Salvatore Martino (1940) UNDICI POESIE da “La fondazione di Ninive” (1977), Cinquantanni di Poesia 1962-2013 (Roma, Progetto Cultura, 2015 pp.  1000 € 25), con un Appunto dell’Autore e un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

salvatore martino copertina la fondazione di ninivo
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Salvatore Martino è nato a Cammarata, nel cuore più segreto della Sicilia, il 16 gennaio del 1940. Attore e regista, vive in campagna nei pressi di Roma. Ha pubblicato: Attraverso l’Assiria (1969), La fondazione di Ninive (1977), Commemorazione dei vivi (1979), Avanzare di ritorno (1984), La tredicesima fatica (1987), Il guardiano dei cobra(1992), Le città possedute dalla luna (1998), Libro della cancellazione (2004), Nella prigione azzurra del sonetto (2009), La metamorfosi del buio (2012). Ha ottenuto i premi Ragusa, Pisa, Città di Arsita, Gaetano Salveti, Città di Adelfia, il premio della Giuria al Città di Penne e all’Alfonso Gatto, i premi Montale e Sikania per la poesia inedita. Nel 1980 gli à stato conferito il Davide di Michelangelo , nel 2000 il premio internazionale Ultimo Novecento- Pisa nel Mondo per la sezione Teatro e Poesia, nel 2005 il Premio della Presidenza del Consiglio. È direttore editoriale della rivista di Turismo e Cultura Belmondo. Dal 2002 al 2010  con la direzione di Sergio Campailla  e insieme a Fabio Pierangeli ha tenuto un laboratorio di scrittura  creativa poetica presso l’Università Roma Tre, e nel 2008, un Master presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.
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Salvatore Martino in pensiero

Salvatore Martino

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Appunto di Salvatore Martino
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Intorno alla città mitica e reale, mai distrutta nella memoria
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Cominciai a scrivere “La fondazione di Ninive” nel 1965, in seguito alla folgorazione, quasi una via di Damasco incontrando T.S.Eliot e il suo maggior fabbro Ezra Pound. The Wast land e i Four Quartets, i Pisan Cantos abitarono la mia casa come in seguito ad uno sconvolgimento tellurico, incrociando il mio specchio, la mia anima, la mia razionalità.
Molte cose avevano preceduto questo evento, la scrittura volgeva allora verso i grandi spagnoli del ‘98 Jimenez e Machado, e a quelli della generazione del ‘27 segnatamente Lorca e Guillen.  Fogli,  lettere,  alfabeti, frammenti, tentativi lunghi e brevi, dispersi e ritrovati, abbandonati sui tavoli, e mai distrutti, ferocemente segnati, custoditi comunque in un codice della memoria. Adesso finalmente costituiscono il corpo iniziale del mio werk, “Cinquantanni di poesia”.
Cominciai a intravedere “Ninive” come ho già detto nel 1965, avendo in qualche modo chiaro il disegno di un poema in tre parti. In realtà codesta divisione era l’unica finestra in un magma materico da evocare dal letto dove dormiva da chissà quanto tempo. Sapevo soltanto che sarebbe stato un viaggio, la ricerca di una identità perduta, forse un lontano gennaio,di un anno che non possiede numeri, la resa dei conti con l’Altro. Del resto attore per vocazione di alchimista, ma anche di viandante, in ultima analisi di randagio, ho sempre viaggiato, maledicendo sempre la partenza, sperando la sosta ad ogni stazione di treni, ad ogni angolo di aeroporti, in un ciclo costante di ritorni, ma non è stata mai una fuga, solo la condizione ineluttabile dell’essere mio e dell’Altro.
E “Ninive” descrive appunto questa lunga parabola nelle tre sezioni, in cui il poema si divide: il viaggio/ la casa/ steep darkness. Un cammino che cerca un approdo, il richiamo definitivo nella speranza che la tua dimora ti  avvolga e ti possieda, ma l’itinerario scivola inesorabilmente nella ripida oscurità. Tutto ho messo di me in gioco in queste pagine, l’eros e l’assassinio, la maschera, il teatro, l’abbandono degli studi di medicina e della normalità, il disprezzo per le cose banali, la condanna politica, il senso ambiguo della storia, l’erotismo del corpo e della mente, il silenzio di Dio, le navi e l’oceano, gli eroi del mito, lo specchio che rimanda la tua immagine che a volte non sai decifrare, lo sguardo tuffato dentro il cosmo, la precarietà degli affetti, gli inganni e l’amicizia, e tante altre cose.

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Ninive mi ha perseguitato con rabbia a volte, spesso con dolcezza, con disperazione nell’arco di undici lunghissimi anni, dilatandosi ed essiccandosi alternativamente quasi in maniera autonoma, al di là, altra da me. Dal 1976 cammina finalmente la sua strada, con fatica, ma libera, non mi appartiene più.
Mi rendo conto che i testi riprodotti in questa sede non possono minimamente raccontare tutto il poema, tra l’altro sono fra i più brevi, ma certo Linguaglossa avrà avuto le sue ragioni per sceglierli.
Voglio riportare, e mi scuso se approfitto dello spazio rubandolo, almeno la chiusa del saggio introduttivo che il grande Ruggero Jacobbi regalò al mio “La fondazione di Ninive”.
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Martino ha percorso questo iter rischioso, talora spaventoso, per giungere a un riscatto che egli stesso ha propiziato, in modi di verso e prosa, che non somigliano a niente d’oggi, che sono soltanto suoi e meritano dalla critica, un’attenzione senza pregiudizi, capace di illuminare la vera sostanza di questo dramma di questo romanzo di questa elegia.
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Salvatore martino cinquantanni-di-poesia-1962-2013
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Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa
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La fondazione di Ninive riunisce poesie scritte dalla metà degli anni Sessanta fino all’anno precedente l’assassinio di Moro, il 1977, ma del gusto degli anni Sessanta-Settanta questi testi di Salvatore Martino non recano traccia alcuna; è una scrittura che soffre di aperta discronia stilistica e spirituale rispetto alla poesia del suo tempo. Questo è un dato di fatto dal quale io partirei per avvicinarmi alla poesia di Martino. Che la sua poesia non fosse in linea di consonanza con il suo tempo credo che fosse chiaro anche all’autore all’epoca della stesura delle poesie. Ma il problema è che quando un’opera manca l’appuntamento con il lettore, o meglio, con l’uditorio maggioritario, ne deriva che la sua collocazione viene a non essere riconosciuta per mancanza di simultaneità e di scambio reciproco tra l’autore e il lettore, tra cerchie letterarie e l’opera. È quello che è accaduto al secondo libro di Salvatore Martino, che si situava in un suo spazio proprio, anche linguisticamente, isolato e isolazionista, se pensiamo al taglio squisitamente retorico (di alta retorica) del lessico e della sintassi Martiniane, per quel suo desiderio di rendersi non riconoscibile, di ritrarsi in un mondo oscuro e nella penombra di una parola che era e sembrava elusiva ed allusiva, enigmatica, magmatica e che puntava molto su tali quintessenze. Questi aspetti  finivano per accentuare il fatto che il testo sembrava essere il lettore di se stesso. Un testo che rischiava di apparire «squisito», «effabile» e, quindi, «elitario» in un momento in cui la parola d’ordine l’avevano pronunciata Giovanni Giudici con La vita in versi del 1965 e Vittorio Sereni con Gli strumenti umani (1965), per una poesia di taglio colloquiale, civile, con tematiche industriali e urbane, dove la chiarezza denominativa e l’abbassamento dei registri stilistici erano ritenuti elementi assolutamente prioritari. Insomma, Martino privilegiava la via della oscurità del tragitto esistenziale, l’esperienza erotica e dionisiaca e l’accentuazione di certo orfismo, quando i tempi invece si orientavano verso la chiarezza del nesso referenziale, l’abbassamento del lessico, l’ambientazione e i temi urbani. Martino punta ancora sulla analogia e sulla simbolizzazione, in una parola, sulla connotazione, in un periodo nel quale invece l’uditorio letterario preferiva la denotazione e la letteralizzazione. A rileggerlo oggi quel libro ci appare fuori delle aspettative dell’epoca, fuori del suo orizzonte degli eventi, e, direi, più inaspettato rispetto a quello di Giovanni Giudici. Oggi, paradossalmente, La fondazione di Ninive, ci appare più in sintonia con le esigenze della ricerca poetica odierna, e pensare che sono trascorsi cinquanta anni dalla stesura di quei testi, ma il fatto è spiegabile perché, in poesia, ciò che si pone come contemporaneo invecchia presto, mentre spesso ciò che si sottrae al contemporaneo, alla lunga, si rivela essere più moderno delle opere un tempo considerate di punta. Con il suo secondo libro il giovane Martino coglieva nel segno di un’opera nata sotto l’egida di uno smaccato anacronismo e di uno scandaloso elitarismo della soggettività. E venne subito archiviato. Forse, oggi si può cogliere con maggiore distacco e serenità la sensuosità di certi passaggi-paesaggi della poesia martiniana, forse di gusto un po’ floreale e appassionato, ma proprio per questo oggi vicini alla sensibilità del lettore moderno. Scrive Donato Di Stasi nella Introduzione al volume Cinquantanni di Poesia 1962-2013 (Roma, Progetto Cultura, 2015 pp.  1000 € 25): «Opera viscerale e cerebrale, La Fondazione di Ninive espone il grumo a cui la coscienza è stata ridotta nella postmodernità… concentra nei suoi risvolti stilistici una formidabile lotta fra il linguaggio e mondo, una partita luttuosa fra l’eros sempre in fuga dalle catene della stabilità e il nostos, sinonimo di necessità e di ritorno a un porto sicuro di significati». (Ibidem p. 135)
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Salvatore Martino in tralice

Salvatore Martino

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da Cinquantanni di Poesia 1962-2013 (Roma, Progetto Cultura, 2015 pp.  1000 € 25)

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A una distanza pari dalla giungla seguendo il filo di un
airone basso nelle correnti dell’aria Disposti a seguitare
malgrado l’oroscopo straniero verso l’alto del piano dove
spirali si rincorrono e la schiera alata dei pesci Intorno
il sentiero mostrava tracce d’un’altra carovana passata
chissà in un giorno di aprile Si avanzava per gradi
lo sguardo fisso al perimetro del dolore

but if you think of a periscopal motion
of thinghs and animals

L’arsenico nel vino i segnali del passo Dalla bocca del
capanno un grido di fucili Stormi inquieti di volatili e
il rosso cremisi delle piume alla vista dei cani
Ci spingemmo avanti senza l’appiglio delle streghe
Poi avrai notizie dagli agenti del cielo Orbite e sonde
le riprese di luna e mille crateri illuminati dalla
fiamma silicea Come sciogli il granito?

A una distanza pari dalla giungla l’anima si riduce ad una
massa che invade le finestre entra nelle cantine squarcia
i vetri e le porte precipita negli alambicchi Piombo
***
Doppiata la collina si piega il tempo per cogliere il
tracciato che scende in un azzurro paese dove laghi
s’incontrano il verde meridiano e oltre la fossa il cielo

Tradito dai sicari

Ci siamo tinte le mani con bianchissima calce
coperto i sopraccigli col sudario una flora batterica
per coltivare agavi o la demenza di chi spera
al mattino un oroscopo astuto delle carte

Non c’è comparazione col metallo quello duro e temprato!
La fossa spaventosa degli inganni precipita intatte
carovane l’oro disciolto nei crogioli l’interminabile spirale
conquista il punto Ricomincia l’ascesa a gironi più fondi
Nel Maelström attorcigliati Cibele e il corpo di Attis
ritrovato una piatta famiglia di lombrichi Sirene
calamitate a riva da un canto più del loro sinistro

Siede il giovane Orfeo la lira stanca lungo il braccio
sul cavalcante Egeo stanco dell’Ade stanco dell’Olimpo
tradito dagli amici le mani di bianchissima calce e un
vuoto contro la mezzaluce balenata in pieno dormiveglia
dalla camera accanto

Dovremmo salire E gonfiare nell’azoto

Una centuria volatile

***

Se ancora disperi di vedermi e i passi si cancellano
nella veglia a mezz’aria tra desiderio e fatica

E un’ora dopo ai piedi di una lunga valle
ti prendessero per mano quasi dicendo una preghiera

Mercoledì 8 gennaio in una valle

E ti conducessero per cerchi e rottami senza una
cruda stanchezza ch’è poi attesa di non attendere

E ti prendessero quando singhiozzano i merli con una
storia da decifrare portandoti attraverso canali di metallo

Se ancora i passi si cancellano
***

A sera la camicia sporca O luna O luna come non sei!
Che il nodo sale e l’anima si spezza Che faremo a gennaio?
Darker and on other time siamo invasi di calma ora
che il tempo è entrato a far parte di noi e l’attimo
blocca le scale O luna O luna per coprirci la mano

***

Esistono giorni che vorresti partire ma per restare e
partire domani o non partire più che hai perso la
logica del partire e ogni logica di transito ch’è poi la
logica di tutto che passi la meditazione della giornata
sopra una mosca e il vento ostinato di grecale contro
l’azzurro del sole Esistono giorni che potrebbero finire
giorni come esistiamo noi senza numeri e segni

E vorresti partire non più domani nel transito di una
mosca uccisa non far niente e sparire non essere stato
non essere mai cancellare ogni presenza del tuo niente
Che niente?

***

Se poi ti addormenti il sonno ti avrà posseduto
come appartenne a te il sonno prima di essere
sonno e ancora alla fine Il miracolo cresce ha
lunghi capelli che non risentono d’influssi ormonali
il letto e il tavolo sono le due dimensioni basta con
gli inganni! Perché il letto è ancora vuoto e io che
aspetto di dormire sono un numero senza matrice il
mistero di un punto fino al finito sirena e luce Il letto
non dovrà aspettare! Ma incidere i grovigli? Gli occhi
rifiutano di vedere perché seguitare? 9/8/6/3 Si sente
un fiato che cresce fino a gonfiare l’aria E poi niente

 

salvatore martino col sigaro

salvatore martino

***

Eros il saggio si sedette sull’orlo della cisterna

A volte mi domando ed è una lunga sera di quelle che non
puoi uscire attraccato alla porta con le scarpe in mano
e una sedia per passi e la stanza prende vigore dal caldo
una cortina separata dalla strada irreale Una di queste
sere mi domando quando il canto degli alberi è rotto dal
silenzio e significa speranza il modulato avvertimento
dei pesci nell’ora della rete per tante miglia tirata da
comode barche e speranza l’assetto del cielo e le
innumeri galassie e il freddo arriva dal mare e non ha
forza e i marosi distaccano i denti incagliati nella sabbia
A volte mi domando

Il dolore è mancanza

***

Giungono d’ogni parte assassini dagli occhi di smeraldo
e la pelle assetata la barba corrosa dal libeccio

– Ma il sangue s’è appiccicato al pavimento non viene
via Non viene ! Via! Più gratto e più lo si vede –
Un garofano macchia la platea Le sventure rimangono
appiccicate a un piedistallo geometrico emergono dalle
latrine come il cotone introdotto per forza nell’esofago

Dannato colui che si perde nei cunicoli impensati
della memoria e l’altro che decifra il limbo del futuro

***

Se un giorno ci siamo amati che sia possibile intrecciare
memorie di viaggi con la candela in mano e trafiggere
le stimmate di una qualche avventura prossima ormai
alla fine e dormire con la bocca interrata in un campo
di vermi trascinando l’aratro del tuo sesso per anfratti
sovrani seminare sventure nella terra di Sisifo che sia
possibile se un giorno ci siamo amati non importa in
quale angolo di strada o piazza o camera d’albergo al
terzo piano attraverso giorni dominati dal vento che
sia possibile se molto ci siamo amati confondere
il seme e la testa l’unica memoria del viaggio

L’amore sulla pietra arenaria Perché ci legarono i sassi
Arpionati Dalla bocca a taglio dello squalo But if you
like it Se ti domando l’universo in parti disuguali
o mi trascende un segno dei tuoi capelli In tutta questa
storia ci legarono i sassi alla scoperta di sabbie
lacustri nei lunghi pomeriggi Arpionati La testa in
parti uguali I piedi che si sfaldano

***

Nell’universo quando due storie
si equivalgono restano inespresse

Attraverso chilometriche fiale
Darker the sky on the back of the mountain
Segni di un antico dominio
Sempre gli stessi libri Sbiadiscono i capelli

Quando mi dissero di lasciare la casa
lo feci senza rumore
Perché negare l’assoluto?
Presi le cose che più mi appartenevano
lasciando ad altri l’inventario e la strage
Il mondo può avere rispondenze precise
in cambio del piacere il piacere

Le storie si equivalgono
su bassa frequenza di contatti

Lo feci senza rumore come
sradicando l’albero della prima infanzia
e il petto struggente della madre

Nuvole imbiancate a calce lungo siepi giganti
calpestano fiori di loto e l’acqua solitaria dello stagno
dove il giovane bello coglie il bacio mortale

Non c’è silenzio così grande che non possa

***

Colmato è il piano Si procede a distanza dagli ultimi
vigneti per un’estate obliqua nella magia degli occhi
Si scendono pendii e bianco alla vista dei corvi
l’arsura ci unisce fino alla decima carta S’abbassano
a cerchi e intorno la sterpaglia assetata Qui riluce
il falco e si chiamano ovunque giostre di uccelli Quando
verranno a prenderti Un sibilo di piume Il gioco delle
sfere La pelle si attorciglia alla carotide Quando verranno
a prendermi Il gioco degli specchi oltre la decima carta
e il rammarico di non aver parlato e come potesse
finire un’altra sto
ria o soltanto impietrirsi nel ricordo
Quando verranno a prenderci legati a doppio anello
di menzogne quando muti verranno col freddo piede
di uccello l’unghia ritorta nella gola

37 commenti

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37 risposte a “Salvatore Martino (1940) UNDICI POESIE da “La fondazione di Ninive” (1977), Cinquantanni di Poesia 1962-2013 (Roma, Progetto Cultura, 2015 pp.  1000 € 25), con un Appunto dell’Autore e un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

  1. Poesia coraggiosa per i tempi in cui è nata, quando era molto facile bollare un giovane poeta di talento come Salvatore Martino definendolo “intimista piccolo borghese”. La scrittura buona però, con l’avanzare del tempo, non si corrompe e non mostra la corda, ed è il caso di questa ottima poesia. Citando l’autore se “il dolore è mancanza”, il talento è valore aggiunto incorruttibile. E qui plaudo il bravo autore.

    • Salvatore Martino

      Grazie Almerighi per il talento e l’affermazione che la poesia vera non si corrompe e non mostra la corda con l’avanzare del tempo.Salvatore Martino

  2. Gino Rago

    Non è mai facile lasciare commenti dopo le prefazioni, le presentazioni o le note critiche di Giorgio Linguaglossa: stavolta il compito è ancora più arduo. Scelgo, cosa che fin qui non ho mai fatto, di adottar come commento ai versi di Salvatore Martino or ora letti i miei da essi ispirati, non senza scusarmi con tutti:

    Il miele dei poeti (lirica per frammenti)
    (a Salvatore Martino)

    ” A chi vuoi che importino le veglie senz’attese sul mare.
    I lampi d’aprile. I legami fra uomo e natura.
    Il promontorio scrostato dai venti…Metrica e dolore.
    Il pane notturno sui baratri. Accoglienza di tutte le razze.
    Hai in te un murmure d’api. Dolcissimo è il miele dei poeti.
    Non temi la morte. Ma non sai accettare l’idea che l’onda.
    Il grano. Lo stelo. La forza che spacca le gemme.
    Le procellarie nelle tempeste possano fare a meno di te.
    Unisci le mani. Dissodi il silenzio con un gesto secco.
    Resisti alla cenere che danza. A chi a sera urla un nome dal paese.
    Pazienti. Più forti del tempo: i morti possono aspettare.”
    Gino Rago

    • Salvatore Martino

      Questi versi che mi dedichi carissimo Gino fanno scorrere intensa luce in tutto il mio corpo. Condivido i tuoi pensieri e faccio mie tutte le esortazioni. Forse anch’io riuscirò a bere il miele dei poeti, e a non temere la morte, resistere alla cenere che danza.. e mi auguro che queste tue parole riescano a penetrare la mia anima. Di una cosa sono certo. del mio forte legame con la natura, alla quale sono certo di confondermi nel giorno ultimo.Conserverò religiosamente codesta dedica. Salvatore Martino

  3. ubaldo de robertis

    Quando ho letto queste poesie, in particolare in prossimità dei versi che cominciano con:
    “Se un giorno ci siamo amati che sia possibile intrecciare
    memorie di viaggi con la candela in mano e trafiggere
    le stimmate di una qualche avventura prossima ormai
    alla fine…/”
    mi è balzata alla mente la stupenda produzione poetica di Costantino Kavafis.
    Al pari del poeta di Alessandria d’Egitto, nato quasi cento anni prima che Martino iniziasse a scrivere “La fondazione di Ninive”, il poeta siciliano è riuscito a scrivere qualcosa che l’abile Linguaglossa definisce: “più in sintonia con le esigenze della ricerca poetica odierna, e pensare che sono trascorsi cinquanta anni dalla stesura di quei testi…”
    La poesia di Kavafis e quella di Martino si sottraggono al contemporaneo ed hanno vita lunga. Anche quelli di Martino sono versi scritti con naturalezza che coinvolgono intimamente e toccano corde impensabili e profonde.
    Di cosa si tratta ce lo rivela il poeta stesso: “Un cammino che cerca un approdo/.. Tutto ho messo di me in gioco in queste pagine, l’eros e l’assassinio, la maschera, il teatro, l’abbandono degli studi di medicina e della normalità, il disprezzo per le cose banali, la condanna politica, il senso ambiguo della storia, l’erotismo del corpo e della mente, il silenzio di Dio, le navi e l’oceano, gli eroi del mito, lo specchio che rimanda la tua immagine che a volte non sai decifrare, lo sguardo tuffato dentro il cosmo, la precarietà degli affetti, gli inganni e l’amicizia, e tante altre cose.”
    Il viaggio continua caro Salvatore Martino.
    Ubaldo de Robertis

    • Salvatore Martino

      Carissimo Ubaldo l’accostamento col poeta di Alessandria ovviamente mi inorgoglisce, anche se la sua grandezza mi fa riflettere e dubitare di un paragone così temerario.Che tu abbia colto la naturalezza, e l’intimo e il profondo dei miei versi non può che farmi esclamare : allora valeva la pena di tribolare tanto nella costruzione di questo poema. Perché anche la naturalezza è qualcosa di molto faticosamente raggiunto. Credimi vedere che a distanza di cinquanta anni questi versi riescono a suscitare emozioni nel lettore poeticamente provveduto è motivo di grandissima gioia per me, un regalo che nell’età che volge dolcemente al tramonto è ancora più gradito.Salvatore Martino

  4. […]
    Quando si avvicina la fine… restano solo parole.
    Io sono stato Omero; tra breve, sarò Nessuno, come Ulisse;
    tra breve, sarò tutti: sarò morto.
    […]

    • Gino Rago

      Borges, carissimo Giorgio, non smetterà mai di stupirci, di toccare le corde nostre più nascoste…Benissimo hai fatto a riproporlo. Grazie.
      Gino Rago

    • Salvatore Martino

      Everryngs and nothing è forse il più bel brano di prosa poetica del secolo scorso..e noi amiamo J.L. Borges

  5. Gino Rago

    “Anch’io sono come Omero.
    Omero, il mio cane.
    Che non si stanca mai
    di cercare le radici…”
    L. Ferlinghetti

  6. Salvatore Martino

    Con una certa emozione, è sera tarda,rientrando nella mia campagna, ho letto questi miei brani che Linguaglossa ha avuto la bontà di inserire nella rivista. Emozione perché nonostante siano passati cinquanta anni “Ninive” continua a possedere la mia anima.Fu un lunghissimo parto e durante la sua costruzione mi rendevo perfettamente conto di essere lontano dai dettami che comandavano allora, come lucidamente ha scritto Linguaglossa. Comprendo, e l’ho già detto nella mia breve nota, che riesce difficile al lettore avvicinarsi a questo testo, che è decisamente poematico, attraverso pochi frammenti. Ma vedo che gli amici dell’Ombra hanno comunque colto molte delle trame. che intersecano il poema,grazie anche al commento impolitico di Linguaglossa, che peraltro conosce interamente il testo.Quella frammentazione tanto invocata nell’odierno dettato poetico in qualche modo già viaggiava tra le righe del mio “La fondazione di NInive”. Devo aggiungere però che non passò del tutto inosservato, ne scrissero: a parte Jacobbi, Pecora e Occhipinti, Caproni lo presentò al Viareggio come migliore opera prima, solo che prima non era, ne parlò persino Maurizio Cucchi, certo era troppo out e pagò dazio.
    Cari amici vi ringrazio delle belle parole che mi avete dedicato, e tendo una mano di feroce amicizia a Giorgio, che così benevolmente si sta occupando della mia poesia. Dall’altra parte de “La Fondazione di NInive” stanno i 122 sonetti di “Nella prigione azzurra del sonetto”, i due poli terminali del mio cammino, almeno da un punto di vista ello stile. Salvatore Martino

  7. Giuseppe Panetta

    “Sempre gli stessi libri Sbiadiscono i capelli”
    Quanta verità in questa solida poesia di Salvatore.
    La sparizione della punteggiatura, o quasi; il viaggio, l’eros, gli innesti con l’inglese…
    Poesia attualissima.

    GP

  8. antonio sagredo

    per omaggiarTi, caro Salvatore, ho scelto questi versi:

    ————————————————————-
    Mi sorrise Omero con le dita e squame attiche…

    Si era offuscato il nitrito delle stelle e sul selciato
    battevano i tacchi lugliènghe stramature e ammuffite,
    se ne andavano le note avvinazzate per i vicoli sfiancate
    dai suoni e dagli amplessi… i pentagrammi avevano registrato

    gli osanna per i consumatori del divino e dai miracoli
    traboccò un vomito di credenze, e le perline nere dei rosari
    dai traini alle soglie intoccabili mostravano il lato B delle Madonne
    tutte in celeste antico, le carnali mani pietose, negli occhi

    il desiderio di un amore troppo consumato tra i crocicchi
    e quelle lanterne in porcellana rosse erano i baci schioccanti
    al passo di viandanti mentecatti… e l’Incarnato avanzava
    con lei che si portava dietro un nugolo di creature spaventose!

    Piangeva Omero quando il cratere eruttò i suoi colori
    e i frammenti sparsi di Kostantinos il selciato mutarono
    in mosaico, e non sappiamo se la farsa bizantina nascose
    sotto la pietra i misteri che se eleusini erano – finzioni!

    Antonio Sagredo

    Brindisi, 29 giugno 2014
    (ora sesta del mattino)

    • Salvatore Martino

      Ti ringrazio carissimo Antonio per i tuoi bellissimi versi che hai voluto dedicarmi, li sento molto vicini al mio mondo salvatore martino

  9. letizia leone

    Ha ragione Salvatore Martino quando osserva che i pochi testi qui riprodotti non possono rendere giustizia a tutto il poema “La fondazione di Ninive”, e figuriamoci all’ampiezza, alla versatilità, alla perizia stilistica della sua imponente opera poetica raccolta nella summa dei “Cinquantanni di poesia”. Un tomo, questo, esemplare di quel “governo della lingua” (come ce lo propone Heaney nel senso ambiguo della lingua che “governa” ed “è governata” dalla tecnica, dalla disciplina…) che in Martino non perde mai di vista il senso profondo di una conciliazione tra la parola e la vita.
    Eppure già bastano questi pochi testi, dove veleggia una vastissima civiltà letteraria, a dimostrare la statura europea di un poeta come Martino, come confermano le relazioni feconde, e le molte amicizie e contatti personali, con la più grande tradizione della poesia europea ed extraeuropea.
    Qui il poeta, l’artista, l’uomo di teatro arricchisce la prospettiva con queste annotazioni personali preziose per cogliere le ragioni interne del fare poetico, il suo lento processo di gestazione e sviluppo. Molto ci sarebbe da dire ma vorrei soffermarmi, come già acutamente sottolineato nei commenti precedenti e confermato dallo stesso poeta, sull’attualità di certe soluzioni formali “di questo romanzo, di questo dramma, di questa elegia”: rottura del discorso, acume immaginifico, un narrato che procede tra interferenze e inserzioni dell’ “io” in un assoluto meta-storico e metafisico, frammenti e squarci ma galvanizzati da una tensione carnale che tiene il filo della narrazione…e soprattutto il riscatto della grande poesia.

    Attraverso chilometriche fiale
    Darker the sky on the back of the mountain
    Segni di un antico dominio
    Sempre gli stessi libri Sbiadiscono i capelli
    Quando mi dissero di lasciare la casa
    lo feci senza rumore
    Perché negare l’assoluto?
    Presi le cose che più mi appartenevano
    lasciando ad altri l’inventario e la strage
    Il mondo può avere rispondenze precise
    in cambio del piacere il piacere
    Le storie si equivalgono
    su bassa frequenza di contatti

  10. Salvatore Martino

    Che dire delle tue parole carissima Letizia? Sempre straordinariamente lucido il tuo entrare nella poesia. Hai messo l’accento sulle mie tematiche con precisione e chiarezza. Certo l’accenno alla statura europea della mia poesia mi inorgoglisce, ma allo stesso tempo mi investe di dubbi e di paure.Tu hai letto tutta la mia opera e quindi hai gli strumenti per gettare uno sguardo complessivo sul mio cammino. La poesia mi ha condotto in questi lunghi anni attraverso le strade più incolte e pericolose, più transitate dai fiumi infernali,in una sorta di delirio inconscio ma talvolta cosciente, sempre sotto il vulcano o sul ciglio dell’abisso, ma con una attitudine al superamento,alla gioia,al trionfo dell’eros e dell’amicizia, in una comunione sempre ricercata con la Natura e i suoi destini.Salvatore Martino
    e

  11. La poesia di Martino presenta delle ‘storie’ all’interno di una versificazione ‘narrativa’, per cui occorre addentrarsi nel filo logico della scrittura: il fascino sta proprio nel partecipare e scoprire le affinità e le differenze.

  12. Nella poesia di La fondazione di Ninive (1977) di Salvatore Martino ci sono delle novità di cui lo stesso autore non ne era cosciente: c’è una frammentazione inconscia del suo dettato metrico e sintattico; la metrica e la sintassi vanno ciascuna per proprio conto. Si avverte nitidamente una diversa direzionalità dei discorsi, tanto è vero che l’Autore è costretto a ricorrere alle maiuscole infilzate a mezzo dei versi in un modo che lì il verso, anzi l’emistichio, inciampa, e il lettore deve arrestare per un attimo la lettura per poi riprenderla subito dopo.
    e che cos’è questo se non il procedimento in micro frammenti di cui noi discutiamo in questi giorni?
    Sarei curioso di conoscere il parere dell’Autore…

  13. Salvatore Martino

    Certo caro Linguaglossa il mio procedimento di “Ninive” ricorda molto da vicino quello in micro frammenti di cui si discute oggi. A me arrivava da una esigenza del profondo e mirava a ricomporre un’unità di pensiero, un’armonia da mosaico romano o bizantino o meglio ancora della mia Sicilia.. La scelta non partiva da una esigenza stilistica promossa dall’intelletto, come seguendo un disegno razionale. Fu quasi una scrittura automatica alla maniera un po’ dei surrealisti, che certamente poi si incontrava con la mia visione del mondo. La frammentazione come la strada per sezionare la realtà e ricomporla in una sorta di metafisica dell’uomo e del suo consistere sulla terra. Nella mia breve premessa ho indicato tutti i moventi di questo imperdonabile delitto, che mi ossessionò per ben undici anni.Probabilmente è vero quello che tu asserisci della mia “ignoranza” su quello che andavo scrivendo, almeno lungo il percorso iniziale. Dopo credo di averne preso coscienza. Ovviamente mi fa molto piacere l’accostamento di questa mia antica produzione con le teorie sulla poetica di questi nostri giorni.Con un certo rammarico noto l’assenza di commento di alcuni compagni di viaggio: Grieco, Gabriele e Tosi, avrei certamente gradito le loro parole. Salvatore Martino

  14. Steven Grieco-Rathgeb

    Mi chiedo per prima cosa come mai Salvatore Martino, che mi sembra in questo Nineveh scriva una poesia quasi “sperimentale”, perché la posizione eccessivamente critica verso alcune voci di questo blog che cercano di individuare una strada verso un linguaggio rinnovato della poesia? Non è vero che la poesia di Martino che leggo qui è tutta sentimento, tutta “valori eterni della poesia così come è sempre stata”. In realtà il sentimento viene accuratamente filtrato attraverso una struttura che a tratti sembra aleatoria, un aleatorio abbastanza controllato, che talvolta sfugge forse di mano, e forse vuole farlo.
    Chissà come avranno reagito allora le orecchie sorde degli anni 1960-70. E quante sopracciglia saranno salite fino alla radice dei capelli.
    Gli staccati con la maiuscola iniziale non sono secondo me necessari, già si avvertono gli stacchi quando ci sono, l’andamento sincopato è già stabilito dal ritmo di questa poesia, nasce quando l’occhio segue in orizzontale il lungo dei versi, così mimando l’oralità che è alla base di ogni lettura anche silenziosa sulla pagina.
    Dovrei leggere l’intero ciclo di poesie. Alcuni pezzi presentati qui sembrano troppo velocemente sparire, senza voler lasciare traccia del profondo del poeta – in tutto questo mostrarsi sembra voglia nascondersi – e ciò è probabilmente dovuto al fatto che manca l’unità dell’opera, bisogna leggere l’opera intera per cogliere l’intento unitario.
    Certo, versi come questi,

    Doppiata la collina si piega il tempo per cogliere il
    tracciato che scende in un azzurro paese dove laghi
    s’incontrano il verde meridiano e oltre la fossa il cielo

    salgono verso un tono profetico, “rimembrato”, mnemosinico. Sembra che tutti i misteri eleusini pullulino in alcuni di questi versi, i quali d’un tratto e nella migliore tradizione di quei misteri si rivelano vuoti:
    e un
    vuoto contro la mezzaluce balenata in pieno dormiveglia
    dalla camera accanto

    Capisco molto bene questo aspetto della poesia di Salvatore Martino.
    Direi una poesia perfetta non per allora, ma per adesso, per il 2016.
    Gli chiedo dove posso acquistare una copia di questo libro, così lo leggerò da capo a fondo.

    • Salvatore Martino

      Carissimo Grieco per prima cosa : è impossibile acquistare una copia de “La fondazione di Ninive” uscito nel 1976…possibile invece anche se un po’ costoso acquistare via internet “Cinquantanni di poesia”, dove è naturalmente inserito anche “Ninive”. Condivido le tue osservazioni puntuali e sono convinto che tu abbia ragione quando affermi che sarebbe necessario leggere l’intera opera. Voglio ricordarti però che la mia posizione eccessivamente critica verso alcune voci di questo blog, come tu affermi, è stata un tantino travisata: io non ho affermato che fosse sbagliata soltanto che non mi sembrava una novità assoluta e che quindi aveva dei precedenti.Forse per te lettore attentissimo gli staccati con la maiuscola non servivano, io ritengo siano un aiuto per quella oralità che anche tu prediligi. Certamente i pezzi qui proposti, come acutamente hai avvertito, non sono tra i più significativi, anche per la loro dimensione ristretta…e poi l’idea poematica che è assolutamente portante non può nemmeno essere intuita.Certo poesia sperimentale e del tutto fuori tempo, e ti ringrazio soprattutto per quel: “una poesia perfetta non per allora, ma per adesso, per il 2016”. Salvatore Martino

  15. trasvola sopra l’ultima papilla la farfalla e la lingua, la spilla
    e ripeschiamo l’oh dello stupore col quale incorniciamo
    il fragile leggero di quel che non diciamo

  16. donato di stasi

    Sia lode a Giorgio e a coloro che hanno accettato di solcare i deserti labirinti che portano a Ninive, specchio della ferocia e della mansuetudine, del desiderio di pace e di sangue, grattati via dal pavimento delle civiltà e poi finiti a gonfiare le vesciche lunari, così come ne dispone Ludovico Ariosto nel suo “Orlando furioso”.
    Sia lode a Salvatore Martino e alla sua monacale devozione ai dettati della poesia: dalle prime partiture degli anni Sessanta alle ultime indagini sulle possibilità metamorfosanti del buio è trascorso un tempo letterario infinito. Scuole, correnti, camarille, consorterie, poeti e poetucoli, pennivendoli e rodomonti si sono succeduti, morti e risorti mille volte, spesso senza lasciare tracce degne di essere ripercorse.
    Salvatore Martino è rimasto fedele alla sua infedeltà, ha posseduto il demone della scrittura e ne è stato posseduto, sempre convinto che l’espressione poetica fosse la barca ulissiaca da cui guardare e tentare di comprendere il mondo.
    Ci siamo incontrati al tempo della “Cancellazione” nel 2004 e non abbiamo più diviso le nostre strade, Magister (lui), discipulus (il sottoscritto), che ne è diventato l’umile esegeta fino al “folle volo” del werk: cinquant’anni e oltre di poesia, passati al setaccio critico e offerti ai venticinque lettori di manzoniana memoria che sono certo lieviteranno nel tempo per numero e interesse.
    Non aggiungerò altri rilievi a Ninive, ma solo due brevi note per rendere l’idea della levatura del Nostro:
    1) ai versi della “Fondazione di Ninive” è inutile chiedere significati, non ne hanno, perché racchiudono un unico significato, una straordinaria produzione di senso in un’epoca assurda e insensata, allora nei Sesanta-Settanta, esattamente come oggi in piena catastrofe postumana;
    2) detto di presunti poeti che volevano sfidarmi a duello per aver utilizzato un aggettivo negativo per i loro testi, Salvatore Martino ha posato la testa sulla ghigliottina senza indugio e ha accettato che il discipulus facesse a pezzi le sue composizioni alla ricerca della migliore sintesi e della migliore qualità espressiva. Senza un fiato, ha lavorato e rimestato, seguendo le mie indicazioni, dimostrando in questo tutta la sua grandezza e la sua vera vocazione poetica.
    In Italia non accade nulla. Nulla si muove. La poesia è stata reclusa nella casta dei paria. Fortunatamente c’è chi non se ne cura e agisce per il presente e per il futuro come questo meritevolissimo blog.
    Parafrasando Brecht: sventurato il paese che ha bisogno di eroi, ma non di poeti.

  17. L’ho detto tante volte e lo ripeto: non sono una critica letteraria, non so quasi mai cosa dire di fronte a un testo che davvero mi tocca nel profondo, perché penso che i grandi poeti smuovano talmente tante delle cose che abbiamo dentro e che ci fanno quali siamo, che davvero è complicato esprimerle. Le si sente e basta. Tu, Salvatore, sei per me, come dire? … onnicomprensivo. Dentro ci trovo tutto. Il passato, il presente, la luce mediterranea e quella boreale, il calore del sole e il freddo del suo nascondersi, gli odori marini e quelli che il sole trae dalla macchia e dai monti e dai deserti, fruscii e rimbombi. E passato, lontano passato e futuro, tutto nel presente. La solidità della sapienza antica e lo smarrimento contemporaneo. L’infinitamente grande dell’apeiron periechon e l’infinitamente piccolo dell’hic et nunc.
    Due sono gli assi cartesiani lungo i quali si muove l’espressione ininterrotta della poesia: la lingua e il tempo. E la scelta faticosa e accurata di come questi due strumenti debbano generare l’espressione del proprio essere nel mondo come poeta e come artista dice del poeta e dell’artista più di quanto qualunque analisi possa fare.
    La tua lingua non si muove all’interno di confini chiusi, fugge via lungo strade che si perdono nelle ombre del passato, oltre le quali più non vediamo. E’ una lingua atemporale, che quindi può apparire preziosismo e invece non lo è. E’ invece una traduzione moderna di lingue perdute, i cui ultimi parlanti si sono estinti.
    E il tempo, appunto, ha perso la sua sequenzialità del prima e del poi. Tutto è contemporaneamente presente. Come nell’anima.
    Così sento, Salvatore.
    Un abbraccio.

  18. E aggiungo un’altra cosa: tu sei uno di quei rari poeti per cui la poesia, lo scriverla, il generarla, è vita. La tua poesia sei tu e tu sei la tua poesia.

    • Salvatore Martino

      Questi due commenti di persone che stimo oltremisura mi lasciano senza fiato, quasi in un circolo di emozione profonda che mi impedisce un ragionamento sensato. Mi riconosco drasticamente in quello che Francesca Diano e Donato di Stasi scrivono intorno alla mia poesia e ancor di più al mio essere poeta. Certo nella mia maniacale , certosina dedizione ultradecennale ho incontrato le profondità e gli abissi, le rivolte del cielo, e il guado degli affetti , sono disceso agli inferi coinvolto dall’eros, e forse onnicomprensivo come asserisce Francesca.Certo gli incontri straordinari sono stati molti, alcuni decisivi,ma credo che l’aver trovato sulla mia strada colui che si autodefinisce mio discipulus, Donato,costituisce l’evento più decisivo per la costruzione dei miei libri a partire da “Nella prigione azzurra del sonetto” fino a quel lavoro di architettura di tutta la produzione poetica, vagliata e interpretata alla luce di una lucidissima esegesi. Provo un certo qual senso di smarrimento nel leggere quanto scrive Francesca attaccando:dentro ci trovo tutto. E via con una lunga sequenza culminante ne “La solidità della sapienza antica e lo smarrimento contemporaneo”. Mi sento messo a nudo, penetrato da questi due commenti, come venuti da un freddo siderale che ha incontrato il dolcissimo e caldo scirocco della mia isola adorata…hanno scavato dentro il mio abisso, e sono venuti alla luce preziosi lampi che attraverso le parole hanno invaso la mia terra,ampliando gli orizzonti, che mi erano destinati. Grazie a te Linguaglossa che hai permesso questo per me inestimabile momento di gratificazione. Salvatore Martino

  19. ubaldo de robertis

    Intanto è straordinario il commento di Francesca Diano!
    Per questa volta mi permetto una divagazione. Che poi non lo è più di tanto.
    Pochi giorni fa una mia poesia inedita: L’Anfora, è stata pubblicata su L’Isola dei Poeti, il blog ideato da Mario M. Gabriele. Successivamente Giorgio Linguaglossa l’ha riproposta su L’ombra delle Parole del 24 aprile scorso. Intanto detta poesia, esposta su L’Isola dei Poeti, riceve alcuni pregevoli commenti.
    Stamani una mia ospite si sofferma su uno di questi, scritto da Salvatore Martino, ed esclama:- Ma questo è bello quanto e più della poesia! É esso stesso Poesia!-
    Ammutolito e commosso riporto poesia e commento. (Ubaldo de Robertis)

    L’Anfora
    Neve in alto 
    pura 
    la terra natia
    la gola scura 
    del fiume in basso 
    la foschia 
    continua a salire 
    il sentiero non è più tanto ripido 
    come prima
    l’eco di cose lontane si separa sparge
    dissolvenze incrociate 
    immagini destinate a scomparire 
    Lui… non le stacca gli occhi di dosso 
    – Com’è cupo il tuo silenzio- le dice chiamandola con molti nomi 
    “È rotta, – ripete Lei- ahimé! È rotta! L’anfora più bella!
    Ne sono sparsi i frammenti qua intorno!” 
    Giorno 
    inoltrato 
    il limite dell’orrido 
    di lato 
    più in su … l’altura da oltrepassare 
    più agevole scavare un pertugio 
    nel ghiaccio 
    scortati dal richiamo di una cosa calda
    desiderio che pervade l’ambito dei sensi 
    e quello della ragione 
    senza aderire 
    a nessuno dei due
    calore che non si può attingere neppure in prestito 
    dall’ambiente 
    dal niente che li circonda 
    Lui vuole scavare 
    andare all’indietro
    Lei… andare oltre…
    Impossibile sanare la frattura
    a partire da quel fondo diviso 
    dal corso d’acqua 
    e da quella cima dove più cruda è la realtà 
    nemmeno scalfita dalle parole dell’uomo
    di per sé vaghe e vuote 
    alla donna continuano a cadere di mano 
    i frammenti raggelati
    “È rotta, ahimé! È rotta!
    L’anfora più bella!
    (Ubaldo De Robertis)

    Commento di Salvatore Martino

    “Che dire di questo gioco crudele e disperato tra realtà e metafora, ascesa e precipitare, qualcosa che si è rotto ma questa perdita da uno non viene accettata , e domanda , si domanda che cosa è accaduto , perché gli avvenimenti non sono come dovrebbero essere. Ghiaccio, nebbia, foschia , e in basso il fiume un paesaggio reale ma anche trasfigurato, che fa da cornice viva a questo dialogo di delusioni e forse di rancori, immagini in dissolvenza come in un film, del quale si ignorano i protagonisti, o quelli che lo sono rifiutano il ruolo, vorrebbero sparire. Frammenti, solo frammenti, che non si possono ricucire, quando la creta è rotta non resta che buttarla, perché non c’è calore e il niente li circonda. Il clima volge tutto al disastro, alla perdita dell’amore, del sesso, persino delle parole. E il corso d’acqua è la metafora dell’insanabile frattura,i due sentieri sono più che mai divisi, l’ascensione e il precipizio, tutto continua a cadere dalle mani come i frammenti dell’anfora, in una herida que no serrarà.
    Stilisticamente pregevole come ritmo, cadenze, musica rotta e ossessiva, e i miei parametri: immagini, pensiero e musica tutti rispettati.” 

    • Ma no Ubaldo caro, non è proprio per nulla straordinario il mio commento. Sai come sono, solo quello che percepisco. Invece proprio mi piace questo rompersi in poesia di anfore misteriose (il vaso di Pandora in frantumi?) e il raccoglierne i pezzettini in prosa poetica.
      Ah questi poeti…! Credi di tenerli finalmente saldi in mano e invece fuggono da tutte le parti! E hai voglia a incorrerli…

  20. Salvatore Martino

    Ma scherzo è mai questo caro Ubaldo. Quel commento è fuoriuscito dalla mia tenebra più profonda, stimolato dai tuoi versi, e credo che non ci sia nulla in esso che non parta dalla tua poesia..E se ti appare tanto bello da pubblicarlo non posso che esserne felice.Salvatore Martino

  21. CAPISCO il disappunto di Donato Di Stasi per essersi guadagnato l’animosità e l’ostilità perenne di presunti aspiranti poeti per un aggettivo da loro giudicato non in sintonia con la loro statura, posso rinfrancarlo dicendogli che anch’io mi sono guadagnato infinite volte la medesima acrimonia per giudizi non positivi espressi sulle opere di taluni aspiranti poeti, ma andiamo avanti, lasciamo questi poveracci alla loro miniera di mediocrità e non degniamoli di uno sguardo, neanche retrospettivo.

  22. Luigi Nono Prometheus suite, Abbado

  23. Salvatore Martino

    Avrei gradito un commento di Tosi e di Gabriele ma evidentemente npon ho meritato la loro attenzione. Salvatore Martino

  24. caro Salvatore,
    però ti sei meritato il commento musicale di Luigi Nono.

  25. Giuseppina Di Leo

    A volte mi domando // Il dolore è mancanza

    Due soli versi possono condensare un tutto? Non sempre, ma in questo caso sì. Ho avuto modo di esprimere in altre occasioni il mio apprezzamento alla poesia di Salvatore Martino, cosa che qui rinnovo pienamente. Con una aggiunta: caro Salvatore Martino, ritmo, musicalità sono elementi imprescindibili della tua poesia.
    Con questo spero di aver riparato a una mia mancanza – e chiedo scusa per aver risposto qui e non sul blog di Francesca Diano (che sono certa mi perdonerà), ma la mia è solo una risposta tardiva.

    • Salvatore Martino

      Ti ringrazio gentilissima Giuseppina per il tuo ennesimo apprezzamento sui miei versi …so che arriva da una fonte consapevole e sincera. Salvatore Martino

  26. Giuseppe Panetta

    Al caro Salvatore, questi versi di T. S. Eliot

    What are the roots that clutch, what branches grow
    Out of this stony rubbish? Son of man,
    You cannot say, or guess, for you know only
    A heap of broken images, where the sun beats,
    And the dead tree gives no shelter, the cricket no relief,
    And the dry stone no sound of water. Only
    There is shadow under this red rock,
    (Come in under the shadow of this red rock),
    And I will show you something different from either
    Your shadow at morning striding behind you
    Or your shadow at evening rising to meet you;
    I will show you fear in a handful of dust.

    • Salvatore Martino

      Carissimo Panetta quanto può essere gradito un testo del Reverendo Eliot!! Anche quando la mia ombra sale per incontrarmi nella sera, o quando al mattino cammina dietro di me, Ma dove si nasconde questa roccia rossa…e chi vuole mostrarmi la paura in una manciata di polvere?
      Salvatore Martino

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