Archivi del giorno: 9 novembre 2016

Ubaldo de Robertis SETTE POESIE INEDITE SUL TEMA DELL’AUTENTICITÀ – Lo spartiacque, Qualunque sia…, Frammenti di… Eden, Nella dimensione di Jung,  XXI Agosto, L’Anfora, Quanto tempo è trascorso? con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa, Video a cura di Paolo Cenni con il Requiem di Ligeti

Ubaldo de Robertis ha origini marchigiane e vive a Pisa. Ricercatore chimico nucleare, membro dell’Accademia Nazionale dell’Ussero di Arti, Lettere e Scienze. Nel 2008 pubblica la sua prima raccolta poetica, Diomedee (Joker Editore), e nel 2009 la Silloge vincitrice del Premio Orfici, Sovra (il) senso del vuoto (Nuovastampa). Nel 2012 edita l’opera Se Luna fosse… un Aquilone, (Limina Mentis Editore); nel 2013 I quaderni dell’Ussero (Puntoacapo Editore). Nel 2014 pubblica:Parte del discorso (poetico), del Bucchia Editore. Ha conseguito riconoscimenti e premi. Sue composizioni sono state pubblicate su: Soglie, Poiesis, La Bottega Letteraria, Libere Luci, Homo Eligens. E’ presente in diversi blogs di poesia e critica letteraria tra i quali: Imperfetta Ellisse, Alla volta di Leucade, L’Ombra delle parole. Ha partecipato a varie edizioni della rassegna nazionale di poesia Altramarea. Di lui hanno scritto: G. Linguaglossa, F. Romboli, G.Cerrai, N. Pardini, E. Sidoti, P.A. Pardi, M. dei Ferrari, V. Serofilli, F. Ceragioli, M.G. Missaggia, M. Fantacci, F. Donatini, E.P. Conte, M. Ferrari, L. Fusi. È autore di romanzi Il tempo dorme con noi, Primo Premio Saggistica G. Gronchi, (Voltaire Edizioni), L’Epigono di Magellano, (Edizioni Akkuaria), Premio Narrativa Fucecchio, 2014, e di numerosi racconti inseriti in Antologie, tra cui l’Antologia Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Progetto Cultura, 2016 a cura di Giorgio Linguaglossa. In questi giorni è uscita una Antologia delle sue poesie, edizione bilingue, New York, con la Chelsea Editions dal titolo The ring of the universe.

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Scrive Ubaldo De Robertis che l’«Anfora»

“È rotta, – ripete Lei- ahimé! È rotta! L’anfora più bella!
Ne sono sparsi i frammenti qua intorno!”

Ubaldo De Robertis, il poeta che abbiamo ospitato tante volte in questa rivista, è malato… tanto tempo fa qualche particola minutissima di amianto si è posizionata nei suoi polmoni…

ubaldo-de-robertis-the-ring-of-the-universeScrive George Steiner in Linguaggio e silenzio1 :

«Pur trascendendo il linguaggio e lasciandosi alle spalle la comunicazione verbale, tanto la traduzione in luce quanto la metamorfosi in musica sono atti spirituali positivi. Laddove essa finisce o subisce un mutamento radicale, la parola reca testimonianza di una realtà inesprimibile o di una sintassi più flessibile, più penetrante della propria. Ma vi è un terzo modo di trascendenza: in esso il linguaggio ha semplicemente fine e il moto dello spirito non offre nessun’altra manifestazione esterna della propria esistenza. Il poeta entra nel silenzio. Qui la parola non confina più con il fulgore o con la musica, bensì con la morte. Tale scelta del silenzio da parte della creatura più articolata è, ritengo, storicamente recente. Il mito strategico del filosofo che sceglie il silenzio per via della purezza ineffabile della propria visione o perché il suo pubblico non è ancora pronto, ha precedenti antichi. Esso contribuisce al motivo di Empedocle sull’Etna e al distacco gnomico di Eraclito. Ma la scelta del silenzio da parte del poeta, lo scrittore che abbandona a metà strada il suo decreto articolato di identità, è qualcosa di nuovo. Esso si verifica, come esperienza ovviamente singolare ma formidabile nelle sue implicazioni generali, in due dei principali maestri, modellatori, precursori se si vuole, dello spirito moderno: Hölderlin e Rimbaud».

Mi sembra evidente che questa problematica del silenzio evidenziata da Steiner sia anche quella nella quale si imbatte la poesia di Ubaldo de Robertis, non il silenzio degli pseudo mistici ma quello vero, reale, che è collegato con un «vuoto» della lingua che deve essere colmato, e a un «bianco», il colore del non colore, dell’indeterminatezza dell’essere immediato. E, paradossalmente, l’unico modo per colmare questo «vuoto» è il silenzio, o almeno, le parole che richiamano anamnesticamente il silenzio e il suo equivalente nel colore: il «bianco»:

Un dilagare di farfalle bianche
in supremo grado a rifrangere
il silenzio e l’aria si raffina
nitida innocente splende la luna
Ti accorgi che sei parte dell’evento
ti chini a baciare il manto
ci vivi dentro beato

foto-video-vuoto

Il Vuoto

Sicuramente, in questo libro siamo davanti ad un de Robertis che abita il registro lirico, anche se si tratta di una lirica sliricizzata c’è ancora la centratura sull’io e una metratura sinusoidale. Il metro usato varia da quello breve di cinque sillabe al metro libero; si verifica così una oscillazione tra uno stile che privilegia l’allusione e la nominazione della natura in interiore homine e la natura in esteriore homine, diciamo così. Calibratura che il de Robertis degli ultimi lavori si mette dietro le spalle e, direi, con risultati sicuramente più alti e maturi. 1

In queste poesie inedite è avvenuto qualcosa: l’«anfora» «s’è rotta», il mondo è caduto in frantumi, le «cose» sono divenute enigmatiche («si riflettono forse in un gioco di specchi»), il soggetto stesso è in frantumi, anche «lo spartiacque [tra autentico e inautentico]» è andato in frantumi, e al poeta di oggi non resta che raccogliere i frantumi, i relitti e lavorare con questi, fare l’oro con il piombo, rassegnarsi a questo compito ingrato. Ma ecco che de Robertis improvvisamente scopre le incredibili virtù di ciò che è andato in frantumi, scopre che i frammenti sono significativi, parlano molto meglio e più chiaramente degli specchi dorati che pendono dalle pareti edulcorate della poesia di un tempo quando ancora si credeva ad un universo coerente e unitario, alla poesia inscritta in un pentagramma sonoro e sicuro. Oggi il poeta scopre che l’universo non è affatto quel crogiuolo di bellezza e di perfezione dell’universo copernicano, che è intervenuta l’equazione di Dirac, le complicate equazioni della fisica quantistica, scopre l’imponderabile, il probabile, scopre che l’universo è affetto da una «metastasi» invisibile che si chiama raffreddamento universale, entropia, distopie, «seduzioni di fughe», «penombra di labirinti», «imprevedibili trame rimandi», «frammenti di visione» etc. che il tutto si presenta sotto forma, appunto, di «frammenti» enigmatici, che l’essere è lontano ed enigmatico, ermeticamente chiuso nella sua apodittica «incontraddittorietà» (Severino). Sono questi frammenti che ci parlano nella loro lingua, una lingua contraddittoria, a prima vista «cornice di non realtà», de «il mondo [de] le cose che accadono», e ti chiedi: «Cos’è il linguaggio? Cos’è il mondo?»; e ti accorgi che i frammenti «Erano lì fin dall’inizio / bastava cercarli…». Un accavallarsi di interrogativi fitti, dialogici, dialoganti, enigmatici, problematici.
Emergono immagini enigmatiche, primordiali: la «torre», la «fanciulla», la «notte», la «luce», il «caos», il «cerchio», « Le lancette [che] girano in circolo». «Così abissale era? E così rattristante?
La poesia?».

1 George Steiner in Linguaggio e silenzio Rizzoli1, 972 p. 64
1 Ubaldo de Robertis Parti del discorso (poetico), Marco del Bucchia editore, 2014
Ubaldo de Robertis

Ubaldo de Robertis

Poesie inedite di Ubaldo de Robertis

Lo spartiacque [tra autentico e inautentico]

Un’intera notte
[o un suo minuto frammento]
a fare i conti con l’inconscio
a frugare nella penombra di labirinti
a rincorrere seduzioni di fughe
i più rinnegati desideri
imprevedibili trame rimandi
la forma di un rondò di Mozart
il quartetto K.173
o all’angolo estremo
il Violin and String di Morton Feldman
note rare lunghe ripetute
intercalate da silenzi
ti catapultano
al di fuori dei molti tempi
staccati da ogni contiguità
in questa cornice di non realtà
tenti di riappropriarti del tuo mondo
come quel frammento di visione
che stai cercando disperatamente
silenziosamente
di ricordare

Qualunque sia …

Qualunque sia lo spazio
che la fiaccola rischiara
il pallore schiude la strada alle ombre
ed ecco che e gli alberi in fiore
gli astri dal corpo sottile
restano inosservati come donne che s’aggirano
sulla scia di un suono segreto
dentro il guscio rotante dell’oscurità
In realtà ti camminano accanto
ma tu non te ne avvedi
non possiedi la luce
[ interiore ]
che intende e traduce il mondo
a nemmeno riesci a rendere vividi
i ricordi
il nesso che unisce un nome ad una cosa
la traccia di un suono un’immagine un fatto
e nemmeno riesci a muovere le labbra
recitare un brano
di Poesia
La filosofia di Wittgenstein
dovrebbe mostrarti che il pensiero
è il ritratto logico dei fatti
e la totalità dei pensieri veri
è una raffigurazione del mondo
non le parole ma la vita esprime il significato
o il valore degli atti atomici
lo stato di cose gli atti che foggiano
il mondo le cose che accadono e si manifestano
qui sulla terra verde e nell’azzurro dei cieli
e tu ancora ti chiedi vivendo
Cos’è il linguaggio? Cos’è il mondo?

Frammenti di… Eden

[…]
Erano lì fin dall’inizio
bastava cercarli…
fra il brulicare di essenze che la spiaggia solitaria emana
in ogni istante
profumi primitivi inesauribili
se il ricordo tocca limiti estremi
troppo belli si snodano colori stupori
essenze vere
attimi vissuti
dove nessun altro poteva respirare
soltanto i mendicanti o i folli
esultanti nel sentirsi obbligati alle imprese rischiose
morire o rinascere
niente di più eccitante
che trascinare al di qua della distanza [tempo e spazio]
il tuo corpo odoroso
per gettarsi di nuovo a capofitto
il corpo intero
la stessa bramosia
nell’autorizzare gli istinti a consumarsi
il bisogno improvviso di gridare…al mondo..
la stessa vulnerabilità di allora
la fanatica radiosa stupidità
degli innamorati…

Ubaldo De Robertis CECI N'EST PAS UNE PIPE.-1_resized

Ubaldo De Robertis CECI N’EST PAS UNE PIPE.-

Nella dimensione di Jung

Il rampollo del caos scorre in cerchio.
Una fanciulla si sporge in piedi sulla fontana.
Le lancette girano in circolo.
Nessuno si occupa più dell’orologio da almeno sette decenni.
Sulla torre si specchiano immagini suoni remoti
echi che tornano del lungo roteare
[si riflettono forse in un gioco di specchi].
Nessuno conosce la vera posizione.
Altalenante.
In funzione dell’apparente rotazione degli astri
intorno alla sfera rosso fuoco
talvolta troppo vicina
talvolta troppo distante.

Al morire della luce
la fanciulla sconosciuta spiega lo scialle di seta
nel luogo di cui nessuno ha voce per chiedersi:
dov’è?
[come risulterà chiaramente in seguito]

Da strani fiori a sette petali salgono essenze.
Presentimenti.
Congetture si fanno sul sognatore
nel dire che si è trattato di allucinazioni:
La torre
[dislocazione verticale- verso l’alto la seduzione degli astri].
L’orologio.
Gli specchi
[sul lato contrapposto al riflettente giace il sottile strato d’argento].
Il bel giardino dai fiori a sette petali.
Il corpo condiscendente di quella fanciulla.
Lo châle volteggiante al minimo estro di vento.

XXI Agosto

Figure minacciose tutt’intorno
le scruta con gli occhi di un altro
il solo rimedio che può evitargli l’angustia
Hieronymus Bosch in persona gli sta inviando
le creature blu che formano il seguito di Satana
colore della finzione dell’inganno
non Il Giardino delle delizie
l’opera più ambiziosa
olio che ancora padroneggia la tavola
ed egli non è un santo che i demoni non distolgono
dalla propria meditazione
e nemmeno può passare all’adorazione del metafisico
all’occhio che ripercorre di sbieco
come in una storta alchemica
i paesaggi cosmici del passato
certo rimpiange il rosso luminoso vivo
il colore dell’amore giovane
aveva allora diciassette – diciotto anni
seguiva un corso di chimico- fisica
[o forse era poesia irrazionale? ]
il caso ha voluto che ne ritrovasse gli schemi
proprio il giorno del suo settantaquattresimo compleanno
ecco perché bevendo un calice dopo l’altro
ha cominciato ad aprirsi felicemente
con un sorriso del tutto particolare
sprofondava demente nel letargo del sonno
credendo di essere fortunatamente un vero scienziato
[o un vero poeta…]

L’Anfora

Neve in alto
pura
la terra natia
la gola scura
del fiume in basso
la foschia
continua a salire
il sentiero non è più tanto ripido
come prima
l’eco di cose lontane si separa sparge
dissolvenze incrociate
immagini destinate a scomparire
Lui… non le stacca gli occhi di dosso
– Com’è cupo il tuo silenzio – le dice chiamandola con molti nomi
“È rotta, – ripete Lei- ahimé! È rotta! L’anfora più bella!
Ne sono sparsi i frammenti qua intorno!”
Giorno
inoltrato
il limite dell’orrido
di lato
più in su … l’altura da oltrepassare
più agevole scavare un pertugio
nel ghiaccio
scortati dal richiamo di una cosa calda
desiderio che pervade l’ambito dei sensi
e quello della ragione
senza aderire
a nessuno dei due
calore che non si può attingere neppure in prestito
dall’ambiente
dal niente che li circonda
Lui vuole scavare
andare all’indietro
Lei… andare oltre…
Impossibile sanare la frattura
a partire da quel fondo diviso
dal corso d’acqua
e da quella cima dove più cruda è la realtà
nemmeno scalfita dalle parole dell’uomo
di per sé vaghe e vuote
alla donna continuano a cadere di mano
i frammenti raggelati
“È rotta, ahimé! È rotta!
L’anfora più bella!

Quanto tempo è trascorso?

Quanto tempo è trascorso?

Indurisce il verso
sul foglio.
I basalti si consolidano
in superficie.
Non so dove stiamo andando –
si domandano in uscita dalle viscere
del vulcano. –
I bordi dei fuochi carbonizzano parole,
interrogazioni.
Riluce la notte, breve
più di chiunque altra
fuoriuscita volgare:
ceneri
lapilli
vapori
eruzioni dell’anima inondata
contrasti
collisioni
colori

Vivido lo strigile a raschiare
la pelle ferita, sul profondo.
Il corpo esanime
corrotto
avvizzito.

Così abissale era? E così rattristante?
La poesia?

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