UBALDO DE ROBERTIS  SEI POESIE  “Acque sotto il cielo un solo luogo”, “L’Universo e gli anelli”, “Carnevale”, “Nella terra e nella  musica”, “Il dipinto e la realtà” , e “I fantasmi della mente”, con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa, «La figura virtuale rimanda all’esistente»

pittura René Magritte La memoire

René Magritte La memoire

 

Ubaldo De Robertis è nato nelle Marche nel 1942, risiede a Pisa. Ricercatore chimico nucleare, membro dell’Accademia Nazionale dell’Ussero di Arti, Lettere e Scienze. Premio “Marcello Seta” 2014 per la cultura scientifica e umanistica. Nel 2008 pubblica la sua prima raccolta poetica, Diomedee (Joker Editore), e nel 2009 la Silloge vincitrice del Premio Orfici, Sovra (il) senso del vuoto (Nuovastampa). Nel 2012 edita l’opera Se Luna fosse… un Aquilone, (Limina Mentis Editore); nel 2013 I quaderni dell’Ussero, (Puntoacapo Editore). Nel 2014 pubblica: Parte del discorso (poetico), del Bucchia Editore. Ha conseguito riconoscimenti e premi. Sue composizioni sono state pubblicate su: Soglie, Poiesis, La Bottega Letteraria, Libere Luci, Homo Eligens. Convivio in versi, mappatura democratica poesia marchigiana. E’ presente in diversi blogs di poesia e critica letteraria tra i quali: Imperfetta Ellisse, Alla volta di Leucade, L’Ombra delle parole, Il ramo di corallo, Poliscritture. Ha partecipato a varie edizioni della rassegna nazionale di poesia Altramarea. Di lui hanno scritto: S. Angelucci, Pasquale Balestriere, G. Linguaglossa, Michele Battaglino, F. Romboli, G.. Cerrai, N. Pardini, E. Sidoti, P.A. Pardi, M. dei Ferrari, V. Serofilli, F. Ceragioli, M.G. Missaggia, M. Fantacci, F. Donatini, E.P. Conte, M. Ferrari, L. Fusi, E. Abate. È autore di romanzi: Il tempo dorme con noi, Primo Premio Saggistica G. Gronchi, (Voltaire Edizioni), L’Epigono di Magellano,(Edizioni Akkuaria), Premio Narrativa Fucecchio, 2014, e di numerosi racconti inseriti in Antologie.

Magritte 1

Magritte

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Questa poesia di Ubaldo De Robertis non sarebbe stata possibile senza la lezione dell’ermetismo («risorgive parvenze») e quella di Tomas Tranströmer («argentei pesci dai quattro occhi sporgenti») e la lezione del verso libero del secondo Novecento italiano; ma quello che è più importante è che la poesia rivela una precisa cognizione dello spazio quadridimensionale là dove è posta, come un bel vaso fiorito, disutile e misteriosa. Ed è questo il fine di una poesia: mostrare al lettore quanto essa sia disutile e misteriosa, impiegando il linguaggio comune per andare oltre di esso, per un significato che nemmeno il poeta sa quale sia…

 Acque sotto il cielo un solo luogo

da Parti del discorso (poetico), Marco Del Bucchia Editore, 2014

Osservare impacciati naviplani risalire fondali
per mostrare il mondo qual era
Acque sotto il cielo un solo luogo
Segrete correnti riversano silenziose
argentei pesci dai quattro occhi sporgenti
Guizzano da mari levigati sulla terra informe
risorgive parvenze
Acque sotto il cielo un solo luogo
suddiviso tra abisso e rive
di uno stesso perduto paradiso

Di frequente, da un chimico, da un fisico o da un impiegato ministeriale possono venire degli impulsi, delle novità, magari piccole, consapevoli, come nel caso di Ubaldo De Robertis, che agli esordi era partito da una forma-poesia di stampo lirico che si è evoluta in questi ultimi anni in una forma promiscua che fonde insieme il verso prosastico e i frantumi lirici con segmenti delle teorie scientifiche e cosmologiche. Sono i germi di sviluppi imprevisti della forma-poesia, che non sai mai dove e quando produrranno frutti. Mi piace quel tono patico ed empatico di Ubaldo De Robertis, quel metro che si avvolge su se stesso, privo di «chiusure» e di retorismi, così vicino alla prosa, con le sue piazze, le sue strade alberate, i palazzi illuminati, le sapienti spezzature che incrociano i decumani e i cardi delle composizioni, che vanno avanti e indietro ad agitare e increspare la superficie della scrittura poetica, intensificandola e addolcendola. Certo, è la estrema vicinanza della prosa che ha costretto la poesia italiana del secondo Novecento a spostarsi di lato, a cedere terreno; ma, così facendo, proprio cedendo, la poesia si è potuta innovare in questi ultimi tempi. Proprio quando la poesia è stata costretta con le spalle al muro a rinnovarsi, ecco che qualcosa si muove. La forma-poesia si è ri-messa in moto, ed ecco lo stile prosastico e avvolgente di De Robertis, con le sue intelligenti diversioni e i suoi ritorni, con la toponomastica della Venezia del Settecento, con un Mozart declassato a suonatore di ospedali che passeggia per le calli e suona per gli «ospidali». Un poeta, De Robertis, che parla passeggiando in versi prosastici discorrendo delle cose ultime… e delle prime… degli «Atomi di spazio» e dell’Autoritratto. Una falsificazione senz’altro, si dirà, ma veridica, più vera dell’originale che è andato smarrito.

Scrive De Robertis, nella poesia “L’Universo e gli anelli”: «parto da una teoria cosmologica precisa quella dello “spazio ad anelli”, (di cui è ideatore l’amico Carlo Rovelli), che si contrappone alla teoria dello “spazio a stringhe” forse più accreditata e diffusa. Nella poesia tratto della relazione tra frequenza suono e colore e accenno a Kandinskij che si era occupato per molto tempo della relazione tra colori e musica».

Fatto è che l’autore si muove con disinvoltura dall’universo ad anelli alla scansione ottica quadridimensionale presente nella poesia “Il dipinto e la realtà”, una vera e propria dichiarazione di poetica. «La figura virtuale rimanda all’esistente», proprio questa è la realtà, si chiede il poeta quasi stupito: la bellezza di «Thérese» che, vista di spalle, «Brilla, qui, in primo piano»; perché la bellezza non mostra mai il proprio volto ma lo lascia intuire, da una visione improvvisa, di scorcio. Il secondo piano è, paradossalmente, più visibile del primo, proprio in quanto nascosto, schermato. Nella raffigurazione Thérese, «vista di spalle», occupa il secondo piano in un universo costruito a piani, ad anelli sovrapposti. È lo sguardo dell’osservatore che fa parte del «reale». Lo sguardo è soltanto una delle componenti del «reale», e neanche tra le più importanti se ci liberiamo della concezione antropocentrica dell’universo. Ma è attraverso lo sguardo e seguendo il suo tragitto che noi possiamo ricostruire il percorso dello spazio virtuale di un’opera poetica.

*

pittura Jean Metzinger, Anachronisme, c. 1927

Jean Metzinger, Anachronisme, c. 1927

Brilla, qui, in primo piano
l’astro di Thérèse vista di spalle che indossa
la robe rose a strisce verticali argentate e un tablier noir,
lo sguardo in direzione delle case, non degli alberi
che Jean Frédéric Bazille ritrae in secondo piano.
Dramma della quiete, della serenità.

.

Pittura Frédéric Bazille Thérese

Frédéric Bazille Thérese

L’Universo e gli anelli

Atomi di spazio, cammini chiusi,
la perfezione sferica di anelli
che intessono, con altri, ariose reti
di relazioni per dar vita allo spazio tempo,
con la sua curvatura inverosimile,
finché una nana bianca, stella degenere,
evanescente, volle dare la prova
inconfutabile che la superficie
dell’universo è curva, conseguenza
della massa dei corpi celesti contenuti,
fune che si flette sotto il peso del funambolo.
Il cosmo è tutto un fremito, un gran vibrare.
La bellezza di suoni e colori, plurime
risonanze, tonali ambiguità.
Aperto è il suono che dal silenzio
perviene. Il silenzio appartiene
al suono. L’insieme dei possibili
suoni, neutro bigio, è una forma
di silenzio. grigio bianco, che il candore
difende, è il connubio di tutti i colori.
Colore è cadenza di luce. Dall’esigua
frequenza sorge il rosso, al viola la preminenza.
L’alta ciclicità giova all’energia. Il suono
chiama, il colore, sorretto da luce ed ombre,
risponde, domina ben oltre il sistema solare,
imperversa il rosso di Antares, gigante,
e di Betelgeuse, disperatamente in fase terminale.
Lo sfolgorante bianco di Sirio e di Vega,
più fulgente del Sole, in un Universo dove
primeggia il nero-grigio dello spazio vuoto
fra galassia e galassia. Dai padiglioni del mondo
ascoltava Pitagora, il lungimirante, quel concerto
di colori e suoni, con i suoi numerici rapporti,
archetipi della forma, onde che fuggono lungo
corde tese vibranti, come quelle di un violino.
Quale uomo ha avuto altrettanta influenza
nel campo del pensiero? Dante, il divino,
sicuramente ha percepito il suono delle sfere,
riconosciuto come un atto della mente:
l’armonia che temperi e discerni.
Sulle spalle dei giganti è salito Newton
con il suo corteo di colori e di luce
per vedere più avanti, e raccontare il mondo,
dove dal nulla affiorano particelle, scompaiono
con le loro stranezze, irraggiungibili, nemmeno
fossero raggi di astri sperduti nel loro moto.
L’azzurro profondo è un vuoto che molto
ha da elargire. Si animano processi, strutture,
turbamenti per le inedite forme, la realtà
concreta si manifesta da questa scaturigine.
Sfocata è la visione di appannati mondi,
lontani. L’intenzione non è di annullare
la distanza, piegarsi al disordine, alla casualità,
ma riconoscerle. Nel contempo nuovi varchi
si schiudono verso l’invisibile, ai confini
dei luoghi dell’assenza. E sempre ci sorprende
ogni concezione inquietante dell’Universo.
Ma che cosa guida la realtà? Domandare!
Le domande ci abitano misteriosamente.
Domandare! Domandare sempre, e di nuovo.
Avrebbe voluto, Pound, che le onde fredde
della sua mente fluttuassero, che il mondo
si inaridisse come una foglia morta, e fosse
spazzato via per ritrovare, sola, quella donna.
Ma qui, oltre all’intelletto, a fluttuare
sono campi quantistici, lo spazio interstellare.
E’ questo dimenarsi di quanti che elegge
particelle onde quark/i veri mattoni del mondo/
Le loro danze, i loro incontri, non avranno
lo stesso fascino di Francesca, ma sono
anch’esse una mousikè, cornice di bellezza,
di assoluta verità. Poco altro inaridisce oltre
alla foglia morta, se non l’uomo dentro
al labirinto dell’esistenza, la fedeltà disperata
al pianeta. Smarrite, alla fine, le proprie ceneri
come polveri cosmiche minute, grigio scure.
Pure espressioni di esigenza interiore le tele
di Kandinskij incendiano i sensi oltrepassando
i limiti, le singole percezioni. Il pensiero
si addentra nell’Universo stellare per leggervi
l’animazione che ci sfugge, per condividerne
l’irrefrenabile pulsare.

(Inedita)

Ubaldo de Robertis

Ubaldo de Robertis

Carnevale
Mozart giacca verde, chioma incipriata, sotto il cappello,
tiene concerti per pianoforte negli ospidali,

scuole per trovatelli, future Accademie Musicali.

Nel dedalo delle salizade selciate di grigio, calli e campielli,
diffonde l’andante a Elvira Madigan n. 21 KV 467

L’incantesimo conquista i confinanti Sestieri.

In sovrapposizione il contrappunto di canti profani,
intrecci burleschi, acrobati da Circo sul Ponte di Rialto

nell’euforia corale il gioco licenzioso delle maschere.

Caldo lo scirocco si oppone all’invernale bora
che scuote lanterne, lumi. Impresa smascherante
quella di vento e musica. Velarsi e Svelarsi.

Invisibile il carnevale dell’Anima.

(Inedita)

.
Nella terra e nella musica

         (A Claudio Ferrarini, flautista)

Tre poemi dai contorni sfuggenti
di Stéphane Mallarmé
le riveste
il geniale Claude Debussy
di sonorità sfumate
colore
effetti di sospensione
armonie
il sottile ticchettio dell’istinto
l’enigmatico pulsare della Natura

Apertura uomo terra
pura
La mente se ne va agli anni
del Prix de Rome
a L’enfant prodige

Il giovane Debussy
non poteva credere ai propri occhi:
piegato in avanti
nessun altra esecuzione lo avrebbe fatto curvare
così tanto
cappello a larghe tese
e stivali
la zappa ben stretta
nessuno avrebbe potuto trattenerla
più salda
e era
Giuseppe Verdi.
Scuoteva lento il capo
il maestro
lo scrutava
senza parlare
e presto riprese a inabissare
lo sguardo
fra corrugate zolle
minute pietre
convesse lisce
a un’incredibile profondità
fin sotto la radice
nei solchi sotterranei del mito
a snidare il segreto
del mondo
l’origine divina delle cose
Fino a quel silenzio
E qui è
l’Inizio
E qui è la

.

Il dipinto e la realtà

Deluso dalle imitazioni, belle figure, luoghi ordinari,
forme, colori per niente naturali, un di fuori che ti assale,
fatto di segni che lo spazio modella con emozione lirica.
Il dipinto è meno di quanto si manifesta nella Natura.
Nessuna cosa è più viva di quel puntino rosso che brilla là,
nell’angolo grigio della stanza, o di quella porta
che potrebbe aprirsi, ad un tratto.
Che ti salta in mente di rivelare certe cose in poesia?
Nel silenzio si sente un tic-tac ordigno ad orologeria.
È il cuore.
Stranamente ha tre uscite questa stanza,
una celata dalla specchiera dà verso l’esterno,
il vuoto e lo specchio che ti guardano,
che ti scoprono la faccia, denudano la maschera
se dalla feritoia si infiltra il tenue azzurro cielo.
Che cosa altro pretendi di vedere da una finestra?
Cos’altro vuoi che appaia ancora?
La tragicità della vita si nasconde dietro l’immagine
più misteriosa e lieta. Brilla, qui, in primo piano
l’astro di Thérèse vista di spalle che indossa
la robe rose a strisce verticali argentate e un tablier noir,
lo sguardo in direzione delle case, non degli alberi
che Jean Frédéric Bazille ritrae in secondo piano.
Dramma della quiete, della serenità.
Sembra essere proprio questa la realtà.
La figura virtuale rimanda all’esistente.
Dove è dunque la poesia?
È nel modo con cui si divide lo sguardo
tra lo spazio racchiuso dalla cornice, Thérèse, colori, ombre,
o le cose viste nella coscienza della luce azzurra
che manifesta l’astronomia del cielo in una piccola camera?
Ma non è lì che ti senti testimone, spettatore gettato,
dimenticato bagliore di un Sole già crudelmente
tramontato?

.
(Inedita)
I fantasmi della mente

Bellezza
origine e ultimità del cosmo
in occhi verdi
sognanti
il nastro della felicità
tra i capelli
nessuna asperità
nessun affanno interiore

volgere via lo sguardo
chiamarlo altrove
lei non vivrebbe di là dalla cornice
lungo dirupi
sentieri non tracciati
in cerca del rimosso
l’impensato
il mancante
le cose che si lasciano intuire
quelle invisibili
segrete
A volte
si riesce a vedere prati fioriti
ovunque
svelare il turbamento
le cose che non si fanno riconoscere
e che non ti riconoscono
Altre volte
la realtà si avvicina
si rivela troppo in fretta
il talento la amplifica
così il pensare fuori dagli schemi
le idee oltre misura estranee
alla tradizione
esuberanti
inusuali
fermenti eccessivi
fulminei
i fantasmi della mente tendono
un’ imboscata
Dici di stare in guardia?
Da cosa?
Dall’euforia? dall’assillo?
La depressione La mania?
Le allucinazioni Le ossessioni?
La fobia?
Le torbide passioni ? L’isteria?
L’ansia di draghi rossi e salamandre
che gettano fuoco su di te?
A volte
capita di udire
da lontano
una musica che copre l’ inquietudine
qualcuno ha l’impressione
che siano gli stessi soggetti
a seminare paure e a comporre musica
È successo a Robert Schumann
rinchiuso in un istituto mentale
di Bonn
le partiture deliziose
le note che ci ha affidato
e le paure
dell’acqua
degli spazi aperti
delle altitudini
paura di essere
avvelenato
diventare un altro
e avvertiva il suono
continuo
“di lontani ottoni
che diventava coro di angeli
che cantavano una melodia
che lui inutilmente
cercava
di trascrivere”
E non aveva ricevuto
il bacio
da Anne Sexton
i nervi sono accesi e
il compositore è entrato nel fuoco
dove fa il nido la salamandra
a corto di veleno
e il pieno il drago rosso
improvvido custode del vello
d’oro.
La tua idea fissa è
che quelle pennellate
evidenti
fioriture nel dipinto
e quel volto sublime
ti volteggino intorno
offrendoti le più sorprendenti
rivelazioni
e tutto con una musica
idilliaca
di un pianoforte
/che per la gente normale
può tacere tutta la vita/
magari quella musica è
un Improvviso in do maggiore di Schumann
La fanciulla con il nastro turchese
tra i capelli
sorride

57 commenti

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57 risposte a “UBALDO DE ROBERTIS  SEI POESIE  “Acque sotto il cielo un solo luogo”, “L’Universo e gli anelli”, “Carnevale”, “Nella terra e nella  musica”, “Il dipinto e la realtà” , e “I fantasmi della mente”, con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa, «La figura virtuale rimanda all’esistente»

  1. Caro Ubaldo de Robertis,, mi si riaffaccia di nuovo nella mente ciò che scrisse il teologo Thoamas Torrance, quando parlando di Einstein, scrisse che il celebre fisico coglieva la rivelazione di Dio nell’armonia e nella bellezza razionale dell’Universo, che suscitano un’intuitiva risposta non concettuale nella meraviglia, rispetto e umiltà associati alla scienza e all’arte. E’ ciò che noto leggendo il testo:”l’universo e gli anelli”, che mi riporta ad un unico corpus interagente tra poesia e cosmo. Dio è fluidificante come la poesia che non lo nomina, ma lo riveste di sottintesa presenza.

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  2. La poesia di Ubaldo De Robertis, non soltanto queste, è di una eleganza creativa spaventosa (non nel senso) a un punto tale che dovrebbe essere deterrente per almeno a due terzi dei pannaioli per farli finalmente e definitivamente resistere. Ogni lettura lascia il segno e mai tracce di déjà vù. Penso che buon parte della Sua poesia sopravviverà alle ingiurie del tempo:
    Bellezza
    origine e ultimità del cosmo
    in occhi verdi
    sognanti
    il nastro della felicità
    tra i capelli
    nessuna asperità
    nessun affanno interiore

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  3. refuso, non “resistere”, ma “desistere”

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  4. Bellissima e inautentica questa Venezia ( inedita) carnevalesca di U. De Robertis. Tutta da risentire, rivedere con partecipazione, scoprendone verità nascoste e falsità: la storia riemergente in fondo al vedere e al sentire dell’anima..
    Venezia del Settecento: musica d’acqua. Spumeggia il violino di Vivaldi, Mozart con giacca verde e chioma incipriata, tiene concerti per pianoforte negli ospidali, Haydn si esibisce in un jazz che dura, senza vuoti, senza speranza alcuna…. L ’incantesimo conquista i Sestieri
    Venezia ama se stessa, canta e suona. Venezia, la più bella di tutte le cortigiane, teatro piacevole, di canti profani. Venezia bifronte: è morbida e rigida, bora e scirocco, vento e musica. Carnevale- dell’Anima. Avvolgente e misteriosa, prosastica e lirica. Velarsi e disvelarsi. La verità della falsificazione.
    Complimenti all’Autore.
    M.G Ferraris

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  5. Una volta, venti anni fa, ho scritto in una prefazione: «Un nuovo sguardo è già una nuova idea. Le mutazioni del gusto già in sé sono nuove idee. Dal modo in cui usiamo gli oggetti nella nostra vita quotidiana, possiamo trarre un fascio di luce che illumina il nostro modo di utilizzare le parole, giacché le parole sono cose in senso fisico, spaziale. Gli oggetti, gli utensili si trovano nel mondo per servire l’uomo. Noi possiamo vivere in un appartamento ammobiliato, oppure in un appartamento ricco di [nostre] suppellettili. La differenza è di vitale importanza.»
    Questo è un pensiero che ho rubato al grande Osip Mandel’stam, non è mio, ma l’ho fatto mio. E quindi è anche mio.

    Ecco, io quando leggo una poesia di un autore, la prima cosa che guardo è come ha posizionato le cose (le parole) all’interno del verso; intendo la loro posizione nel verso, a quale distanza, le corrispondenze verticali e orizzontali e quelle diagonali. Se noto in quello che vedo della sciatteria, metto da parte il libro. Quello non è un poeta ma un letterato più o meno colto.

    Una poesia è come una casa con dentro i mobili, i quadri, le mensole, le suppellettili. A volte noto una grande sciatteria, la sciatteria dell’ordine del discorso, quel discorso ordinato che hanno le maestrine o gli acculturati arroganti. Quella è la sciatteria peggiore.
    Una poesia può essere anche non riuscita, ma deve contenere i mobili al loro posto.
    Ecco, io direi che sia nella poesia di Carlo Bordini che in quella di Ubaldo De Robertis i mobili sono al loro posto, In posti diversi ma sono lì per essere utilizzati da chi vi abita, cioè l’uomo.

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  6. antonio sagredo

    Consapevolezza del dubbio è l’anima delle scienze tutte, se non ci fosse come si potrebbe progredire nella conoscenza delle cose?. (una mia autocitazione) – Nei versi de “Il dipinto e la realtà” più che nel primo testo “L’universo e gli anelli” (troppo pochi per me sono questi versi per distendermi a mio agio in un saggio sugli scritti di Ubaldo D. R.) questo dubbio è palesemente presentato e non rappresentato: il dipinto ha una realtà tutta sua e la realtà ne ha una sua; da qui la vicinanza e la lontananza come in un sogno infantile, mio, che si alternano. Dunque nel primo testo > musica e colori… Kandinskij, ma prima di questi il suo mentore e maestro il lituano M. K. Čurljionis (così scrivevo nella mia tesi del 1974-75 sul poeta ceco-moravo Otokar Březina di questi :” il suo senso prediletto: ”il mio udito umano che mi diventi lo strumento risonante”. I versi dedicati al sordo Beethoven indicano una sorta di sostituzione-compassione per il/del musicista, che va aiutato affinché si completi una opera: le sue sonate rispondono[con lo strumento risonante dei suoi versi] a quelle del tedesco; e sono similari le immagini cromatiche- sonore a quelle del lituano Čurljonis, che a Beethoven si ispirò, illustrandole”. (spero che Ubaldo possa in qualche modo accedere/vedere ai/i dipinti cromatici-musicali del lituano in qualche modo) . – Dunque si rinnova con U. De Robertis un vecchio tema che è : colore-suono oppure suono-colore. Chi precede uno, o l’altro? – Ma il punto è non la musica-colore e il suo contrario (ci hanno già pensato gli antichi, e tra moderni – si sa ovviamente: Debussy e Mallarmè in specie, per la loro ossessiva mania), ma quell’aspetto che Linguaglossa pone con le parole: “La forma-poesia si è rimessa in moto, ed ecco lo stile prosastico e avvolgente di De Robertis, con le sue i intelligenti diversioni e i suoi ritorni,…”. Cosa vuol dire qui il critico perspicace? Che il De Robertis è poeta quando si libera delle sue acquisizioni scientifiche ? – (nella prima poesia pubblicata, queste determinano la sua prosa, poi che spiegano, ma non cantano la parola)-… la differenza è evidente nelle due sue poesie su menzionate. Il poeta riveste poi le sue “diversioni” artistiche-poetiche con atmosfere, paesaggistiche o non, legate a personaggi di cui sappiamo i prodigi (i loro pensieri conturbanti immersi nei paesaggi, fanno dei paesaggi appunto luoghi culturalmente mitici: Venezia, le maschere, Kandinskij e altro) – ma che gli stessi “quanti” e “anelli” del suo amico Rovelli facciano parte della poesia ce lo dice Ubaldo D. R., che se ne vogliamo scoprire i suoni e i colori (anelli e quanti perché non dovrebbero possederli?) chi ce lo impedisce: la prosa o la poesia?. La prima fatica in questa operazione; la Poesia di certo no. Per la Poesia il quanto e l’anello possiedono in sommo grado il colore e il suono!, (il suono-colore indistinti) e non basta: sia l’uno che l’altro, la Poesia, sono messi (posti) in contatto simbiotico e osmotico, tant’è che in Poesia tutto è possibile, e così assistiamo a questo: che non possiamo più distinguere un anello dal quanto poi che i loro colori e i loro suoni sono tutt’uno: è armonia (cosmica) o fantasticheria (umana)?
    a.s.

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  7. Caro Ubaldo, Sagredo commentando la tua poesia ha giustamente ricordato il pittore e compositore lituano Ciurlionis, il suo pensare in suoni, il trattamento ritmico dello spazio pittorico che porterà la sua pittura ancora più vicina alla musica. Qualcuno ha paragonato il suo ciclo “Inverno” a un tema musicale con variazioni. Lo stato d’animo è lirico, essenzialmente lituano, in cui si fondono contemplazione e dolore. Usa una limitata gamma di colori. Rivela un mondo del colore riccamente sfumato. Assai sviluppato è il suo uso della metafora: una stessa forma può essere vista come una stella, un fiore, un fiocco di neve, un grigio alberello può diventare uno splendente candelabro…La tua poesia suggerisce di continuo colori e suoni, ma io ci sento soprattutto la musica che tu ami e percepisci così bene…

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  8. Giuseppe Panetta

    Stoccata, anzi, no sonata: speriamo che l’amico Ubaldo non debba mai ciurlionis nel manico, poiché egli non si sottrae mai agli impegni presi.
    Diffidare sempre di chi cita e paragona, costoro non hanno nulla da dire e si schermano con le solite trite “somiglianze”.

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  9. antonio sagredo

    Spero tanto che Ubaldo De Robertis non ti sia amico,

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  10. Steven Grieco-Rathgeb

    Sono un lettore lento, quindi egoisticamente spero che Giorgio lasci questo post almeno fino a dopodomani mattina, che non ci sia la corsa al prossimo post, che tende un po’ a travolgere ogni riflessione piu approfondita su un certo poeta. Con Bordini i tre giorni erano davvero indispensabili, cosi si e’ potuto mettere un po’ a fuoco cosa suggerivano le sue tre poesie.
    Alcune poesie di de Robertis, alla prima lettura, sono gran belle poesie. L-Universo e Carnevale, per il momento, spiccano.
    Sono d-accordo anch-io con Panetta che troppi paragoni con altri poeti talvolta guastano la freschezza di una lettura, ma per certi lettori questo e’ l-unico modo per darsi certezze, vorrebbero inserire l’ignoto nel noto, il pericoloso nel sicuro, l’imprevedibile nel gia’ previsto, e va bene anche questo, anche questo puo’ illuminarci su qualche aspetto del poeta (di solito pero’ secondario).
    Penso che in ogni caso Ubaldo de Robertis vada letto senza troppe pastoie. soprattutto con molta attenzione a quello che e’ peculiare alla sua poesia, al suo stile, alla sua tematica. E’ subito evidente che unisce, fonde diversi grandi temi della cultura e della scienza che di solito rimangono non-comunicanti o vengono addirittura considerati antitetici. E questo lo fa mi sembra in modo mirabile. Devo rileggere piu’ volte.
    A domani!

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  11. In questi giorni ho pochissimo tempo a disposizione per poter commentare, ma non posso lasciar correre se capita un evento letterario che brilla più di molti altri. Leggo d’un fiato le poesie di Ubaldo e mi rendo conto che questo è il modo migliore per accoglierle, perché il suo stile danza e te ne puoi accorgere subito, nell’insieme; e quello che dice, pur nel domandare di una indagine complessa che meriterebbe, questo sì, pensieri più numerosi perché s’incatenano nella lettura come spirali al DNA di ciascuno che ami pensare nel mistero, quasi ricevesse una spinta nello spazio tempo che distoglie dall’ordinario. Dal che uno chiederebbe ” a che pensi” e sarebbe perduto. Era così la vita accanto a Pitagora? Sempre in volo e senza mai un atterraggio?
    Non so cosa sia accaduto qui, se mi sono svegliato io, oppure se Ubaldo ha cambiato qualcosa nel suo verseggiare. Il prosastico mi sembra eseguito alla perfezione ( giusto pensare a Tranströmer), non una parola fuori posto. Nell’escursione s’avverte il senso dell’ordinario che sopravviene quando la ricerca non è più sofferenza, e quindi finisce nella totale accettazione, cosmica direi, dove trovano spazio anche i sentimenti, tutti gentili e appassionati. E alzando gli occhi ogni cosa pare bella. Eppure è solo un libro e una finestra.

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  12. Caro Giorgio, in questo tuo blog così autorevole e degno di essere seguito, ci sono quelli che si limitano a dare un giudizio soggettivo ma sereno, e soprattutto intelligente, e ci sono quelli che approfittano per creare polemiche inutili e per irritare, ti prego di richiamarli all’ordine. Grazie.

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  13. antonio sagredo

    Non sono d’accordo con Steve Grieco (e quanto riferisce mi sorprende, poi che anche lui procede per comparazioni, come tutti o quasi): esiste ed è sempre esistita una comparazione tra poeti; tant’è che vi è una disciplina la “letteratura comparata”… essenziale per evidenziare differenze e affinità fra vari poeti; e non solo: serve anche a diffrenziare le varie epoche, ognuna con le proprie caratteristiche.
    Poi sta all’intelligenza del lettore non farsi “impastoiare”. e se ha una alta e profonda cultura (sono davvero pochi!) sa bene distinguere le cose e sa anche eliminare quanto è superfluo.
    Senza la comparazione non si può andare troppo lontano: il poeta stesso procede quando fa versi per comparazione, altrimenti scriverebbe cianfrusaglie. Tanto che fra di loro si misurano, si stimano, o si disprezzano… e questo sempre per confronti… non capisco come non si possa riuscire a comprendere questo, che poi è il sale della poesia che procede avanti e non torna indietro se non per comparazioni per avere a sua volta l’impulso di ancora procedere e procedere…
    as

    nb. :
    ho dunque il dubbio che vi è una incapacità a comprendere il positivo che comporta la comparazione, e il dubbio consiste nel non avere abbastanza conoscenza (e non si offenda nessuno!) sia diacronica che sincronica; il dubbio che è paura di dire qualcosa che possa servire ad appronfondire il mondo del poeta in correlazioni con altri mondi poetici.

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  14. Brilla, qui, in primo piano
    l’astro di Thérèse vista di spalle che indossa
    la robe rose a strisce verticali argentate e un tablier noir,
    lo sguardo in direzione delle case, non degli alberi
    che Jean Frédéric Bazille ritrae in secondo piano.
    Dramma della quiete, della serenità.

    La costruzione ritmico sintattica di questa poesia è fatta in modo che essa stessa è una “cornice”, è fatta a modo di una “cornice” che chiude il “quadro”. È una particolare esemplificazione di come una poesia «chiude» uno spazio pittorico, ottico. Il testo inizia con il primo verso la funzione del quale è di attirare l’attenzione del lettore senza coinvolgerlo in una situazione personale ma cercando di stimolarlo a concentrare la sua attenzione su un fatto esterno, oggettivo: quel qualcosa che «brilla, qui, in primo piano». Un procedimento retorico che fa uso di indizi fluttuanti la cui efficienza si misura sull’apporto ingiuntivo sul soggetto della composizione: «Thèrese», la quale, però, è «vista di spalle». Dunque, il lettore, che sta davanti al quadro vede, ovviamente, Thèrese di spalle e può ammirare il suo lussuoso e sensuale vestimento:

    la robe rose a strisce verticali argentate e un tablier noir,

    Si noti l’estrema precisione di questi dettagli. Precisione che viene rafforzata dal verso seguente che chiama in causa un elemento non del quadro ma dell’osservatore: il suo «sguardo». Quindi, di nuovo, si ribaltano i piani tra l’oggetto e l’osservatore. Appunto, questo «sguardo» è «in direzione» di qualcosa d’altro («delle case, non degli alberi»). Adesso sappiamo che Thèrese è un soggetto del quadro che sta guardando di fuori del quadro. E qui c’è un gioco di specchi, uno Spiegelspiel tra Thèrese e il quadro. A questo punto il poeta ci dà una informazione: il pittore è chiamato in causa con il suo nome: Jean Frédéric Bazille il quale «ritrae in secondo piano». Che cosa ritrae il pittore? Nient’altro che il «Dramma della quiete, della serenità».

    Il quadro tracciato dal poeta però non ci induce alla serenità ma in inquietudine. C’è qualcosa che può accadere, qualcosa che può infirmare il quadro della sensuale serenità tracciato da poeta pittore. Ma l’autore non ce lo dice, la poesia termina proprio sul più bello, là dove ci interesserebbe saperne di più. Allora, sappiamo, possiamo congetturare che l’insorgente inquietudine è la nostra risposta, nostra di lettori osservatori, al quadretto di serenità che il poeta ha voluto rappresentare.

    L’indizio di significato principale è dunque raffigurato da una «mancanza», qualcosa manca nella poesia, qualcosa che il poeta non ha detto, qualcosa a cui non ha alluso. Quindi c’è una «presenza» che aleggia. Ma questa presenza aleggia sotto forma di «Assenza» E questo è il significato della poesia. Credo.

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  15. Ricordi, Antonio, le lezioni di Ripellino? Quanti riferimenti! Quanti accostamenti! Quanti paragoni! E non era certo sfoggio di erudizione, ma un modo efficace per mostrare agli occhi della nostra mente gioielli che altrimenti non avremmo conosciuto.

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  16. antonio sagredo

    Invito tutti i lettori del blog di esprimersi su quanto scritto sopra e di partecipare a favore o contro quanto espresso da Sagredo e Statuti a proposito dei “riferimenti, comparazioni, paragoni, ecc” : insomma sollecito una risposta comunque.
    grazie

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  17. letizia leone

    O letto e riletto “L’universo e gli anelli”, ogni volta coinvolta e “compresa” nella grande visione. Sebbene concordi con l’affermazione di Steven Grieco che una poesia vada letta senza troppe pastoie, ma questo ad un primo approccio, così come fu la prima lettura di Borges della Divina Commedia ( senza consultare nessun commento, in lingua originale e lasciandosi catturare totalmente dalla fascinazione del testo) sull’autobus che ogni mattina lo portava al lavoro nella sua biblioteca, eppure d’altra parte considero inevitabile e scontato che una lettura critica debba inglobarsi nell’ambito della tradizione dato che la poesia partecipa da sempre a quel dialogo infinito che è la letteratura. Qui entra in gioco l’interpretazione, l’ermeneutica, la comparazione e la mia impressione (forse scontata) è che la filiazione diretta di questa poesia sia il sommo Dante e la sua concezione somma della poesia. E non dimentichiamo che Dante nel suo inesausto e inesauribile sperimentalismo si muove in una mobilità di registri linguistici, tra lingua “bassa” e “alta”.
    Mi sembra che Ubaldo De Robertis sia tra quei rari poeti che in Italia accolgono l’eredità dantesca (didascalica, cosmologica, scientifica, dottrinaria e nello stesso tempo densamente lirica, musicale…) Ed è interessantissimo studiare come nei suoi testi le conoscenze scientifiche trasfigurino nel pensiero poetante, con quale naturalezza e precisione il poeta ci immette nella prospettiva genetica di un paesaggio cosmico “in fieri”, nelle pulsazioni cromatiche e sonore della danza “atomica”…
    Concordo sul fatto che sono testi che meritano letture multiple ed approfondite!

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  18. sabino caronia

    Ammiro, come sempre, la poesia di Ubaldo De Robertis e mi piacerebbe,quando sarà possibile, fare un discorso appassionato su questa sua poesia in cui “non avviene niente” , sul suo motivo del mare o su quello della musica( si legga almeno ” Nella terra e nella musica” con quell’impareggiabile richiamo a Debussy e Mallarmé). Trovo del resto delizioso il ritratto autocritico che egli ci ha fatto di sè in un precedente post richiamando molto opportunamente certi avventati giudizi dati a suo tempo sulla poesia di Paul Celan che con le sue ‘ astrusità metaforiche’,con le sue ‘immagini che non significano niente’,con la sua ‘riduzione della natura a schema romantico’, ‘non intende comunicare nulla sottraendosi alla relazione col mondo’. Qui mi limito a sottoscrivere con forza il richiamo all’ordine di Paolo Statuti ricordando Ripellino e soprattutto Borges quando, in “La superstiziosa etica del lettore” lamentava la scomparsa dei lettori,nel senso ingenuo della parola, a favore dei critici potenziali, tanto presuntuosi e vuoti quanto polemici ed irritanti.

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  19. In queste poesie di De Robertis,Tranströmer (lo dico per “riferimenti, comparazioni, paragoni, ecc”) è nel tono prosastico, che forse è l’aspetto meno appariscente se paragonato alle metafore del grande svedese; tono che in entrambi scorre gentile tanto da sembrare facile. Ma fatta eccezione per i versi segnalati da Linguaglossa “Segrete correnti riversano silenziose / argentei pesci dai quattro occhi sporgenti / Guizzano da mari levigati …” altri non ve n’è. D’altro genere sembra essere “Brilla, qui, in primo piano
    l’astro di Thérèse…”: qui condivido appieno la segnalazione perché la ripresa filmica (di questo si tratta) ha aspetti inediti, ma inediti per la poesia perché l’immagine è di Bazille.

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  20. maria rizzi

    Splendide le parole del teologo Thoamas Torrance, quando parlando di Einstein, scrisse che il celebre fisico coglieva la rivelazione di Dio nell’armonia e nella bellezza razionale dell’Universo, citate da Mario M. Gabrile, che non ho l’onore di conoscere. Ubaldo, inserisce musicisti, come Mozart, Stephane Mallarmé, poeta, scrittore e drammaturgo francesce e altri autori di prestigio e sembra centrifugarli in liriche che, a mio modesto parere, non sono ermetiche, ma arricchite dalla smontatura dell’orgoglio umano e permeate da profonde riflessioni sulla vanità della vita, intrisa di malinconia e di pathos, di luce e di stanchezza. Credo che nel leggere le sei poesie del nostro prolifico Autore dobbiamo disporci ad ascoltare un autentico Poeta, di quelli che hanno i sensi ammaestrati per un mondo che non è il nostro e che pochi percepiscono. Un poeta più vicino alla saudade che al dolore; più vicino alla filosofia che alla banalità, più vicino al sangue che all’inchiostro. Un Poeta ricco di voci nuove, che sembra volerci insegnare che il giunco e la rondine possono essere più eterni della guancia dura di una statua. In lui crepita la luce ampia, romantica, misteriosa della vita. Ubaldo non esita a rompere gli stampi e a lasciarsi andare, uomo – fanciullo e uomo – musicista. Di rara raffinatezza ogni suo verso… la breve Opera mi ha resa felice, come un ‘il nastro di felicità
    tra i capelli’ e mi ha trafitta come ‘fantasmi della mente che tendono un’imboscata’….
    Un plauso e un abbraccio.
    Maria Rizzi

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  21. Per rispondere ad Antonio Sagredo,

    credo che ogni scuola di critica abbia un proprio armamentario di modalità e procedure critiche che usa con predilezione. Io sono alieno da sempre a fare comparazioni. È difficilissimo nei miei scritti critici trovare comparazioni. Credo che l’analisi critica si debba attenere al testo e al contesto del testo, e non ai contesti di altri testi. Credo che fare comparazioni con altri testi di altri poeti sia errato e fuorviante. Tanto più errate sono le comparazioni del tipo: questo è più bravo di quello. Questo tipo di disamina non è fare critica ma è chiacchiera da bar.
    Non si possono fare comparazioni tra due poeti come Carlo Bordini e Ubaldo De Robertis, ciascuno è se stesso. Però si possono fare dei discorsi critici dove entrambi siano presenti con differenti analisi. Insomma, non mi sembra questo un aspetto importante del fare critica.

    Conoscevo un dilettante della critica e della poesia (ora candidato a Premio Nobel da un Consiglio comunale di 1000 abitanti) il quale diceva alle mie spalle che io inventavo nei miei scritti di critica, inventando anche la relativa terminologia, etc. ma qui si tratta di persone che sono ignoranti, tutto qui, esse non sanno che l’inventività è proprio anche del linguaggio critico non solo di quello poetico.

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  22. Infatti Ripellino non ci faceva lezioni di critica, ma lezioni sulla creazione di singoli autori, e in questo contesto i suoi riferimenti e i suoi raffronti arricchivano il suo insegnamento ed erano considerati da noi come “manna dal cielo”. Peccato che la critica debba essere così spoglia di interessanti richiami (ma forse non per tutti i critici) e così strettamente “legata e imbavagliata” dall’autore preso in esame.

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  23. Solo menti limitate possono convincersi che scienza e arte siano due mondi separati per forza. Non conoscono le composizioni d’Ubaldo De Robertis, a quanto pare.

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  24. antonio sagredo

    ..
    .e per finire: sono d’accordo in linea di massima con tutti gli interventi, tranne con quelli rozzi (non possiede che questo linguaggio) e senza costrutto di un certo individuo… e tra l’altro offensivi senza alcun motivo.
    — Come Letizia Leone ha fatto, dapprima volevo far scendere in campo Dante per dire infine – in parte- le stesse cose della poetessa.
    — Qui si tratta di comprendersi e di non essere fuorvianti… per comparazione intendo quel che or ora ha scritto Statuti e non intendevo altro. E noto anche che non ci sintende qui nemmeno sul concetto di “comparazione”: il che testimonia di una certa carenza “critica”. Certo, la maggioranza di Voi non ha mai letto la critica formalista russa fino in fondo, né lo strutturalismo francese: necessarie scuole per far intendere ancor più i grandi poeti, (è ovvio non solo russi o francesi: erano criteri critici universali), e non soltanto agli specialisti, ma alla gente comune, agli amatori che altrimenti (per restare a noi) sarebbero fermi alle analisi di De Sanctis, o Getto e affini.
    Allora che cosa cerchiamo? –
    De Robertis come Galileo: prosa-poesia e scienza mescolati: sarei ingrato con me stesso se dicessi: non di può fare!
    E invece si deve fare… nei miei versi molto spesso sono ricorso a termini prettamente scientifici, come a termini giuridici e tant’altro… la Poesia si pasce di tutto: è onnivora. Come non parlare di confronti, di comparazioni, di similitudini, di coincidenze, ecc. sono cose che soltanto uno studio-sistema critico che abbia un armamentario più ampiamente linguistico più la conoscenza degli stili più la storiografia lettearria di ogni singolo popolo più ancora la conoscenza del valore non indifferente di ciascun folclore, ecc… tutto ciò il poeta non può o non vuole chiarire al lettore (perché dovrebbe?)… e allora a chi spettano le chiarificazioni se non al critico (meglio: poeta-critico)?! – > per curiosità: Dante usa centinaia di termini marinareschi senza che la sua poesia si abbasi di livello, anzi! e ce da sbalordirsi della sua conoscenza delle cose marinare…
    as

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  25. Gino Rago

    Tutto su Ubaldo De Robertis è stato già scritto.
    Mi pare che dai suoi versi emerga una cifra più netta d’altre: per questo autore la poesia è sapienza. E ogni sapienza a sua volta è ispirazione.
    Con un baricentro: il dolore del pensiero (“Cos’altro vuoi che appaia
    ancora?”
    Scienza e Letteratura? Elias Canetti e Primo Levi, chimici. Gadda, ingegnere (in blu) per antonomasia, con Musil. Leonardo Sinisgalli
    (matematico eccelso, “Furor Mathematicus” è opera di prim’ordine)…
    Falsa, inesistente questione.
    Ogni critico letterario ha un proprio metodo di lettura, valutazione, approccio alla fenomenologia d’un’opera d’arte.

    Gino Rago

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  26. Giuseppe Panetta

    Questo pagina è di Ubaldo De Robertis del quale abbiamo lasciato un commento, senza “riferimenti”, nemmeno su Dante, in quanto il Nostro lo cita apertamente (l’armonia che temperi e discerni), ma concentrandoci sulla novità di un testo quale L’Universo e gli Anelli, senza doverci ripetere.
    Egli sa quanto io possa divertirti in Poesia.

    Mi scuso con Ubaldo, ma urge sottolineare e togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
    Condivido in toto la posizione di G. Linguaglossa sulle comparazioni. Se c’è una cosa che ammiro nei suoi scritti critici è che egli ha sempre preso le distanze da modelli da adattare sui singoli autori preferendo “inventare” neologismi, innovare il linguaggio critico. Talvolta spietato.

    Ora, per ritornare ai vari commenti, alcuni fomentati dalle mie intemperanze, noto, come al solito, che scoperchiare pentole produce l’effetto (voluto scientemente) che miasmi si sprigionano dal lesso cotto. E non possiamo rimanere indifferenti a chi, con tanta presunzione, pensa di agire in questo spazio distribuendo a destra e manca offese di ignoranza, per una qualsiasi alterigia, boria e arroganza, quando non cattiveria spicciola da “maledezzone” (si ricerchi etimologia), segno di pochezza d’animo.
    Abbiamo qui di fronte Ripellino, “Poesie prime e Ultime”, letto con attenzione. Eppure troviamo riferimenti a un certo Di Paola in “Trasparenze”, a cura di F. Lenzi, riguardo al poeta, così come, ri-leggendo la sua poesia troviamo chiari “riferimenti” se non “pezzi pazzi” di versi trasportati qui e là, non si sa bene dove (o forse sì, si sa e si sa bene).
    Allora, se dovessimo veramente dedicare tanto tempo, alla ri-lettura del Ripellino potremmo forse scoprire che non tutta la farina è dello stesso sacco di chi con arroganza sparge a destra e manca offese e improperi . Operazione che in passato ci ha fatto scoprire altri ben poco noti autori caduti nella trappola del saccheggio (almeno D. Bellezza non mentiva sul saccheggio, anzi aveva trovato una qualche ragione, affermando che la poesia è anarchia pura. Altri, scaltri, parlano di similitudine).
    A chi si riempie la bocca di lezioni ascoltate dal Ripellino, potremmo, provocatoriamente, rispondere che forse gli appunti non sono stati presi bene, perché come scrive Ripellino “vivere è stare svegli/ e concedersi agli altri,/ dare di sé sempre il meglio/ e non essere scaltri.

    Formalismo e strutturalisti? Conosciamo, e sappiamo bene che tanti altri intellettuali che su queste pagine commentano, conoscono bene, non solo in critica, letteratura, ma anche in architettura (Nervi) così come in linguistica (Saussure) così come in pittura (Tatlin, Rodchenko) scultura (Pevsner).

    Ma che vi sembra a Voi, che qui si frigge con l’acqua?

    Cari gatto e volpe, pinocchio è diventato adulto, uomo in carne, ossa e conoscenza.

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  27. Giuseppe Panetta

    Dimenticavo, a chi ci definisce rozzi, la chiusa ripelliana: Siate buffi, siate buffi, buonanotte!

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  28. Per favore la smetta di offendere e di provocare io mi chiamo Paolo Statuti, non gatto e nemmeno volpe, e lei mi sembra un sedicente poeta malato di logorrea! Caro Giorgio, ma è possibile che il tuo blog diventi un sito per gente simile?

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  29. Cari amici,
    dai, cerchiamo di ricomporre il vaso, chiamiamoci per nome ed evitiamo inutili ironie… ed evitiamo di dare agli altri patenti di sapienza, copriamoci tutti di un po’ di umiltà, anzi, a me potete chiamarmi “calzolaio della poesia”, visto che mi sono auto denominato tale, ma evitiamo di affibbiare agli altri nomi e nomignoli che possono apparire irridenti.
    Parliamo con tranquillità, nessuno di noi deve pensare di essere onnisciente, siamo tutti esseri umani molto limitati…. Chi si crede al di sopra degli altri dimostra di stare al di sotto…

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  30. Steven Grieco-Rathgeb

    Sagredo ha pienamente e totalmente ragione sulla comparazione fra poeti. Non ci può assolutamente essere dubbio su questo.
    Io dicevo, in modo affrettato, che alla fine di una lettura abbastanza ricca come questa, subito di primo acchito ricordare i paralleli di questo poeta con un altro o altri non è forse la cosa migliore da fare, perché la lettura viene appesantita in una fase nella quale è ancora necessario interiorizzare la prima impressione, la freschezza.
    Per il dopo, assolutamente vero quello che dice Sagredo. Anzi, i suoi riferimenti sono anche spesso illuminanti.
    Sto ancora leggendo de Robertis, e mi sarà necessario stamparlo, leggerlo sulla carta, perché quello stile così colorito, talvolta decisamente allegro e mozartiano, mi crea risonanze, riflessi e riverberi molto piacevoli, che sviano. Non so francamente ancora formulare niente di preciso.
    De Robertis va infatti letto più attentamente, e gli chiederei se una delle sue raccolte, una secondo lui particolarmente rappresentativa, è disponibile in libreria o per altri canali.
    Sagredo non me ne voglia se mi contraddico dicendo che ho pensato, seppure alla lontana, a Ripellino. Ma posso sbagliarmi. Certo, lo stile di questo poeta è lontano delle mille miglia da quello così funambolesco dello slavista, ma i colori e l’inventiva non poi così tanto. Qui c’è semmai una forte volontà ulteriore di far entrare nella poesia il pensiero scientifico, a modo suo così incredibilmente creativo, anzi visionario. Inviterei de Robertis a lavorare ancora di più in questo senso, esplorare (anche per noi!) questo campo, io non ho dubbi per me stesso che questa è una strada obbligata, una che esploro da sempre.
    Potremmo anche creare una tavola rotonda di 5-6 poeti ed esplorare la cosa insieme. Dagli scienziati – soprattutto dai fisci e astrofisici – abbiamo solo da imparare: imparare nel senso della poesia, intendo.
    Ho pensato che in Occidente nel Cinque, Sei, Settecento, la scienza e la pittura ma anche la poesia procedevano, per molti versi, di pari passo.
    Poi, fin dal Romanticismo in poi, cè stato un ripiegamento di molta poesia su se stessa, un ripiegamento sulla soggettività come metro unico di esplorazione del mondo. Il Modernismo ha sostanzialmente rovesciato questa tendenza, riaprendo la poesia all’esterno, ma 50-60 più tardi essa era già ritornata con l’intimismo e il confessionalismo a quella deleteria, chiusa soggettività di prima. In parte questo potrebbe essere un motivo perché oggi essa fatica così tanto ad aprirsi ad un mondo più grande – perché la soggettività finisce sempre per rizzare di nuovo il capo.
    Purtroppo io mi libero dal lavoro, attualmente molto pesante e snervante, tardi la sera. Ma i lavori de L’Ombra delle parole comunque vanno avanti benissimo senza un commentatore o un altro, e questo post di de Robertis, e quello di Bordini, hanno in questi giorni given much food for thought. Thank you.

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  31. sottolineo e ribadisco che, a mio avviso, che questa proposta in assoluto è una delle qualitativamente migliori mai apparse su questo blog

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  32. Caro Steven Grieco Rathgeb,
    hai colto il centro della questione. Oggi sono le scoperte scientifiche sulla materia subatomica e sul «vuoto» che hanno apportato una nuova visione dell’universo e del nostro mondo quotidiano. La poesia e il romanzo (come la pittura e tutte le altre arti) devono rispondere a queste scoperte, devono saper dialogare con i risultati di queste scoperte scientifiche e con le teorie connesse. Riproporre un «modello di poesia» come l’abbiamo conosciuta nel Novecento, riproporre i suoi parametri di realismo e poetici dimostra una grave inconsapevolezza del nostro mondo di oggi. Il «mondo» di oggi è diventato incommensurabilmente più grande di quello di ieri, e di conseguenza le risposte artistiche devono essere all’altezza dei tempi che si annunciano.

    Più volte su queste pagine io sono tornato sull’argomento di una forma-poesia che sia in grado di fornirci un «modello» per rappresentare il «mondo». La risposta degli interlocutori è stata di una certa resistenza. È comprensibile che ci sia resistenza al nuovo. Il nuovo pone sempre dei problemi che mettono in discussione le soluzioni che avevamo in tasca. Noi tutti abbiamo tentato di orientare la bussola dell’Ombra delle Parole verso una forma-poesia che sia in grado di ospitare e recepire le conseguenze delle recentissime scoperte scientifiche. Il mondo non è più tridimensionale o quadridimensionale, si è rivelato ben più vasto.

    E la poesia? La poesia che si accontenta di vivacchiare all’interno del modello proposizionale, del modello privatistico, credo che non possa rispondere ai dilemmi del nostro mondo di oggi. È venuto il momento che la poesia accetti di diventare un luogo di ricerca. La poesia che si rifugia nel modello della «pseudo-poesia», del modello, diciamo, magrelliano (non me ne voglia il signor Magrelli); ebbene, questo tipo di risposta alla soluzione della crisi della poesia io credo che sia una risposta consolatoria, di intrattenimento, una risposta ludica, elusiva, e anche cieca. Occorre altro, ben altro. Ecco perché noi abbiamo guardato a Tranströmer come ad una novità. Finalmente c’è un poeta che adotta una forma-poesia diversa! – Ma non dobbiamo fermarci a Tranströmer, dobbiamo andare avanti nella ricerca di un nuovo modello di forma-poesia. La poesia di Ubaldo De Robertis ci dà delle indicazioni al riguardo, come anche, pur se in modi diversi, quella di Carlo Bordini.

    Di recente su queste pagine mi sono soffermato sulla poesia di Steven Grieco Rathgeb, di Antonio Sagredo tentando di mostrare che cosa si muoveva al loro interno. Anche molti altri autori sono su questa linea di ricerca, è sorta una nuova sensibilità che non si accontenta più delle soluzioni offerte dalla poesia maggioritaria; non c’è altro da fare che andare avanti, sondare il nuovo, abituarsi ad intercettare la nuova sensibilità… Ci sono delle cose nuove: il «Vuoto», l’«Ombra», il «non visibile» che la nuova forma-poesia deve saper raffigurare.

    Riprendo da qui queste interessanti considerazioni scientifiche:

    http://www.altrogiornale.org/la-fisica-e-a-una-svolta-storica-ma-pochissimi-se-ne-sono-accorti/

    un Etere in forma di vuoto superfluido è, matematicamente, affine all’interpretazione di Bhom della equazione di Schroedinger.

    Precisiamo ancora meglio il concetto perché non sfugga il salto di qualità che si stà compiendo.

    Il Vuoto Superfluido e la interpretazione di Bhom coincidono e il “Mezzo” che consente di diffondere ovunque e istantaneamente l’informazione di correlazione che da vita ai fenomeni di entanglement quantistico.

    I fenomeni della meccanica dei quanti sono, quindi, matematicamente ricavabili dalle equazioni che descrivono il modo vorticoso in un superfluido.

    A questo rilevantissimo e naturale secondo passaggio si aggiunge il terzo ancora più rilevante sul quale mi sono soffermato sia nel nostro libro “La Fisica di Dio”, sia negli articoli divulgativi che ho pubblicato su Altrogiornale e che può essere compreso senza grande sforzo, sfogliando gli articoli relativi alle ricerche sperimentali sui superfluidi.

    Alcuni lavori, sempre recenti, infatti propongono l’uso di un modello noto con nome di “Vetri di Spin”, e quindi del modello di Ising, ovvero di una estensione del modello neurale di John Hopfield, per modellare sostanze in stato superluifo come l’Elio 3.

    In particolare i Vetri di Spin e, di conseguenza un modello affine alle reti neurali di Hopfield, è adoperabile per descrivere matematicamente bene le dinamiche e i vortici in una sostanza superfluida.

    Non ci vuole molto a comprendere che questi studi portano a ritenere che il passo tra una descrizione “NEURALE” dell’Elio 3 e quella NEURALE DEL VUOTO superfluido è brevissimo. In altre parole, il salto che attendevamo per riportare al centro un modello deterministico (seppure nei termini indicati da Bohm) connesso alla natura neurale del vuoto è alle porte.

    Ma torniamo al modello proposto da Bohm.

    Esso è intrinsecamente olografico, ovvero prevede che l’informazione sia distribuita in modo uniforme ovunque, in tal modo consente la “Istantaneità” della propagazione delle correlazioni attraverso una “onda pilota” e, con essa, l’istantaneità dei fenomeni di entanglement.

    Karl Pribram, con le sue sperimentazioni sulla retina dei gatti, ha mostrato in laboratorio quanto era già stato reso noto dalla matematica delle reti neurali: il cervello opera in modo intrinsecamente olografico. A questo punto il cerchio si chiude.

    Il modello olografico che Bohm cercava e che non era riuscito a trovare, è quello neurale di Hopfield, o se si vuole é il modello di Ising che descrive le dinamiche del vuoto superfluido.

    Le conseguenze della scoperta che il vuoto e i meccanismi della gravità quantistica operano con le stesse leggi ed equazioni che governano il nostro cervello, appaiono straordinarie e fantascientifiche anche a una mente profana.

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    • Trovo molto approfondita la tua relazione sui vari pensieri scientifici che altrove trovo soltanto espressi su Micromega. Quando una teoria trova conferma nella sperimentazione, allora si può parlare di “verificazione” fino a quando non subentri un pensiero attivo in grado di mettere in discussione la simmetria concettuale.. Ma non è detto che anche la confutazione possa essere nel tempo sottoposta a nuove verifiche. Oggi, anche la meccanica quantistica non è che abbia un futuro inalienabile,, tanto è vero che scienziati e filosofi ancora non giungono ad un concetto unanime sulla MQ. In altre parole non vi è nulla di duraturo nel pensiero umano, in quanto esso è sempre in uno stato primitivo, così come ebbe a dire Hume quando mise in luce:” la pariteticità sostanziale dei processi mentali umani e animali”.

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    • Steven Grieco-Rathgeb

      illuminante

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      • Steven Grieco-Rathgeb

        Infatti. E mi sembra che esista una branca scientifica che studia come i fatti di base, i facts, invecchino nel tempo. Questa è una delle cose più entusiasmanti: che finalmente la scienza sia arrivata a studiare come cambia chi guarda una cosa che cambia

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  33. Gino Rago

    La questione sagrediana dei “confronti” fra autori diversi e delle suggestioni e/o influenze subite da altri da parte di un autore è secondo me senza sforzi archiviabile, derubricabile con l’arcinota affermazione newtoniana,
    che giova ricordare: “Se ho visto più lontano è perché stavo sulle spalle dei giganti…” I debiti verso “altri” sono stati contratti da ogni poeta.

    Bordini e De Robertis con i loro versi hanno incarnato due esperienze poetiche di sicuro interesse, sia tematico, sia stilistico.
    Anche se l’amante della musica da camera una sinfonia la sente sempre come un fatto alluvionale.
    Le vere, grandi novità di queste due pagine della nostra Rivista Letteraria Internazionale, quella su Carlo Bordini e quella ospitante Ubaldo De Robertis, comunque, per la mia sensibilità linguistica e per il mio gusto estetico sono questi quattro termini-chiave :”Pausa”, “Frammento”, “Equivalente”, mefafora dei “Mobili” e/o delle “Suppellettili”, presenti nella stanza del poeta.
    Dall’accoglienza di queste quattro parole-chiave e dalla loro padronanza si possono inaugurare scenari del tutto nuovi del fare poetico del nostro tempo.

    Un esempio, che già al primo impatto di lettura mi ha fatto sussultare, è
    “Un Balcone. Una siepe con sopra i lillà” di Giorgio Linguaglossa, magnificamente commentata fra l’altro da Mario Gabriele.
    Già dall’attacco di questo componimento linguaglossiano ho sentito che una nuova energia potrà attraversare la nostra lirica contemporanea.
    Non posso fare a meno di proporlo, questo attacco. Anche se Giorgio può sgridarmi per averlo rivelato senza consultarlo:

    “Un prato verde. Pettinato come un tavolo da biliardo.
    Ghiaia. Bambini. Giocano a palla qua e là….”

    Gino Rago

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    • Caro Gino Rago,

      grazie per aver citato quell’attacco, che mi è costato tre anni di attesa e alla fine ho risolto imponendo le pause del punto tra le singole parole. La poesia è nata dai frantumi di un’altra poesia precedente che non mi soddisfaceva. Appunto, nata dai frantumi, che poi ho collegato con altri frantumi che mi venivano in mente o evocati… e così, tutta la poesia è un universo di frantumi. E ne è venuta fuori una cosa che esula dal frammentismo… insomma un qualcosa di aggregante che ha aggregato molte particelle sub atomiche del mio inconscio. Io credo che la poesia di oggi debba andare nella direzione che tu hai messo in luce: I concetti di equivalenza, di frantumi, di pausatoria, di entanglement, i salti temporali e spaziali (come fai tu), etc. questa è la strada maestra che forse ci porterà verso la nuova poesia.
      La poesia integrale è qui:

      isoladeipoeti.blogspot.it

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  34. Gino Rago

    Ubaldo De Robertis, infine, con la sua moderna cetra?
    Non un lirico della monodia, ma un poeta della lirica corale.
    Non un grecista che parla dei greci, ma un Greco che parla ai Greci.

    Gino Rago

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  35. Per chi non ne fosse a conoscenza, siamo alle soglie della quinta rivoluzione post-industriale: L’AVVENTO DELLA QUINTA TECNOLOGIA. Chi deterrà il primo posto negli scenari della NUOVA TECNOLOGIA, avrà il controllo economico e politico sull’intero pianeta. Oggi si stanno mettendo a punto le alleanze strategiche e geopolitiche per avere il monopolio della nuova tecnologia sull’intero pianeta. In questo gigantesco contesto macro economico, ò ovvio che si imporrà una redistribuzione della ricchezza e dello stesso meccanismo della accumulazione del capitale. In queste nuove condizioni, anche la forma-poesia subirà i cambiamenti inevitabili che il mondo le imporrà, a prescindere dalle volontà dei singoli scrittori e delle singole case editrici interessate a difendere il proprio catalogo. Qui occorre avere una Grande Visione delle trasformazioni in atto sull’intero pianeta. E fare una poesia che sia all’altezza dei tempi. Per questo trovavo asfittiche e ridicole le polemiche sulla poesia lirica o non lirica che hanno occupato anche questa testata al mio ritorno dall’India, distorcendo quello che era il mio pensiero.

    Cito da Aurora bollettino dell’informazione internazionalista:

    Dal punto di vista cinese, nel prossimo futuro ci sarà un nuovo cambio della tecnologia di produzione. La cosiddetta quinta tecnologia con priorità su microelettronica e informatica sarà sostituita dalla sesta basata su nano e biotecnologie e nuove forme di energia. A tale svolta se ne aggiunge un’altra. Il ciclo di “riproduzione del capitale” statunitense sarà sostituito da quello cinese del modo di produzione asiatico, mentre il centro della vita economica del pianeta passa dall’Atlantico (in cinese chiamato Oceano occidentale) al Pacifico. Così la forza trainante della nuova avanzata dell’Eurasia è ciò che in scienze politiche viene denominata “processi tettonici di trasformazione globale”, uno dei quali, nel prossimo futuro, è il cambio del leader globale entro il 2025, quando la Cina sorpasserà complessivamente gli Stati Uniti nell’economia, potenza militare, cultura, diplomazia, studi, ecc. La via della Cina per uscire dalla crisi globale e dalle follie del consumo e credito della società industriale occidentale fu chiamata “Nuova Via della Seta” nel 2013. Si suppone che collegherà la Cina, la “fabbrica del XXI secolo”, al mercato ad alta tecnologia europeo, soprattutto la Germania. Ricordiamo che l’iniziativa internazionale della Cina è attuare il “sogno cinese”, vale a dire fare del Paese nel 2025 in uno “Stato globale di primaria importanza…”.

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  36. Steven Grieco-Rathgeb

    Rispondo al commento di Giorgio Linguaglossa, che ringrazio, ringrazio mille volte per la sua chiarezza di intenti, per la sua indefessa volontà di portare avanti questo nostro dialogo, che io mille volte vorrei abbandonare per una sorta di melanconia-pessimismo.

    Non amo citare le mie stesse poesie, ma in questo caso devo farlo. Nel 1975 abitavo a Firenze, ero un isolato svizzero-americano in terra straniera, e per campare, dopo aver insegnato inglese per due anni, mi buttai sulle traduzioni. Molto presto mi trovai a fare traduzioni che erano come petardi nella mano, cioè portavano a me, povero letterato chiuso nella poesia, la terminologia di altri campi del lavoro umano – contratti, con il loro linguaggio machiavellico, e traduzioni di cose scientifiche, e via dicendo.
    Un giorno mi chiamarono a fare traduzioni in una segretissima, piccolissima ditta fiorentina che fabbricava sistemi radar high tech per il mercato medio-orientale. Ogni giorno veniva una macchina con autista a prelevarmi, mi portava sulle bellissime colline sopra Firenze, in un posto, dove nascosto fra gli olivi etc, c’era questo laboratorio-impianto. Passavo tutto il giorno lì a tradurre in una stanza isolatissima, silenziosa. Veniva un tizio mi dava il lavoro per quel giorno, poi scompariva. Quando avevo finito, avvertivo, e l’autista mi riportava a casa. Ma io intanto mi meravigliavo, amavo questo lavoro così segreto, perché mi regalava una terminologia che non conoscevo quasi per niente.
    Capii che il radar era metafora della ricerca dell’ignoto, dello Streben dello spirito umano per l’oltremondo, i quanti, le nebulose, i buchi neri carichi di luce. Questa cosa mi aveva sempre entusiasmato. Ecco un pezzo di una poesia del 1975:

    I
    L’erba oscilla nello stagno
    un faro preme al mare annuvolato
    il radar ruota sotto le stelle:
    vuoti i segni, il peso scomparso,
    su per gli occhi inerti sale il pensiero,
    fra i violenti rami intrecciati
    volando verso il grande respiro.

    Le mani a tastoni il cieco senso guida
    le mani cercando. Un qualcosa di duro.
    Tastano, palpano. Schiocco. Rugosa superficie, angoli, lati:
    profonda volando. Non angoli, rotondità:
    il profondo ritorna di scatto.
    Poi afferrano, il senso cresce si forma
    particelle di luce si muovono, viaggiano verso la mente
    – fotogrammi, nero, grigio, più chiaro –
    generando la pura immagine, memoria
    di forma che ondeggia, frondosa nel vento.

    II
    L’alba cola nel mare grigio dello spazio
    la grande luce uccide le forme.
    Seguendo gli occhi, il pensiero dilaga
    nella cieca luminosità: piatto e profondo.

    E così via dicendo. Questo solo per dire quanto, anche, il film “Solyaris” di Andrey Tarkovsky mi aveva colpito quando lo vidi a Parigi nel 1972.
    Qualche anno dopo feci il primo viaggio in India, e leggendo nel contempo i pre-socratici, capii che forse la scienza moderna è più vicina al cosmo asimmetrico rappresentato nel Giardino Ryokan a Kyoto, che non alla filosofia greca. Il pensiero aisatico si apre a ventaglio sul mondo intero, questo capii. E nel 1980 scrissi un’altra poesia, che si chiama “La previsione del Tempo”, che inizia, così.

    I – Il filosofo

    Sulla carta del mondo è infinito azzurro.
    Profondo, chiaro, illusorio.
    E cirri sterminati non raggiungono il sole.
    Fenomeni di tempo, zone di silenzio,
    immagini-suoni giganti o difformi,
    salgono in riflessioni, libere traiettorie,
    libere interazioni.
    Nel più alto, il cosmo è ancora greco.

    In poche parole, allora che vivevo nella campagna toscana e zappavo duramente nell’orto, mi era sembrato di capire che la simmetria perfetta del cosmo immaginata meravigliosamente dal Rinascimento, e dal sommo Galileo Galilei, era ancora un cosmo di Dio, e che, almeno per me come pensatore asiatico, c’era qualcosa oltre Dio e soprattutto oltre la simmetria. Ossia, che l’asimmetria di quel giardino a Kyoto prefigurava una più grande simmetria cosmica, che è, appunto asimmetrica, almeno lo è per la mente umana che riesce ad immaginare, meno a concretare la sua visione. Oggi, aiutati dall’informatica e dai calcoli infinitamente piccoli e infinitamente grandi, chissà dove andremo.
    Ovunque andremo, di una cosa vi posso assicurare, senza ombra di dubbio: in quel luogo inimmaginabile, appena arrivati, troveremo fra le altre cosa, anche……. la poesia. (arrivata prima di noi)

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  37. Steven Grieco-Rathgeb

    Ecco perché devo leggere de Robertis sulla carta. Mi sembra di capire che porta qualcosa di veramente nuovo nella poesia, e mi chiedo quanto lui stesso se ne renda conto. La poesia è sempre gioco, sicuramente: ma deve essere anche profonda, seria ricerca. Devo ancora capire.
    Grazie a de Robertis per il suo post!

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  38. Salvatore Martino

    Salvatore Martino 17 gennaio 2016 alle 11:57

    Mi appare assolutamente pleonastico commentare queste poesie di De Robertis. Bisogna leggere e rileggere questa marea di versi memorabili. C’è tutto quello che nella mia sete di lettore chiedo alla poesia : il mistero, la musica, la folgorazione delle immagini, uno stile assolutamente personale, il pensiero che si snoda a volte limpido a volte inquietante a volte ancora da decifrare, la commozione profondamente interna e sempre trattenuta da un eccessivo sentimentalismo, i legami con gli autori del passato fossero essi filosofi o poeti o musicisti…e quell’accenno al quartetto metafisico il 132, che ci tiene inchiodati al mistero più inconoscibile, e l’exergo della clessidra del mio amatissimo Nieztsche, concorrono a farmi sentire fraternamente vicino a questo interprete della luce oscura che tanto ci conquista la mente e l’anima.E il fanciullo divino che a Salisburgo incomincia quel tracciato abissale che lo proietta al cielo, la follia di Scuman, il legame strettissimo tra Mallarmé e Debussy, come la musica intercetta la poesia in un affratellamento di certezze indissolubili e che nella modesta produzione attuale è totalmente sepolto. La parole come note, come cadenze, come respiri, come pause devono circolare nel tessuto, nella trama , nell’intarsio poetico perché sono il volto speculare delle parole, e se le stesse non suonano la poesia per me non esiste. Questa mi appare la grande frattura , sfuggita da De Robertis, che alberga nell’attuale poesia italiana. Si può rasentare la prosa ma leggendo ad alta voce ci si può facilmente accorgere se anche un verso lungo o lunghissimo può celare una cadenza, un ritmo che lo allontana dalla prosa tout court..
    Salvatore Martino

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  39. Si vede che all’epoca delle poesie riportate da Steven Grieco Rathgeb egli stava dissodando il terreno. La sua era una poesia FUORI DELLA TRADIZIONE ITALIANA così chiusa, asfittica nella sua monacale clausura, dentro il perimetro di allora degli anni Settanta che vedranno il prevalere una poesia del ritorno al privato e alla privacy.
    Queste poesie che hai postato, caro Steven, indicano bene la tua provenienza da un altro pianeta poetico, non potevano essere condivise (e non lo possono tuttora) proprio per quel fattore di alterità e di estraneità di cui erano portatrici. Il gusto dominante delle scritture maggioritarie che si è imposto in Italia dagli anni Settanta in poi ha privilegiato un modello di forma-poesia che ben conosciamo; e un modello di forma-poesia si impone quando c’è un modello, sottostante , che fa da garante, che lo sostiene, direttamente e indirettamente. Insomma, diciamolo con franchezza: una forma-poesia deve essere servente, deve corrispondere ad un Garante, ad una Funzione, ad un Gusto, ad una intelleggibilità. Sta di fatto, che queste tue poesie degli anni Settanta, sono assolutamente illegittime, figlie naturali di una copulazione allotria, non potevano essere riconosciuti, non potevano essere accettati. Con la poesia italiana degli ultimi 50 anni che è stata respinta al mittente ci si potrebbe fare una Antologia magnifica. Forse un giorno qualcuno la scriverà, ma ne dubito che interessi a qualcuno… Fatto è che le tue poesie esistono, sono lì. E qualcuno che sa leggere le leggerà prima o poi.

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  40. Salvatore Martino

    Caro Giorgio del Vuoto, dell’Ombra, del non Visibile la Poesia si è occupata da secoli, e per quanto mi riguarda non voglio auto citarmi, ma se tu leggessi soltanto alcuni titoli, gettati là nei miei Cinquantanni di poesia ne troveresti molti confusi di matematica e di fisica, Ma io non sono Sagredo e li risparmio ai compagni della Rivista. Una notazione a corroborare il tuo educato rimprovero: mi appare profondamente disdievole che si usino terminologie così offensive tra le righe di questo spazio,, che tutti noi dobbiamo onorare e non infangare. Salvatore Martino

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    • caro Martino,
      io ho scritto in premessa che mi riferisco alla “poesia maggioritaria”, cioè quella inserita negli annali della Antologia Cucchi Giovanardi. Non mi pare che tu sia ricompreso in quella antologia, per cui il mio “educato rimprovero” non era indirizzato a te. E ho anche detto che una Antologia della poesia italiana degli assenti in quella antologia sarebbe da fare, ne uscirebbe una Storia della poesia italiana del secondo Novecento tutta differente.

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  41. antonio sagredo

    Carissimo Martino,
    Deposito il mio ultimo intervento, come al solito, con dei miei versi… (che son piaciuti tanto a Ubaldo De Robertis)… costume il mio che fu apostrofato, ma che in seguito altri hanno imitato; come tanto altro!. Sono felice quanto Te che io non sia come Te, Martino, poi che ognuno scrive secondo la propria formazione culturale. Certo è che i versi di Ubaldo, dopo che li ho celebrati, sul blog, forse per primo (secondo forse al Linguaglossa), hanno goduto di altre celebrazioni più o meno valide. (p.e. dopo che ho associato Ubaldo a Galileo per quella fusione di poesia-scienza altri ne hanno scritto dopo) – Intanto i versi di Ubaldo resteranno , e il resto dei riconoscimenti verrà dopo. Che Ubaldo non sia intervenuto qui denota una sua aristocraticità che io condivido con la mia assenza e mancanza: è vano che Vi dica cosa voglio significare. A questo punto, ascoltate il suono di questi versi; e con questo Vi saluto con buona pace di chi protesta la mia presenza imbarazzante.

    ——————————————————–
    Portavo la mia immagine per la città come un retrattile vessillo.
    Il tripudio dei miei passi scavava un sentiero di note austere,
    non avevo con me una reliquia da barattare con la santità
    e nemmeno una nicchia mi era data per un conforto da accattone.

    Gli svolazzi della mia mente erano capricci di stiletti spuntati a malincuore,
    da una accidia di laguna vedevo un puntino azzurro come tanti da Saturno
    – era la terra che miravo! – e non sapevo il suo millennio quel giorno estivo
    di lei che mi sorrise con Cassini. Quale gioia la conoscenza che compresi

    dai miei occhi, e come Dio fosse a sua volta una creazione della Rota,
    l’emorragia di una clessidra ai tempi della mia innocente trasparenza.
    Le contrade come una sinfonia d’infanzia in quel sarcofago: tabernacolo
    pinto
    da epitaffi e necrologi… per fissare, in una partitura, gli anelli della Storia.

    antonio sagredo

    Roma,
    all’ora terza del 29 gennaio 2014
    e 3/01

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    • Steven Grieco-Rathgeb

      Ubaldo de Robertis mi autorizza a riportare qui questa sua frase: “oggi più che mai le persone colte hanno il dovere di seminare dubbi, non raccogliere certezze”.
      Grazie Ubaldo.

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      • Ubaldo de Robertis

        @ Steven Grieco- Rathgeb
        Caro Steven, avevo premesso che la frase, pur condividendola totalmente, non é mia.

        @ A tutti coloro che hanno rilasciato dei commenti.
        Ringrazio gli intervenuti che hanno contribuito a vivacizzare questo interessante (a prescindere dalle mie poesie) Post.

        @ A Giorgio Linguaglossa
        Un grazie particolare per il lusinghiero intervento critico e per la cortese ospitalità.

        Cordiali saluti

        Ubaldo de Robertis

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  42. Giuseppe Panetta

    Credo che la Musa di Ubaldo sia la musica, le note che si organizzano in suoni e rumori, così come nella poesia “I fantasmi della mente”, una “musica che copre l’inquietudine”, quel mal du vivre che attanaglia l’anima degli artisti come pure degli scienziati, e tra spazi cosmici infiniti e prati fioriti non trova mai corrispondenza, solo un’idea fissa, martellante di “cose che non si fanno riconoscere/ e che non ti riconoscono.”

    E questa è grande Poesia.

    GP

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  43. chiaverininadia

    ringrazio veramente, non solo Ubaldo e Linguaglossa per aver pubblicato le poesie , ma anche tutti gli intervenuti, talvolta con toni accesi ma sempre sentiti, intrisi di passione , letteratura ,e grande esperienza culturale. E’ veramente un bel convivio, dovrò rileggervi ancora

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  44. ubaldoderobertis

    Ricevo al mio indirizzo di posta elettronica e la trascrivo la mail di Elio Pecora.
    Gentile Ubaldo De Robertis,
    ho letto, solo una prima lettura, ma quella in cui ritengo accada di essere attratti o respinti.
    Nelle sue poesie vedo la prosa raggiungere la poesia e nutrirla con altre e nuove sostanze, ma senza privarla di quel che la rende inequivocabilmente poesia: il ritmo, la tensione , la concertazione, la concentrazione.
    Saluti, saluti.
    Elio Pecora

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  45. Giuseppina Di Leo

    Nelle poesie di Ubaldo de Robertis vi trovo un elemento di non facile definizione, qual è il desiderio. Certo, proporre in poesia un’istanza di tal genere, può risultare difficile e complicato, eppure de Robertis riesce ad esprimerla benissimo. Parlare di arte, di natura, di mondi infiniti – senza tralasciare il proprio vissuto e i sentimenti – è come se ci dicesse che, attraverso il sapere, nulla è impossibile; o, come egli stesso suggerisce, che il desiderio diventa possibile anche attraverso
    “le cose che si lasciano intuire”.
    GDL

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  46. Franco Campegiani

    Mitizzazione e demitizzazione sono due polarità inseparabili nella poesia di Ubaldo De Robertis. “L’Universo degli anelli” sembra il racconto diretto del farsi del mondo, al di là di ogni soggettivismo umano. Non vuol porsi come narrazione fantascientifica, come evasione onirica, bensì come registrazione pura e semplice di ciò che nel cosmo accade (“Dante, il divino, / sicuramente ha percepito il suono delle sfere”). Ed è una rivalutazione potente del Mithos, una cosmogonia di sapori neosapienziali (intrisa di saperi scientifici), di contro a quel logoro luogo comune (platonico, ma non solo) che vuole invece il Mithos disperatamente inquinato dagli arbitri dell’animo umano. Degenerazione, questa, che interviene senz’altro nel momento (inevitabile) in cui la mitopoiesi si trasforma in mitologia e l’ispirazione iniziale perde smalto, divenendo ripetitiva (“Poco altro inaridisce oltre / alla foglia morta / se non l’uomo dentro / al labirinto dell’esistenza, la fedeltà disperata / al pianeta”). La demitizzazione, allora, è necessaria affinché la mente non si addormenti e torni a ravvivare sempre le stagioni aurorali del mito: “Il pensiero / si addentra nell’Universo stellare per leggervi / l’animazione che ci sfugge”; “Domandare! Domandare sempre, e di nuovo”. C’è il momento della verità e c’è quello dello smarrimento. Occorrono l’uno all’altro: “Velarsi e Svelarsi”, è detto in “Carnevale”. Da un lato il nascondimento (“Mozart, chioma incipriata”) e dall’altro il denudamento burlesco ed impietoso delle maschere popolari. La storia, il folclore, le usanze offrono al poeta una vasta e ricchissima gamma di situazioni e personaggi dove affiora l’illusorietà della natura umana. Ed è proprio da qui, paradossalmente, che scaturisce l’urgenza di “inabissare lo sguardo / a un’incredibile profondità / fin sotto la radice / nei solchi sotterranei del mito / a snidare il segreto / del mondo / l’origine divina delle cose” (“Nella terra e nella musica”). Ma se l’arte (e con essa il mito) fosse nient’altro che imitazione, peraltro scadente, della natura? La domanda compare in “Il dipinto e la realtà”: ha una verità propria, la poesia, oppure è soltanto un duplicato mediocre ed imperfetto della realtà? “I fantasmi della mente tendono un’imboscata” e forse non ci si può salvare dall’illusione. Eppure un riferimento certo c’è: “La tua idea fissa è / che quelle pennellate / evidenti / fioriture nel dipinto / e quel volto sublime / ti volteggino intorno / offrendoti le più sorprendenti / rivelazioni / e tutto con una musica / idilliaca / di un pianoforte” (“I fantasmi della mente”). Non c’è dubbio senza fede, e viceversa. Si giovano l’uno dell’altra.

    Franco Campegiani

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