Giuseppina Di Leo POESIE INEDITE da “Incerte” con un Appunto dell’autrice e un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa “Le poesie ruotano intorno al tema della memoria, quasi che la parola scritta possa consentire la ripresa di un dialogo interrotto”; “la frammentarietà della forma è un tutt’uno con la frammentarietà della memoria“; “Le parole in quanto figlie legittime di Mnemosyne, vengono attecchite dall’oblio della Memoria”; “L’eventologia estetica”

Nasco a Bisceglie (Bt) nel 1959; frutto della mia tesi di laurea (2003) è il saggio bio-bibliografico su Pompeo Sarnelli (1649-1730), dal titolo: Pompeo Sarnelli: tra edificazione religiosa e letteratura (2007). Ho pubblicato i seguenti libri di poesie: Dialogo a più voci (LibroitalianoWorld, 2009); Slowfeet. Percorsi dell’anima (Gelsorosso, 2010); Con l’inchiostro rosso (Sentieri Meridiani Edizioni, 2012); la plaquette Il muro invisibile (LucaniArt, 2012). Numerose poesie e scritti vari sono ospitati su riviste, antologie, blog e siti dedicati alla poesia. Dilettandomi di pittura, ho partecipato a collettive d’arte.  Alcune poesie sono state musicate dal M Giovanni Castro ed interpretate dal soprano Monia Massetti.

Appunto di Giuseppina Di Leo

 Caro Giorgio,

un procedimento in divenire, così realizzo mentalmente parlando di queste mie poesie. Le poesie brevi risalgono agli anni 2009-2011, altre sono recenti. Ma tutte ruotano intorno al tema della memoria, quasi che la parola scritta possa consentire la ripresa di un dialogo interrotto.

Caproni, a proposito di Res amissa, diceva che «la poesia muove spesso da un fatto quotidiano e perfino banale», come era stato, nel suo caso, la perdita di una lettera di un «carissimo amico». Può darsi allora che la poesia sia possibile solo in presenza di un assente? Che potrebbe essere il luogo, il volto o il tempo.  A volte succede che il pensiero stesso si atomizza e ci si dimentica la ragione stessa che aveva dato luogo ad una materia come la scrittura. Quando questo avviene, il fine da perseguire cambia direzione in corso d’opera, in modo che di quel fine non ne resta traccia. O meglio, il pensiero iniziale si perde lungo il tragitto in altri percorsi, i quali si moltiplicheranno ancora generando così una serie svariata di nuovi intrecci. L’idea del viaggio, altro tema a me caro, è parte del processo di trasformazione.

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

 I poeti, come ha scritto Adam Zagajevski, spesso dimorano in una strettoia «tra Atene e Gerusalemme», «tra la verità mai pienamente raggiungibile e il bello, tra il pensiero e l’ispirazione». «Tale viaggio – continua Zagajevski – può essere descritto nel modo migliore con un concetto preso in prestito da Platone – metaxy: essere “tra”, tra la nostra terra, il nostro ambiente ben noto (tale almeno lo riteniamo), concreto, materiale, e la trascendenza, il mistero. Metaxy definisce la situazione dell’uomo quale essere che si trova irrimediabilmente “a metà strada”». Metaxy, deriva dal platonico métechein, che significa «prender parte», «mezzo dove gli opposti trovano mediazione».

Roberto Bertoldo a proposito del suo concetto di «surrazionalismo»: «La poesia resta una creazione oltre la ragione e la realtà, però passa nel corpo dell’autore, attraverso di esse. La ragione che va oltre la ragione assume in sé quegli “integratori emotivi” che la qualificano. Il surrazionalismo è questa ragione che ‘risolve’ la contraddizione nell’emozione» (R.B. Nullismo e letteratura p. 251 Mimesis).

La poesia di Giuseppina Di Leo si pone nel solco dell’orizzonte posizionale della perdita della memoria, fenomeno del tutto nuovo e contemporaneo che noi stiamo da tempo indagando. Essa si presenta subito come una tessera scollegata dal tutto, come frammento di un tutto andato disperso e dimenticato. Leggiamo un verso incipitario:

I ragazzi sono di là. Prendo a leggere Elicura,

Si dà per scontato che c’è una situazione eventica isolata e scissa, priva di causa e di nesso logico. Qualcosa che è stata perturbata da qualcosa d’altro, dalla intervenuta rimozione della memoria. E il discorso poetico diventa franto, deturpato, franoso.

Io direi che la frammentarietà della forma è un tutt’uno con la frammentarietà della memoria. Le parole in quanto figlie legittime di Mnemosyne, vengono attecchite dall’oblio della Memoria, e chi parla di Spirito del mondo o di Spirito della storia dovrebbe essere interdetto dagli uffici pubblici. Il modo nel quale oggi si dà Mnemosyne è un modo frammentato, graffiato, le parole diventano isotopi che, durante la traslazione dalla memoria alla pagina scritta, perdono qualcosa, si impoveriscono, diventano cronotopi di antiche parole. Le parole sono enti speculari alla frammentarietà ontologica del nostro modo di vivere.

La frammentarietà della forma
per dire la non-possibilità di «leggere
il reale, di parlare al reale». Vige
la «forma informe» del verso libero
per poter parlare
a una realtà che non può più essere
rappresentata, ma solo citata.
La poesia non rappresenta più nulla.
Della realtà coglie i frammenti. La poesia.
Del nulla dice tutto quello che sa.

bello angelo androginoIl verso si è finalmente liberato di se stesso, ed è diventato qualcos’altro che fatichiamo a riconoscere. Ecco perché è così difficile, oggi, distinguere la poesia dalla prosa. È per via della libertà, quella libertà che i poeti si sono conquistata, che hanno pagato a duro prezzo durante il Novecento e che ancora stanno pagando. Quella antica libertà oggi si è tramutata nella peggiore delle reclusioni: la reclusione del verso liberato, cosiddetto «libero», in realtà zoppo e frammentato. Fatto sta che quel verso, rectius, quel frammento di verso, quel relitto malmostoso, ci parla molto meglio di quanto potrebbe fare un verso sinuoso e rotondo, un verso compiuto, ammesso che esista e sia possibile, oggi, scrivere un verso rotondo e compiuto! Nel verso informale e franto di Giuseppina Di Leo c’è una inevitabile frammentazione, quella frammentazione che è quasi un singhiozzo metrico, una aritmia del battito metrale che, come una oloturia, si nutre della «cancellazione» della memoria e dei vuoti dell’esistenza, quasi che fosse un avvoltoio che becca le carni dei cadaveri dell’esistenza. Nel mondo frammentato e tellurico di oggi, il poeta non può adire ad altro se non al frammento, alla interruzione, alla cancellazione, alla amnesia, alla ametria, alla diplopia, alla distopia quali elementi costitutivi della «solidità» ontologica della «nuova» ontologia estetica. Ma probabilmente è errato parlare di ontologia estetica, la poesia è evento, come ci ha insegnato Carlo Diano, un accadimento assolutamente singolare che ha significato solo per me e per nessun altro. Quanto più fragile è l’ossatura di questa eventologia estetica, tanto più vigorosa e forte sarà la vita della poesia. Paradossale. Così, la fragile barchetta di carta della poesia di Giuseppina Di Leo potrà forse varcare il mare del futuro. È incredibile, ma penso che si vada più spediti verso l’ignoto del futuro con la fragile barchetta di carta di Giuseppina Di Leo che non con i piroscafi dei poeti che fanno altisonanti dichiarazioni di fede poietica. Non era Rilke che nei Quaderni di Malte Laure Brigge raccomandava di rimuovere il ricordo perché «neppure i ricordi sono esperienze»?. E allora cosa sono le esperienze? Cosa sono gli eventi della poesia? Di cosa tratta la poesia? Giuseppina di Leo non può dare nessuna risposta, perché non la sa, può soltanto individuare l’evento: i ricordi sono scomparsi per loro conto per lasciare spazio all’evento della poesia. Incredibile, no?

da Incerte (inediti)

I ragazzi sono di là. Prendo a leggere Elicura,
l’oralitor, «in ossequio all’importanza che hanno
la recitazione e l’oralità nella cultura poetica
del suo popolo ».
Elicura mi sta accompagnando.
*
Lungo un altro percorso
nello stesso paesaggio scoperto
eguale importanza
hanno parola e silenzio.
Lo spazio obbligato necessario
da sondare.
Permettere alla memoria di ritornare.

*

Resto a guardare
per riflettere. E portare indosso
domande senza risposta. Anni passati
a riproduzione casuale in bianco e nero.
Se un sentire c’è, dentro è un sentimento.
Senza finzioni per l’oggi.
Faccio un passo indietro, mentre intorno
tutto gira come vento.

(2009 / 2016)
*

Bislacca, come una tenebra
partorita d’inverno, un’ombra
sfugge la mano. Ogni sole riluce
su fogli spazientiti di sonno.
Occhi di vento marciscono in bottiglia;
domande precipitano da torri tarocche.
D’inverno si annida il fiume del ricordo.
In giostra brulica in fondo la strada.
Volteggia scemando il carteggio d’amore.

(2010)
*
Quest’aria preserale di fine gennaio
è un gioco di dadi. La veste viene scommessa
tra le quattro mura domestiche del nulla.
Se mi addormento un nome nuovo
paurosamente cercherò d’imparare.

(2010)
*
Fino a quando avvertirò lo stacco?
Manca l’illusione di vita.

(2009)
*

Ma in realtà la scelta più saggia da farsi
sarebbe quella di vivere se stessi
in solitudine. Sto riprendendomi il mio tempo,
concetto dimenticato che torna amico.
Il mio tempo. In solitudine. Essere soli
vuol dire dimenticare, tornare
al punto del proprio limite
essere in sé, tornare con sé. Oltre
sono con me dentro la parte
più appartata, sconosciuta: sono dentro-
in-me. Riesco a sentirmi persino
felice.
Che il vecchio venga spazzato via:
volti nomi articoli famosità fumose poeti.
Spazzati via come foglie, bruciati come ossessi.
Evviva! Riesco a sentirmi
più intima di ago nella carne.
Viva!
E nessun dolore: nessun dolore, nessuno.
Niente. Nessuno.

(2009)
*

Provo il piacere della mia femminilità,
calda nel sangue la voglia pulsa.
Vino dolce da bersi a sorsi
piccoli piccoli, da gustare a morsi.
Liberato il desiderio padrona l’ossessione.
L’anima scivola dolcemente dal dolore.
*

Nell’invadenza delle ore d’ombra
senza suono, unita al silenzio della sera,
nessuna alba finge. Interiore,
silenziosa davanti alla notte.
Lieve il passo.
Il mondo ritorna un pensiero convesso
Il senso di colpa smerlato nel trabiccolo.
Lucida follia. Cuprea voglia.

(2011)

 

La nudità dell’aria apre spiragli
blu cobalto in sfondo nero fumo.
Un senso di tristezza stempera
insieme a ciò che l’ha portato ad essere
interminabili attese diventate tristi.
Anch’esse.
Fiore da preservare nel suo seme.

2011)

*
La luce del sole liquida pagine nel bianco.
Prendere le restie forze è ciò che bisogna fare.
Dalle mani ai piedi. Sollevarle.

(2011)
*
Quanta luce stamani intorno
su di me. Immensa
voglia rovesciata dentro.
Non saprei esprimere
una pace tormentata.
La ricerca che non trova pace.
2012

*
Cieca d’amore
m’ invaghisco e mi lascio prendere.
Dovrei forse cambiare?
Questi miei forse è un bene che si ripetano
sempre uguali, originali ogni volta.
Peccati da museo dell’innocenza.
Ripeto a me stessa avvertimenti
che non vorrei osservare mai.

Oscena è tutta questa luce
quasi una carezza
dopo una cattiva azione.
Imparare a soffrire senza soffrire
a ridere senza ridere.
Possibilmente
accettare quanto ci viene dal mondo.
Annullare la presunzione di cambiarlo.
(2009)

*
Enorme è la luce in questa stanza.
Parola e silenzio.
Ascolto come arte da imparare.
C’è dolore in tutto questo.
Mi urlano parole d’amore a bassa voce.

*
Certe volte il tempo sfora su se stesso
quasi avesse altro da confidare:
il momento di un altro, un momento
differente dal medesimo. Il tempo
estraneo a quello unico.
A quello stesso mio.
*
Gli istinti più feroci.
Basta poco in fondo
per tradire.
Tradire!
Che parola romantica!
(2011)

*
L’idea

A me piace molto
trovare posto per altri libri.
Ne vado alla ricerca
incessantemente: sposto di qua
faccio un po’ d’ordine di là
intanto che sfilo tra pile
muschio, campanule e qualche
tordo addormentato. Li sistemo
anch’essi su di un’altura
dove il fagiano becchetta
qualche foglia di scarola.
Volendo immaginare
il senso di questo cercare mio
lo vedrei alla maniera del restare
di certi anacoreti.
E intanto accosto
l’intransigenza della parola
stessa
al parallelo tra
volere
potere.

Sì, viaggiare significa forse restare.
Un restare pigiati insieme
a tanti altri di cui non importa:
se sapremo, mai ne ricorderemo i nomi.
E giù, più in basso andando,
ne verrebbe un altro controsenso
il dadaismo della contrizione
nella descrizione del dolore.
E mancare persino di speranza.

Restare, esser fogli da tenere in grembo.
Una voce, due voci, un quartetto
esser fogli, senz’altro chiedere.

Temere la mano che – ohi! – ruppe il mio naso
in cambio di un occaso (oibò!)
o la parlantina veloce di chi non ha tempo.

Con la leggerezza dei sassi.
Restare. Fogli, appesi ad un ramo.
E andare lontano
dove restare fogli
per sempre. Vorrei. – Alé!

(2015)

*
Quello della memoria è un sogno dimenticato.
Sulle ali dorme
finché, sveglio, velocemente vola.
Il prima, un attimo dopo, non c’è mai stato.
Nulla ricorda. Fino al punto in cui
dove avesse sostato non gli importa.
Sveglio. La ragione ne tenta i passaggi
nei quali a lei sola sembra possibile tornare.
Questioni di attimi.
Un vortice appena.
Ancora.
(2016)
*
a Mimmo Nappi

Si risolvono male le questioni di cuore
quando sopraggiunge la notte.
Un giorno diverso, così vedremo il mondo,
abbacinati, senza poter guardare. Il mondo
si farà una percezione dei sensi
o più semplicemente non esisterà più.
Sarà un po’ come dormire o correre
impauriti. Se dormiremo
ci prenderà il sonno profondo del tempo.
E sarà un tempo senza ritorno
per noi che appena fanciulli,
specchiati sul filo d’acqua lucente,
sentiremo il cielo tra le ciglia.
Vaga senza una meta il pensiero
in questo giorno triste. Eppure
io non credo alla morte del sole,
né penso la luna possa lasciarlo
scomparire mai, né io vorrei finire
il filo corsivo del dubbio.
La notte più nera
è nella paura di perdersi, per questo
penso non vero nel suo assoluto,
il nero della notte.
Di una notte è la linea ondeggiante.
Il filo corsivo del silenzioso sapere.

(13 genn. 2016)
*
L’indivisibilità del silenzio.

Il silenzio è un monolite
situato in un paesaggio
in cui si è persa la parola.
Anche i silenzi richiedono ascolto.

(2014)

*
La frammentarietà della forma
per dire la non-possibilità di «leggere
il reale, di parlare al reale». Vige
la «forma informe» del verso libero
per poter parlare
a una realtà che non può più essere
rappresentata, ma solo citata.
La poesia non rappresenta più nulla.
Della realtà coglie i frammenti. La poesia.
Del nulla dice tutto quello che sa.

05/06 nov. 2015 – Leggendo la nota di Giorgio Linguaglossa sul post della poetessa irachena Dunya Mikhail (in pari data)

Si risolvono male le questioni di cuore
quando sopraggiunge la notte.
Un giorno diverso, così vedremo il mondo,
abbacinati, senza poter guardare. Il mondo
si farà una percezione dei sensi
o più semplicemente non esisterà più.
Sarà un po’ come dormire o correre
impauriti. Se dormiremo
ci prenderà il sonno profondo del tempo.
E sarà un tempo senza ritorno
per noi che appena fanciulli,
specchiati sul filo d’acqua lucente,
sentiremo il cielo tra le ciglia.
Vaga senza una meta il pensiero
in questo giorno triste. Eppure
io non credo alla morte del sole,
né penso la luna possa lasciarlo
scomparire mai, né io vorrei finire
il filo corsivo del dubbio.
La notte più nera
è nella paura di perdersi, per questo
penso non vero nel suo assoluto,
il nero della notte.
Di una notte è la linea ondeggiante.
Il filo corsivo del silenzioso sapere.

*

Andavo da mia madre dopo il lavoro

Andavo da mia madre dopo il lavoro,
le spalmavo una crema omeopatica contro il tempo,
manuale di serenità del pomeriggio scalda sedia.
Sul tardi, tornava di soppiatto un ritmo scolpato
in serra protetta di terra d’odio; tre simbolici ‘sì’
erano tre simboli doppi ciascuno di sé:
lo specchio da infrangere dopo la caduta,
guadato in un sorriso a strazio.
Un fastidio sentivo allora, la presenza di bocche voraci
di rimando pizzicavano la mia carne, come
sorgenti moti in simbiosi. Il suo sguardo sereno
diventava improvvisamente severo, più spesso
triste e malinconico, quasi che nell’aria
si condensassero parole di chissà quali
individui: nella loro inutile presenza pur
mortificavano la sua persona per ricordarle
i tristi eventi che avevano segnato la sua giovinezza.
(A violenza subita, non ritorna il sereno.) Ma poi
passava, e tutto si traduceva in una battuta o in un fare.
Ciò che vedevo era il risultato di una serie infinita
di apporti, la trama di una fitta ragnatela
di rapporti che erano causa ed effetto di uno stato.
Era tuttavia un guardare e non capire il cosa o
il perché di ciò che nei suoi occhi vedevo.
L’analfabetismo di mia madre, il suo non poter
essere altro della brava massaia per sempre, questo sì
era ciò che vedevo e il tarlo che la tormentava
era chiaro in quel suo quotidiano ripetere:
– Ah, se sapessi leggere, scriverei un romanzo!

18 commenti

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18 risposte a “Giuseppina Di Leo POESIE INEDITE da “Incerte” con un Appunto dell’autrice e un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa “Le poesie ruotano intorno al tema della memoria, quasi che la parola scritta possa consentire la ripresa di un dialogo interrotto”; “la frammentarietà della forma è un tutt’uno con la frammentarietà della memoria“; “Le parole in quanto figlie legittime di Mnemosyne, vengono attecchite dall’oblio della Memoria”; “L’eventologia estetica”

  1. “A me piace molto /trovare posto per altri libri”: versi che vorrei rubare,per come aprono lo scenario di una scelta di vita. E indicano le vie maestre della poetessa: una chiarezza abbacinante, una ricchezza straordinaria (di talento, di sensibilità, di cultura), racchiuse in uno scrigno disadorno. A pochi passi dal silenzio.

  2. Con poche lucidissime parole Anna Ventura ha scolpito la dimensione di questi versi, collocandoli “a pochi passi dal silenzio”. Difficile trovare definizione o connotazione più appropriata, che centri il cuore, la sostanza delle cose. Ma si tratta, tuttavia, di un silenzio che nei versi di Giuseppina Di Leo, profondamente risuona, carico com’è di sensi condensati, inespressi, inquieti; implosivo, per le domande irrisolte e senza fine, che lo abitano. Specchio del mondo -spoglio, disadorno, alieno da certezze e da gioie -che ci portiamo dentro in questo nostro presente.

  3. Arte liquida e necessaria, è poesia. Siano silenzi o le eco che li sottolineano questa è poesia. non importa se siano quadri o sintesi rimacinate di riflessioni, si sente e basta. Bravissima Giuseppina, ora e nel 2009 2011.

  4. Scrive George Steiner in Linguaggio e silenzio (Rizzoli, trad. 1972 p. 64):

    Pur trascendendo il linguaggio e lasciandosi alle spalle la comunicazione verbale, tanto la traduzione in luce quanto la metamorfosi in musica sono atti spirituali positivi. Laddove essa finisce o subisce un mutamento radicale, la parola reca testimonianza di una realtà inesprimibile o di una sintassi più flessibile, più penetrante della propria.
    Ma vi è un terzo modo di trascendenza: in esso il linguaggio ha semplicemente fine e il moto dello spirito non offre nessun’altra manifestazione esterna della propria esistenza. Il poeta entra nel silenzio. Qui la parola non confina più con il fulgore o con la musica, bensì con la morte.
    Tale scelta del silenzio da parte della creatura più articolata è, ritengo, storicamente recente. Il mito strategico del filosofo che sceglie il silenzio per via della purezza ineffabile della propria visione o perché il suo pubblico non è ancora pronto, ha precedenti antichi. Esso contribuisce al motivo di Empedocle sull’Etna e al distacco gnomico di Eraclito. Ma la scelta del silenzio da parte del poeta, lo scrittore che abbandona a metà strada il suo decreto articolato di identità, è qualcosa di nuovo. Esso si verifica, come esperienza ovviamente singolare ma formidabile nelle sue implicazioni generali, in due dei principali maestri, modellatori, precursori se si vuole, dello spirito moderno: Hölderlin e Rimbaud».

    Mi sembra evidente che questa problematica del silenzio evidenziata da Steiner sia anche quella con cui si imbatte la poesia di Giuseppina Di Leo e quella che sta tentando di mettere in luce il lavoro dell’Ombra; ma non il silenzio degli pseudo mistici ma quello vero, reale, che è collegato con un «vuoto» della lingua che deve essere colmato. E, paradossalmente, l’unico modo per colmare questo vuoto è il silenzio.

  5. ubaldo de robertis

    In questo particolare periodo che vede la mia memoria, sulla quale in passato ho fatto grande affidamento, battere vigliaccamente in rapida ritirata, Giuseppina Di Leo scrive nei sui versi: “permettere alla memoria di ritornare/” “i ricordi sono scomparsi per loro conto”/ e nell’Appunto precisa che: /tutto ruota intorno al tema della memoria/ /il pensiero iniziale si perde lungo il tragitto in altri percorsi/. Capisco bene che di altra cosa si tratta rispetto a ciò che di grave sta avvenendo nel mio cervello. I miei sono aspetti fisiologici, patologici, traumatici, dovuti al passare del tempo e/o a qualche subdola malattia, quelli della poetessa di Bisceglie rientrano nella situazione tipica del bravo poeta al quale, come riporta il Linguaglossa, la poesia si presenta come frammento di un tutto andato disperso e dimenticato. Meglio così. “A volte succede- scrive la Di Leo- che il pensiero si atomizza e ci si dimentica la ragione che aveva dato luogo ad una materia come la scrittura.”
    Ho letto queste nuove poesie ed esse non hanno fatto altro che confermare ciò che avevo riportato in altri commenti sempre su questa stessa Rivista Letteraria: c’è un dono di intensità e di valore poetico nelle opere di questa poetessa, siano esse brevi o più estese; ogni parola ha un suo peso, nessun artificio retorico, e i suoni diventano chiari e il tutto con una grazia rara.
    Ubaldo de Robertis

  6. gino rago

    Un’archeologia del silenzio, volta a riproporre quasi una “arte del tacere”,
    secondo l’abate Dinouart, è un dato che mi par di cogliere in questi versi di Giuseppina Di Leo. La quale non accoglie tanto “un’arte del fare silenzio” quanto un’arte di proporre qualcosa agli altri ” con il silenzio “. Memoria e viaggio, poi, sono altre secche tematiche serpeggianti nella recente ricerca di Giuseppina Di Leo in cui l’autrice mi sembra che del “viaggio”, fra le tante, elegga a paradigma l’idea di viaggio di Pessoa “…I viaggi sono i viaggiatori e ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo…”

    Altre considerazioni meriterebbero i versi di Giuseppina Di Leo ma non sono nelle condizioni di poterlo fare. Del resto, tantissimo e come meglio non si potrebbe è stato detto nei sapienti commenti che precedono il mio,
    a cominciare dalla nota impolitica di Giorgio L.
    Gino Rago

  7. Non sarei così severo sul verso libero: la metrica esiste sempre, ma va applicata a posteriori.

  8. Giuseppe Panetta

    Credo di conoscere abbastanza il problema memoria. Mia madre con l’alzheimer me lo ricorda in ogni istante della giornata. E come paradosso, ripete come un disco rotto: qual è la cosa più veloce a questo mondo? Il ricordo e subito dopo la vista.
    La memoria è identità. Ora, in tempi di perdita di identità è obbligo, purtroppo, la perdita della memoria. Nei termini di velocità con cui tutto viene creato e immediatamente accantonato, si riesce a malapena ad indignarsi per un attimo, alle volte guidati da logiche oscure, difficilmente comprensibili . Mi vien da pensare al recentissimo Brexit, alla morte della parlamentare Jo Cox, immolata, sacrificata per una logica prettamente economica che però ha fallito, nonostante il sangue.
    Ce ne ricorderemo? No, non credo. Anche la memoria può essere manipolata.

    Giuseppina Di Leo ha il dono della chiarezza. Forse non sempre ravviso un procedere lirico, più che altro prosastico, ma orchestrato con sapienza e, anche nelle immagini rielaborate del suo bagaglio culturale, un sentire che vira verso la profondità di pensiero: “Il filo corsivo del silenzioso sapere”.
    GP

  9. Giuseppe Panetta

    A Giuseppina dedico questa poesia, quasi fresca di giornata.

    Chissà se al pari nostro il cielo agisce
    E nell’espellere l’indesiderato colma
    Di maestrie di luce l’ascia dell’agglomerato
    Dell’unica moneta lo smeraldo bianco
    E senza profferir parola di popolo
    Decide lo StarExit l’unica via atomica
    Del colpo del razzo di Méliès in clinex
    Selene firma con chimica gli assegni
    Dei cargo orbitali che trasportano
    Derrate criogenetiche e combustibili
    Cespi di straccetti di nubi Veggie
    Estratti a fratturazione di infrarossi
    Così quando questo Nostro pianeta
    Sarà totalmente crivellato ed ogni
    Antro remoto distillato con pompe
    A vuoto di memoria solo un quanto
    d’un bosone un’antiparticella chiarirà
    L’ampiezza vettore del probabile

  10. caro George,

    mi succede un fatto stranissimo: ho inviato questi versi a M: Gabriele,
    poi ho riflettuto: sono miei?
    Non ricordo bene quando e dove li ho scritti, se li ho scritti io.
    Cosa ne pensi? Ha qualche significato patologico?
    a.s.

    nb. eppure, rifletto, c’è qualcuno che mi imita così bene?

    -Non ho mai desiderato una forma perfetta
    che fosse soltanto poesia e prosa insieme
    per un non comprendersi rivolto a tutti
    con una misera sofferenza per il poeta e il suo lettore.

    La poesia è decente quando è estranea a se stessa:
    da noi si genera tutto ciò che già sapevamo,
    gli occhi sono fissi per accogliere perfino una tigre,
    senza requie lei nella luce con la sua coda immobile.

    È ingiusto pensare che la poesia è soggetta agli angeli,
    umilmente si crede che siano dei demoni.
    L’umiltà dei poeti si genera in luoghi conosciuti,
    la loro superbia è possanza della consapevolezza.

    Quale creatura irrazionale desidera il potere degli angeli
    che una sola lingua ciarlano in una casa non loro.
    E che felici e gioiosi donano labbra e dita
    per non mutare a loro vantaggio la sua destinazione?

    Perché ciò che ieri era sano è stato disprezzato,
    tutte le creature non hanno idea di come io sia triste
    poi che invano ho cercato una maniera
    per odiare l’Arte con estrema severità.

    Mai c’è stata un’epoca in cui si leggevano libri ottusi
    per avere gioia e felicità con Intolleranza e avversità.
    È la stessa cosa di quando non si è letta nessuna pagina
    di opere che ci giungono dalla Clinica delle Felicità.

    ancora un burlesque

    Il mondo è sempre stato eguale nella realtà
    e non siamo per nulla differenti dal nostro ragionare.
    Soltanto il singolo sparge una chiassosa disonestà,
    fallendo la disistima di lontane creature ignote.

    La perdita della poesia risiede nella dimenticanza
    di chi permane nella propria coerenza personale,
    per questo la soglia è sbarrata, la serratura blindata
    e nessuna creatura può varcarle o superarle.

    Io parlo sempre e dovunque di poesia in disaccordo,
    perché è disonesto comporre migliaia di versi e con gioia,
    e dissuasi da una piacevole libertà con tutti gli sconforti
    della materia negativa generano in noi una marionetta.

    • Carissimo Antonio Sagredo,

      la prima poesia è una riscrittura di una famosa poesia di Milosz.

      La seconda è una tua libera parafrasi estemporanea di quanto andiamo dicendo nei Commenti.

      Ma, tutto ciò, a che pro?

      Anche il tuo modo i interpolare tue parole nelle parole di altri poeti è un modo come un altro di fare “archeologia del silenzio” (dizione di Gino Rago)

  11. Giuseppina Di Leo

    Cari Amici, dagli interventi fin qui letti colgo un elemento importante di comprensione quale è la sinergia che la parola poetica è in grado di sprigionare, e di questo vi ringrazio tutti moltissimo per la profondità delle vostre riflessioni.
    Ieri mi è giunta l’antologia Come è finita la guerra di Troia non ricordo, il secondo regalo della giornata, dopo il post delle mie poesie, entrambi capitati in un 24 giugno in cui ricadeva il mio 35.mo anniversario di matrimonio. Non poco (come non pochi sono gli anni).
    Ma ritrovarmi con poeti di grande levatura, come quelli presenti nell’antologia, mi rafforza nel convincimento del grazie immenso che merita e che sento di dare a Giorgio Linguaglossa per ciò che egli fa da sempre per la sola passione che lo anima per la poesia.
    Un procedimento in divenire, così mi esprimo, nella breve nota, un “evento”, che Giorgio Linguaglossa associa alla teoria di Carlo Diano, cosa della quale gli sono molto più che grata. Non so però se, come Giorgio dice, sia davvero così difficile distinguere la prosa dalla poesia, penso invece che oltre al modo diverso di pensare quando si scrive poesia, la differenza sia anche nell’approccio differente con il quale ci poniamo di fronte ad un testo in prosa.
    Nella sua ricca nota Giorgio fa riferimento ai Quaderni di Malte Lauridis Brigge e non vorrei continuare a ringraziare, ma, anche qui Giorgio ci ha preso, infatti per lungo tempo Rilke è stato un punto di riferimento certo nella mia ricerca, e non nascondo che torno a rileggerlo spesso.
    Le musiche di Morton Feldam accompagnano le parole di Beckett e i commenti alle poesie poesie, provo così a riprendere quanto da voi condiviso.
    Ad Anna Ventura dico che le cedo volentieri i versi iniziali della poesia L’idea, in quanto i versi appartengono a chi li fa propri. Su questa poesia vorrei precisare che le esclamazioni sono state aggiunte solo al momento dell’invio del file a Giorgio. Mi sembrava cioè una poesia troppo seriosa, e in genere detesto scrivere cose troppo compassate, per questo ho scelto di stemperarla un po’, sebbene fossero presenti già alcuni elementi ironici (i libri visti come materia viva, come humus). E in realtà, penso veramente che i libri siano materia vivente, cosa che già il titolo esprime: l’idea che nasce dal confronto, pur silenzioso com’è quello che instauriamo con i libri.
    Il dialogo con Rossella Cerniglia è bello trovarlo nello “specchio disadorno” delle parole/immagini del mondo che ci ospita.
    C’è poi il sentire che mi accomuna a Flavio Almerighi.
    Ubaldo De Robertis focalizza l’attenzione sul discorso della memoria e mi arricchisce di un “dono di intensità”.
    Archeologia del silenzio mi è cara, come le altre espressioni riportate, e qui Gino Rago mi parla alla maniera di un Foucault, autore che sto cercando di leggere negli ultimi tempi. Memoria e parola, come giustamente evidenzia, sono legati alle tematiche “serpeggianti” della perdita e del viaggio, e poi c’è il riferimento a Pessoa, altro autore da me amato.
    Ringrazio Luciano Nanni la sua attenzione.
    Allo stesso modo ringrazio Giuseppe Panetta e la sua dedica espressa in poesia e per le sue parole.

    Ancora grazie.
    Giuseppina Di Leo

  12. Giuseppina Di Leo

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    • Salvatore Martino

      Il tempo e la luce, l’ombra la notte,l’oscuro la paura, e in fondo la memoria che non viene cancellata

      “Andavo da mia madre dopo il lavoro,
      le spalmavo una crema omeopatica contro il tempo,
      manuale di serenità del pomeriggio scalda sedia.
      Sul tardi, tornava di soppiatto un ritmo scolpato
      in serra protetta di terra d’odio; tre simbolici ‘sì’
      erano tre simboli doppi ciascuno di sé:
      lo specchio da infrangere dopo la caduta,
      guadato in un sorriso a strazio

      Non sempre la poesia della Di Leo si svolge per frammenti, e il suo tendere al silenzio è vibrante di immagini, che in certo qual modo lo allontana. La sua poesia al contrario di quanto afferma Linguaglossa costruisce un’architettura tangibile, una sua visione del mondo, lontana dal disfacimento del Nulla.”

      “Bislacca, come una tenebra
      partorita d’inverno, un’ombra
      sfugge la mano. Ogni sole riluce
      su fogli spazientiti di sonno.
      Occhi di vento marciscono in bottiglia;
      domande precipitano da torri tarocche.
      D’inverno si annida il fiume del ricordo.
      In giostra brulica in fondo la strada.
      Volteggia scemando il carteggio d’amore.”

      Che poi la mèta sia il silenzio nel fuoco o nel fiume per Empedocle o Eraclito essa giunge dopo anni di scandaglio filosofico, avendo molte problematiche insegnato.La poesia, e questa della di Leo lo dimostra , può dare ancora molto, anche ricercando il silenzio e l’oblio, tematiche presenti in quasi tutti i grandi poeti

      “Io direi che la frammentarietà della forma è un tutt’uno con la frammentarietà della memoria. Le parole in quanto figlie legittime di Mnemosyne, vengono attecchite dall’oblio della Memoria, e chi parla di Spirito del mondo o di Spirito della storia dovrebbe essere interdetto dagli uffici pubblici. Il modo nel quale oggi si dà Mnemosyne è un modo frammentato, graffiato, le parole diventano isotopi che, durante la traslazione dalla memoria alla pagina scritta, perdono qualcosa, si impoveriscono, diventano cronotopi di antiche parole”

      Ovviamente sono in disaccordo parziale con Linguaglossa sia sull’oblio della memoria, assolutamente necessaria in poesia, ma ancche sulla totale condanna dello Spirito del mondo e della Storia, che interpretati in un modo meno idealistico possono risultare utili nella compreansione del mistero poetico. Tornando alla di Leoi suoi versi arrivano a scavare al profondoal dilàde frammento e della morte della memoria, fanno quello che secondo me è il principale “dovere” della poesia :Commuovono.
      Mi riesce sempre più difficile star dietro alle varie inserzioni nel blog: spariscono troppo presto e io sono un pachiderma nella lettura, per cui talvolta sono costretto a saltare.
      “Si risolvono male le questioni di cuore
      quando sopraggiunge la notte” cara GIuseppina non soltanto quelle del cuore. Salvatore Martino

  13. Giuseppina Di Leo

    Caro Salvatore, cogliere, come tu hai fatto, il senso profondo delle parole è da poeti. Grazie!
    Giuseppina

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