terrazzo gesticolano i festanti

    Pensiero furtivo, sorvola la Jothwara Road, verso Gangori Bazaar
    radioso di nude lampadine, stoffe, folle che si muovono, pigiano mescolano

    perfino un albero morto in un terreno deserto si agghinda di colori

    Il grido umano di questa terra troppo complessa, sale
    nel cielo frenetico, strisciato di rosa

    agli stormi di piccioni in volo

    agli aquiloni che danzano più su

    alle rondini nel più alto

    Meena: «ho fatto un sogno della
    nostra madre morta.
    Da 25 anni, ormai.
    la incontro in altri luoghi.»

    La veranda incupita piange questa perdita di visibilità,
    i prodigi che la nostra psiche non illumina.

    «Ti sento cantare quando fai il bagno la mattina.»

    Ma io dico che siamo già venuti qui
    smemorati, disarmati – benché dicano, È, non È –
    soltanto per affermare la vita (e vivere).

    Nudo, il cuore percorre un gelido corridoio.

    E così, a poco a poco, l’imbrunire ruba
    i lineamenti dei loro visi – ma ancora invia

    (un riflesso incantevole)

    Jaipur, Makar Sakranti, gennaio 2006

    Si tratta dunque, dunque, di ripensare la vita umana al di là dell’essere-per-la-morte in cui l’aveva chiusa Heidegger: la nostra esistenza non può essere solo «empirico-condizionata» ma è anche metafisico-incondizionata, il discorso sull’essere non può ridursi all’essere ente umano. Sul ciglio delle riflessioni dell’ultimo Derrida, come nella poesia di Steven Grieco-Rathgeb, si intravede, da lontano, la soglia della condizione post-umana che è il superamento, definitivo, della condizione postmoderna di Jean-François Lyotard. Un umano non più chiuso dentro il circolo dei suoi predicati in cui la dialogicità della coscienza non costituisce più soltanto un pretesto per pensarsi in opposizione all’altro da noi ma si pone in dialogo con tutti gli esseri della terra, animati e inanimati (vedi gli uccelli, gli aquiloni, la Gangori Bazaar della poesia di Steven Grieco, etc.). E questo significa, «gettare ponti tra le epoche»2] e tra gli uomini tra di loro.
    La poesia segna la scomparsa «del primo significante», narra di un luogo dove è avvenuta una visione. La poesia si pone così «in prossimità assoluta con l’essere», o nelle sue vicinanze immediate, con un senso leggibile, che permette di preservarlo dal movimento corrosivo ed ambiguo del processo della significazione. Il modello di questo logos puro e naturale è, per Derrida, contemporaneo all’epoca teologica, «il segno e la divinità hanno lo stesso luogo e tempo di nascita» dice Derrida, come il verbo divino è parola assoluta di una soggettività creatrice infinita, che crea le cose solo nominandole, così il linguaggio della metafisica. La parola poetica di Steven Grieco-Rathgeb reca una traccia, è una parola onirica che guarda la vita dal punto di vista della vita. È un sogno, o meglio, un frammento infinitesimale di un sogno.

    1] Jacques Derrida, La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino 1990, p. 301.
    2] Maurizio Ferraris, Postille a Derrida, Rosenberg e Sellier, Torino 1990, p. 215.

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    • Questa poesia di Steven Grieco ha l’andamento di uno storyboard (adattamento progettuale di una sequenza cinematografica): si introduce l’immagine in campo largo, si passa al campo stretto su pensieri e voci (anche queste in forma di frammento) e… ci si perde in altri mirabili frammenti, come “Nudo, il cuore percorre un gelido corridoio” ( appare in un lampo, si basta e non prosegue); fino a “(un riflesso incantevole)”: un sentimento posto tra parentesi dentro cui, di sfuggita, si può cogliere il volto riconoscente dell’autore. Tempo interiore ed esteriore, in un istante di vita, sono qui narrati con freschezza, senza lungaggini e lasciando alla razionalità tutto il tempo che le serve per raccapezzarsi… che tanto l’attimo è breve, ed è già passato.

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    • Donatella Costantina Giancaspero

      Un commento molto interessante, che trae spunto da questa magnifica poesia di Steven Grieco-Rathgeb per riaffermare alcuni concetti fondanti della poetica del frammento. Essi dimostrano come la via del frammento sia l’unica percorribile, oggi, la sola che possa condurci a rappresentare e comprendere la realtà. E, come scrive qui Giorgio Linguaglossa – riprendendo anche il pensiero di Derrida -, “La poesia si pone così «in prossimità assoluta con l’essere», o nelle sue vicinanze immediate, con un senso leggibile, che permette di preservarlo dal movimento corrosivo ed ambiguo del processo della significazione”.

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  13. antonio sagredo

    Il frammento proprio perché è stato divelto dal suo corpus originario presenta qualità spietate, per cui il frammento più spietato è (non sa cosa è la misericordia) più si assume la responsabilità di frammento, nel senso che il frammento deve essere per forza di cose superiore al componimento di cui fa parte – di cui faceva parte un frammento-campione che vale di più dell’organismo da cui è stato estirpato o tranciato.
    as

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  14. Perdersi in un frammento piccolissimo, un ricordo… questo è l’assurdo. Per esempio io ricordo delle cose di quando ero un bambino… ma non so se veramente sono dei ricordi o dei sogni che ho sognato ad occhi aperti… Qui concordo con Antonio Sagredo e la sua teoria del duende… chi non è capace di abbandonarsi ai ricordi e alla melancolia, anche quelli sognati, anche le melancolie sognate, non potrà mai scrivere una poesia durevole…

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  15. antonio sagredo

    La soglia del duende

    Mi giunsero notizie come varianti mostruose da ogni luogo terrestre: l’orrore
    non era più una novità per me, gli eventi sugli occhi battevano i ritmi delle visioni
    recidive: catastrofi, apocalissi il nostro pane quotidiano… i tasti del duende scellerati:
    Sono rose nere queste quotidianità, ma non sono le mie rose!

    Voi forse credete le croci meno mostruose delle scimitarre? I candelabri meno
    mostruosi di quelle? Caroselli, giostre, morgue, obitori, mattatoi ad uso comune… tutto o nulla fluisce dalla pianta dei piedi al midollo… meno cantavo più la canzone
    mi era sonoramente insensata: fuoco del sangue! sangue del fuoco!

    Ho spremuto la Morte come un limone di primavera quel giorno romano che il silenzio oscillava al canto del gallo come una banderuola gitana. Eloisa, meretrice di Siviglia, batteva i quattro boulevards dell’arena, lei che era gobba come una prefica medievale cantava Santa Teresa barocca dal volto più affilato di una falce!

    Sugli altari delle lagrime scrisse con dita di cera un epitaffio muliebre con gli stiletti
    delle sue unghie arcuate … era famosa come la bambina dei pettini e gareggiava
    con le ballerine di Cadice, e danzava al canto di Silverio l’emorragia dei gesti dai balconi
    giudei dei fiori di sale… mirando del mio corpo il non agire… e poi non più.

    La soglia e la ferita mi contesero il poeta sulle scale delle lagrime: era la squillante voce piombata degli zoccoli sul nero suono muschiato… un’aria con odore di saliva di bimbo, di erba pestata e velo di medusa sotto nuovi portali di scoperta. Ma contro la geometria del pianto mi truccavo con gesso di Ruidera!

    Antonio Sagredo

    Roma, 10 ottobre 2015

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  16. antonio sagredo

    …rifletto che poggiare tutto quanto che si è scritto (tranne il duende s’intende o altra cosa estranea al tema precipuo) sulla spalla del povero poeta svedese, d’altronde colpito da ictus se ricordo bene, mi pare davvero troppo e anche crudele; come troppo sulla gobba del concetto di “frammento” le connotazioni e i riferimenti culturali-ideologici… ecc., di cui taluni rammendati la bene meno peggio.
    Insomma. direi che bisogna essere prudenti e non dilatare più del necessario…
    ….questa sera sul bus io e Sabino Caronia abbiamo potuto constatare come il nome e cognome del sottoscritto a Roma comincia a diffondersi: una ragazza, studentessa del 4° anno di lingue e lett.stran. moderne diceva di un certo poeta Sagredo: divertentissima quando mi sono denunciato, e Sabino era sorpresissimo!!!
    Cosa lega questo fatto ultimo con il precedente?
    Che la POESIA penetra ovunque, sia esso frammento puro o purissima comunicazione orale.
    arrivederci

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  17. “L’emorragia dei gesti dai balconi”: ecco un verso che ruberei a Sagredo; il motivo del sangue (e del nero) attraversa la sua poesia,come una cifra indelebile; tuttavia, non ha nulla di mortuario; anzi:allude a una qualche possibilità di rivincita e di riscatto, come ogni bandiera degna di rispetto.

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  18. Pingback: Steven Grieco-Rathgeb: Appunti per una difesa del «Frammento» – Il «Frammento» in una Poesia di Steven Grieco-Rathgeb da Entrò in una perla (Mimesis Hebenon, 2016) – Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa | L'Ombra delle Parole

  19. antonio sagredo

    e hai ragione, Anna!!!

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  20. Pingback: Steven Grieco-Rathgeb: Appunti per una difesa del «Frammento» – Il «Frammento» in una Poesia di Steven Grieco-Rathgeb da Entrò in una perla (Mimesis Hebenon, 2016) – Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa | L'Ombra delle Parole

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