DIECI POESIE ANTOLOGIA di TOMAS TRANSTRÖMER traduzione e Presentazione di Enrico Tiozzo – Notturno, da “Den halfärdiga himlen”, 1962; Musica lenta, da “Klanger och spår”, 1966; Tardo maggio, da “Stigar”, 1973; Elegia, 1973; Lo sguardo dell’inverno, da “Det vilda torget”, 1983; La stazione, 1983; Profondamente in Europa, da “För levande och döda”, 1989; Volantini, 1989; Arcate romaniche, 1989; Air mail, 1989

pittura Jason Langer, 2001

Jason Langer, 2001

Commento di Enrico Tiozzo: Premiato il più grande poeta svedese
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Stoccolma, 6 ottobre 1992
Era dal 1974 che il Nobel per la letteratura non andava alla Svezia (soprattutto a causa delle polemiche nate quell’anno per il premio assegnato a due membri della stessa Accademia giudicante), ma Tomas Tranströmer non fa parte dell’Accademia ed è stato candidato al Nobel ogni anno a partire dal 1993. Dopo un’attesa quasi ventennale, era giusto che gli svedesi trovassero il coraggio di insignire del premio il loro massimo poeta vivente, tradotto in tutto il mondo e considerato un indiscusso, anche se nascosto, maestro. Tranströmer infatti era e rimane estraneo al mondo accademico. Nato a Stoccolma nel 1931, dopo studi di psicologia nell’Università della capitale svedese, ha poi scelto la carriera dell’impiegato amministrativo nella cittadina industriale di Västerås fornendo cosí una chiara indicazione della sua estraneità agli ambienti delle Accademie e delle Università. Della sua infanzia e della sua adolescenza, apparentemente spensierate e serene, ma percorse in realtà da un crescente senso di angoscia culminato in una vera e propria crisi psichica, Tranströmer ha lasciato uno splendido ritratto nel libro autobiografico Minnena ser mig  pubblicato in Svezia nel 1993 e tradotto tre anni dopo in italiano (I ricordi mi vedono, Göteborg, 1996).
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Partendo da esperienze personali e narrate in uno stile nudo ed essenziale (la casa nel popolare quartiere di Söder a Stoccolma, la figura del vecchissimo nonno pilota di rimorchiatori, il divorzio dei genitori, le figure dei vicini, l’episodio traumatizzante di quando a 5 anni si perse per le strade di Stoccolma ma riuscí a ritrovare da solo la strada di casa, la passione per le visite solitarie nei musei, le difficili esperienze scolastiche, ecc.) Tranströmer tratteggia via via, in questo libro, il quadro di una crescente inquietudine e di un malessere spirituale, ignoti ai suoi familiari e scanditi dalla solitudine, dal dolore per l’assenza del padre, e dalla consapevolezza di essere considerato un estraneo dai compagni che avevano interessi e comportamenti diversi dai suoi. Ad uno di loro che lo picchiava sistematicamente, Tranströmer oppose una resistenza passiva comportandosi come «una salma, uno straccio inanimato che lui poteva schiacciare come voleva. Se ne stancò». Diario drammatico e commovente di un inserimento molto difficile nella vita, scritto con estrema lucidità e senza un briciolo di autocommiserazione, il libro rimane una delle cose migliori, e meno note all’estero, di Tranströmer. Il poeta fu felicissimo quando decisi di tradurlo , e i contatti con lui furono intensi ma passarono soprattutto attraverso il filtro della moglie Monica, divenuta la voce del poeta dopo l’ictus degli anni ’90 che ha portato Tranströmer all’afasia e alla riduzione ma non all’interruzione dell’attività poetica, come dimostra anche la raccolta Sorgengondolen (La gondola a lutto) del 1996, dettata alla moglie in grado di percepire le parole del poeta.
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Le poesie dell’esordio, con la raccolta 17 dikter (17 poesie) del 1954¸gli erano valse, da parte della critica svedese, il titolo di «maestro delle metafore» e un’immediata e meritata collocazione di rilievo nelle lirica svedese degli anni Cinquanta per la classicità e insieme l’inconfondibile ricchezza del suo stile, ben riconoscibili anche dietro il velo modernista. Quelle poesie, in cui il sogno è spesso il punto di partenza per le riflessioni dell’autore, quasi a voler sottolineare che ogni cosa ha un’origine immateriale, contengono infatti immagini veramente “senza fili” dove una quercia può apparire come un’alce pietrificata ed il mare di settembre può sembrare una fortezza. Una ricchezza di immagini destate dalla fantasia, che servono a Tranströmer per meglio esprimere un’esperienza rilevante e che offrono al lettore un nuovo angolo visuale della realtà. A questa straordinaria abbondanza figurativa fanno però da efficace contrappunto la costante sobrietà e la contenutezza nella scelta della parola poetica.
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Con le sillogi poetiche degli anni Sessanta, in particolare Klanger och spår (Echi e tracce) del 1966, Tranströmer, che è anche un appassionato cultore della musica, si dimostra indifferente alle nuove esigenze di una poesia “impegnata” nel dibattito politico sociale, sorprendendo e in parte deludendo quei critici letterari del suo Paese che non si erano ancora accorti della grande coerenza del poeta (ormai tradotto in una trentina di lingue straniere), del tono inconfondibile e perciò, in qualcjhe misura, immutabile della sua poesia cosí asciuttamente classica e nello stesso tempo tipicamente scandinava nella capacità di cogliere gli elementi freddi e nudi della realtà. Le raccolte degli anni ’70 (il poeta autoconsapevolmente critico ha sempre pubblicato con grande parsimonia)  come Östersjöar (Mari dell’Est) del 1974 e Sanningsbarriären (La barriera della verità) del 1978, hanno confermato infatti la fedeltà del poeta ai sempiterni temi dell’enigma e della rivelazione, del dolore e della difficoltà che fa parte del processo di identificazione di se stessi e del mondo. Grazie anche a fondamentali ed illuminanti contributi critici (come il saggio di Kjell Espmark sull’opera tranströmeriana del 1983, che ha identificato i modelli del poeta in Hölderlin, Rilke, Dante) alla fine degli anni ’80 è arrivata per Tranströmer la definitiva consacrazione con la silloge För levande och döda (Per vivi e morti) del 1989, concentrata sul tema della presenza costante della morte nelle aperte vie della vita. La sporadica, per forza di cose, produzione poetica dell’ultimo ventennio, fa ritenere motivatamente  che il Nobel sia stato assegnato al grande lirico svedese soprattutto per quanto ha prodotto fino agli anni Novanta.
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foto donna allo specchio in posa.
© traduzione italiana di Enrico Tiozzo, in: Poeti Svedesi Contemporanei, a cura di E. Tiozzo, Frosinone, 1992

Notturno, da “Den halfärdiga himlen”, 1962
Musica lenta, da “Klanger och spår”, 1966
Tardo maggio, da “Stigar”, 1973
Elegia, 1973
Lo sguardo dell’inverno, da “Det vilda torget”, 1983
La stazione, 1983
Profondamente in Europa, da “För levande och döda”, 1989
Volantini, 1989
Arcate romaniche, 1989
Air mail, 1989

Tomas-Transtromer 2

Tomas-Transtromer

POESIE
 
Notturno (1962)

Guido attraverso un villaggio di notte, le case spuntano
nella luce dei fari – sono sveglie, vogliono bere.
Case, fienili, cartelli, veicoli senza padrone – è adesso
che si vestono di Vita. – Gli uomini dormono:

Alcuni possono dormire tranquilli, altri hanno il volto
teso come stessero in duro allenamento per l’eternità.
Non osano lasciarsi andare benché il loro sonno sia pesante.
Riposano come sbarre abbassate quando il mistero passa.

usciti dal villaggio la strada va tra gli alberi del bosco.
e gli alberi silenziosi concordi fra di loro
hanno un colore teatrale che è nel riflesso del fuoco.
Come sono evidenti le loro foglie! Mi seguono fino a casa.

Nel letto per dormire, vedo immagini sconosciute
e segni che si scarabocchian da soli dietro le palpebre
sul muro del buio. Nella fessura fra veglia e sonno
una grande lettera cerca d’infilarsi invano.

Musica lenta (1966)

L’edificio è chiuso. Il sole entra attraverso i vetri delle finestre
e riscalda la parte superiore delle scrivanie
che sono abbastanza forti da sopportare il peso dei destini umani.

Siamo fuori oggi, sulla discesa lunga e larga.
Molti vestiti di scuro. Si può stare nel sole ad occhi chiusi
e sentire il vento che lentamente spinge avanti.

Arrivo troppo raramente all’acqua. ma adesso sono qui
fra grandi pietre dai pacifici dorsi.
Pietre che lentamente sono retrocesse su dall’onda.

Tardo maggio (1973)

Meli e ciliegi in fiore aiutano il luogo a librarsi
nella dolce sporca notte di maggio, bianco salvagente, volano i pensieri.

Erbe ed erbacce con silenziosi insistenti battiti di ali.
la buca per le lettere splende zitta, lo scritto non si può ritrattare.

Dolce freddo vento attraversa la camicia e cerca il cuore.
Meli e ciliegi, ridono in silenzio di Salomone
fioriscono nel mio tunnel. Io ho bisogno di loro
non per dimenticare ma per ricordare.

Elegia (1973)

Apro la prima porta.
È una grande stanza soleggiata.
Un’auto pesante passa per la strada
e fa tremare il vasellame.

Apro la porta numero due.
Amici! Avete bevuto il buio
e siete divenuti visibili.

Porta numero tre. Una stretta camera d’albergo.
Vista su una strada secondaria.
Un lampione che scintilla sull’asfalto.
La bella scoria delle esperienze

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tomas transtromer postcard

Tomas-Transtromer

Lo sguardo dell’inverno (1983)

Mi appoggio come una scala e arrivo
col viso al primo piano del ciliegio.
Sono dentro la campana dei colori di sole.
Finisco le ciliegie rossonere più svelto di quattro gazze.

Allora mi colpisce d’improvviso un freddo da lontano.
L’attimo s’annera
e rimane come segno d’ascia in un tronco.

Da adesso in poi è tardi. Andiamo via quasi correndo
sparendo alla vista, giù, giù, fra le cloache antiche.
i tunnel. Là camminano per mesi,
metà per lavoro e metà per fuga.

Corta devozione se una botola s’apre sopra a noi
e una debole luce cade.
guardiamo in alto: il cielo stellato attraverso il tombino.

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La stazione (1983)

Un treno è entrato. Sta qui vagone per vagone,
ma chiuse sono le porte, nessuno sale o scende.
Ma ci son le porte? Là dentro pullula
di gente chiusa dentro che va avanti e dietro.
Guardano fuori per i finestrini immobili.
E fuori passa un uomo lungo il treno con un martello.
Batte sulle ruote, batte piano. ma non qui!
Qui si dilata il suono stranamente: una tempesta,
uno scampanio da duomo, un suono da viaggio intorno al mondo
che alza tutto il treno e le pietre umide della contrada.
Tutto canta. Dovete ricordarvelo. Continuate il viaggio!

Profondamente in Europa (1989)

Lo scafo scuro che galleggia fra due chiuse
riposo nel letto dell’albergo mentre la città intorno si sveglia.
La sveglia silenziosa e la luce grigia entrano dentro
e lentamente mi sollevano al prossimo livello: il mattino.

Orizzonte ascoltato. Vogliono dir qualcosa, i morti.
fumano ma non mangiano, non respirano ma hanno voce.
Mi affretterò per le strade come uno di loro.
la nereggiante cattedrale, pesante come luna, ha flusso di marea.

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tomas transtromer 1

Air mail (1989)

Alla ricerca di una buca
portai la lettera per la città.
Nel bosco grande di pietra e cemento
svolazzava questa farfalla smarrita.

Il tappeto volante del francobollo
le traballanti lettere dell’indirizzo
più la mia verità sigillata
adesso sospesa sopra il mare.

L’argento strisciante dell’Atlantico.
I banchi di nuvole. La barca da pesca
come un osso d’oliva sputato.
E la pallida cicatrice della scia.

Quaggiú il lavoro procede piano.
Guardo spesso l’orologio.
Le ombre degli alberi sono cifre nere
nel silenzio avaro.

La verità sta per terra
ma nessuno osa prenderla.
La verità sta per la strada.
Nessuno la fa sua.

Arcate romaniche (1989)

Dentro l’enorme chiesa romanica s’affollavano i turisti
nella penombra.
Volta si spalancava dietro volta senza fine.
Svolazzavano fiamme di candela.
Un angelo senza volto mi abbracciò
e sussurrò attraverso tutto il corpo:
“Non vergognarti di essere uomo, sii fiero!
Dentro te s’apre volta dietro volta all’infinito.
Non finisci mai ed è così che deve essere”.
Ero accecato dalle lacrime
e fui spinto fuori nella piazza piena di sole
insieme con Mr. e Mrs. Jones. Il Signor Tanaka e
la Signora Sabatini
e dentro loro s’apriva volta dietro volta all’infinito.

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Volantini (1989)

La silenziosa rabbia scarabocchia sul muro in dentro.
Alberi da frutto in fiore, il cuculo chiama.
È la narcosi della primavera. Ma la silenziosa rabbia
dipinge i suoi slogan all’inverso nel garage.

Vediamo tutto e niente, ma dritti come periscopi
presi da una timida ciurma sotterranea.
È la guerra dei minuti. Il bruciante sole
è sopra l’ospedale, il parcheggio della sofferenza.

Noi chiodi vivi conficcati nella società!
Un giorno ci staccheremo da tutto.
Sentiremo il vento della morte sotto le ali
e saremo piú dolci e piú selvaggi che qui.

enrico tiozzo

enrico tiozzo

Enrico Tiozzo è nato a Roma, dove si è laureato nel 1970 con una tesi sulla ricerca di Dio in Pär Lagerkvist, pubblicata lo stesso anno da Bulzoni. Da oltre trent’anni è professore ordinario di Lingua e letteratura italiana presso l’Università di Göteborg, in Svezia. È autore di numerosi studi sulla letteratura italiana del Novecento (Bonaviri, Bertolucci, Sciascia) e sulla lirica svedese contemporanea (Espmark, Forssell, Tranströmer). A partire dagli anni Settanta ha collaborato alle pagine per la cultura prima dei quotidiani “Il Tempo” e “Il Messaggero” di Roma, e successivamente a quelle del “Dagens Nyheter” di Stoccolma. Attivo anche come traduttore, è stato premiato nel 2003 dall’Accademia di Svezia per la qualità del suo lavoro. Tra le sue opere piú recenti figura Il premio Nobel e la letteratura italiana (Catania, La Cantinella, 2002).

36 commenti

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36 risposte a “DIECI POESIE ANTOLOGIA di TOMAS TRANSTRÖMER traduzione e Presentazione di Enrico Tiozzo – Notturno, da “Den halfärdiga himlen”, 1962; Musica lenta, da “Klanger och spår”, 1966; Tardo maggio, da “Stigar”, 1973; Elegia, 1973; Lo sguardo dell’inverno, da “Det vilda torget”, 1983; La stazione, 1983; Profondamente in Europa, da “För levande och döda”, 1989; Volantini, 1989; Arcate romaniche, 1989; Air mail, 1989

  1. Noi chiodi vivi conficcati nella società!
    Un giorno ci staccheremo da tutto.
    Sentiremo il vento della morte sotto le ali
    e saremo piú dolci e piú selvaggi che qui.

    un grandissimo, così come ringrazio Enrico Tiozzo per il lavoro di traduzione e adattamento. Transtromer per me è un grandissimo, i suoi lavori mi piacciono istintivamente per cui non mi ritengo in grado di comporre un benché minimo commento.

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  2. gino rago

    “La verità sta per la strada./ Nessuno la fa sua.”

    ” (…) La barca da pesca / come un osso d’oliva sputata./ E la pallida cicatrice della scia.”

    “Noi chiodi vivi conficcati nella società.”

    “Tutto canta. Dovete ricordarvelo. Continuate il viaggio!”

    “Sono dentro la campana dei colori di sole”
    L’arte poetica di Tomas Transtromer splende in tutta la sua potenza, in ogni verso, nelle immagini metaforiche di cui è considerato e riconosciuto
    ad unanimità insuperabile maestro.
    Immagini d’alto nitore e nel contempo fragili: come le immagini dei sogni.
    Coinvolgenti le traduzioni di Enrico Tiozzo che ha saputo proporre la sua fatica fedele all’idea di Transtromer sulle traduzioni secondo cui ogni lettore
    ha la sua lingua. E in questa lingua egli traduce la poesia secondo il suo ambiente, secondo il mondo della sua fantasia…
    Maestro anche in generosità letteraria, Transtromer, per la libertà interpretativa e di accoglimento d’un testo che riconosce a ogni suo lettore.

    Gino Rago

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  3. Per me è come leggere Omero. Non ringrazierò mai abbastanza chi me lo fece conoscere: mi ha rimesso sulla retta via! Tratta gioia e dolore con la stessa distanza e verità; ha scolpito un linguaggio di metafore che sembra di stare sotto i fuochi d’artificio…

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  4. ubaldoderobertis

    In passato a proposito di Tomas Tranströmer avevo scritto: ” Ci sono Autori i cui versi leggo senza minimamente reagire. Altri, è il caso di Tranströmer, mi lasciano il gusto dell’immaginare grande e mi propiziano accortissime idee.”
    A distanza di tempo non posso non condividere tale affermazione, e devo essere riconoscente al Nobel 2011 se un critico dello spessore di Giorgio Linguaglossa, nel dicembre 2015, a proposito di una mia poesia, ha rilevato in:
    http://nazariopardini.blogspot.it/2015/11/ubaldo-de-robertis-acque-sotto-il-cielo.html
    “questa poesia di Ubaldo de Robertis non sarebbe stata possibile senza la lezione dell’ermetismo («risorgive parvenze») e quella di Tranströmer («argentei pesci dai quattro occhi sporgenti») e la lezione del verso libero del secondo Novecento italiano, ma quello che è più importante è che la poesia rivela una precisa cognizione dello spazio quadridimensionale dove la poesia è situata, come un bel vaso fiorito, disutile e misteriosa. Ed è questo il fine di una poesia: mostrare al lettore quanto essa sia disutile e misteriosa, impiegando il linguaggio per andare oltre di esso, per un significato che nemmeno il poeta sa che e quale sia.”
    Ubaldo de Robertis

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  5. Qualche tempo fa un signore in questa Testata mise in dubbio la statura di poeta di Tranströmer con argomenti triviali. Io solitamente sono paziente con tutti, anche con i poveri di spirito perché non sanno quello che fanno e dicono, però, davanti ad una tale arroganza dell’ignoranza, ho dovuto prendere la decisione di espellerlo dalla rivista telematica. Voglio dire che c’è un limite a tutto. Di Tranströmer bisogna parlare dopo che si sono lette per decine di volte i suoi versi, non prima. Come hanno detto poeti del calibro di Brodskij e Derek Walcott, qui siamo davanti ad una poesia che ha profondamente mutato il modo di scrivere versi in Occidente. Dopo di lui la poesia occidentale è cambiata.

    La dimensione simbolica della «porta» che si apre è quella centrale in Tranströmer, l’apertura della porta abbatte le barriere che si ergevano fino ad un istante prima, ed ecco che sorge una nuova visione, una nuova realtà che stava nascosta dentro un’altra realtà: «…Qualcosa di oscuro / stava presso la soglia dei nostri cinque / sensi, senza oltrepassarla». È la dimensione dell’«evento» che si annuncia in sordina, tra il vuoto e il pieno, in quella zona di penombra e di semichiarità: («Entrammo. Un’unica enorme sala, / silenziosa e vuota, dove la superficie del pavimento era / come una pista da pattinaggio abbandonata. / Tutte le porte chiuse. L’aria grigia»).
    Per Ortega y Gasset la realtà «è un enigma proposto al nostro esistere. Ritrovarsi a vivere è trovarsi irrevocabilmente immerso nell’enigmatico. L’uomo reagisce a questo enigma primario e pre-intellettuale facendo funzionare il suo apparato intellettuale, che è soprattutto immaginazione. Crea il mondo matematico, il mondo fisico, il mondo religioso, morale e poetico, che sono effettivamente “mondi”, perché hanno figura e sono un ordine, un piano. Questi mondi immaginari sono confrontati con l’enigma dell’autentica realtà e sono accettati quando sembrano aggiustarsi (ajustarse) ad essa con la massima approssimazione. Ma beninteso non si confondono mai con la realtà stessa».

    L’universo simbolico della poesia di Tranströmer è analogo a quello visibile a occhio nudo dalla nostra postazione di abitanti del pianeta Terra. L’analogia è data dal fatto che ciò che noi vediamo non è la realtà stessa ma una sua forma fenomenica, una serie di «simboli» cui accostiamo certi significati. Noi non vediamo altro che «simboli», le «cose» sono dietro i simboli, sono i simboli che illuminano le «cose» attraverso gli «eventi», quei rarissimi momenti nei quali possiamo scoprire il velo di Maja che li ricopre e li nasconde. Noi non possiamo accedere alle «cose» se non attraverso i «simboli» e i loro collegamenti molteplici. La metafora è la porta di collegamento con l’Enigma.

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  6. gabriele fratini

    Noioso come una sinfonia di Mahler. Qualche anno fa quando vinse il premio più ambito e fu noto al mondo (non si capisce come abbia fatto a cambiare la poesia occidentale dal momento che in Occidente è diventato famoso solo dopo il Nobel) mi entusiasmavo a leggere le poche poesie pubblicate in italiano, oggi più lo leggo più mi annoia.
    Un saluto.

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  7. caro Gabriele Fratini,
    in lingua inglese il poeta americano Robert Bly aveva tradotto tutto Tranströmer 30 anni prima che apparissero in Italia le prime traduzioni ad opera di Enrico Tiozzo.

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    • gabriele fratini

      Non conosco la realtà editoriale americana. So che T. era molto noto in patria (e regioni limitrofe) e molto sconosciuto in Italia. Evidentemente non siamo più così ricettivi di poesia straniera.

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  8. gino rago

    L’incontro con Transtromer, propiziato da G.Linguaglossa, è in grado di scatenare in noi una sorta di implosione morale, se non proprio spirituale, volta alla distruzione di ciò che è avvertito come sterile, inutile, superfluo. Si insinua una tensione a farsi nudi e puri, per passare per la cruna dell’ago. Un poeta del nostro tempo a tale meta può tendere scegliendo un ben preciso percorso linguistico. L’unico adatto a varcare
    “le porte chiuse” e “L’aria grigia” indicate nel suo commento da Giorgio L.
    Allora bisogna mettersi alla ricerca di una lingua. Una qualunque lingua o solamente quella che all’Io consenta d’essere “un Io poroso”, pronto in ogni istante a smarrire i suoi contorni, a mettersi in disparte quando si rivela o si manifesta la visione poetica, lasciando tutto lo spazio all’opera, o che ancora qualcosa conceda a quell’altro “Io”, narcisisticamente incline a considerare i sentimenti personali?
    E questa lingua come accoglie il senso dello spazio e del tempo? E se, come T.T. scrive “La strada non finisce mai. L’orizzonte corre in avanti.”,
    questa lingua come si deve rapportare con la vita come viaggio, con la vita come sogno, con il mondo che è già una metafora, con l’arte della concentrazione, ecc.? Ma qui s’annega il pensier mio…
    E riaccolgo in me l’idea linguaglossiana della metafora tridimensionale come chiave di lettura del Nobel svedese perché l’immagine metaforica di questo Maestro non si limita a riflettere le cose, ma ne cattura l’essenza,
    l’autentica natura, nell’intersezione tra spazio come labirinto temporale e tempo come conformazione spaziale.
    L’impatto con una tale grandezza cambia davvero il corso della Poesia, imprime una svolta irreversibile a ogni ricerca poetica.
    L’Ombra delle Parole è autorevole anche per un incontro come questo, per
    una proposta di poesia come questa, in cui parola, musica e silenzio del poeta in noi “riposano come sbarre abbassate quando il mistero passa”

    Gino Rago

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  9. annamaria favetto

    certo che questo signor Fratini è presuntoso, e non la prima volta che fa magrissime figure… gaffes ecc. fosse umile nessuno lo additerebbe per quello che è, ma nol lo è e allora che si becchi qualsiasi cosa!

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  10. gino rago

    Traduzioni delle Opere di Tomas Transtromer in italiano:
    – Poesia svedese, a cura di Giacomo Oreglia, prefazione di Salvatore Quasimodo, Lerici Editori, Milano, 1966
    _ Camminando nell’erica fiorita. Poesia contemporanea scandinava
    a cura di Fulvio Ferrari, Lanfranchi Ed., Milano, 1989
    – Poeti svedesi contemporanei, a cura di Enrico Tiozzo, Ed. Bibò,
    Frosinone, 1992
    – Antologia della poesia svedese contemporanea, a cura di Helena Sanson ed Edoardo Zuccato, Crocetti Ed., Milano, 1996
    _ Tomas Transtromer, I ricordi mi vedono, prefazione e traduzione di
    Enrico Tiozzo, Frosinone, 1996
    – Otto poeti svedesi contemporanei, Sanson-Zuccato, “Poesia”, 1996
    – Lirica scandinava del dopoguerra. Voci e tendenze più significative,
    a cura di Gianna Chiesa Isnardi, Istituti Editoriali e Poligrafici
    Internazionali, Pisa-Roma, 1997
    – Tomas Transtromer, Poesie, prefazione di Stanislao Nievo, traduzione di Giacomo Oreglia, Centro Nazionale di Studi Leopardiani, Recanati, 1999
    Ecc.
    N.B. Il Nobel per la Letteratura è stato conferito a Tomas Transtromer nel 2011.
    Gino Rago

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  11. annamaria favetto

    signor Fratini,
    lei appartiene a quella categoria diffusissima definita “ignoranza culturale” – il signor Rago è stato esauriente – Lei non ha una visione né alta né profonda della cultura e tanto meno europea: saper trrovare un poeta dove si deve trovare è una conoscenza che lei non avrà mai- E la smetta di fare battute, anzi continui a farle: è l’unica cultura che ha.
    Sconosciuto lo svedese:? – affatto! Io potrei farle l’elenco di decine di poeti di grande talento degli ultimi 50 anni, ma sarebbe come gettare perle ai … e poi con gli sciocchi non bisogna perdere tempo. E poi s’ullumini da solo, se ne è capace: non credo lo sia, poi che è una certezza oggettiva che tutti coloro che lo leggono ne sono perfettamente persuasi. Risponda adesso con altra battuta…
    amf

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    • gabriele fratini

      “saper trrovare un poeta dove si deve trovare” è ciò che definisce un poeta per addetti ai lavori. I poeti famosi (non dico grandi, ma famosi) si trovano in libreria sullo scaffale Poesia, o in biblioteche generaliste.
      Transformer, prima di essere un film e un cartone animato (visto che ama le battute…), era appunto uno dei mille poeti stranieri pubblicati nella nicchia di Crocetti.

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      • gabriele fratini

        …E poi sa che le dico cara Favetto, mi ha scocciato, non leggo un libro al giorno per farmi dare dell’ignorante culturale (?) da una Favetto qualsiasi, perciò la esorcizzo con le giaculatorie del Favetto…

        Sia lodato e benedetto
        il santissimo Favetto.

        Lodata sempre sia
        Favetto Annamaria.

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  12. Salvatore Martino

    Ho preso alla lettera il suggerimento di Linguaglossa e letto e riletto le poesie di Transtromer, anche quelle pubblicate in precedenza. Francamente ancora una volta non mi hanno entusiasmato, nonostante quella che mi appare una splendida traduzione di Tiozzo. Avverto, ma non sono un avveduto critico, una certa monotonia sia nelle immagini, nei contenuti , ma anche stilisticamente: molto spesso un soggetto e un predicato,e innumerevoli descrizioni di paesaggi, che solo talvolta diventano trasfigurati.Tutto l’entusiasmo di Linguaglossa, nonostante l’Io che deborba in questi versi e da lui così tanto aborrito, l’entusiasmo dicevo che lo conduce ad affermare che il poeta svedese ha influenzato tutta l’attuale poesia dell’occidente, mi sembra come minimo esagerato, quasi Transtromer fosse stato E.A. Poe o C. Baudelaire o E. Pound o T.S. Eliot o il tanto vituperato da un commentatore dell’Ombra Francesco Petrarca, il quale influenzò davvero e per secoli la poesia europea. Certamente un buon poeta , per me, il Nobel svedese ma non quel genio che mi vogliono far credere alcuni stimabilissimi amici. Salvatore Martino

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  13. Salvatore Martino

    Si può anche stigmatizzare quello che afferma un qualsiasi individuo ma mi sembra almeno semplicemente educato evitare gli insulti: non voglio difendere Fratini, che sa farlo benissimo da solo, “ma gettare le perle… e poi con gli sciocchi non bisogna perdere tempo” cara signora Annamaria Favetto mi sembra un tantino eccessivo, come l’appellativo Principessa sul Favetto da parte di Frattini. Mi auguro che non ricominci su questo blog la pessima abitudine di qualche tempo fa di diatribe e insulti. La cattiveria o la crudeltà e il dissenso nel rispetto e nella cortesia sono sempre accettabili. Mi auguro che il nostro Maestro Linguaglossa sia d’accordo. Salvatore Martino

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    • ubaldo de Robertis

      Sul richiamo al rispetto reciproco sono assolutamente d’accordo con Martino.
      Per quanto riguarda Tranströmer io lo ricordo con il massimo rispetto anche per tutto il tempo che ha dovuto convivere con i danni prodotti dall’ictus.
      Se Brodskij ed Heaney hanno sempre speso parole importanti rivelando che si sono avvalsi degli insegnamenti del poeta svedese, questo dovrebbe far riflettere circa la sua grandezza.
      Ubaldo de Robertis

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      • gabriele fratini

        Da parte mia basta polemiche, anzi offro volentieri a Annamaria il calumet della pace, pur essendo non fumatore… più di così…
        Saluti a tutti.

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  14. gino rago

    Gentile Salvatore Martino,
    – sulla poesia di Tomas Transtromer (lo han già ricordato Linguaglossa e De Robertis) non la pensano come te in tanti, compresi Wislawa Szymborska, Seamus Heaney, Iosif Brodskij.
    – L’Io poetico di T.T. è L’ “Io poroso” e non l’Io narcisistico di casa nostra.
    – L’influenza di T.T. si registra su scala planetaria e soprattutto in Polonia e negli USA ove Transtromer è diventato un autentico cult-poet.
    – Perfino nei capolavori di Derek Walcott la critica competente ha ravvisato
    influenze transtromeriane sul piano della concentrazione linguistica e della facoltà di creazione di forza immaginativa. Un esempio:
    ” (…) Lenta la vela perde di vista le isole.
    La guerra dei dieci anni è finita.
    La chioma di Elena, una nuvola grigia…” da Omeros
    – Quanto al petrarchismo nella e sulla poesia italiana, ti invito a leggere
    la lettera del 13 settembre 1826 di Giacomo Leopardi all’editore Stella di Milano. Da quell’istante il Recanatese guardò a Dante Alighieri, affrancandosi definitivamente dalle Rime di Petrarca.
    Tutto per la verità storica e letteraria. Ma nel pieno mio rispetto per il tuo gusto poetico.
    Gino Rago

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  15. Salvatore Martino

    Parto dall’ultima tua affermazione gentilisssimo Rago intorno alla lettera di Leopardi all’editore Sella del 1826. E’ vero il Recanatese afferma di essersi affrancato dalle Rime di Francesco Petrarca ma intanto nel !828 scriveva a Silvia dove le reminiscenze petrarchesche sono ancora evidenti
    versi che cito nel ricordo:

    ” Di speranza m’empieste et di desire
    quand’io parti’ del sommo piacer vivo,
    ma il vento ne portava le parole”

    “Non era l’andar suo cosa mortale
    ma d’angelica forma, et le parole
    sonavan altro che pur voce umana”

    E ancora nel Passero solitario del 1829 :

    Passer mai solitario in alcun tetto
    non fu quant’io, né fera in alcun bosco

    e il volgo, a me nemico et odioso
    (chi pensò mai) per mio refugio chero,
    tal paura ò di rimanere solo

    per finire .
    Canto Notturno del 1829

    i miei dì fur sì chiari or son sì foschi,
    come Morte che ‘l fa. Così nel mondo
    sua ventura à ciascun dal dì che nasce.

    Mi pare che Leopardi, nonostante le sue stesse affermazioni, continuasse ad attingere alla fonte del poeta aretino ( io ho citato solo i pochi versi che più ricordavo) mentre del suo tributo al dettato Dantesco non mi pare, ma forse sbaglio per ignoranza, di riscontrare molti dati.
    Tornando a Transtromer ho seguito alla lettera il suggerimento di Linguaglossa e ho letto e riletto i suoi testi ,anche quelli pubblicati nei precedenti blog, tradotti benissimo da Enrico Tiozzo, e alcuni ancora nell’edizione di Crocetti. Devo candidamente confermare la mia impressione:mi appaiono abbastanza ripetitivi sia nei contenuti che stilisticamente. spesso versi assertivi o descrittivi con un incipit del soggetto e un predicato verbale e complementi oggetto. Ma siccome mi picco di essere umile, di fronte alle affermazioni entusiastiche di tanti validi esponenti della poesia mondiale chino il capo, non lo cospargo di cenere,e tornerò a vagare nei meandri del Nobel svedese alla ricerca di una comprensione che ancora non mi è giunta. Un’ultima notazione non so che cosa sia l'”Io poroso”, anche se forse lo intuisco in contrapposizione all’Io narcisistico. Su l’Io e l’Altro rimango a Freud a NIetzche e a Lacan e forse il “poroso” rientra in questa linea.
    P.S.
    Sopra la chioma di Elena e la guerra durata dieci anni preferisco di gran lunga il poemetto di Ghiannis Ritsos. Salvatore Martino

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  16. Pubblico qui alcuni stralci di un articolo di Sabato Scala, un ricercatore che ha studiato e teorizzato una Teoria dell’Unificazione, dei modelli di simulazione neurale. In quest’ultimo ambito ha condotto ricerche e proposto una personale teoria dei processi cognitivi e immaginativi suggerendo, sulla base della teoria di Fisico tedesco Burkhard Heim e del paradigma olografico, la possibilità di adozione del suo nuovo modello neurale per la rappresentazione di qualunque processo fisico classico o quantistico.

    Assumo, dallo scienziato, il concetto di “modello di retroscena” per comprendere il modo di funzionamento del nostro sistema neurale ma anche quello di una forma poesia che si muova secondo lo stesso concetto: tenendo presente un “mondo di retroscena” che sta dietro il mondo dei fenomeni quantistici e il concetto di “vuoto superfluido” che opererebbe secondo il modello neurale del cervello umano. Questa nuova prospettiva cambia tutto il modo di intendere le funzioni delle immagini nella poesia di Tranströmer e nella migliore poesia contemporanea. Le immagini rispondono sia ad un “mondo di retroscena” sia a quello di “avanscena”, si situano nel mezzo, entrano in comunicazione istantanea con entrambi questi mondi. La poesia resta come sospesa nel vuoto, nella dimensione di un vuoto superfluido.

    «Sono ormai quotidiane le notizie su nuove prove scientifiche a favore dell’esistenza di un substrato causale e di un “mondo di retroscena” che sottende ai fenomeni quantistici.

    Esiste, quindi, una sorta di tessuto sottostante che definisce il modo in cui la particella agirà una volta “osservata” attraverso lo strumento di misura.

    Onda pilota di Bohm disegno. Sparisce, quindi, la casualità assoluta connessa al collasso della funzione d’onda ovvero all’evento della “Misura” che determina un passaggio con caratteristiche del casuali ed imprevedibili di una particella, dal mondo della meccanica dei quanti a quella classica.

    Questo salto di qualità non rende, però, ancora chiara la direzione che stanno prendendo i ricercatori e la convergenza tra diversi studi e ricerche, che ha subito una particolare accelerazione proprio tra la fine del 2014 ed il 2015.

    Il “Mondo di retroscena” di Prigogine e di Bohm, stà avanzando a sempre maggiore velocità, prendendo la nitida forma della reintroduzione di un mezzo di “trasmissione” dell’informazione a effetto istantaneo (come quello previsto dalla “onda pilota” di Bohm) sparito all’inizio del secolo scorso: l’Etere.

    La forma con cui questo “scomodo intruso” è ritornata è quella degli studi sui superfluidi e sulla sempre più probabile natura fluida, o meglio “superfluida” del vuoto.

    Alcuni lavori che ho già segnalato già in passato anche su Altrogiornale, e che oggi sono ancora assai poco conosciuti e studiati, figureranno tra pochi anni tra i “classici” della fisica come vere e proprie pietre miliari per uno storico e radicale cambio di paradigma.

    Ve ne sono tanti e tutti assai recenti, ma tra questi mi piace citare, oggi, “Physical vacuum is a special superfluid medium” di Valeriy Sbitnevi, pubblicato il 13 maggio 2015 su “Selected Topics in Applications of Quantum Mechanics“.

    Questo lavoro è intimamente collegato alla pubblicazione di “Scientific American” e all’esperimento che conferma la natura Bohmiana della quantistica.

    In esso, infatti, Sbitnevi mostra come il modello “superfluidico” del vuoto, ed in particolare le equazioni di Navier-Stokes, che descrivono la dinamica macroscopica dei vortici e dei moti nel fluidi, siano una diversa forma matematica della interpretazione Bohmiana della MQ e della “onda pilota” .

    In altre parole un Etere in forma di vuoto superfluido è, matematicamente, affine all’interpretazione di Bhom della equazione di Schroedinger.

    Precisiamo ancora meglio il concetto perché non sfugga il salto di qualità che si stà compiendo.

    Il Vuoto Superfluido e la interpretazione di Bhom coincidono e il “Mezzo” che consente di diffondere ovunque e istantaneamente l’informazione di correlazione che da vita ai fenomeni di entanglement quantistico.

    I fenomeni della meccanica dei quanti sono, quindi, matematicamente ricavabili dalle equazioni che descrivono il modo vorticoso in un superfluido.

    A questo rilevantissimo e naturale secondo passaggio si aggiunge il terzo ancora più rilevante sul quale mi sono soffermato sia nel nostro libro “La Fisica di Dio”, sia negli articoli divulgativi che ho pubblicato su Altrogiornale e che può essere compreso senza grande sforzo, sfogliando gli articoli relativi alle ricerche sperimentali sui superfluidi.

    Alcuni lavori, sempre recenti, infatti propongono l’uso di un modello noto con nome di “Vetri di Spin”, e quindi del modello di Ising, ovvero di una estensione del modello neurale di John Hopfield, per modellare sostanze in stato superluifo come l’Elio 3.

    In particolare i Vetri di Spin e, di conseguenza un modello affine alle reti neurali di Hopfield, è adoperabile per descrivere matematicamente bene le dinamiche e i vortici in una sostanza superfluida.

    Non ci vuole molto a comprendere che questi studi portano a ritenere che il passo tra una descrizione “NEURALE” dell’Elio 3 e quella NEURALE DEL VUOTO superfluido è brevissimo. In altre parole, il salto che attendevamo per riportare al centro un modello deterministico (seppure nei termini indicati da Bohm) connesso alla natura neurale del vuoto è alle porte.

    Ma torniamo al modello proposto da Bohm.

    Esso è intrinsecamente olografico, ovvero prevede che l’informazione sia distribuita in modo uniforme ovunque, in tal modo consente la “Istantaneità” della propagazione delle correlazioni attraverso una “onda pilota” e, con essa, l’istantaneità dei fenomeni di entanglement.

    Karl Pribram, con le sue sperimentazioni sulla retina dei gatti, ha mostrato in laboratorio quanto era già stato reso noto dalla matematica delle reti neurali: il cervello opera in modo intrinsecamente olografico. A questo punto il cerchio si chiude.

    Il modello olografico che Bohm cercava e che non era riuscito a trovare, è quello neurale di Hopfield, o se si vuole é il modello di Ising che descrive le dinamiche del vuoto superfluido.

    Le conseguenze della scoperta che il vuoto e i meccanismi della gravità quantistica operano con le stesse leggi ed equazioni che governano il nostro cervello, appaiono straordinarie e fantascientifiche anche a una mente profana ».

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  17. Salvatore Martino

    Sì, ma dopo? Salvatore Martino

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  18. Salvatore Martino

    Ho notizia che Brodskij carissimo Rago considerasse grandi poeti, e da essi influenzato, Achmatova e Cvteaeva, Auden, Kavafis, e R.M.Rilke, Boris Pasternak…non ho trovato riferimenti a Transtromer, ma certamente da qualche parte esisteranno. Anch’io considero grandissimi i citati, che leggo e rileggo senza mai stancarmi. Salvatore Martino

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  19. La tridimensionalità, anzi la quantistica della “metafora”?

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  20. Giuseppina Di Leo

    Non ricordo se l’ho già detto, ma comunque preferisco in questo caso ripetermi: la poesia di Tomas Tranströmer mi ha affascinata fin da subito, esattamente dal 2011.
    Annotavo su un foglietto:
    Sono attratta dalla sua teoria della “polivocità” della parola poetica, grazie alla quale rifugge dagli standard comunicativi e per una certa affinità che sento con il mio modo di scrivere e pensare la poesia.

    Notturni bianchi / si prestano all’ascolto / fugacemente – haiku mio del 4 nov. 011, leggendo il servizio sul poeta svedese su Poesia n. 265 – nov. 011.

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  21. antonio sagredo

    Caro salvatore martino, chi ti ha dato l’informazione Brodskij-Pasternak; e come mai non hai citato Brodskij-Mandel’stam?

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  22. Esiste un limite al di sotto del quale il nostro universo può funzionare? La risposta di Planck è “sì”: le lunghezze minime di tempo e di lunghezze minime di spazio secondo la teoria di Planck operano a livello subatomico e costituiscono il tessuto di quel vuoto superfluido che presupporrebbe l’esistenza dell’universo.

    Ora, penso che dobbiamo supporre le “immagini”, ad esempio in poesia, come delle unità minime di tempo e di spazio configurabili in una certa cultura e, all’interno di essa, in una certa poetica.

    La capacità di ricezione di un cervello è determinata da una informazione, ed è quindi limitata da abitudini e cliché culturali. Dobbiamo quindi fare uno sforzo per ampliare le nostre capacità di ricezione di immagini non convenzionali secondo la teoria dell’informazione.

    Facciamo un esempio: poniamo di essere degli osservatori di oggi posti in un futuro tra 100 anni e di leggere una poesia o di guardare un quadro che saranno creati 100 anni dopo di noi. Ecco che a quel punto noi non capiamo affatto nulla di ciò che leggiamo e che vediamo. Appunto perché non abbiamo vissuto la distanza di quei 100 anni. È un paradosso che ci può aiutare a capire che cosa succede con la questione della freccia del tempo. Se siamo qui a bordo della freccia del tempo, non possiamo essere anche là (sempre a bordo della freccia del tempo). Così la metafora e l’arte che viaggiano a bordo della freccia del tempo.

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  23. Annalisa

    Non nascondo di aver conosciuto T.T. dopo che gli fu assegnato il premio. Da allora però non ho mai smesso di leggerlo. Non sono in grado di citare suoi versi a memoria e quindi la mia è una conoscenza incompleta, ma credo che l’essenza del suo lavoro poetico mi abbia raggiunto pienamente.
    Mi sembra che l’Io di T. non sia mai invadente, che si mescoli alla realtà tramite azioni ed eventi non “speciali”. L’io non è anullato, (ascoltarlo è l’unico modo che abbiamo per poterci esprimere), ma T. sa interpellarlo nella giusta maniera, cosciente, sempre, dell’esistenza di un mondo esterno che va per conto proprio. Per questo mi è permesso entrare nei suoi testi, prendere in prestito il suo “IO.” Un caro saluto a tutti . Annalisa

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  24. ubaldoderobertis

    Mi piace che l’ambiente umanistico acquisti sempre più la consapevolezza su come la fisica contemporanea può produrre revisioni, alterare radicalmente la concezione che si ha sul mondo, l’idea del tempo, dello spazio e della loro relazione con la materia. Se si vuole tuttavia evitare possibili conflitti emotivi è utile ricordare che con la meccanica quantistica entrano in ballo concetti quali quello di probabilità (o casualità, intesa nel senso più vasto), e si afferma l’ancora più complessa relazione d’indeterminazione(principio di Heisenberg). Il risultato di un’osservazione può essere espresso soltanto in termini d’una distribuzione di probabilità. Ma se i numeri quantici di un sistema sono grandi, l’ammontare quantitativo d’incertezza diventa insignificante e i numeri riferentisi alla probabilità possono essere trascurati. Ciò vale per noi esseri umani! E solo quando i numeri quantici del sistema osservato sono piccoli, è il caso dei fenomeni subatomici, allora l’incertezza determinata dal principio di Heisenberg riguardo alle posizioni e ai momenti delle masse del sistema diventa significativa. Questo in relazione al principio di indeterminazione definito in termini di costante di Planck, h,( un numero che si riferisce al quantum d’azione di qualsiasi oggetto o sistema di oggetti). Questo quantum, che estende all’energia(e alla luce) l’atomicità della materia e dell’elettricità, è piccolissimo. Non prescindendo da tali considerazioni si può esaminare se e in che modo la quantistica sia scientificamente rilevante per l’uomo nei suoi momenti più creativi. Per fortuna la Fisica è una scienza vera e non ha ha bisogno. come avviene ad esempio per la medicina, di una sorta di scienza alternativa.
    Ubaldo de Robertis

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