Donatella Costantina Giancaspero – DUE POESIE da Ma da un presagio d’ali (2015) – Il disordine degli oggetti, tempo interno, tempo esterno, mondo interno, mondo esterno, istante privilegiato – UNA POESIA inedita di Giorgio Linguaglossa da Il tedio di Dio Commento e auto commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

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Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

La poesia che segue rappresenta la sosta esistenziale in un «frammento» del tempo, mette a fuoco un «istante privilegiato» della temporalità, raffigura un gesto: «Ti alzi», il sollevarsi da un «oggetto», la «sedia, disadorna», «allo scadere del tempo», nel momento del «distacco». Rappresenta un evento psicologico senza scadere in psicologia applicata, scandisce un momento della temporalità dal punto di vista di un «oggetto» comune: la «sedia». Nel disordine degli oggetti, la poesia seleziona un oggetto comunissimo, lo eleva a privilegiato e ne fa una epifania privilegiata, cioè significativa. È il modo di comporre di Donatella Costantina Giancaspero, la sua «nuova poesia» dei frammenti o degli oggetti privilegiati.

Ti alzi,
ti sollevi dall’oggetto
che ti accoglie
– disadorna sedia,
impreziosita
dall’impronta che lasci -.
Così,
allo scadere
del tempo insieme
sei
per andare
– la mente
tesa al distacco
svolge
un dipanarsi
obbligato di vie -.
Ancora abbiamo sostato
in un ritaglio di vita,
appena per vedere
la sera
infittirsi alla finestra
– esaltare
il lume sul tavolo,
la luce imprecisa
del tuo occhio
che si stempera nel sonno –
e disfarsi poi,
a un tremito d’alba,
per un raggio che s’insinua
e sfora
e scrolla il mondo.
Volgimi le spalle, ora,
qui, nello spazio
compreso tra la porta
di casa
e il tuo congedo.
Evita
lo sguardo, la stretta,
schiva il bacio.
Scendi giù
c’è scampo
in fondo alle scale.1

Il «frammento», che cos’è? Parafrasando Agostino, vescovo di Ippona, dirò: «se nessuno me lo chiede lo so, ma se qualcuno me lo chiede non lo so più». Ecco, il «frammento» è una Contingenza, una Singolarità, un Evento, un Qualcosa che è accaduto  per me e per nessun altro in un hic e in un nunc, un Qualcosa che avevo dimenticato o forse rimosso, forse caduto nel sottosuolo o nel sottosuolo del sottosuolo. Un Qualcosa di quella «Cosa» (das Ding) che non c’è, che è celata nel sottosuolo o nel sottosuolo del sottosuolo. Improvvisamente, esso riappare. Con nostra meraviglia. E ci accorgiamo del suo potere, del suo mana, del suo potere magico, e ne siamo spaventati, restiamo sgomenti. Il «frammento» è un campo chiuso di forze divergenti, congelate come nel flash di un fotografo; una sorta di fotografia del «tempo», una tipografia del «tempo», una deità misteriosa e capricciosa che è diversa per ciascuno di noi, e che cambia di abito di continuo con il mutare dei «tempi». In un certo senso, è affine alla Moda, che è un sistema variabile, un suo parente stretto. Nel «frammento» si verifica qualcosa di analogo a «quella cosa vagamente spaventosa che c’è in ogni fotografia: il ritorno del morto».1 In ogni «frammento» vi abita un morto, che ritorna in vita per un atto magico di resurrezione.

Il «frammento» può essere colto da un «presagio d’ali», da una preveggenza, oppure da uno stato sonnambolico nel quale la vigilanza della coscienza si affievolisce. Il «frammento» compare all’improvviso, nell’immenso disordine degli oggetti, è esso stesso un prodotto di quel disordine, ma, affinché vi sia «frammento» esso deve sortire fuori da una marcatura del tempo. È il tempo il demiurgo del «frammento», suo capostipite e suo padrone. Nel «frammento» c’è tutta la potenza detonante del significante, ma come raggelato e immobilizzato, ed esso ci appare estraneo (Unheimlich), chiuso nell’ambra di un milione di anni millimetri e sepolto nella memoria. E l’assurdo è che il «frammento» ci guarda. Dal lontano passato sembra osservarci e, una volta libero dal nostro sottosuolo, esso ci domina dalla profondità della sua Contingenza.

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.

Scrive Roland Barthes:

«Che cos’è la Storia? Non è forse semplicemente quel tempo in cui non eravamo ancora nati? Io la leggevo la mia inesistenza negli abiti che mia madre aveva indossato prima che potessi ricordarmi di lei… Ecco qui (intorno al 1913) mia madre in gran toilette, con cappellino, piuma, guanti, biancheria fine che spunta fuori dai polsini e dalla scollatura… È l’unica volta che io la vedo così, colta nella Storia (dei gusti, delle mode, dei tessuti): la mia attenzione viene allora distolta e passa da lei all’accessorio che è perito; il vestito è infatti perituro, esso prepara all’essere amato una seconda tomba. Per “ritrovare” mia madre… bisogna che, molto più tardi, io ritrovi su qualche foto gli oggetti che ella aveva sul comò: per esempio un portacipria d’avorio (amavo il rumore del coperchio), una boccetta di cristallo intagliato… oppure quelle pezze di rafia che essa fissava sempre sul sofà, le grandi borse che prediligeva […] La Storia è isterica essa prende forma solo se la si guarda – e per guardarla bisogna esserne esclusi. Come essere vivente, io sono esattamente il contrario della Storia, io sono ciò che la smentisce, che la distrugge a tutto vantaggio della mia storia… Il tempo in cui mia madre ha vissuto prima di me: ecco cos’è, per me, la Storia.

E qui incominciava a profilarsi la questione essenziale: la riconoscevo io veramente? (…) Io la riconoscevo sempre e solo a pezzi, vale a dire che il suo essere mi sfuggiva e che, quindi, lei mi sfuggiva interamente. Non era lei, e tuttavia non era nessun altro. L’avrei riconosciuta fra migliaia di altre donne, e tuttavia non la “ritrovavo”… la fotografia mi costringeva a un lavoro doloroso; proteso verso l’essenza della sua identità, mi dibattevo fra immagini parzialmente vere, e perciò totalmente false… Il quasi: atroce regime dell’amore, ma anche condizione deludente del sogno… nel sogno essa ha talvolta qualcosa d’un po’ fuori posto, di eccessivo… E davanti alla foto, come nel sogno, è il medesimo sforzo, la stessa fatica di Sisifo: risalire proteso, verso l’essenza, ridiscendere senza averla contemplata, e ricominciare daccapo».1

Ecco descritto in modo mirabile la fenomenologia del «frammento» nella lettura di una fotografia. Il frammento lo abbiamo davanti agli occhi in ogni istante della nostra giornata. La fenomenologia del mondo si dà in forma di frammento, non dobbiamo scomodare i grandi filosofi per scoprire questo dato di fatto. Noi conosciamo il mondo attraverso «frammenti», e non potrebbe essere diversamente. Io dico solo una cosa: che la nostra attenzione di poeti deve essere sollecitata dalla comprensione dell’intima natura del «frammento», comprendere che in esso c’è non solo un «tempo interno», ma un «mondo interno» che noi non conosciamo, che non riconosciamo più, perché siamo diventati estranei a noi stessi… Io dico solo una cosa: è questo processo di progressiva estraneazione che è tipica del nostro tempo che noi troviamo nella poesia più evoluta di oggi.

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Leggiamo, ad esempio, l’incipit di una poesia di Donatella Costantina Giancaspero:

È domani

Eppure è già domani
a quest’ora fonda
della notte,
quando nei condomini
i muri, che separano vita
da vita, hanno spessori
di silenzio
e dalle strade il buio
rimanda rare sirene,
eco sorda di macchine.
S’impiombano attoniti,
nel vuoto, i binari
della metro di superficie.

È domani,
e non vale la veglia
ostinata, non servono
i rituali del fare
a prolungare l’oggi.
Questo domani,
questo tempo muto, scattato
da una combinazione di lancette,
cielo acerbo, sospeso
sulla zona franca
del sonno, dove, ignoti,
già tanti destini si compiono,
questo è l’oggi.

Tra poco la notte sbiadirà
in un brusio di appannati risvegli
e frulli, alle finestre, cinguettii,
di luce in luce più canori,
fino al sole pieno,
puntato sulla città.
E sarà azzurro, azzurro estremo,
impietoso, nel suo occhio
fermo, astratto dagli occhi,
dissuasi, volti altrove;

perché altrove li volge
questo Tempo acuminato:
dov’è vita ferita che dispera
la vita, nei quotidiani martiri,
nelle morti suicide per dignità
negata, nelle stragi,
ai tribolati confini,
dove affonda il cuore

e la notte
di un altro domani.5

1  Donatella Costantina Giancaspero Ma da un presagio d’ali La vita felice, 2015, p. 78
2  R. Barthes in La camera chiara (Nota sulla fotografia), Einaudi, 1980 p. 10
3 Donatella Costantina Giancaspero Ma da un presagio d’ali La vita felice, 2015, p. 32
4 Ibidem p. 32
5 Ibidem p. 32

.

Il «frammento» è nient’altro che una «immagine». L’immagine, dice la fenomenologia, è un nulla di «oggetto». Ma io direi di più, l’immagine della fotografia è, al contempo un di più di immagine e un di meno: una immagine de-realizzata in quanto si tratta di un fermo-immagine, dove la processualità del reale è stata arrestata e il tempo vi si è ficcato dentro, si è cristallizzato. Il «tempo interno» è stato colto nella sua istantaneità e messo in frigorifero. E l’Estraneo si fa avanti.

Scrive Roland Barthes a proposito della immagine della fotografia: «non è soltanto l’assenza dell’oggetto. Ora, ciò che io ipotizzo nella fotografia non è soltanto l’assenza dell’oggetto, ma anche, sullo stesso piano e all’unisono, che quell’oggetto è effettivamente esistito e che è stato lì dove io lo vedo. Ecco, la follia è proprio qui; infatti, sino ad oggi, nessuna raffigurazione poteva assicurarmi circa il passato della cosa, se non per mezzo di riferimenti ad altre cose; invece, con la Fotografia, la mia certezza è immediata: nessuno mi può disingannare».1]

«Il noema della Fotografia è semplice, banale; nessuna profondità: “È stato”».2]

Leggiamo l’inizio di una mia poesia inedita in cui sono stato guidato dalla poetica del frammento:

[a sx cover definitiva, a dx cover scartata]

Giorgio Linguaglossa

Preghiera per un’ombra da Il tedio di Dio

.
II
[…]
Roma. Anni Cinquanta. Strada in salita.
Via Lorenzo il Magnifico n. 7.
Negozio di calzolaio. Mio padre calzolaio.
Una vetrina a gomito.
Cristallo e ottone. Ottone e cristallo.
Una foto su “Il Messaggero” che ritrae mio padre
con il grembiule da lavoro.
Un coccodrillo con i denti gialli. In vetrina.
Scarpe di lucertola, borse femminili di coccodrillo.
Scarpe in vernice.
Nel retrobottega, c’è una seggiola di paglia,
un tavolo con gli utensili da ciabattino.
[Io ci sono, ma fuori scena;
di là, in cucina, c’è il Signor K.]
[…]
Tanti chiodi. Sottili e massicci. La lesina. La clessidra.
Chiodi a testa tonda. Testa quadrata. Testa a punta.
Arnesi ad uncino, odore di mastice e di cuoio.
Sulla destra, una finestra dà nel vano dell’ascensore.
Sotto, la scala a chiocciola che conduce alla guerra di Troia.
[…]
[C’è mia madre, sul letto, malata.
Una bacinella di sangue, una flebo. In fondo,
la finestra aperta dà sul cortile.
Un cane lupo ringhia contro di me]
[…]
Mi racconta le storie più inverosimili.
Che una dea dal profilo di verderame si è affacciata sul mare,
e soffia nelle orecchie di un re marinaio
che guida una ciurma di ritorno da una guerra lontana.
Di una città data alle fiamme. Di una regina
nella reggia che attende il re marinaio
e inganna il tempo a disfare una tela,
di un’altra regina fatta schiava dal re vincitore,
dell’armata del nord che ha tradito il suo imperatore.3
[…]
[La finestra è sempre aperta sul cortile.
Il cane adesso ringhia contro di me, che non ci sono]
Racconta quell’ombra che un tempo lontano
viveva da qualche parte un tale
che diceva di essere un poeta
[Teatro dei pupi.
Rolando e Rinaldo combattono contro il Saracino
e bramano la bella Angelica]
ma in realtà era un malandrino,
e della peggior specie,
un ubriacone, che passava tutto il giorno al Teatro dei burattini,
ad andare dietro alle sottane…
[…]
Cigolii. La tromba dell’ascensore.
Voci umane appese agli abiti. Abiti appesi alle voci.
Qui a sinistra, una scala a chiocciola in ferro. Il ferro.
Orfeo scende con la lira a nove corde.
Suoni misteriosi, striduli.
[Io ci sono. Sono qui]
[…]
C’è un tale. Dice di essere mio padre.
[Il cane lupo adesso ringhia contro di lui]
Batte sul cuoio con il martello a testa tonda.
Piega la tomaia nel verso dell’alluce
e del futuro.

.

3] Riferimento alla morte dell’imperatore Giuliano l’apostata che nel 361 d.C. fu ucciso sotto le mura di Ctesifonte da una congiura di ufficiali romano-cristiani.

.
L’ordine della sintassi segue il disordine dei miei ricordi di bambino. Le frasi sono semplici, banali, accostate non per meravigliare o sedurre il lettore, ma per un mio bisogno di verità, di ricostruire la mia identità. Le immagini sono nella mia memoria come altrettante fotografie, sono state ordinate dalla mia memoria e sono diventate immodificabili. O meglio, forse la memoria le ha ricostruite, ma la mia ricostruzione è la dimostrazione che dietro quelle immagini che dimorano in un luogo del mio cervello non c’è niente, c’è il vuoto, il nulla. Adesso so che quelle immagini mentono perché non ci sono mai state così come le vede la mia memoria e quindi tutto quel mondo è falso, è una ricostruzione della mia mente fatta per rispondere ad un bisogno di identità, la mia identità. Ma, allora, mi chiedo: che rapporto c’è tra la mia identità e l’autenticità della ricostruzione fantasmatica e l’autenticità della costruzione poetica? Mi chiedo se questa gigantesca illusione abbia un senso, e quale. È per questo che ho inserito nella poesia la annotazione che «io ci sono ma fuori scena» perché devo ancora nascere, c’è, però un bizzarro personaggio: il Si-gnor K., l’estraneo, o il Caso, l’automaton che si interlinea negli eventi del mondo:

di là, in cucina, c’è il Signor K.]

Adesso ho capito. Questa poesia è per me una sorta di allucinazione: fasulla a livello di verità della immagine, vera a livello del «tempo interno». Mi dico, per rassicurarmi, che il tempo che è contenuto in queste immagini non può mentire, perché si è sedimentato all’interno delle immagini e le ha determinate in una direzione che io non avrei potuto immaginare…

1] Barthes R. La camera chiara (Nota sulla fotografia) Einaudi, 1980 p. 115, 116
2] Ibidem p. 115

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DONATELLA GIANCASPERO MATRIMONIO, 1994

Donatella Costantina Giancaspero, 1994

Costantina Donatella Giancaspero vive a Roma, sua città natale. Ha compiuto studi classici e musicali, conseguendo il Diploma di Pianoforte e il Compimento Inferiore di Composizione. Collaboratrice editoriale, organizza e partecipa a eventi poetico-musicali. Suoi testi sono presenti in varie antologie. Nel 1998, esce la sua prima raccolta, Ritagli di carta e cielo, Edizioni d’arte Il Bulino (Roma), a cui seguiranno altre pubblicazioni con grafiche d’autore, anche per la Collana Cinquantunosettanta di Enrico Pulsoni, per le Edizioni Pulcinoelefante e le Copertine di M.me Webb. Nel 2013, terza classificata al Premio Astrolabio (Pisa). Di recente pubblicazione è la silloge Ma da un presagio d’ali (La Vita Felice, 2015).

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Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma. Nel 1992 pubblica Uccelli e nel 2000 Paradiso. Ha tradotto poeti inglesi, francesi e tedeschi tra cui Nelly Sachs e alcune poesie di Georg Trakl. Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura «Poiesis» che dal 1997 dirigerà fino al 2005. Nel 1995 firma, Giuseppe Pedota, Lisa Stace, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di «Poiesis». È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte. Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto.
Nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980 – 2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato Mimesis, Milano Nel 2011, sempre per le edizioni EdiLet di Roma pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000 – 2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italiano/inglese Three Stills in the Frame Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. nel 2017 esce la monografia critica su Alfredo de Palchi, e nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma.  Ha fondato la rivista telematica lombradelleparole.wordpress.com  – Il suo sito personale è: http://www.giorgiolinguaglossa.com

e-mail: glinguaglossa@gmail.com

 

19 commenti

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19 risposte a “Donatella Costantina Giancaspero – DUE POESIE da Ma da un presagio d’ali (2015) – Il disordine degli oggetti, tempo interno, tempo esterno, mondo interno, mondo esterno, istante privilegiato – UNA POESIA inedita di Giorgio Linguaglossa da Il tedio di Dio Commento e auto commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

  1. Sarà un’impressione, ma trovo in queste poesie un senso di intimo, di compiuto. Mi hanno coinvolto. Fare elogi serve a poco.

  2. Sia ben chiaro: questi miei appunti critici non vogliono essere una critica per mostrare quanto è bello il Re. Non è una critica come si fa oggi, di accompagnamento o, peggio, di piaggeria, ma una riflessione su quanto io e i poeti impegnati in questo tipo di ricerca stiamo facendo. A noi non importa se facciamo una poesia bella o brutta, cerchiamo qualcosa di diverso dal solito «bello» e dal solito «brutto» e da quello che i critici accademici definiscono «bello» e «brutto».

  3. antonio sagredo

    Al contrario di quanto si stenta a credere d’un tratto questi versi: parole-non-parole danno un ordine a ciò che si ritiene (o crede la poetessa) sia il contrario. Il disordine mai è il risultato degli oggetti che si presentano sparsi alla rinfusa (a noi così si presentano: è invece un errore gravissimo!). Gli oggetti comunque ci si presentano sono in ordine – intendo che il luogo e il tempo sono capaci di sceglierselo autonomamente dal nostro giudizio e da una nostra azione – da qui un loro ordine (che non crediamo un ordine interno – o interiore addirittura?) – da cui noi siamo esclusi. “la rivolta degli oggetti” futurista (più quello russo che poggiava su teorie ben salde; e non italiano nato come per caso… come, ma non fu così) non inaugura un caos degli oggetti; rivolta o rivoluzione non sono stati mai caos o disordine . lo sono stati per chi era nell’accidia e nella paralisi comoda dei divani-poltrone-alcove collaudate-sicurezza muffite e poi per giunta antistoriche.
    Ritornando a buoncuore (senza il mal…) di questi versi…. questi tratteggiano delle sceneggiature sicure entro una scenografia altrettanto sicura, come p.e. in:

    E sarà azzurro, azzurro estremo,
    impietoso, nel suo occhio
    fermo, astratto dagli occhi,
    dissuasi, volti altrove;
    ——————————–
    è chiaro che l’azzurro ci ha stufato dal tempo dei simbolisti europei (per non dire da secoli fa), ma se lo si accetta di dirlo, di scriverlo, di declamarlo lo si fa soltanto perché è visto da un altro occhio – occhio, non prospettiva! –
    e cioè dall’ “occhio delle cose”; e allora non dobbiamo che accettarlo, come il disordine che alberga più in noi che nelle cose… che non sanno noi pensiamo, ma la realtà mi dice che noi ancora oggi non sappiamo cosa siano.
    ——————————-
    I versi del Linguaglossa sono altri spezzettamenti. che hanno la presunzione del desiderare essere epici…e intanto sono delle storie – a cui sia gli oggetti che chi li narra – sono soggette alle suggestioni delle “nostalgie controllate”, e più che dal ritmo del verso, dal ritmo di come gli oggetti ci si presentano, e non certo come il poeta vuole!

    A. S.

  4. gino rago

    Ogni parola sento inadeguata, incongrua, alle meditazioni di Giorgio Linguaglossa sui versi di Costantina Giancaspero, versi la cui energia interna ha però fiaccato la mia resilienza. Dunque, per Giorgio Linguaglossa e per Costantina Giancaspero, compresenti nella pagina odierna de L’Ombra delle Parole,
    ho voluto ri-lucidare (per loro) questo frammento antico, conosciutissimo:

    State molto attenti…”
    A Costantina G., a Giorgio L.

    State molto attenti
    a non far piangere una donna.
    Poi Dio conta le sue lacrime.

    La donna è uscita
    dalla costola dell’uomo
    non dai suoi piedi per essere pestata,
    né dalla sua testa
    per essere superiore,

    ma dal suo fianco
    per essere uguale,
    un pò più in basso del braccio
    per essere protetta
    e dalla parte del cuore
    per essere amata.

    Gino Rago

  5. il re non è mai bello, spesso è nudo. La scrittura è un mezzo potente, permette miliardi di mondi, senza che questi ci siano. Pianificare il frammento a mio avviso è impossibile, renderlo parte e mezzo di un processo creativo invece lo è

  6. Trovo la poesia “E’ domani” di Donatella C. Giancaspero ancora vicina alla narrazione, più che all’accadimento. Anche se è perfetta l’immagine del volgere del giorno, ci sento comunque una lieve distanza di tempo tra interno ed esterno. Quando scrive ” Questo domani, / questo tempo muto, scattato /da una combinazione di / lancette, /cielo acerbo, sospeso /sulla zona franca /del sonno, dove, ignoti, / già tanti destini si compiono, /questo è l’oggi” chi legge non viene immesso nell’oggi ma l’ascolta; e questo, a mio modo di vedere, non è frammento; si pazienta che l’autore “riagganci” e poi che si torni a quel che continuamente accade: la miriade di frammenti che si vanno componendo nello stesso arco di tempo, somme di più tempi ed esperienze. Questo senza nulla togliere a quanto di bello e valido va riconosciuto a questa poesia. Trovo che anche “E sarà azzurro” sia un errore, perché la espone a considerazioni di vecchia maniera; sono dell’avviso che i verbi al passato e futuro andrebbero usati con prudenza. Errore in cui non cade Giorgio Linguaglossa, anche se mi lascia un quesito da risolvere: mostrare è comprendere, ma il senso chi lo dà? Ho trovato la risposta nella magnifica chiusura “Piega la tomaia nel verso dell’alluce / e del futuro”, dove però, guarda caso, s’avverte la presenza di una metafora; un colpo di coda, cinematograficamente una dissolvenza a finire. Ma senza uno straccio di senso ne va della condivisibilità di tutto il testo. Il quesito mi resta aperto. Insomma ci saremmo quasi. Sagredo scrive di versi che “hanno la presunzione del desiderare essere epici”, forse sì perché sono versi che sembrano anche a me scritti con ritmo di marcia; io invece mi sento imbrigliato nell’onirico, un sogno angoscioso da cui vorrei si liberasse, e mi liberasse. Ma la sequenza, anche se viene detto che lo riguarda, non è soggettiva, e questa mi sembra la direzione giusta.

  7. Per un inquadramento storico-filosofico della questione del «frammento», si legga qui: http://www.aperture-rivista.it/public/upload/alfieri28.pdf

  8. L’IMMAGINE NELLA POESIA TRA «IL MONDO DI AVANSCENA» E «IL MONDO DI RETROSCENA» NELLA POESIA DI TOMAS TRASTRöMER
    https://lombradelleparole.wordpress.com/2016/11/29/donatella-costantina-giancaspero-due-poesie-da-ma-da-un-presagio-dali-2015-il-disordine-degli-oggetti-tempo-interno-tempo-esterno-mondo-interno-mondo-esterno-istante-privilegiato-una-po/comment-page-1/#comment-16331
    Esiste un limite al di sotto del quale il nostro universo può funzionare? La risposta di Planck è “sì”: le lunghezze minime di tempo e di lunghezze minime di spazio secondo la teoria di Planck operano a livello subatomico e costituiscono il tessuto di quel vuoto superfluido che presupporrebbe l’esistenza dell’universo.

    Ora, penso che dobbiamo supporre le “immagini”, ad esempio in poesia, come delle unità minime di tempo e di spazio configurabili in una certa cultura e, all’interno di essa, in una certa poetica.

    La capacità di ricezione di un cervello è determinata da una informazione, ed è quindi limitata da abitudini e cliché culturali. Dobbiamo quindi fare uno sforzo per ampliare le nostre capacità di ricezione di immagini non convenzionali secondo la teoria dell’informazione.

    Facciamo un esempio: poniamo di essere degli osservatori di oggi posti in un futuro tra 100 anni e di leggere una poesia o di guardare un quadro che saranno creati 100 anni dopo di noi. Ecco che a quel punto noi non capiamo affatto nulla di ciò che leggiamo e che vediamo. Appunto perché non abbiamo vissuto la distanza di quei 100 anni. È un paradosso che ci può aiutare a capire che cosa succede con la questione della freccia del tempo. Se siamo qui a bordo della freccia del tempo, non possiamo essere anche là (sempre a bordo della freccia del tempo). Così la metafora e l’arte che viaggiano a bordo della freccia del tempo.

    Leggiamo ad esempio due versi di Tomas Tranströmer:

    Le posate d’argento sopravvivono in grandi sciami
    giù nel profondo dove l’Atlantico è più nero.

    Abbiamo qui un chiarissimo esempio di come le «immagini di avanscena» della lingua di relazione: «Le posate d’argento», i «grandi sciami», «giù nel profondo» «l’Atlantico è più nero» in essa lingua di relazione abbiamo un significato letterale, additano al referente, mentre le medesime immagini, nel «mondo di retroscena», additano ad una significazione simbolica che abita la zona profonda dell’inconscio, quella zona ad altissima densità metaforica e simbolica allo stato quantico in una situazione di altissima instabilità quantica. È qui che si forma la significazione complessa delle immagini del poeta svedese, nella tensione della distanza tra il profondo della significazione simbolica («il mondo di retroscena») e la superficie della significazione della lingua di relazione («il mondo di avanscena»).
    *
    Pubblico qui alcuni stralci di un articolo di Sabato Scala, un ricercatore che ha studiato e teorizzato una Teoria dell’Unificazione, dei modelli di simulazione neurale. In quest’ultimo ambito ha condotto ricerche e proposto una personale teoria dei processi cognitivi e immaginativi suggerendo, sulla base della teoria di Fisico tedesco Burkhard Heim e del paradigma olografico, la possibilità di adozione del suo nuovo modello neurale per la rappresentazione di qualunque processo fisico classico o quantistico.
    Assumo, dallo scienziato, il concetto di “modello di retroscena” per comprendere il modo di funzionamento del nostro sistema neurale ma anche quello di una forma poesia che si muova secondo lo stesso concetto: tenendo presente un “mondo di retroscena” che sta dietro il mondo dei fenomeni quantistici e il concetto di “vuoto superfluido” che opererebbe secondo il modello neurale del cervello umano. Questa nuova prospettiva cambia tutto il modo di intendere le funzioni delle immagini nella poesia di Tranströmer e nella migliore poesia contemporanea. Le immagini rispondono sia ad un “mondo di retroscena” sia a quello di “avanscena”, si situano nel mezzo, entrano in comunicazione istantanea con entrambi questi mondi. La poesia resta come sospesa nel vuoto, nella dimensione di un vuoto superfluido.
    «Sono ormai quotidiane le notizie su nuove prove scientifiche a favore dell’esistenza di un substrato causale e di un “mondo di retroscena” che sottende ai fenomeni quantistici.
    Esiste, quindi, una sorta di tessuto sottostante che definisce il modo in cui la particella agirà una volta “osservata” attraverso lo strumento di misura.
    Onda pilota di Bohm disegno. Sparisce, quindi, la casualità assoluta connessa al collasso della funzione d’onda ovvero all’evento della “Misura” che determina un passaggio con caratteristiche del casuali ed imprevedibili di una particella, dal mondo della meccanica dei quanti a quella classica.
    Questo salto di qualità non rende, però, ancora chiara la direzione che stanno prendendo i ricercatori e la convergenza tra diversi studi e ricerche, che ha subito una particolare accelerazione proprio tra la fine del 2014 ed il 2015.
    Il “Mondo di retroscena” di Prigogine e di Bohm, stà avanzando a sempre maggiore velocità, prendendo la nitida forma della reintroduzione di un mezzo di “trasmissione” dell’informazione a effetto istantaneo (come quello previsto dalla “onda pilota” di Bohm) sparito all’inizio del secolo scorso: l’Etere.
    La forma con cui questo “scomodo intruso” è ritornata è quella degli studi sui superfluidi e sulla sempre più probabile natura fluida, o meglio “superfluida” del vuoto.
    Alcuni lavori che ho già segnalato già in passato anche su Altrogiornale, e che oggi sono ancora assai poco conosciuti e studiati, figureranno tra pochi anni tra i “classici” della fisica come vere e proprie pietre miliari per uno storico e radicale cambio di paradigma.
    Ve ne sono tanti e tutti assai recenti, ma tra questi mi piace citare, oggi, “Physical vacuum is a special superfluid medium” di Valeriy Sbitnevi, pubblicato il 13 maggio 2015 su “Selected Topics in Applications of Quantum Mechanics“.
    Questo lavoro è intimamente collegato alla pubblicazione di “Scientific American” e all’esperimento che conferma la natura Bohmiana della quantistica.
    In esso, infatti, Sbitnevi mostra come il modello “superfluidico” del vuoto, ed in particolare le equazioni di Navier-Stokes, che descrivono la dinamica macroscopica dei vortici e dei moti nel fluidi, siano una diversa forma matematica della interpretazione Bohmiana della MQ e della “onda pilota” .
    In altre parole un Etere in forma di vuoto superfluido è, matematicamente, affine all’interpretazione di Bhom della equazione di Schroedinger.
    Precisiamo ancora meglio il concetto perché non sfugga il salto di qualità che si stà compiendo.
    Il Vuoto Superfluido e la interpretazione di Bhom coincidono e il “Mezzo” che consente di diffondere ovunque e istantaneamente l’informazione di correlazione che da vita ai fenomeni di entanglement quantistico.
    I fenomeni della meccanica dei quanti sono, quindi, matematicamente ricavabili dalle equazioni che descrivono il modo vorticoso in un superfluido.
    A questo rilevantissimo e naturale secondo passaggio si aggiunge il terzo ancora più rilevante sul quale mi sono soffermato sia nel nostro libro “La Fisica di Dio”, sia negli articoli divulgativi che ho pubblicato su Altrogiornale e che può essere compreso senza grande sforzo, sfogliando gli articoli relativi alle ricerche sperimentali sui superfluidi.
    Alcuni lavori, sempre recenti, infatti propongono l’uso di un modello noto con nome di “Vetri di Spin”, e quindi del modello di Ising, ovvero di una estensione del modello neurale di John Hopfield, per modellare sostanze in stato superluifo come l’Elio 3.
    In particolare i Vetri di Spin e, di conseguenza un modello affine alle reti neurali di Hopfield, è adoperabile per descrivere matematicamente bene le dinamiche e i vortici in una sostanza superfluida.
    Non ci vuole molto a comprendere che questi studi portano a ritenere che il passo tra una descrizione “NEURALE” dell’Elio 3 e quella NEURALE DEL VUOTO superfluido è brevissimo. In altre parole, il salto che attendevamo per riportare al centro un modello deterministico (seppure nei termini indicati da Bohm) connesso alla natura neurale del vuoto è alle porte.
    Ma torniamo al modello proposto da Bohm.
    Esso è intrinsecamente olografico, ovvero prevede che l’informazione sia distribuita in modo uniforme ovunque, in tal modo consente la “Istantaneità” della propagazione delle correlazioni attraverso una “onda pilota” e, con essa, l’istantaneità dei fenomeni di entanglement.
    Karl Pribram, con le sue sperimentazioni sulla retina dei gatti, ha mostrato in laboratorio quanto era già stato reso noto dalla matematica delle reti neurali: il cervello opera in modo intrinsecamente olografico. A questo punto il cerchio si chiude.
    Il modello olografico che Bohm cercava e che non era riuscito a trovare, è quello neurale di Hopfield, o se si vuole é il modello di Ising che descrive le dinamiche del vuoto superfluido.
    Le conseguenze della scoperta che il vuoto e i meccanismi della gravità quantistica operano con le stesse leggi ed equazioni che governano il nostro cervello, appaiono straordinarie e fantascientifiche anche a una mente profana ».
    (GIORGIO LINGUAGLOSSA)

  9. antonio sagredo

    Ravish me

    Come al tempo dei fossili,
    diceva un poeta,
    la cecità è rivelazione delle tenebre,
    come se la soglia per i cardini
    fosse solo un ornamento – del Nulla!

    Ti giri e ti rigiri,
    ma forse esser non morti
    è stare svegli nella tomba.

    Ti trovi e ti ritrovi
    e hai davanti sempre il Vuoto!

    Vermicino, 23 luglio 2007

    ———
    E me ne andai… lacrimavo trucioli e chiodi, dinoccolato il cammino
    di legno, le morse serravano gli snodi, il lento sale e la mia carne
    di tufo… contorta, deformata dal panico e dal vuoto: Ora, basta!
    Non sono rientrato nella creazione per essere, di nuovo, carne recidiva!

    Maruggio/Campomarino, 18 agosto 2011
    —————————–

    Le sale e le macchine non attesero l’uomo e il Nulla ,
    e scelsero un sentiero nel disordine per un rinascimento
    che storia umana non sapevano, e non c’era vuoto
    ma assoluta pienezza di un’avventura non terrestre.

    luglio 2012

    ———————+

    Il Tempo… e chi lo sa cos’è! – ma lui, come noi, consunti
    e casuali abitatori di granelli– noi che sogniamo d’essere
    unici nel Nulla, in Dio, e che nel Vuoto per noi tracima
    lo spettro di una soglia, e dentro ci muore, e di riflesso

    c’innamora….
    ————————–

    Anche se altrove la materia si ripete… sono altrove: almeno!
    Ho il non-spazio che m’attende e che conosco…
    il viandante, il pellegrino… illimitati nei tragitti e nei sentieri,
    e non esiste un non-luogo che non conosco
    sono io che devono conoscere, trovare, cercare…
    sono il loro Ignoto, il Nulla, il Vuoto, il Tutto
    e il Resto!

    ————————–

    • Caro Antonio Sagredo, tu l’hai detto: «il loro Ignoto, il Nulla, il Vuoto, il Tutto e il Resto!». con quel punto esclamativo che non ammette repliche. Mi sembra che in questi tuoi straordinari “pezzi” le tue immagini febbricitanti, ricche di mistero e di prosaicismi, costituiscano una vera e propria «costellazione» nell’accezione benjaminiana. Le immagini, come i «resti» contribuiscono a formare il Nulla, il Vuoto, il Tutto. Nelle tue immagini c’è più percezione della «verità» che in tutti i messali poetici della poesia italiana degli ultimi trenta anni.

  10. Mi permetto di estrarre dal pdf inviato da Giorgio alcuni chiarimenti per quel che riguarda il particolare senso nella poetica del frammento. Ve ne sono di innumerevoli ma questi forse possono bastare:

    “Ontologicamente, ed anche da un punto di vista più propriamente logico-semantico, l’immagine può dire qualcosa, ha un senso e può comunicare con noi solo perché è da subito a contatto con altre immagini, in rapporto di identità o differenza con esse”.

    “In questo terreno multiforme e frammentato, in assenza di un punto centrale e statico, la riflessione è demandata continuamente al suo passo successivo; questo processo consente al pensiero di vivere, di non esaurirsi in una risposta conclusiva, e di tenersi aperto all’indeterminato”.

    “Mnemosyne, in questo senso, non è un lavoro di dimostrazione per tesi, quanto il tentativo di far emergere il senso dell’immagine, per tramite di un’operazione di “montaggio”. Il senso emerge nel complesso e nello spazio che si apre al pensiero nell’interstizio tra frammenti”.

    “Dall’accostamento di tali frammenti, dal come sono stati ricomposti, emerge il senso, che è evidente non sarà un senso dato una volta per tutte, quasi che i frammenti si possano sacrificare a quel dato ordine”.

    Ecco, mi sembra tutto bene esposto: non si vuole un senso definitivo, chiuso, “una risposta conclusiva”; il senso deriva da
    “i Passages, un “montaggio” di impressioni, idee, citazioni, riferimenti, “stracci” appunto, che nel loro accostarsi fanno emergere significati inediti”.

  11. SUL FRAMMENTO
    Alessandro Alfieri nel saggio di cui al link sopra impresso, scrive:

    «Il frammento può venire compreso come la cifra caratteristica della modernità; il mondo moderno, infatti, si pone sotto il segno della dispersione, della deflagrazione del senso, della moltiplicazione delle prospettive… differenti modi per riferirsi alla secolarizzazione e alla laicizzazione della vita sociale avvenuta nella cultura occidentale compiutasi nel XIX secolo, e che ha trovato nella filosofia di Friedrich Nietzsche la più piena espressione. La morte di Dio, e la fine della visione platonico cristiana, è difatti la scomparsa del centro, la decadenza della verità assoluta, l’impossibilità di ricondurre la frammentarietà ad un’unità di senso.
    Il prospettivismo nietzschiano può venire interpretato come una promozione della frammentarietà di contro alle tesi di ordine metafisico, che rivendicano di venire recepite in una loro presunta verità indiscutibile e dogmatica. Infatti, è a partire proprio dalla filosofia di Nietzsche che, tra la fine dell’Ottocento e l’avvento del Novecento, alcuni autori svilupparono determinate e peculiari “filosofie del frammento” in grado di restituire dignità alle irriducibili singolarità che caratterizzano l’esperienza concreta di ciascuno.
    […]
    (Per Walter Benjamin) il filosofo, o come era solito dire lui, lo “storico materialista”, il critico o anche l’artista, deve puntare il suo sguardo su oggetti apparentemente non degni di attenzione, deve farsi “pescatore di perle” per concentrarsi però sugli stracci, sugli elementi trascurati dagli accademismi ufficiali, sui frammenti dispersi e abbandonati ai margini delle strade e cacciati dalle teorie rigorose. Benjamin interpreta perciò frammenti, e il luogo privilegiato dove a dominare sono frammenti è proprio la metropoli moderna, con le vetrine dei suoi passages e le sue luci a gas, capaci di investire il passante con choc percettivi continui.

    Le nostre metropoli, che proprio negli anni in cui scrive Benjamin stavano assumendo la fisionomia e l’assetto di quelle che sono diventate oggi, si caratterizzano per la velocizzazione inaudita dei ritmi di vita, dove a venire sacrificata è l’esperienza effettiva di ognuno di noi può fare del mondo, della realtà e dell’altro. Il mondo moderno è un mondo di frammenti impazziti, che alla “contemplazione” ha sostituito la “fruizione distratta” (…) Tale dimensione è in Benjamin sinonimo di rivoluzione: possibilità di riscatto da parte delle masse […]
    In Benjamin distrazione e attività non sono in contraddizione: i fenomeni che sembrano costringere ciascuno, per volontà del capitalismo, all’omogeneizzazione e alla passività generalizzata, sono gli stessi che possono condurre l’uomo alla sua tanto sospirata rivincita e affermazione. I frammenti sono perciò da un lato prodotti della cultura del consumo, della moda, della meccanizzazione dell’agire, ma su un altro livello sono anche promessa di futuro, possibilità offerta agli uomini di scardinare la storia dei vincitori e il tempo mitico del sempre-uguale.

    La frammentarietà che caratterizza il mondo moderno, oltre ad essere il contenuto ovvero il tema di gran parte della produzione benjaminiana, è al contempo anche fondamento formale e stilistico; Benjamin non ha più alcuna fiducia per il trattato esauriente e per il sistema, ed è la sua stessa produzione a essere espressione della medesima frammentarietà di cui parla, prediligendo per esempio la struttura saggistica su determinati argomenti e autori. Ma è soprattutto nella sua ultima grande opera, rimasta incompiuta, che tale frammentarietà assurge alla sua più piena espressione, ovvero i Passages, un “montaggio” di impressioni, idee, citazioni, riferimenti, “stracci” appunto, che nel loro accostarsi fanno emergere significati inediti, elementi che contribuiscono a sconfiggere quella fantasmagoria seduttiva in grado di anestetizzare il pensiero critico.
    Qui assume un ruolo essenziale il concetto di “immagine dialettica” dominante proprio nei Passages; l’immagine dialettica, che si oppone all’epochè fenomenologica, vive del suo perpetuo relazionarsi all’altro da sé. Non v’è possibile ontologia dell’immagine nell’assenza di relazione, anzi, è la stessa immagine che, affinché possa sopravvivere, pretende di essere messa in rapporto ad altro. È nell’immagine dialettica che temporalità ed eternità si fondono insieme, passato e presente si amalgamano:

    Non è che il presente getti la sua luce sul passato, ma l’immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’ora in una costellazione. In altre parole: immagine è dialettica nell’immobilità. Poiché, mentre la relazione del presente con il passato è puramente temporale, continua, la relazione tra ciò che è stato e l’ora è dialettica: non è un decorso ma un’immagine discontinua, a salti. – Solo le immagini dialettiche sono autentiche immagini (cioè non arcaiche); e il luogo in cui le si incontra è il linguaggio“.1]

    Cogliere nel turbinio incessante e frenetico della modernità dei momenti di stasi improvvisi, delle “epifanie di senso”, capaci di illuminare di una luce differente ciò che invece ci sfugge repentinamente nella vita quotidiana dominata dalle regole del consumo: questo è il compito del filosofo dialettico e del critico della cultura; fissare lo sguardo sui frammenti per farne delle immagini dialettiche che rivelino i processi che li hanno determinati, le loro intenzionalità profonde, i loro valori allegorici e le opportunità che da esse si sprigionano.
    […]
    Ontologicamente, ed anche da un punto di vista logico-semantico, l’immagine può dire qualcosa, ha un senso e può comunicare con noi solo perché è da subito a contatto con altre immagini, in rapporto di identità o differenza con esse. D’altronde, è la conoscenza stessa che opera in questa maniera, affidandosi alla “relazione” e non alla “cosa in sé”. Per comprendere questo punto, torniamo a Nietzsche: “Le proprietà di una cosa sono effetti su altre ‘cose’; se si immagina di eliminare le altre ‘cose’, una cosa non ha più proprietà; ossia: non c’è una cosa senza altre cose, ossia: non c’è alcuna ‘cosa in sé'”.2]
    L’immagine rinvia continuamente a ciò che è altro da sé, slitta il suo senso ad un’altra immagine che rimanda a sua volta ad altre innumerevoli immagini. In questo terreno multiforme e frammentato, in assenza di un punto centrale e statico, la riflessione è demandata continuamente al suo passo successivo; questo processo consente al pensiero di vivere, di non esaurirsi in una risposta conclusiva, e di tenersi aperto all’indeterminato.

    1] W. Benjamin, I «passages» di Parigi, Einaudi, Torino, 2007, p. 516
    2] F. Nietzsche La volontà di potenza Bompiani, Milano, 2005, p. 308

  12. Pingback: L’IMMAGINE NELLA POESIA TRA «IL MONDO DI AVANSCENA» E «IL MONDO DI RETROSCENA» NELLA POESIA DI TOMAS TRASTRÖMER e la Teoria dell’Unificazione dei modelli di simulazione neurale del Fisico tedesco Burkhard Heim e il Paradigma olografico di Giorgi

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  17. Mi colpisce un verso di Espmark:”La creazione è ancora incompiuta”,e mi rimanda ad un verso di Linguaglossa ,nella poesia su Venezia:”Il carnevale non si è ancora concluso”(cito a memoria, sperando di non sbagliare troppo).Forse esprimono un concetto affine:l’aspirazione ad una compiutezza non ancora raggiunta,ma fortemente desiderata,pur nella consapevolezza di un presente inquieto,che rifiuta alcune ingenue certezze del passato,ma non trova ancora la strada per sostituirle.

  18. Cara Anna Ventura,
    il paragone tra un mio verso e uno di Espmark mi onora. Credo che quello che vuole dire Espmark sia analogo a ciò che volevo dire io: noi possiamo al massimo operare una aggiunta, un dettaglio a quella grande costruzione della nostra civiltà. Il non-finito, concetto guida dell’arte moderna dagli schiavi di Michelangelo in poi, è propriamente ciò che noi oggi chiamiamo frammento e tale concetto va inteso nel suo senso più pieno e più proprio come un momento inalienabile del percorso che conduce noi all’interno del nichilismo. Forse è l’essenza del nichilismo che si dispiega nel frammento e nei concetti correlati che stiamo indagando con la nostra rivista. Problematica non per dilettanti della filosofia. Consiglio la lettura del libro qui sotto:

    Nietzsche, Friedrich, Il nichilismo europeo. Frammento di Lenzerheide, Milano, Adelphi, Biblioteca minima, 2006.

    A Friedrich Nietzsche è toccata l’inaugurazione del primo volumetto della biblioteca minima di Adelphi (2006) e, precisamente, tramite il suo celebre Frammento di Lenzerheide del 1887, che ha per titolo Il nichilismo europeo.
    Il filosofo tedesco evidenzia come il nichilismo nasca e cresca in grembo all’occidente e da esso sia stato, per molto tempo, tenuto in incubazione. Ecco il perché dell’aggettivo «europeo»; tradizione occidentale cristiana e nichilismo sono, secondo Nietzsche, in rapporto di continuità se non addirittura sinonimi. Il cristianesimo termina a causa della sua stessa morale che, avendo posto la veracità come valore, lo conduce, nella modernità, a confutare se stesso tramite lo smascheramento dei propri medesimi inganni. In questo senso quindi, si sgretola anche il fondamento metafisico dell’assolutezza di ogni valore. La tensione verso la verità che si sviluppa e si compie nella storia morale dell’Europa cristiana giunge infine a negare il fondamento degli stessi valori morali che avevano originato quella tensione. Nietzsche ha quindi visto nel nichilismo la logica conseguenza del cristianesimo.
    All’interno della riflessione nietzscheana, nozioni come quella di tragico, di Übermensch, di eterno ritorno, di amor fati, di trasvalutazione dei valori e di volontà di potenza vanno esattamente intese come la via per il superamento del nichilismo e, va da sé, della obsoleta dicotomia Dio-nichilismo. Ciò che Nietzsche indica è un’umanità forte e nuova che sappia valorizzare ogni attimo dell’esistenza pur nella consapevolezza dell’assenza di orientamento teleologico e teologico di tale esistenza. Precisamente questo è il senso del pensiero nietzscheano: avanzare l’idea di un’esistenza che sappia accantonare sia Dio che il nulla, al fine di rivalutare la terra, la vita e la propria potenza.

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