Dalla parte di Giambattista Vico. La poesia non muore e non si estingue. La sua storicità lo impedisce.
L’opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica. L’occhio naturale ha prodotto l’elegia, l’epica, la lirica. Che cosa produrrà l’occhio artefatto della Tecnica?
The Technique in sunshine. La Tecnica cattura sulle reti cablate l’inizio e la fine di una forma-sonetto. Riproduce alla perfezione le strofe, il numero delle sillabe, le rime alterne e baciate, ma non riesce a far percepire il calore e il movimento del pensiero. Esagera in metafore e visioni, non potendo creare dal nulla la bellezza di un sillogismo. Può imitare con i suoi algoritmi lo strapotere dell’immaginazione, ma non gli stati della mente. Come per tutti gli epigoni: scorrono fiumi di retorica.
Un pamphlet fuori dal coro. Che si pronuncino, ovunque e novunque, geremiadi contro chi relega al margine di tutti i margini teoria e critica, celebrando i fasti del depensiero.
Primum studere, deinde carmina scribere. Perché tanta diffidenza, se non idiosincrasia, per la teoria? Per quale motivo sembra tanto superfluo dover spiegare il proprio metodo compositivo? Per quale ragione appare così assurdo riuscire a coniugare talento, passione e concetti? A nessun versivendolo dovrebbe essere permesso di presentarsi in pubblico senza aver prima elaborato (in proprio) uno straccio di poetica.
Marxiani e marxisti in poesia. In cerca di modelli teorici ci si può imbattere nella marxiana Critica del gusto, risalente al 1960, del filosofo Galvano della Volpe, sostenitore del valore razionale e non sentimentale dell’opera d’arte. Fin dal primo capitolo (Critica dell’immaginazione poetica) il riguardo maggiore viene riservato all’esposizione unitaria dei temi, alla coerenza dei concetti, all’armonia dell’architettura compositiva.
Resta su posizioni regressive l’autore che ritiene di istituire il poetico a partire dalla fantasia, e non di costituirlo nella fantasia. Non di una sottigliezza grammaticale si discute, ma di una differenza abissale, perché il primum nella composizione non appartiene a un arbitrario volo della mente, ma a un saldo organizzarsi attorno a concetti polisensi, autonomi, plurali, aperti.
Resiste ancora (e ce ne rammarichiamo) la vetusta concezione romantica della poesia ineffabile, univoca e universale. Si tratta dello stampo crociano (idealistico-intuizionistico) che ha trovato accoglienza anche presso il marxista Lukács negli anni Trenta-Quaranta del Novecento.
Libertà progettante e imitazione passiva definiscono il senso dell’esistenza, non solo la presa di posizione nei confronti di un canone, piuttosto che di un altro.
L’esercizio razionale della creatività. Se l’attualità veicola una forte allure negazionista, chi pratica la poesia sappia sviluppare una conoscenza di pari grado rispetto alla scienza. Non ritenga la propria posizione di seconda fila, o peggio un riflesso condizionato di natura sentimentale, in risposta a eventi pubblici e privati, prodottisi con qualche rilievo.
Il testo poetico come atto polisenso di una specifica produzione culturale. Ogni aspirante poeta appenderà al collo un cartello con l’indicazione degli autori che lo hanno ispirato e formato. Potremo giudicare a priori la possibilità di leggerlo o no.
Cartello esemplificativo. Esenin, Blok, Majakovskij, Chlebnikov, Mandel’štam, Brodskij, Holan, Hölderlin, Trakl, Benn, Villon, Rimbaud, Bonnefoy, Rebora, Lucini, Campana, Dickinson, Sexton, Plath, Rosselli.
Il lettore forte e il letto di Procuste. Pound, Cantos. D’accordo, testo caotico, frenetico, ritmato da citazioni impossibili (l’elenco delle dinastie cinesi imperiali, il rapporto fra usura e capitalismo, l’esempio politico-artistico del Rinascimento italiano). Ancor più d’accordo, testo illeggibile, indisponente, urticante, metallico, ma si possono comporre versi nel secondo decennio del Duemila, senza essere passati per le forche caudine dei Cantos? Saremmo arrivati a questo stadio di civiltà letteraria senza i colpi d’ariete del verso liberissimo di Pound?
Agrammatoi psophoi (suoni inarticolati). Ma noi capiamo quando la poesia parla come poesia e non come letteratura?
Della poesia ingenua e sentimentale. Non ce li figuriamo i presunti poeti, chiusi in casa nel porto sicuro della scrivania, con la testa reclinata all’indietro in attesa che qualche divinità del Parnaso venga a versare miele nelle loro bocche ispirate?
Il secondo mestiere. La scrittura poetica non è più chiamata a rappresentare e a consolare, ma a analizzare, conoscere, formulare una credibile weltanschauung (Montale 1956).
Paradossi. Anche nella sua forma più difficoltosa e complessa, la teoria è per tutti.
La poesia italiana ricomincia da zero a ogni libro. Cadere a corpo morto ingenuamente dentro il Trecento letterario e petrarchizzarsi è un buon modo per ibernarsi.
Contradictio in adjecto. Se la poesia si concentra esclusivamente sulla lirica, perde terreno. Se non ricorre almeno a un elemento lirico, perde per intero la sua forza espressiva.
Né avanguardia, né retroguardia. Togliamo alla poesia la condanna al metalinguaggio e alla tautologia dei classici.
La terribile corporazione dei poeti. Sprovincializzare. Disaggregare gli –ismi. Impedire che gli epigoni facciano mucchio.
Per dirla alla maniera di Antonio Pizzuto. La poesia non si ripara. Non è una bambola.
Peripli e periclitazioni. I viaggi di Ulisse, il nostos, ovvero la fondazione della civiltà occidentale. Valgono come utile confronto le peripezie di larga parte dei poeti odierni attorno al loro ombelico.
Amor fati. La poesia non deve temere di decostruire se stessa e di mettere in conto la propria fine. L’assioma dell’apocatastasi parla, a ogni tornata d’epoca, di fulgide e repentine rinascite.
Ritorno al futuro. In qualche frattura dello spazio-tempo Pessoa, Kavafis, Quevedo, i trovatori licenziosi del XIII secolo continuano a macinare versi. Continueranno a scrivere in ogni ipotizzabile futuro.
Insegnamento sintetico di un capitolo di storia letteraria. Un poeta tondo che rotola troppo (Giuseppe Conte). Un poeta quadrato che non rotola affatto (Milo De Angelis). Un poeta che versa acqua fredda sulla testa (Mario Luzi). Una tarma che fa buchi nei mobili (Edoardo Sanguineti).
10 agosto 1829. Nikolaj Vasil’evič Gogol brucia tutte le copie di un suo ridondante e irrilevante poema. Un gesto bellissimo, oltre la catarsi: liberarsi in un colpo solo della bruttezza del mondo, passata di soppiatto nelle sue pagine. Se i legionari della nostra Repubblica delle Lettere prendessero Gogol come esempio…
Il destino della poesia (1). Se la poesia ha un’avvenire, è a condizione di imporre a se stessa nuovi compiti, quelli che non hanno ancora un nome e per i quali non si ha un’idea. Se la poesia ha un’avvenire, è a condizione di sentirsi sollecitata e scaraventata verso un nuovo ignoto.
Il destino della poesia (2). Nel bric-à-brac postmoderno con il continuo tracimare di generi e correnti, è venuta meno la specificità dei singoli oggetti letterari. Del resto, solo su oggetti pertinenti e fissi è possibile esercitare un’azione metodologica e teorica. Perciò al lavoro, serve un nuovo orizzonte fenomenologico e concettuale. L’antiProtagora. L’uomo non è più la misura di tutte le cose. Le cose lo misurano e lo schiavizzano. Di questo, dell’essenziale, la poesia per ora dice poco.
Sia lode a Friedrich N. Il nichilismo va lontano, perché viene da lontano. La poesia attualmente non riesce ad andare da nessuna parte.
Hic stantibus rebus. La poesia si traveste da prosa, ma non seduce più. La prosa domina e non abbandona il campo, ergo la poesia non riesce a riguadagnare le posizioni perdute.
Il teorema di Gödel e la prassi poetica. Reintegrarsi nelle forme vegetali e animali per ritrovarne il linguaggio perduto. Reintegrarsi nella forma umana per trasformare il potenziale di energia in un linguaggio nuovo, coerente, compiuto.
Rovesciamento dialettico. Un buon punto di partenza: l’assoluta certezza del soggettivo, l’altrettanto assoluta incertezza dell’oggettivo. Come dire che gli automatismi dell’io appaiono indiscutibilmente certi, mentre le dinamiche legate all’esteriorità si estenuano in un relativismo scettico e senza limiti.
Non far cadere in prescrizione il dissenso. Non arrendersi alla natura ex lege del Mercato, nel cui tritacarne finiscono ogni bellezza e speranza. Veicolare verso i lettori voci in disuso, scardinanti, realmente antagoniste, come se sorgente etica e imperativo categorico mantenessero ancora una loro dignità e agibilità nelle relazioni tra individui e corpi sociali.
Il romanzo è stato sempre appannaggio della borghesia medio-alta (Verga, Pirandello, Svevo), la poesia della fascia bassa della piccola borghesia (Saba, Scotellaro, Pagliarani). Si capisce perché uno ricco come Attilio Bertolucci abbia percorso la strada del romanzo in versi, appartenendo naturaliter al facoltoso ceto dei proprietari terrieri.
Il destino della poesia (3). Il poeta di ricerca deposita i suoi versi al bivio fra Letteratura e Industria. Sa che il grande pubblico non passerà mai di lì.
Deliberati analitici. La poesia è alta e pura, la solleva al Parnaso una lingua verticale che scarta con le sue magie sonore dalla quotidianità. Tutto vero, ineccepibile (sostengono gli integrati). Ma la poesia è anche bassa e infame, canale di scolo delle melme esistenziali. Tutto altrettanto vero, altrettanto ineccepibile (a detta degli apocalittici).
Vernissage. Quando un androide presenterà il suo primo libro, finalmente conosceremo il punto di vista delle macchine su di noi.
Explicit. Luce d’inchiostro, controluce della pagina bianca, ombre di significati toccano il corpo e la mente del lettore umano e non umano. (Rientrano tutti in scena)
Nereidi, sotto la costellazione del Cane, luglio 2016
Donato di Stasi è nato a Genzano di Lucania, ha viaggiato a lungo in Europa Orientale e in America Latina prima di stabilirsi a Roma dove è Dirigente Scolastico del Liceo Scientifico “Vincenzo Pallotti” dal 1999. Ha studiato Filosofia a Firenze, interessandosi in seguito di letteratura, antropologia e teologia. Giornalista diplomato presso l’Istituto Europeo del Design nel 1986, svolge un’intensa attività di critico letterario, organizzando e presiedendo convegni e conferenze a livello nazionale e internazionale.
Ha pubblicato articoli per il Dipartimento di Filologia dell’Università di Bari, per l’Università del Sacro Cuore di Milano e per l’Università Normale di Pisa. In ambito accademico ha insegnato “Storia della Chiesa” presso la Pontificia Università Lateranense. Attualmente collabora con la cattedra di Didattica Generale presso l’Università della Tuscia di Viterbo.
È Consigliere d’Amministrazione della Fondazione Piazzolla, è stato eletto nel Direttivo Nazionale del Sindacato Scrittori. Per la casa editrice Fermenti dirige la collana di scritture sperimentali Minima Verba.
Ha pubblicato «L’oscuro chiarore. Tre percorsi nella poesia di Amelia Rosselli», «II Teatro di Caino. Saggio sulla scrittura barocca di Dario Bellezza» (1996, Fermenti) e la raccolta di poesie «Nel monumento della fine» (1996, Fermenti)
Questo post andrebbe riproposto continuamente e Donato di Stasi è un intellettuale da coinvolgere maggiormente all’interno della presente Rivista Letteraria Internazionale. Intanto sarebbe interessante proporre anche qualche sua composizione magari tratta dalla raccolta «Nel monumento della fine» .
Sono motivo di attenta riflessione la serie dei punti qui esposti. Io condivido particolarmente “Il destino della poesia (1) e (2). In particolare quando afferma nell'(1) che:
“Se la poesia ha un avvenire, è a condizione di imporre a se stessa nuovi compiti, quelli che non hanno ancora un nome e per i quali non si ha un’idea. Se la poesia ha un avvenire, è a condizione di sentirsi sollecitata e scaraventata verso un nuovo ignoto.”
L’enunciato mette in guardia chi intende proporre nuovi Manifesti o nuovi Progetti. Come avviene nella Scienza, anche nella Poesia ci si deve lanciare verso l’ignoto.
Ubaldo de Robertis
Ritengo importante questa riflessione di Donato di Stasi perché ci sprona a pensare ad una poesia dell’Avvenire, ci induce a pensare qualcosa che non è stato ancora pensato… ma che cos’è questo se non un Progetto (non so se grande o piccolo) di pensare l’impensato, di fratturare il pensato con l’impensato? Ma, mi sorge un dubbio: che idea abbiamo della poesia di oggi? e di quella di ieri? – Come possiamo immaginare la poesia del prossimo futuro se non tracciamo un quadro chiaro della poesia di Ieri e di Oggi? Che cosa è stata la storia d’italia nel primo Novecento e nel secondo Novecento, che cosa farci con questa storia, cosa portare con noi e cosa abbandonare alle tarme, quali poeti salvare e quali invece abbandonare. Quale lezione trarre dal Novecento e da questi anni di Stagnazione spirituale e stilistica? Sono tutte domande legittime, credo, anzi, doverose. Dove andare? E Perché? Se non ci facciamo queste domande non potremo andare da nessuna parte.
Ho trovato questo commento fatto nel gennaio 2016 di cui mi ero dimenticato che penso riassuma bene la questione:
giorgio linguaglossa
5 febbraio 2016 alle 9:21
Alexander Gerschenkron colloca il «grande slancio industriale» tra il 1896 e il 1908; Ruggiero Romano, individuando nel sistema economico italiano una «costante» che pure ammette delle eccezioni, non esita a parlare di un «blocco di quindici secoli» che ha paralizzato in senso «feudale» la nostra economia e di una «rottura» in senso «capitalistico» che si è verificata alla fine del secolo XIX. Il concetto di «rottura» di un «blocco» può tornare utile ai fini del nostro approccio al problema Govoni, ci aiuta a comprendere perché la crisi della «funzione» sociale degli intellettuali, aperta nei paesi ad economia più avanzata già nel corso dell’Ottocento, venga a maturazione e si manifesti da noi, e proprio nei modi di una violenta «rottura» quale è quella attuata, in poesia, da Lucini, da Govoni, da Palazzeschi, dai crepuscolari e dai futuristi, solo ai primi anni del Novecento. La «rottura» risulta tanto più violenta e traumatica quando si pensi che, nel giro di appena un quindicennio, in un contesto economicamente definibile ancora come «feudale», la istituzione di un modo di produzione capitalistico si attua con un rapido trapasso da una fase di capitalismo ancora immaturo a una fase di immaturo imperialismo. Il contraccolpo sul piano sovrastrutturale, e più precisamente sul piano letterario e filosofico, è immediato, e dà luogo a fenomeni caratterizzati da squilibri e contraddizioni. Un vistoso esempio di questo trapasso tra due modi di produzione, da un paleo capitalismo ad un capitalismo ancora immaturo ma di netta marca proto imperialistica, è ben visibile nei due corni della poesia italiana: da un lato Govoni, con la sua lirica profondamente segmentata e bombardata, e dall’altro il Pascoli con una poesia lirica di marca prettamente lineare e onomatopeica, una onomatopea che è la spia di una non adeguazione del suo linguaggio lirico alle nuove condizioni di sviluppo e di capacità di ricezione letteraria dei lettori nella nuova società di tipo capitalistico. In breve, tra la proto poesia lirica di Pascoli e la poesia lirica aggiornata di Govoni c’è un abisso. Quando si parla di «poesia lirica» bisogna collocare ogni tipo di lirica dentro una linea evolutiva del genere lirico, e dei suoi sbocchi… la poesia lirica non è un monolite ma un genere che nel Novecento ha subito modificazioni profondissime… fino ai giorni nostri. E qui il problema presenta i suoi nodi che non possono che venire al pettine quando si legge una poesia, che so, di Elio Pecora o quando si legge una poesia lirica (?), mettiamo, di Antonio Sagredo. Si tratta di due momenti di sviluppo, di due possibilità che vanno in direzioni contrastanti… Dovrebbe essere compito di un critico presentare una geografia della poesia italiana contemporanea… ma qui il problema si complica perché, come ha dichiarato Elio Pecora, la critica italiana è affetta da «pavidità e da cecità».
Un Pascoli non avrebbe mai immaginato di scrivere:
Le ninfèe, come
bianche lavandaie, sotto i ponti.
Gli edelvai, vicino ai nidi delle aquile
Accostare le «ninfèe» alle «bianche lavandaie» che stanno «sotto i ponti», probabilmente a lavare i panni sulla riva del fiume, implica una libertà fantastica e un salto iconografico, oltre che una deviazione dell’uso della iconografia delle lavandaie, davvero inusitato e di formidabile forza semantica e fantastica. Insomma, la poesia lirica di Govoni si stacca dal modello lineare del Pascoli e prende il volo verso una sfrenata libertà fantastica unico e ineguagliato esempio nell’Italia di allora, se parliamo del genere lirico.
assolutamente sì! Attraverso riflessioni, attraverso volontà e creatività, basta stare comodi sulle (e alle) spalle dei Grandi. E’ necessario agire, muoversi creare il Nuovo, e mi trovi pronto ed entusiasta
Una miniera di spunti interessanti ed acuti. Qualche imperativo di troppo, ma è un mio problema personale l’idiosincrasia per “si deve”.
L’ha ribloggato su RIDONDANZE.
Una mia amica europea, conoscitrice della poesia italiana, un giorno mi disse: “la crisi della poesia italiana sarà risolta dagli immigrati di seconda generazione.”
Presi per buona la sua considerazione. Sto ancora spettando che si avveri.
Sulle considerazioni di Stasi apprezzo e condivido alcuni punti essenziali. Primo fra tutti la necessità di definire una poetica. Ma solo lo 0,10 per cento dei poeti italiani ne hanno appena abbozzato una, e intendo quelli che ne hanno definito per grandi linee una personale e non mutuata (epigoni). Potrei fare i nomi ma mi astengo.
Però, visto che le considerazioni della mia amica non si sono ancora avverate, forse si avvererà l’intuizione di Stasi e un Marxiano Marziano Androide (l’androide però dipende dai programmi che qualcuno installerà nella sua prossima memoria, sarà comunque oggetto di programmazione umana) risolleverà le sorti della poesia e dei poeti.
Il destino della poesia (1). Se la poesia ha un’avvenire, è a condizione di imporre a se stessa nuovi compiti, quelli che non hanno ancora un nome e per i quali non si ha un’idea. Se la poesia ha un’avvenire, è a condizione di sentirsi sollecitata e scaraventata verso un nuovo ignoto.
Il destino della poesia (2). Nel bric-à-brac postmoderno con il continuo tracimare di generi e correnti, è venuta meno la specificità dei singoli oggetti letterari. Del resto, solo su oggetti pertinenti e fissi è possibile esercitare un’azione metodologica e teorica. Perciò al lavoro, serve un nuovo orizzonte fenomenologico e concettuale.
Caro Giorgio secondo me non va bene così: l’intervento di Donato di Stasi , così profondamente articolato, è uscito appena ieri e già oggi viene “superato” dall’intervista a Bertoldo. Dobbiamo essere noi frequentatori del blog Mandrake come si dice in Toscana ed afferrare al volo qualsiasi proposta altrimenti la stessa diventa immediatamente passato peggio di un quotidiano.Detto così :
“Questo post andrebbe riproposto continuamente e Donato di Stasi è un intellettuale da coinvolgere maggiormente all’interno della presente Rivista Letteraria Internazionale. Intanto sarebbe interessante proporre anche qualche sua composizione magari tratta dalla raccolta «Nel monumento della fine» “.
Le parole di De Robertis suonano alla perfezione per inquadrare in un incipit il percorso di Donato di Stasi. Negli anni che abbiamo trascorso insieme io poeta lui “miglior fabbro” ho avuto la materia per misurare il suo talento, la sua kultur, la sua dedizione al dettato poetico, la sua straordinaria onestà intellettuale. In questi scorci di esame intorno alla poesia in forma aforistica, tutto è condivisibile, con mano leggera scava nelle profondità, a volo di uccello attraversa un secolo e più di gioco intorno alla poesia, in una lingua lucida e chiara, senza ambiguità, se non volute, una gita piacevole persino divertente ma illuminante nel guado della poesia, nella consapevolezza che il poeta avrà sempre pochi lettori.
“Hic stantibus rebus. La poesia si traveste da prosa, ma non seduce più. La prosa domina e non abbandona il campo, ergo la poesia non riesce a riguadagnare le posizioni perdute.”
Una verità inoppugnabile come le tante racchiuse in codesto catalogo di saggezza che tutti noi dovremmo recitare alla maniera del mozartiano Leporello. In tutto l’intervento di Stasi s’intreccia con la levità, l’idrogeno dell’aria e la profondità degli abissi, la lucida razionalità e il rovello magmatico dell’inconscio,la chiarezza e il discorso vagamente intuito.Che bella lezione! Soprattutto per coloro che scrivono, in questo caso di poesia,
anche bene ma in maniera criptica, con esibizioni di nomi citazionistiche, in un linguaggio decisamente involuto. Certo per raggiungere i livelli della prosa di Donato bisogna aver navigato fiumi e torrenti, gli oceani della parola e del pensiero, aver digerito le infinite letture nel corso degli anni, aver colloquiato con gli altri senza pregiudizi, con una attitudine serena all’apprendimento.
“Sia lode a Friedrich N. Il nichilismo va lontano, perché viene da lontano. La poesia attualmente non riesce ad andare da nessuna parte”.
Il nostro amatissimo poeta filosofo del quale tutti dovremmo tessere le lodi
e ringraziarlo per i debiti e la riconoscenza che gli dobbiamo.
Da parte mia devo pubblicamente ringraziare Donato per questa lunga collaborazione che mi ha fatto crescere e nel contempo con la speranza che anch’io gli abbia trasmesso qualcosa del mio mondo.
“prova a pesare Annibale
ora che è solo cenere
e dimmi quanti grammi
la stadera segnerà…”
Sarà perché i giochi sono ormai tutti svelati e dei “Generali” non resta che solo polvere contrabbandata per nuove certezze ed astrusi significati.
Tutti i meccanismi sono stati scoperti, non arrendiamoci al piano.
E dovremmo esibire per contro il nostro pedigree, le nostre letture: un lirismo intellettuale?:davvero non è polemica questa.
E tutto ciò affinché l critici, questo il solo punto di vista, colto ,il loro, della prassi poetica, possano coglierne delle bellissime definizioni,dei giudizi sintetici.(bellissimi davvero)
Vorrei che i lettori di poesia raddoppiassero, ed i post diminuissero.
Auspico incontri di poesia all’interno delle università, riappropriata.
(università della seconda età!),
Grazie dell’ospitalità.
Mauro Pierno
Provocare, muovere le idee, costringere a uscire dal pantano.
Pensare contro il depensare, abolire la stucchevole distinzione fra critici e poeti. Ridare fiato alla prassi letteraria attraverso il mantice della teoria.
Poeti e critici, monadi irrelate, disperatamente alla ricerca di una propria rendita di posizione.
La poesia è il mezzo per la propria affermazione nel mondo, o è il fine materiale e spirituale delle nostre azioni?
Ringrazio l’ospitalità di Giorgio, l’acume di chi è intervenuto a chiosare, la straordinaria consonanza di Salvatore Martino, il mio Alonso Chisciano e io il suo Sancho Panza, scudiero e contubernale.
ad maiora
caro Salvatore Martino,
ho pensato di accostare gli assiomi di Donato di Stasi con la riproposizione dell’intervista a Roberto Bertoldo per integrare gli spunti dei due scritti e fornirci maggiori momenti di pensiero.
Gli assiomi di Donato sono una vera e propria lezione di poetica, finalmente un poeta critico come Donato ci ha detto chiaro e tondo che un poeta degno di questo nome non è poeta se non ha una propria poetica. Questo già potrebbe sgombrare il campo delle decine di migliaia di auto scrittori e di aspiranti alla poesia. L’intendimento della Rivista è proprio questo: cercare tutti insieme di tracciare il perimetro di una poetica ad ampio raggio che contenga il minimo comune denominatore di una poetica che ci riguardi tutti, una poetica che ci aiuti ad uscire dalle secche stilistiche e dal pan narrativismo del tardo Novecento, in special modo di quello maggioritario.
Trovo esilaranti certi passaggi degli aforismi distasiani:
«Il romanzo è stato sempre appannaggio della borghesia medio-alta (Verga, Pirandello, Svevo), la poesia della fascia bassa della piccola borghesia (Saba, Scotellaro, Pagliarani). Si capisce perché uno ricco come Attilio Bertolucci abbia percorso la strada del romanzo in versi, appartenendo naturaliter al facoltoso ceto dei proprietari terrieri.»
Questo passo ci offre il destro per fare una riflessione: Quale poesia? E per quale pubblico? – Siamo passati dal paleo capitalismo della poesia di un Saba e Scotellaro, al capitalismo in espansione di Pagliarani, alla visione nostalgica di un capitalismo arcaico e rurale (Attilio Bertolucci)… ma oggi, in pieno capitalismo finanziario post-moderno, nell’Epoca della stagnazione stilistica e spirituale, che tipo di poesia vogliamo fare? Domanda legittima, credo.
Mi permetto di riassumere in tre domande assiomi la questione del fare poesia, romanzo o musica oggi: Qual è il riferimento sociale della poesia che scriviamo? E quale è il riferimento ideologico della poesia che scriviamo? Qual è la Domanda Fondamentale a cui tenta di rispondere la nostra poesia? Mi piacerebbe avere delle risposte da parte dei «poeti» o «narratori» a queste tre domande.
Ecco qui gli assiomi cui risponde, a mio modesto avviso, la poesia di oggi dell’età del disincanto e del post-minimalismo:
Il locutore ha cessato di essere fondatore.
Il locutore ha cessato di essere risponditore.
Il locutore ha cessato di essere interrogatore.
“il locutore ha cessato di essere interrogatore”,mi sembra questo, il vizio peggiore.Tutti pontificano, nessuno scrive una cosa che somigli a una richiesta, a un’attesa, all’ammissione di un limite , a una domanda:”Che fai tu, luna, in ciel?”Ma per questo ci voleva Leopardi
Dedicato ad Anna Ventura, estemporanea.
O mezza luna in ciel, tu, perché sei mezza?
Chi t’ha morsicato il levante, il Leviatano?
E perché mai saresti madre così mezza?
Perché cresci a notte fino a diventare
Gravida per poi scomparire in preda
Alla depressione post partum così che
In (tua) absenzia il cielo nero mostra figli
E figlie luminosi e tremolanti? E quanti d’essi/e
T’hanno deturpato il viso lanciandoti sassi
E vituperandoti con nomignoli, Estabat, Sigista…?
Nihil sub sole novum, ma anche Nihil novum sub luna?
Questo è un pezzo di “rumori” di Pierre Chaeffer che risale al 1948, dobbiamo imparare ancora molto dalla musica: che anche con i rumori si può fare un’ottima musica… https://www.youtube.com/watch?v=CTf0yE15zzI
Leggo: il Rumorismo o arte del rumore nasce negli anni dieci del ‘900 dal compositore e pittore futurista Luigi Russolo.
Cacofonia, ripetizione, rumori, tonalità, frammenti, CAMPIONATURE principalmente, sono gli elementi principi del Rumorismo, in francese bruitisme e in inglese art of noise.
Ecco alcuni esempi a partire dagli anni 80 del ‘900 con gli Art of Noise, fino ai Chemical Brothers (2009) o gli eccellenti Thievery Corporation (2015).
Nel corso del tempo il Rumorismo ha inglobato, contaminato e sviluppato dei veri e propri generi musicali adattandosi di volta in volta all’elettronica anni ’80, al Rap e al Trip Hop. E la lista è lunga… (vedasi anche Massive Attack , Blue Line, per esempio e Tricky).
…Di conseguenza il locutore è un ascoltatore.
Tra l’altro sfoglio il vocabolario:assioma, locutore, contubernale. Bellissimo!
Dovremo bendarci e sfuggire alla dittatura delle immagini, questo si.
https://www.youtube.com/watch?v=OfsJAgaY62E (per Celia)
Proposta semplice: citazione: “Lasagne col pesto a Portofino?”
Da quale film è tratta la battuta?
Questa é vera, la proposta:convegno per la seconda età: titolo:
BENDIAMOCI AL SILENZIO, PERSEGUIAMO L’ERRORE,.
Estemporanea al buio di poesia e critica.
In fretta però, la prassi potrebbe al più presto scontrarsi con la cieca realtà.
P;S,:” Mandrake”, si dice pure in Puglia.
Grazie per l’ospitalità.
Mauro Pierno
Mi scusi l’ardire signor Pierno, ma Lei conosce la differenza tra accento grave e accento acuto?
contubernale /con·tu·ber·nà·le/
sostantivo maschile
Denominazione del compagno di tenda nell’antico esercito romano; scherzoso: commilitone, chi condivide la stanza, la mensa, e simili.
locutore /lo·cu·tó·re/
non com.
sostantivo maschile
Lettore o annunciatore radiofonico o televisivo.
•In linguistica, parlante.
Pasolini una volta disse che lui dal tipo di prosa o poesie che leggeva era in grado di risalire alla categoria di persona che scriveva, se piccolo borghese, impiegato ministeriale, massaia, intellettuale piccolo borghese di provincia… intellettuale piccolo borghese maggioritario e così di questo passo… Ecco, negli ultimi tempi quando leggo una poesia di qualcuno mi accorgo di avere già tracciato in me mentalmente il suo ritratto sociale-intellettuale. Curioso, no?
Talia, dal rumorismo è necessario togliere la prima “r”, e abbiamo “umorismo” che è il vero motore del futurismo italiano… tale motore non seppe sopportare l’umorismo e decadde -sono anche un umorista che sa dove va la propria Poesia (risposta a Salvatore Martino) – Caro Giorgio, il mio ritratto è la negazione stessa del ritratto, così nacque il cubismo ritrattistico!