Giorgio Mannacio DIECI POESIE SCELTE da “Gli anni, i luoghi, i pensieri” (Libri di Resine, 2015) con uno stralcio della prefazione di Silvio Riolfo Marengo, una Riflessione dell’Autore e un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

città vecchio tram

tram anni Quaranta

Giorgio Mannacio
Sono nato nel 1932 in Calabria ma – salvo una parentesi, peraltro significativa, durante la guerra trascorsa nel paese natale – ho vissuto sempre a Milano. Sono stato per oltre 40 anni magistrato. La mia seconda vita- se così si può definire – è quella trasfusa nelle mie poesie e in qualche meditazione semifilosofica. Tale è dunque la mia bibliografia. Recensioni? Quasi nulla e non mette conto parlarne. Ho pubblicato su qualche rivista, molto saltuariamente (Almanacco dello Specchio, Lunarionuovo, Marka, Alfabeta, Il Caffè….). Ho incontrato nomi famosi della poesia, ma non ci siamo fermati a parlare neppure un attimo. Qualche contributo teorico sulla poesia è uscito su Molloy , Monte Analogo e sul blog Poliscritture. In poesia ha pubblicato: Comete e altri animali – Resine – Quaderni liguri di cultura – Sabatelli editore – Savona 1987;  Preparativi contro tempi migliori – Aleph Editore srl – Torino-Enna 1993; Storia di William Pera – Campanotto editore – Pasian di Prato ( Udine ) 1995;  Fragmenta mundi– Edizioni del leone – Spinea -Venezia 1998; Visita agli antenati – philobiblon edizioni – Ventimiglia 2006; Dalla periferia dell’impero – Edizioni del leone – Spinea – Venezia 2010.
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città la Seicento taxi anni Sessanta

la Seicento taxi anni Sessanta

Note di Giorgio Mannacio
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Il punto di partenza ( il fiat lux ) è costituito da una emozione che precede il pensiero ed è altro da quest’ultimo. Ma già in tale avvio è contenuta una approssimazione , comunque inevitabile. Non si discuterà mai abbastanza se esista un nudo fatto  scindibile da una elaborazione emozionale. Ci sentiamo più rassicurati dall’idea che esista una divisione soggetto-oggetto e che vi sia , in un dato momento e a date condizioni, un incontro  tra i due termini. Alla nostra esperienza la fusione appare già avvenuta e che il piccolo fatto quotidiano ( così diceva Sanguineti, ma il piccolo fatto può essere anche un grande fatto ) e già dotato, per sé stesso, di una carica emozionale. Anche qui va chiarito un equivoco. Non è dato distinguere , oggettivamente, tra fatti dotati di tale carica e fatti non dotati di essa. Può essere messo in discussione , rigorosamente, lo stesso termine emozione , carico di ambiguità. Volendo distanziarsi da esso, può essere più utile parlare di un nucleo di sensazioni provenienti da campi di esperienza diversi . Con una certa carica provocatoria possiamo dire che essi spaziano dal primordiale riflesso di difesa  all’ultimo amore o libro letto.
Chiamiamolo fatto significativo.
[…]
E’ certo che esso si colloca nel tempo che è una delle condizioni del nostro conoscere. Ma il rapporto tra tale fatto significativo e il tempo successivo assume modalità diverse. A volte esso viene messo da parte ( immagazzinato, per così dire, nella memoria a lungo termine ) o del tutto dimenticato. Altre volte produce subito la catena delle associazioni e dei richiami che verranno a costituire la trama del testo.
Questa distinzione ha un valore meramente descrittivo. Non vi è una differenza teoricamente significativa tra fatto memorizzato e fatto immediatamente suscitatore di catene associative. Nell’uno come nell’altro caso il fatto originario si arricchisce di associazioni e richiami. Queste associazioni non sono necessariamente programmate , cioè sempre e totalmente coscienti. Esse spesso si verificano in virtù di altri fatti significativi che funzionano come catalizzatori nell’esperienza poetica del fare.
Ma anche in questo passaggio bisogna essere cauti. Anche se non programmate, le associazioni non sono incontrollate, come vorrebbe un certo surrealismo di maniera ( il disordine programmato resta un’opzione della ragione ). Esse subiscono interventi di organizzazione .
 Il termine del testo è anche un termine cronologico, ma solo nel senso banalissimo
che una poesia si completa all’ora x del giorno y. La pratica di segnare data e luogo ( il Belli , ad esempio, annotava pignolescamente persino la  stesura in carrozza di alcuni suoi sonetti ) può interessare solo un biografo, ma è insignificante per chi scrive.
Ma la parola fine riferita ad un testo poetico ha un significato diverso  che prescinde dal calendario, dall’orologio e dalla geografia anche se si colloca in tutti e tre questi punti di riferimento.
La fine è individuata dalla parola che conclude  il processo di gestazione e la vittoria del testo perfetto. Rispetto all’assimilabile ( per metafora ) processo fisiologico  il poeta non ha il riscontro della normalità della propria creatura rispetto ad un modello naturale e non ha neppure la perentorietà di un termine cronologico che l’avverta che il processo è compiuto. In tale momento il poeta è giudice di sé stesso  nel senso tutt’affatto particolare  dell’individuazione che la conclusione di fatto ( il testo ) non tollera prosecuzioni. Mutuando dal gioco degli scacchi si può dire che tale momento è quello dello scacco matto , punto in cui ogni mossa ulteriore  è impossibile.
[…]
Se è corretto vedere nella stesura di getto una sorta di inganno dei sensi, il discorso ritorna a quell’altra modalità che richiama l’esperienza ( psicologica e fisiologica ) della memoria a lungo termine. Rilke , ad esempio, nei Quaderni di M.L.Brigge  raccomanda di rimuovere il ricordo  perché neppure i ricordi sono esperienze. Questa testimonianza sottolinea, in modo radicale, la necessità che l’emozione ( che è istantaneamente ricordo e solo come tale diventa oggetto di meditazione ) si sviluppi, nel tempo, in una catena di associazioni e di connessioni di un vissuto ed acquisti così la propria significatività.  Essa chiarisce che non basta sentire qualcosa e ridere e piangere per qualche cosa trascrivendo il nesso causale tra il sentire e il reagire ad esso in qualche modo.
L’emozione che torna, va iscritta nel codice del presente che implica una esperienza matura.
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foto donna di stradaStralcio dalla prefazione di Silvio Riolfo Marengo
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“È un felice ritorno questo di Giorgio Mannacio che, dopo aver esordito con due epigrammi satirici sui numeri 4 e 5 del Verri ( 1959 ), nel 1987 aveva affidato alle edizioni di “ Resine “ la sua prima raccolta di versi, Comete e altri animali. Ad accoglierlo, con attenta e cordiale premessa al volume, era stato Vico Faggi,validissimo autore teatrale e poeta di vaglia, chiamato alla guida della rivista dopo la scomparsa di Adriano Guerrini che l’aveva fondata….
Vico Faggi aveva ravvisato la nota più singolare della poesia di Mannacio nel procedere “ per sintesi fulminee in grado di accostare luoghi e tempi lontani, presenze ed assenze, sensazioni e ricordi di sensazioni “. E’ un modus operandi che governa anche questa sua nuova raccolta…
Ed è il tempo, l’antico Cronos dai pensieri tortuosi a dettare i cambiamenti di tono che in questa raccolta si avvertono rispetto alle prove precedenti di Mannacio, anche se resiste incolume la chiarezza di un impianto meditativo continuamente vivificato da dubbi, interrogativi, passioni e soprassalti gnomici. Un riepilogo dell’esistenza, dunque, stretto ad unità anche dalla misura controllatissima dei versi – endecasillabi e settenari, il naturale respiro della poesia italiana – giocati …sull’uso calcolato di rime, rime interne, assonanze, allitterazioni. E tuttavia, questa sapienza metrica non turba mai il premere della vita che le sta a monte come radicamento familiare, legame affettivo con i luoghi e le persone vive e scomparse. Sentimento, si badi, e mai sentimentalismo perché Mannacio ha dalla sua la… capacità di oggettivare le situazioni più diverse… Poesia forte e discreta per scavi e sottrazioni, potremo dire, aggancio di esperienze individuali  al destino comune ma sempre per accostamenti imprevedibili, lampi ed evocazioni istantanee… È dunque il fluire del tempo, che cambia continuamente la visione delle cose e ci impedisce di raggiungere la loro essenza senza mai smettere di ricercarla, il leitmotiv di questo libro che trova la sua chiave di lettura nel concatenarsi di amore e di pietà, di ragione ed enigmi irrisolti…. Il dio di Mannacio, sempre in minuscolo, si identifica col destino, con l’inesausta speranza di eternità legata all’agire poetico e la consapevolezza dell’inevitabile disperdersi delle foglie ( dei fogli ) nel vento agitato dalla Sibilla cumana. A chiudere il cerchio è ancora una volta il rimando alle fonti classiche della poesia nella loro manifestazione più alta, Omero e Dante citati in exergo.
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foto casa in disordineCommento impolitico di Giorgio Linguaglossa
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È noto che il modello della prosa scientifica ha avuto un ruolo determinante per la poesia che è stata scritta a Milano fin dal 1952, data di esordio di quei “Lirici nuovi”, antologia curata da Anceschi, dai quali iniziò l’inversione di tendenza dell’egemonia poetica in Italia, che si spostò dal centro sud al nord. Quella prosa poesia di carattere didascalico e di derivazione scientifica che ha avuto la prima evidenza con il libro di Giampiero Neri L’aspetto occidentale del vestito del 1976. Si impose così all’attenzione generale un tipo di scrittura neutra, volutamente spoglia di effetti stilistici, tendente ad uno stile dichiarativo, quasi scientifico. Si veniva scoprendo che la struttura della poesia permetteva questi esperimenti, anzi, che quei tratti segmentali la poesia non li detiene in proprietà privata ma li condivide con altri generi letterari e, in primo luogo, con la prosa scientifica. Di qui venne quel sospetto con cui si guardava ad ogni tentativo che volesse perseguire un linguaggio «emozionale» o «emotivo» nell’ambito della poesia. Cohen ha chiamato «connotazione» questa caratteristica del linguaggio poetico che, secondo la sua visione, viveva dell’antagonismo con la «denotazione». Due sistemi di significazione in rotta di collisione reciproca. Questa concezione della poesia vedeva nella connotazione un sistema di significazione che si collegava ad un sistema di significazione primario, quello della denotazione. Fatto sta che una linea di ricerca poetica che si è fatta a nord, e precisamente a Milano, ha preferito premere sul tasto di una poesia denotativa, subordinandole la funzione poetica basata sull’espressività dello stile affettivo (o emozionale), quella connotativa.
In questo libro di Giorgio Mannacio si avverte con chiarezza il nodo problematico di un certo pensiero poetico: sostanzialmente una struttura elegiaca basata su un fondamento denotativo. I suoi momenti più alti la scrittura di Mannacio li attinge quando introduce il traslato, un metalinguaggio nel linguaggio, quando parla d’altro per non dire qualcosa che non può essere altrimenti detto. Insomma, quando introduce la funzione invariabile del «tempo» (gli anni) che interagisce sulle funzioni variabili (i luoghi, i pensieri). Degno di nota è il lessico desublimato e prosaico con il quale Mannacio ci consegna la meta poesia di apertura del libro. Non si tratta certo di «arredamento», come spiega ironicamente il titolo, ma, in un senso, sì, si tratta di un vero e proprio «arredamento»: c’è una «Regina» e un «lui»;  è un tema esistenziale, dunque, e il percorso a ostacoli intrapreso dai due soggetti dell’arredamento dell’essere è la felicità. Ma è un tema che non si può affrontare se non per via indiretta e per traslato, quello che fa, appunto Giorgio Mannacio in tutto il libro, mette in scena una procedura euristico-ironica:

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Consigli di arredamento

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Sul tavolo immenso e fermo,
non argenti, soltanto una penna, fogli innocenti
e in un angolo lei, la Regina,
del tempo imperturbata pedina.
È facile disporre
nel limitato spazio altri oggetti usuali
secondo i capricci o le convenienze dell’ora.
Di là, prossimo, un letto accogliente
quello di ormai perduta
vita comune
seme delle speranze a somiglianza.
Lui vuole ancora, nonostante tutto,
segnare col proprio corpo
i luoghi della memoria;
seguire col proprio corpo
altri moti apparenti e ineludibili
compresi nell’assorta geometria
d’un pensiero, d’una finestra.
Stanotte, almeno, non la vedrà sparire.

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Giorgio Mannacio.

Testi da Giorgio Mannacio “Gli anni, i luoghi, i pensieri (Poesie 2010-2013)”, 2015

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Appunti di astronomia
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Diversa, nei propri nomi,
un’identica stella oggi si mostra
in due diversi punti. In questo è il senso
dell’unico, solitario suo splendore.
Si sdoppia nell’annuncio
d’una resurrezione e di un declino
svelando prima del suo breve giro
la luce millenaria del mattino.
.
Vita e destino
.
Se alambicchi segreti distillando
veleni provvidenziali sono complici
di amorose carezze o di mortali
ferite là dove batte il cuore,
non è soltanto questa la ragione
del pianto e del sorriso.
Altri percorsi impongono
la gioia ed il dolore
contorti, inesplicabili e, alla fine,
arrivano alla meta, una finestra
aperta all’avventura.
Un grido o una canzone l’attraversano
perdendosi nell’aria
dove scheggiata dall’azzurro brilla
la stella del mattino, solitaria.
.
L’ultimo dei giusti.
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1.
L’ultimo trono vuoto in paradiso
è destinato a lui, l’ultimo giusto.
Poi finisce la storia risucchiata
nell’abisso che allora
chiamavano eternità.
Lui completò la strage, nessuno fu risparmiato
e nessuno ricorderà.
2.
Vestivano di lino
i prìncipi innocenti
nei lunghi, quasi infiniti, giorni d’estate.
E le correnti pigre, impaludate
stagnavano colori di malattia,
sfibravano il fiore azzurro
quelle donne cantando quasi con allegria.
3.
Sembrava, ma non era
la luna a galleggiare tra gli alberi del giardino.
Fermarono così la breve attesa
di quella luminosa mongolfiera
nello stupore di una mano tesa.
Ci fu un comando, non una preghiera
e nessuna pietà dopo la resa.
4.
Dove andrete, bambini, quando
si torceranno ardendo
i rami cui appendeste l’altalena ?
Niente deve restare ed anche voi nel fuoco
sarete ridotti a cenere.
Se l’anima è una fiamma
anch’essa si spegnerà tra qualche istante.
5.
E’ legge che sia distrutto
anche il seme e così sepolta
la radice della memoria.
Se nessuno ricorda, niente è la storia
oltre la mongolfiera e sotto la luna piena.
Più in alto ancora nell’indifferenza
l’ultimo dei giusti ostenta la sua innocenza.
.
giorgio mannacio Gli anni,i luoghi, i pensieri.
Tra tombe ed eroi
.
In questo slavato sole trova consolazione
il suo circospetto vagabondare.
Non si cura del resto. Non ha mai letto
I grandi cimiteri sotto la luna,
non ha lasciato impronta alcuna
sulle spiagge di Normandia,
non è interessato ad indagare
identità e differenze
tra corsie bianche di croci e qualche stella di Davide.
Le vuole accostate insieme un giardiniere asettico
che cura alla perfezione
una verde, ordinata, equanime dissoluzione.
Con la luce che sembra eterna e poi muore
si dilata il potere magico
dei suoi occhi di giada: lo spazio si fa destino.
In esso appariranno altre vittime,
nuove consolazioni
al suo orientato cammino
.
Gli incanti della notte
.
Gli piaceva aggirarsi
nelle stanze svuotate dal sonno,
fermarsi
presso l’ago sottile
che promette o minaccia un tempo sereno.
Sono lontani, velati, i dolori del mondo;
anche dio sogna
per sé stesso e per gli altri diversa fortuna.
I concetti si fanno immagini,
figure di un teatro tra domande e risposte
senza pretesa di verità.
Soltanto i libri allineati tentano
l’inganno di mille e una notte.
Nell’aspettare l’ultima
ad occhi aperti non c’è miracolo
come si favoleggia.
Si spera soltanto, invece,
che nell’intricata trama essa sia presa
e benevola sosti ( quanto? )
a donarti la grazia dell’attesa.
.
Il viaggio rinviato
.
Quasi fosse vangelo
mi leggeva “ La Pipa “ accanto al fuoco,
l’amore sfarina in giuoco
tra i sacchi di granturco giù in cantina.
Mi chiedi perché sono
così restio a tornare,
tu che vuoi dare senso all’equazione
tra lo spazio che ci separa e la perduta
nostra stagione.
Io ho smesso di contare
il numero dei giorni e di quei sassi
in bilico sul torrente
al peso dei nostri passi.
.
Altro equinozio di primavera
.
La coda dell’inverno oggi colpisce ancora
tra forsizie già in fiore.
E’ l’astuto serpente che non vuole
alcuna resurrezione
a stendersi sul confine. Sono eguali,
sulla traccia che lascia, buio e luce.
Con un colpo di vento arriva
l’inizio della fine
perché sono ormai dischiusi
sugli alberi i germogli, sciolte in alto
le nevi da cartolina. Cosa resta
alla felicità delle radici?
.
Solstizio d’inverno
.
Il mare è grigio, fermo.
Immobili sulla spiaggia deserta
freddi uccelli di varia specie.
L’armonia delle sfere regala
l’illusione di cosa sia
o possa essere l’eternità.
Non memoria né progetto,
solo estatica confusione
di un punto inesteso in cui si rivela
il suo indefinibile aspetto.

.

La stanza degli dei
.
Stanno
marmorei ed immobili
in perpetua dissoluzione e in perpetua fissità
loro,
i custodi del nostro destino arroccati
in una innocente malvagità.
Non degnano d’uno sguardo
la foglia che, prima, ondeggia e, poi,
trascolora,
il sorriso mutato
nel silenzioso naufragio di un’ora.
Ma in quel dipinto di antica scuola
qualcuno ha socchiuso la porta: uno di loro
si è voltato al debole scricchiolio;
il disegno arresta l’istante che è un cenno.
D’attesa, d’addio?

 

10 commenti

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10 risposte a “Giorgio Mannacio DIECI POESIE SCELTE da “Gli anni, i luoghi, i pensieri” (Libri di Resine, 2015) con uno stralcio della prefazione di Silvio Riolfo Marengo, una Riflessione dell’Autore e un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

  1. Ho apprezzato moltissimo la poesia di Mannacio, fin dal suo primo apparire sull”Ombra”; leggendolo ancora, mi pare di individuare un interessante contrasto tra staticità e movimento, ragione e sogno,consapevolezza del dolore e forza nel resistere e nel proseguire: doni del talento e della conoscenza profonda; i libri sullo scaffale e la stella di Venere che brilla in alto.

  2. Il Mannacio è davvero un poeta eccellente, voglio porre sottolineatura sulla fulmineità e fruibilità dei suoi versi. Molte poesie qui pubblicate sono davvero belle. Un frammento su tutto.

    In questo slavato sole trova consolazione
    il suo circospetto vagabondare.
    Non si cura del resto. Non ha mai letto
    I grandi cimiteri sotto la luna,
    non ha lasciato impronta alcuna
    sulle spiagge di Normandia,
    non è interessato ad indagare
    identità e differenze
    tra corsie bianche di croci e qualche stella di Davide.

  3. Gino Rago

    Giorgio Mannacio, come già segnalammo nel precedente incontro con alcune sue liriche, si conferma come poeta importante nell’attuale panorama della poesia contemporanea.
    Ha illimpidito ancor di più la sua parola.
    Possiamo parlare di purezza della parola poetica non già come eredità del decadentismo ma in funzione del suo linguaggio diretto, concreto.
    La consapevolezza e la padronanza del mezzo linguistico-espressivo, senza preziosismi né barocchismi, consentono al poeta calabro-meneghino sintesi fulminanti come “Con un colpo di vento arriva/ l’inizio della fine…”,
    ” (…) lo spazio si fa destino”, con versi ( oserei dire “frammenti “) che danno equilibrio a certe urgenze del pathos e che inclinano il poeta verso
    “l’armonia delle sfere”. Verso l’eternità.
    Condivido i commenti dell’Almerighi e della Ventura. Ammiro la dichiarazione di poetica del Mannacio e la nota critica del Riolfo Marengo.
    Il resto che forse manca va ricercato nelle meditazioni del Linguaglossa.
    Gino Rago

  4. Giuseppina Di Leo

    Nelle poesie di Giorgio Mannacio predomina l’equilibrio degli opposti e ogni parola, ogni immagine è pronta a lasciar spazio ad altro lasciando intero un senso di armonia. Molto apprezzata anche la nota sul ‘come’ la poesia si fa o diviene.

  5. ubaldo de robertis

    Mi piacerebbe essere martedì 3 maggio al Circolo della Stampa di Milano ad ascoltare queste poesie dalla viva voce di Moni Ovadia con il commento di Maurizio Cucchi, Sebastiano Grasso e Riccardo Targetti. Purtroppo per me non sarà possibile partecipare all’evento.
    Un grande in bocca al lupo a Giorgio Mannacio.
    Come sempre rimarco l’eleganza, il nitore, la concisione della struttura metrica delle sue poesie Molto bene ha scritto il Linguaglossa: “I suoi momenti più alti la scrittura di Mannacio li attinge quando introduce il traslato, un metalinguaggio nel linguaggio, quando parla d’altro per non dire qualcosa che non può essere altrimenti detto. Insomma, quando introduce la funzione invariabile del «tempo» (gli anni) che interagisce sulle funzioni variabili (i luoghi, i pensieri).”
    Ubaldo de Robertis

  6. Non mi è facile accogliere i “Consigli di arredamento” di Giorgio Mannacio: è musica classica, per menti degne di Zubin Mehta. Anche se poi avverte che
    “È facile disporre / nel limitato spazio altri oggetti usuali / secondo i capricci o le convenienze dell’ora”. Sembra trattenersi dal volo, sempre a un passo dall’eternità. C’è “Di là, prossimo, un letto accogliente / quello di ormai perduta / vita comune / seme delle speranze a somiglianza”.
    “Lui vuole ancora, nonostante tutto, / segnare col proprio corpo / i luoghi della memoria; / seguire col proprio corpo / altri moti apparenti e ineludibili /
    compresi nell’assorta geometria / d’un pensiero, d’una finestra”.
    Così spiega tutto in modo ineccepibile. I ” luoghi della memoria” non sono e non possono essere gli stessi di Milosz ma ricordo che anche lui mi dava l’impressione di mantenersi al terrestre, al tempo e alla storia, piuttosto che ad una agognata liberazione. Senza utopia, osservatore distante di ogni “estatica confusione”. Di forte pensiero, ma lo si apprezza anche per questo. Buon insegnamento.

  7. Un gran bravo poeta, totalmente indipendente.
    GP

  8. antonio sagredo

    Già in diverse occasioni e talvolta in privato ho riferito i miei giudizi positivi sugli scritti di Mannacio, a cui tra l’altro va la mia simpatia per il calore umano dimostratomi… ma non è più il tempo di dimostrare modestia: tratto che non gli appartiene più poi che molto più valido di tanti che si vantano invano.

  9. Giorgio Mannacio

    Debbo un vero ringraziamento a tutti perchè tutti hanno colto uno o più aspetti importanti del mio percorso. Linguaglossa ha il merito del post, davvero significativo nella sua articolazione e nel commento. Anna Ventura ha colto le varie antitesi che caratterizzano i versi. Almerighi mi conforta nella scelta – molto meditata – di pubblicare Sopra eroi e tombe . Rago – il cui cognome è certamente calabrese – sottolinea una frase ” lo spazio si fa destino ” che è in un certo senso centrale e mi conferma la sua propensione filosofica ( comune ai marginali ). La Di Leo apprezza anche le indicazioni sul modo con cui opero e ne segnala la coerenza coi testi. Mi piace di De Robertis la citazione di una invarianza del tempo, confermado che uno sposalizio tra scienza e poesia si può o si ha da fare ). A Tosi dico che è vero che,ingannato, mi trattengo ai margini del volo ultimo è vero : Re Lear insegni. Panetta, lapidario, parla di indipendenza e coglie nel segno. A Sagredo cosa posso dire se non che la mia modestia è solo un risulato del modo in cui impiego il mio tempo e che non mi lascia margini per
    altri artifici ?
    Ma tutti, indistintamente, mi prestate aiuto nel capirmi e giudicarmi per quel che sono o desidero essere.
    Grazie di cuore. G.M

  10. Ringrazio vivamente Giorgio Mannacio per la puntualità e la cortesia con cui ha risposto ad ogni nostro intervento sulla sua opera poetica : un esempio di come la civiltà prosegua il suo cammino, contro l’urto di ogni barbarie vecchia e nuova.

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