Sabino Caronia  SEI POESIE INEDITE “Il girasole e altre poesie” con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Eve Arnold, Silvana Mangano at the Museum of Modern Art, New York, 1956

Eve Arnold, Silvana Mangano at the Museum of Modern Art, New York, 1956

Sabino Caronia, critico letterario e scrittore, romano, ha pubblicato le raccolte di saggi novecenteschi L’usignolo di Orfeo (Sciascia editore, 1990) e Il gelsomino d’Arabia (Bulzoni, 2000) ed ha curato tra l’altro i volumi Il lume dei due occhi. G.Dessì, biografia e letteratura (Edizioni Periferia, 1987) e Licy e il Gattopardo  (Edizioni Associate, 1995).

Ha lavorato presso la cattedra di Letteratura Italiana Contemporanea all’Università di Perugia e ha collaborato con l’Università di Tor Vergata, con cui ha pubblicato tra l’altro Gli specchi di Borges (Universitalia, 2000).

Membro dell’Istituto di Studi Romani e del Centro Studi G. G. Belli, autore di numerosi profili di narratori italiani del Novecento per la Letteratura Italiana Contemporanea (Lucarini Editore), collabora ad autorevoli riviste, nonché ad alcuni giornali, tra cui «L’Osservatore Romano» e «Liberal».

Suoi racconti e poesie sono apparsi in diverse riviste. Ha pubblicato i romanzi L’ultima estate di Moro (Schena Editore 2008), Morte di un cittadino americano. Jim Morrison a Parigi (Edilazio 2009), La cupa dell’acqua chiara (Edizioni Periferia 2009) e la raccolta poetica Il secondo dono (Progetto Cultura 2013) .

foto donna allo specchio in posa.

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Scriveva Gianfranco Contini nel 1958 a proposito della poesia di un Pascoli: «Pascoli ha rotto la frontiera tra grammaticalità e evocatività della lingua. E non solo ha infranto la frontiera tra pregrammaticalità e semanticità, ma ha anche annullato il confine tra melodicità ed icasticità, cioè tra fluido corrente, continuità del discorso, e immagini isolate autosufficienti. In una parola egli ha rotto la frontiera fra determinato e indeterminato».1 Certo, è vero, Sabino Caronia si riallaccia alla poesia di Pascoli come ad un parametro cui occorre affidarsi, ma, direi per svuotarlo, innanzitutto tagliando via ogni residuo di pregrammalità e semanticità del pregrammaticale e, in secondo luogo, investendo tutte le risorse stilistiche verso la risemantizzazione di un fonosimbolismo melodico, individuando nel melos il principio forma cardine della poesia italiana della tradizione primo novecentesca. Caronia riprende e riattualizza la tradizione primo novecentesca dei crepuscolari per rimetterla in piedi in pieno post-moderno, nella civiltà non più delle macchine ma in quella internettiana del nostro vuoto pneumatico. Caronia fa una poesia del vuoto e dell’assenza, scrive un diario della assenza con un metro sillabico melodico di nobile ascendenza. Ci vuole una grande dose di coraggio o una grande ingenuità, dirà alcuno, per una tale operazione di trasbordo. Ma la poesia vive da sempre in questi «scarti» (come ha acutamente rilevato Francesca Diano), di questi trasbordi, salta volentieri interi decenni, a volte taglia via mezzo secolo di poesia come se non fosse mai esistito. Caronia riposiziona così il baricentro della sua poesia tra le linee di un melodico che sa di vintage ma che vintage non è affatto.

Un linguaggio poetico fonosimbolico con un frequente uso di anadiplosi, metafore, sinestesie, allitterazioni e anafore, vocaboli vintage e vocaboli caduti in disuso. Ma quello che più interessa in questa sede è il concepire per immagini isolate, il frammentismo, il periodo di frasi brevi e a sobbalzi, senza indicazione di passaggi intermedi, di modi di sutura, come uno degli strumenti decisivi del pentagramma metrico di Sabino Caronia (attento e squisito critico e scrittore) con effetti pacatamente musicali e suggestivi. E così la parola poetica se ne esce intrisa di silenzio e di vuoto per il tramite di un linguaggio volutamente privato, anzi, privatissimo. I lettori si chiederanno: «Allora è poesia privatistica»? Ed io rispondo: «Non lo so, ai presenti l’ardua sentenza».

1 G. Contini, Il linguaggio di Pascoli, in “Studi pascoliani”, Lega, Faenza, 1958, p. 30 e sgg

foto donna in stile.

Il girasole

È finita la messa. Sull’altare,
presso la bara, ancora gli onorati
nuovi credenti stanno a discettare
tra inutili ricordi e versi ornati.

“I fucili battevano alle porte”,
ripeteva il poeta, e così sia,
ma, dopo tanto male e tanta morte,
forse è barbarie pure la poesia.

“No, no che la poesia non è occasione”,
biascico amaro, ed esco dal portone.
Nel mattino piovorno ed incolore,

grigio avamposto dell’aridità,
Plinio accende, sul nero del dolore
le trombe d’oro e la solarità.

.
ANITA

.
A te che sei l’icona
d’ogni umana fierezza,
appassionata e bella,
con due pistole in mano,

che passi sulla terra
senza trovare pace
sotto cieli di morte
amazzone immortale,

che corri come il vento,
eterna giovinetta,
messaggera d’amore,
il mio pensiero vola.

.
Infinita distanza

Tu che cosa ne sai dell’infinita
distanza dell’amore, dimmi, cosa?
Che cosa ne sai tu di quell’azzurro,
di quell’azzurra distanza infinita?

 

Elsa Martinelli, 1967 trucco tricolore

Elsa Martinelli, 1967 trucco tricolore

I poeti

I poeti, dicevi, lo ricordo,
non hanno età,
ma questo non è vero,
piccola mia,
ché tutto quanto muore
intorno a noi,
tutto passa e declina,
e vola via,
muore persino il mare.

.
Il palazzo

Il mio cuore è un palazzo,
deserto e solitario,
vive della tua assenza,
non conosce altri amori.

.
Strana allegria

Ciò che trovo indecente
è la strana allegria
di certa brutta gente
che mi fa compagnia,
e, a tutto indifferente,
alla gioa e al dolore,
mi avvelena la mente
e mi fa scuro il cuore.

sabino caronia

sabino caronia

 

9 commenti

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9 risposte a “Sabino Caronia  SEI POESIE INEDITE “Il girasole e altre poesie” con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

  1. È finita la messa. Sull’altare,
    presso la bara, ancora gli onorati
    nuovi credenti stanno a discettare
    tra inutili ricordi e versi ornati.

    Miglior autocommento il Nostro non poteva fare

  2. antonio sagredo

    Sabino, buffo e simpatico critco-scrittore, poeta alla Palazzeschi: cagttivo, ironico, perdigiorno, riso accattivante, perennemente bambino avaro di tante cose…. scrive poesia amaramente divertente (standoa questi versi qui pubblicati)… già su di lei scrissi qualcosa a prposito del poeta russo
    FET- principe di Salina, ovvero Gattopardo, ovvero Tommasi… di cui è esperto folle. La mia simpatia è che in lui vedo tutto ciò che mi piace di un critico: il divertimento icastico e ironico-malizioso della sua cultura non indifferente, e che dire altro…. se quel che ho detto è tanto!
    a.s.

  3. Gino Rago

    Dal sonetto al frammento. Pascoli fonosimbolico pronunciato in modo postmoderno, accanto a echi di Corazzini, di Palazzeschi del “saltimbanco dell’anima mia”. Ma anche di Garcia Lorca del “Lamento” in quel tragicamente vero “muore persino il mare” a chiusura de ” I poeti…” Cultura letteraria, conoscenza della lirica italiana del ‘900, padronanza della “langue” fanno il resto in questo Sabino Caronia che nella ricerca del “vero”
    oltre che del “bello”, ricorda a questa lasca stagione il “tempo di edificarci” ( caro a Giacomo Debenedetti ) in quello che Giorgio Linguaglossa nella presentazione indica come “linguaggio volutamente privato…”
    Gino Rago

  4. Salvatore Martino

    Purtroppo mi spiace dirlo perché Caronia mi è simpatico e lo reputo un signore e un buon critico, e talvolta persino poeta, mi spiace dirlo ma nonostante tutti questi richiami , e ricordi di poesia novecentesca, i versi qui riprodotti mi sembrano di una povertà raccapricciante, che culminano in quel componimento a rime alternate titolato “strana allegria” dove la banalità diventa imbarazzante. Poi un giorno Linguaglossa mi spiegherà cosa vuol dire :”la parola poetica se ne esce intrisa di silenzio e di vuoto”…per me più imperscrutabile di un geroglifico Salvatore Martino

  5. antonio sagredo

    La parola “poetica” (diversamente da quella prosastica) spesso è satura di chiasso e di pienezza: chiasso vuoto come una secchia vuota sotto la pioggia martellante, che causa rumori tonici e atonici; pienezza si intende qui che è colma troppo di questa rumorosità. La poesia stessa spesso, e non talvolta, espelle fuori da se (a volte all’insaputa dell’autore ) questo rumorismo poi che vuol esser “silente”; il silenzio è dunque fuori non dentro la parola “se ne esce intrisa di silenzio”); e la troppa sostanza che vi è in essa viene pure colassata all’interno, e ciò che resta – il vuoto – viene vomitato fuori… da qui il vuoto che si genera non è più in essa ma sta al di fuori (“la parola poetica se ne esce intrisa di vuoto”)… è in defnitiva una doppia liberazione ottenuta per rovesciamento di principi stantii: spero che sia stato chiaro.
    Certo i versi qui pubblicati (ha ragione Martino) non danno una idea esatta della poesia giostresca di Caronia e non lo si può condannare per questo, anzi deve essere il pretesto che sia l’autore stesso a scegliere i versi che giustificano quanto ora ho scritto.
    Critico atipico, disinvolto, è dunque un folletto che merita più attenzione poi che non è affatto superficiale rispetto a tanti seriosi autori barbagianni; mi pare che sia anche un antiaccademico per antonomasia.
    a.s.

  6. caro Salvatore Martino,
    come al solito cogli sempre un punto preciso della mia affabile presentazione. Tu scrivi: «la parola poetica se ne esce intrisa di silenzio e di vuoto”…per me più imperscrutabile di un geroglifico». Con quella locuzione, intendevo dire che la poesia di Caronia si nutre di “debolezza”, è, come lui scrive “un Palazzo deserto e solitario”. In Sabino Caronia convivono modus essendi e modus vivendi, e tale è la sua poesia, perché essa ha espulso il rumore: Si trova all’interno di essa il silenzio (come bene ha spiegato Antonio Sagredo). Insomma, Caronia fa pulizia del verso, pulizia dei rumori, e di tutte le sovrastrutture linguistiche pleonastiche di cui sono troppo spesso piene le poesie di autori peraltro molto acclamati. Caronia getta il rumore dalla finestra. Quello che ne resta è una poesia magari fievole ed esile, ma silenziosa, essenziale, ridotta all’osso.

  7. sabino caronia

    Sono sinceramente ammirato e lusingato della straordinaria profondità del giudizio critico di Gino Rago che, pur non conoscendomi ancora bene, richiama, da par suo, Lorca e quel ‘tempo di edificare’ da Borgese a Debenedetti che è un mio leit-motif. La penetrazione psicogica di Antonio Sagredo poi (“il folletto”!) è davvero stupefacente e mi commuove fino alle lacrime ancor più perchè applicata a delle ‘coserelle’ non meritevoli di tanto riguardo, coma sottolinea equilibratamente Salvatore Martino. Eviterei peraltro giudizi sulla mia persona da parte di chi non mi conosce. Comunque complimenti al Direttore e grazie a tutti. Sabino Caronia

  8. Ubaldo de Robertis

    Tra le ” coserelle ” trovo come una perla: ” i Poeti”.
    Bravo Sabino Caronia.
    Ubaldo de Robertis

    • “muore persino il mare.”
      concordo con il commento precedente su “I poeti” e faccio i miei complimenti all’autore per quel tocco lieve, spesso difficile da avvertire in tanta altra poesia, che questi suoi versi donano.
      Angela

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