POESIE SCELTE DEL POETA LITUANO EDUARDAS MIEŽELAITIS (1919-1997)  Presentazione e traduzione di Paolo Statuti “L’oceano”, ” Le cascate del Niagara, ovvero a passeggio con Walt Whitman”, ” Iperbole”, “L’Elmetto e il Crespigno”, ” L’uomo”

Eduardas Mieželaitis manifestazione politica comunista Lituania

manifestazione politica comunista Lituania

Dal 1940, anno in cui fu invasa dall’Armata Rossa e annessa all’Unione Sovietica, la Lituania per 50 anni è rimasta separata dal mondo. Moltissimi scrittori furono costretti a emigrare. Ma le idee della libertà e dell’indipendenza, anche se manifestate attraverso allusioni e metafore, sono state sempre presenti nella coscienza degli scrittori di questo paese. Nella produzione letteraria lituana pre-indipendenza (riconquistata nel 1990) prevaleva l’impostazione ideologica. Storie di guerra, dopoguerra e tematiche relative alla realtà industriale. Tra i primi che contribuirono con i loro scritti a liberarsi dal realismo socialista ci furono diversi poeti, tra i quali Eduardas Mieželaitis.
Nacque a Kareiviškis il 3 ottobre 1919 e morì a Vilno il 6 giugno 1997. Raggiunse la notorietà a metà degli anni ’40, diventando uno degli autori più popolari nella Lituania Sovietica del dopoguerra. Poeta di grande talento, svolse un ruolo rilevante nella rinascita della qualità e della struttura lirica della poesia lituana. Amalgamando gli elementi folk tradizionali e le tecniche moderne associate al simbolismo e all’espressionismo letterario, Mieželaitis aspirava a creare una sintesi delle forme poetiche: versi canonici e versi sciolti, prosa e dialogo, musicalità e dissonanza. Egli intendeva la poesia come un mezzo per esplorare il significato e lo scopo dell’arte, e come relazione tra l’artista e la realtà. E’ considerato il principale innovatore nello sviluppo della letteratura lituana.
Esponendo il suo credo in una delle sue biografie, Mieželaitis dice: “Dimmi come consideri l’uomo e ti dirò chi sei. In altre parole – quali sono i tuoi principi umani e quale grado di umanesimo hai raggiunto. Perché l’uomo è un continente inesplorato verso cui punta costantemente l’ago della bussola umanistica.” L’autore analizzando l’uomo rivolge particolare attenzione alle sue mani: se le mani creano, o distruggono. “Le mani – dice Mieželaitis – rivelano l’uomo, dicono tutto di lui. Quanto egli ha creato e quanto ha distrutto.”
Molto belle sono le sue poesie dedicate ad Adam Mickiewicz e a Mikolajus Konstantinas Čiurlionis (1875-1911) – il Pittore della Musica, molto legato alla Polonia e soprattutto a Varsavia. Di lui Romain Rolland (1866-1944) ha scritto: “Mi è difficile esprimere a parole l’eccitazione che questo straordinario artista ha suscitato in me, come uno che non solo ha arricchito l’arte della pittura, ma che ha anche ampliato il nostro orizzonte nella sfera della polifonia. E’ un continente spirituale del tutto nuovo e Čiurlionis è il suo primo Cristoforo Colombo.” Da alcuni critici egli è considerato un precursore di Kandinskij.
Molti versi di Mieželaitis sono nati dai suoi numerosi viaggi. Dalle impressioni riportate nei suoi viaggi in Italia, scaturiscono le sue personali interpretazioni della pittura e della scultura italiane (Giotto, Beato Angelico, Leonardo, Michelangelo). Il tema dell’eterno circolo della natura (unificazione e differenziazione) nonché nella vita spitituale dell’uomo sotto ogni latitudine, è il costante e inseparabile motivo che svolge un ruolo fondamentale nelle poesie scritte da Mieželaitis nella seconda metà della sua vita.
Tra le sue raccolte poetiche ricordiamo in particolare: Tėviskes vejas (Vento del luogo natale, 1946), Svetimi akmenys (Pietre straniere, 1957), Žmogùs (Uomo, 1962), Lyriniai etiudai (Studi lirici, 1964), Antakalnio barokas (Il barocco di Antakalnis, 1971), Postskriptumai (Post scripta, 1986).
Presento qui alcune poesie di Eduardas Mieželaitis. Questa volta, non conoscendo il lituano e benché io sia restio a tradurre da una lingua intermedia, mi sono servito della versione inglese non rimata, preferendola a quella polacca, nella quale i poeti-traduttori hanno conservato spesso le rime esistenti, costringedoli in tal modo a creare soluzioni alternative rispetto alla letteralità dei testi originali.
Eduardas Mieželaitis 1

Eduardas Mieželaitis

L’oceano

Oceano!..
Vecchio come il nostro mondo è l’oceano,
anche i poemi che gli hanno dedicato sono vecchi,
eppure è sempre in movimento,
in perpetuo movimento,
e io mi sento come un’isola fusa nel suo stampo.
Lo ammetto, ci ripetiamo, siamo banali,
forse dopo tutto siamo infantili,
ma perché non paragonare la vita umana al mare?
Se le nazioni e la gente sono paragonate a isole,
perché allora non essere avvicinate al mare?
I poeti ci hanno giurato: “La vita è un oceano senza fine”,
ma bagnata nelle pozzanghere delle proprie lacrime.
Perciò noi sveliamo l’ingannevole idea
di navigare soli attraverso l’oceano
dimenticando le nostre paure…

Che incantevole elemento!
Osservando il suo moto che lascia senza fiato,
perfino affrontando i suoi venti vuoi restare,
perché il sapore del suo sale ti affascina,
e l’inno delle sue onde continui a sentire
come in una conchiglia…

Rigirati, oceano!
Tu ancora non hai provato tale libertà e sollievo…
Anche se alcune navi giacciono immobili nei tuoi fondali,
più nuovi vascelli – tuo orgoglio – accolgono la brezza…
Rigirati, o marosi di popolo!
Rigirati, umanità oceano!

Cosa io sono non lo so:
una piccola barca o un’isola, cioè qualcosa di solido,
non importa, o vita diletta, non risparmiare il mio cuore,
percuotilo come roccia con le tue onde senza sosta…

Io ammiro l’elevata umanità oceano,
io mi rallegro dei suoi flutti che lambiscono i continenti.
Che qualche snob tratti pure con scherno questa nozione,
ma per me la vita – l’umanità – e l’agitato oceano
è un’immagine che non invecchia mai,
essa offusca molte altre
tutte apparentemente nuove e audaci…
Rigirati, o mare pieno di vita!
Rigirati, o marosi di popolo!

Guarda, con mani di poetica devozione
noi terremo la madre Terra in movimento,
in perenne movimento…

Eduardas Mieželaitis cover

Le cascate del Niagara, ovvero a passeggio con Walt Whitman

1.
Stretta, come le parole nei sonetti, nella sua cornice di rive,
obbedendo ai canoni, scorre l’epica acqua del fiume,
come gli eventi in perenni poemi, come l’albero
della canoa che portava Hiawatha,
e come il fumo grigio del tabacco contorto dal vento,
che si levava nella quiete del meriggio dal suo calumet;
lenta come un tempo la Santa Maria di Colombo
veleggiava adagio, nella brezza medioevale.
Ed ecco, a un tratto, l’orlo del precipizio…Come un esercito
spinto in flussi umani a una guerra fratricida,
precipita a piombo nell’abisso e con fragore
rombano le trombe marziali.

2.
Ma ora al diavolo l’armonia,
al diavolo i canoni –
nessuna penna potrebbe frenare il ritmo dell’acqua.
Al diavolo i versi,
qui non servono a nessuno,
perché nel chiasso e nel tumulto del torrente
non li sentirebbe neanche il più sensibile orecchio.
Qui i versi devono essere assordanti come il tuono
o, almeno, come salve di cannoni,
perché qui legioni di acqua sfrenata sono in guerra.
Al diavolo anche la logica,
poiché qui prevale l’illogico
e nulla è rimasto delle regole geometriche.

Qui la forza prende il sopravvento.
La brutalità esce furiosa in superficie,
calpestando i deboli coi suoi piedi.
Qui domina una selvaggia massa irrompente,
qui di acqua infuria una guerra civile.

Qui le razze acquatiche
nera e bianca, rossa e gialla si mescolano,
e la democrazia della Natura trionfa.
Acqua e parole
sono bianchi e neri, rossi e gialli democratici
che infrangono l’intera struttura dei vecchi canoni,
infrangono le eterne e armoniose dittature,
creando un caos monumentale.

Qui non udrai mai il flauto del pastore.
Qui i tamburi rombano e le trombe di ottone erompono.
Ma sopra tutto questo inferno pende nell’aria
la colorita armonia del cielo –
l’arcobaleno
che incorona l’argentea testa di Walt Whitman,
il re del caos, il filosofo e il satiro,
mentre dalla sua nivea barba come briciole di pane
si versano sonore parole:
“And mind a word of the modern –
the word En Masse.”

Io dico a Walt Whitman:
una sola parola, come individuo, non ha senso,
perché non può mai vincere in nessuna battaglia.
Oggi vincitrici saranno le parole en masse –
eserciti di parole, brigate e legioni di parole,
movimenti di parole, rivoluzioni e rivolte,
e nascerà una nuova società di parole, parole – democratici,
un nuovo sistema democraticamente organizzato.

Questa cascata di parole
non può più essere stretta
nei confini dei giambi, dei dattili e così via,
perché ci sono troppe parole – intere masse di parole,
e per controllarle altre leggi e sistemi sono richiesti.
I loro versi originano dalle piene del fiume,
dalle raffiche di vento, dal sordo frastuono dei torni
e dallo schianto dei tuoni.
Il loro ritmo è l’asimmetria,
la pulsazione del disordine
che dominano in Natura.
Ma da questo caos emergerà
una magnifica caotica armonia.

E le parole prenderanno il colore da tutte le razze umane,
dalla terra, dall’acqua del mare, dall’erba e dall’acciaio.
E sopra la caotica massa d’acqua del Niagara
splenderà la bianca arruffata testa del vecchio Walt Whitman,
il grande Pan della poesia.

3.
Agghindo i miei versi come una bambola;
le faccio le trecce di rime,
e la lascio andare graziosa e linda,
bene acconciata come la testolina di mia figlia,
in perfetto ordine – una vera bambola.

Ma a volte come un giovane puledro essa scalpita,
all’improvviso prende un’altra strada,
e allora la poesia si scatena,
tanto che neanche Aleksandr Blok
avrebbe potuto tenerla a freno.

Ma ha senso comprimerla in rigidi canoni,
nel loro corto letto di Procuste,
se le metafore si mostrano e i versi ignorano la scansione,
se l’immagine, sguainata la spada, vuole sfidare il canone
e lottare finché uno dei due non soccomba?

Vale la pena restringere l’amplitudine del ritmo?
Dobbiamo sempre seguire la regola comune
e tessere come gli altri bardi – Dio onnipotente! –
continuare a tessere, spaventati dalle novità,
attorno all’asse giambo-trocaico?

Ora ditemi: i fiumi frequentano forse il giambo?
E la brezza si serve dei giambi?
Ditemi: ogni cosa che attraversa il cosmo
sembra forse anche di poco un nostro giambo terrestre
o un nostro trocheo? – ditemi, vi prego!

Allora perché dobbiamo ridurre la scala di un poema?
Lasciamo alla nostra poesia completa libertà.
Agghindo a volte la mia poesia, se necessario,
la pettino, perché sia in ordine, prima di mostrarla!
Ma in realtà la poesia-bambola non fa per me!

4.
Sono tornato alle mie rive, voi direte…
Sì, è vero!
I vortici, la cascata
formano quest’epoca.
Ma tornare dalla cascata
non è come tornare
alla massima velocità della Santa Maria,
o alla canoa di Hiawatha,
o al fumo contorto del suo calumet.

Qui il ritorno
è quello di un cavallo uscito dalla battaglia,
che tende nervosamente tutti i muscoli.
Nel nostro caso, il ritorno è accompagnato
dai ricordi del vortice della cascata.

Un fiume che precipita da un dirupo
scorre più lento, ma non ritorna.
E così noi abbiamo due canuti poli
sulle opposte rive del fiume:
il cieco Omero dai capelli bianchi
e Walt Whitman dai capelli bianchi.

Uno con le sue foglie di lauro,
l’altro con le sue foglie d’erba –
entrambi hanno verdi corone,
e attraverso il Niagara
si tendono la mano.

Eduardas Mieželaitis 2

L’Elmetto e il Crespigno

Accanto a un tronco marcito
Bagnato dall’acqua di una fonte
Un elmetto arrugginisce, afflitto,
E su di esso, temerario,

Come un audace alpinista
Si arrampica un vermetto. Vicino
Un uccellino esamina la spiaggia
Dove pensa di costruire il nido.

Le ultime schegge di ghiaccio
Si sciolgono e si mutano in rivoli.
Ma quale fiore nell’erba
Al vecchio elmetto si stringe?

Da sotto il suo cerchio di acciaio
Lo guarda un fragile crespigno.
Sfioragli il capo con la mano –
E’ vivo – imperituro…

Iperbole

Cos’è il cielo?
Cosa sono le stelle? Non sono semplici occhi blu?
Cos’è la luna? Non è un sopracciglio a forma di arco?
Non sono i tuoi tratti che nella mia poesia nascono
Disegnati nello spazio, e lasciati nei cieli a splendere?

Io disegno nello spazio
Il tuo viso effimero
Dalle stelle, dall’aria – con le tinte del tramonto,
Coi trilli dell’usignolo – una parodia
Di un poeta bambino che piange tristemente.

Disegno
Il tuo viso effimero dal nulla,
Dallo spazio, dal tempo, dai fulgidi tragitti degli uccelli,
Dai suoni, dal lampo, dalla pioggia, dal vento, dalla neve
E dai più astratti punti nel labirinto delle galassie.

Io posso sentire
La tua liscia pelle dipinta coi colori dell’aria,
Il mio occhio è attratto dal blu del tuo sguardo,
Il mio quadro ha il tuo profumo – il profumo
Del lillà che danza al chiaro di luna.

Ho appeso il ritratto
Qui, nel mio solaio,
E lo imploro di restare, come sogno che svanisce.
No, non è poeta chi non deruba i cieli,
Non è pittore chi non aggiunge le stelle ai propri colori.

Cos’è il cielo
Se le stelle sono i tuoi occhi e la luna – il tuo sopracciglio,
Il tramonto – le tue labbra che fluttuano come visione.
Il tuo immenso, immenso effimero ritratto
Disegnato da niente nello spazio
E’ il mio cielo!

L’uomo

Noi con due piedi sul globo della Terra.
Noi con due mani tese alla sfera del Sole.

Così tra il globo della Terra
e la sfera del Sole
io
sto…

Tonda è la mia testa – come il globo della Terra –
nel cui centro – come strati di carbone e metalli –
si trova il mio cervello che non vale di meno.
Io lo scavo
e ricavo
dall’acciaio
ogni genere di mezzi giganteschi:
treni
che collegano paesi lontani
tra loro,
navi che solcano gli oceani con ogni tempo,
aerei
che superano l’uccello in volo,
missili
veloci quasi come la luce
e rapidi
come il volo del mio pensiero…

Tonda è la mia testa – come la sfera del Sole –
dal cui centro nelle quattro direzioni
stupendi raggi si riversano:
essi alimentano la vita sulla Terra,
vi incoraggiano la nascita perpetua…

Cos’è la Terra?
Cosa vale senza di me?

…Un tempo una gigantesca e misera palla senza vita
vagava nelle sconfinate distese dello spazio…
La luna come specchio di notte da lontano
rifletteva la sua faccia brutta e butterata…
In miseria allora mi ha creato
e ha foggiato la mia testa come il Sole e la Terra…
La piccola palla – cioè la mia testa – è maturata in fretta,
ha superato il grande globo della Terra
e ora serve come suo asse permanente…
Quando è successo di ubbidire alle mie mani
Io ho rivelato la sua sorprendente bellezza…
E’ la Terra che ha creato me quindi
ma sono io
che l’ha rimodellata e l’ha resa
più nuova, più giovane e più splendida
che mai…

Coi miei piedi saldamente posati sulla Terra
e le mie braccia sempre tese verso il Sole,
io sto
come un ponte
che unisce la Terra
e il Sole
lungo il quale
verso la Terra
il Sole scende,
lungo il quale
verso il Sole
la Terra sale…

Tutte le splendide creazioni
io le ho foggiate dalla madre Terra
con le mie mani ingegnose,
non smettono mai di girarmi intorno
come una giostra variopinta…

…Le guardo girarmi intorno:
città con ponti e piazze,
case con ascensori e scale.
autovetture come insetti sulle ruote,
strutture di cemento e acciaio.
Vedo girare intorno alla mia testa veloci aeroplani,
e intorno ai miei piedi lunghi treni,
transatlantici che solcano acri
di mare e di oceano,
trattori e torni
che si muovono ruggendo,
io vedo lasciare le mie mani
come colombi in volo
molti satelliti e astronavi…

Di bell’aspetto, forte, di spalle larghe –
come un ponte che unisce la Terra
e il Sole –
io sto
al centro
del pianeta
irradiando sorrisi di luce solare
in tutte e quattro le direzioni.
Questo sono io –
l’uomo.

paolo statuti

Paolo Statuti

Paolo Statuti è nato a Roma il 1 giugno 1936. Nel 1963 si è laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Roma. Nello stesso anno è stato assunto come impiegato dalle Linee Aeree Italiane Alitalia, che ha lasciato nel 1980. Nel 1975, presso la stessa Università romana, ha conseguito la laurea in lingua e letteratura russa ed altre lingue slave (allievo di Angelo Maria Ripellino). Nel 1982 ha debuttato in Polonia come poeta e nel 1985 come prosatore. E’ autore di numerose traduzioni letterarie pubblicate (prosa e poesia) dal russo, ceco e soprattutto dal polacco nella lingua italiana. Ha collaborato con diverse riviste letterarie polacche e italiane. Nel 1987 ha pubblicato in Italia due libri di favole: “Il principe-albero” e “Gocce di fantasia” (Edizioni Effelle di Marino Fabbri). Una scelta di queste favole è uscita anche in Polonia con il titolo “L’albero che era un principe” (”Drzewo, które było księciem”, Ed. Nasza Księgarnia, Warszawa, 1989).
Dal 1982 al 1990 ha lavorato presso la Redazione Italiana di Radio Polonia a Varsavia, realizzando molte apprezzate trasmissioni prevalentemente letterarie. Nel 1990 ha ricevuto il premio annuale della Associazione di Cultura Europea – Sezione Polacca, per i meriti conseguiti nella divulgazione della cultura polacca in Italia.
Negli anni 1991-1997 ha insegnato la lingua italiana presso il liceo statale “J. Dąbrowski”di Varsavia ed ha preparato l’esame scritto di maturità in questa lingua, a livello nazionale, per conto del Provveditorato Polacco agli Studi.
A gennaio del 2012 ha creato un suo blog: musashop.wordpress.com, dedicato a poesia, musica e pittura, dove pubblica anche le sue traduzioni di poesia polacca, russa e inglese. Negli ultimi anni sono uscite in Italia nella sua versione raccolte di poesie polacche di: Marek Baterowicz, Małgorzata Hillar, Urszula Kozioł, Ewa Lipska, Halina Poświatowska, Konstanty Ildefons Gałczyński, Anna Kamieńska. Di prossima pubblicazione: Anna Świrszczyńska e Tadeusz Różewicz. Della poesia russa: Aleksander Puškin, Boris Pasternak e Osip Mandel’štam. A gennaio del 2016 è uscita la sua prima raccolta di poesie “La stella errante” (Ed. GSE).
Pratica anche la pittura (olio e pastello) ed ha al suo attivo 9 mostre personali in Polonia, dove risiede da molti anni.
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20 risposte a “POESIE SCELTE DEL POETA LITUANO EDUARDAS MIEŽELAITIS (1919-1997)  Presentazione e traduzione di Paolo Statuti “L’oceano”, ” Le cascate del Niagara, ovvero a passeggio con Walt Whitman”, ” Iperbole”, “L’Elmetto e il Crespigno”, ” L’uomo”

  1. Ancora una volta un grazie a Paolo Statuti, instancabile traduttore e calzolaio della poesia (che per me è il più grande complimento) per averci dato in prima assoluta la traduzione di queste poesie del poeta lituano Eduardas Mieželaitis.
    Certo, in questi versi circola un’aria familiare, ci muoviamo in un orizzonte tematico e stilistico a noi noto. Sicuramente, si può parlare oggi di poesia europea, la poesia è dall’Ottocento un fatto europeo, ciò che si muove in Lituania non è differente da ciò che si muove in Portogallo; la poesia è stata da sempre una fraterna amica dell’Eurolandia, in più, in questo poeta lituano c’è qualcosa che ci è affine, la nemicizia per la «poesia-bambola» e la volontà di costruire una poesia che contenga il ricordo di Omero e di Whitman. Progetto ambizioso, senza dubbio, forse destinato a fallire, anzi, senza il forse, è già fallito. Tuttavia, dalle ceneri di un fallimento spesso nascono nuove possibilità espressive, nuove potenzialità, e quindi ben venga un sacro santo fallimento, meglio un tentativo coraggioso che i passettini della «poesia bambola» che si fa oggi qui in Eurolandia, che non ci rivela nulla che già non sapessimo; meglio tentare un grande passo in avanti, con il rischio di inciampare e cadere e rompersi l’osso del collo, che i piccoli passettini dei post-minimalisti nostrani che non hanno nulla da dirci che già non sapevamo.. E allora ben venga Eduardas Mieželaitis con il suo Grande Progetto:

    Io dico a Walt Whitman:
    una sola parola, come individuo, non ha senso,
    perché non può mai vincere in nessuna battaglia.
    Oggi vincitrici saranno le parole en masse –
    eserciti di parole, brigate e legioni di parole,
    movimenti di parole, rivoluzioni e rivolte,
    e nascerà una nuova società di parole, parole – democratici,
    un nuovo sistema democraticamente organizzato.

  2. Caro Giorgio, accetto con piacere la tua nomina a calzolaio della poesia, e mi candido anche come sarto, barbiere e giardiniere – tutti mestieri utili e soprattutto legati all’Estetica, come lo è la Poesia. 🙂

  3. Che nessuna penna, nessuna mano, forse nessuna diga possano fermare o possano fermare a lungo il corso dell’acqua è un dato di fatto, ma cosa ce ne facciamo di tutta quell’acqua ferma? uno stagno di grandi proporzioni ottimo ricettacolo di zanzare?

  4. caro Almerighi,
    sai, la storia la scrivono le Istituzioni, gli storici delle istituzioni. e fin quando tiene un assetto economico e sociale e istituzionale, tengono anche i rappresentanti culturali e artistici. tout se tient. Prima o poi verrà qualcuno a far crollare la diga. Nel 410 D.C. arrivarono i goti di Alarico e fecero piazza pulita. Solo che il Vescovo di Roma concordò che i goti non entrassero a saccheggiare le Chiese e le proprietà della Chiesa ma si limitassero a saccheggiare le ville dei patrizi e dei benestanti. Insomma, prima o poi arrivano i barbari e fanno piazza pulita. A quel punto tutto precipita nel letamaio della storia. e tutti staremo più tranquilli. Io continuo a fare il calzolaio, Statuti a fare il sarto, Sagredo a fare il fachiro… e tu?

  5. Steven Grieco-Rathgeb

    Aspettiamo a braccia aperte i Goti, e perché no, anche i Vandali. Speriamo solo di non rimanere troppo a lungo in un’epoca tutta protesa alle suggestive atmosfere “Deserto dei Tartari”

  6. Giuseppe Panetta

    La Poesia è Storia. La Storia è Poesia. Arriverà lo tsunami, prima o poi, e cambierà la Storia e cambierà la Poesia.

    Rigirati, o mare pieno di vita!
    Rigirati, o marosi di popolo!

    Guarda, con mani di poetica devozione
    noi terremo la madre Terra in movimento,
    in perenne movimento…

  7. Giuseppe Panetta

    Ora, Steven Grieco mi è diventato Rathgeb, forse di gomma arabica (?) o una villa del ‘ 500, un Museo, oppure un qualche guru indiano; Giorgio Linguaglossa il “ciabattino della poesia”. Non è già una rivoluzione in essere ?

  8. Salvatore Martino

    Lo straordinario umorismo di Panetta mi riconcilia persino con questo poeta lituano, ricordando Buzzati e Valerio Zurlini. Salvatore Martino

    • Giuseppe Panetta

      Caro Salvatore, il poeta MIEŽELAITIS mi sembra di valore. Bisogna, ovviamente, inquadrarlo nel periodo storico, e riuscire a capire attraverso le sue metafore la denuncia che attua verso il regime comunista.
      Vi sono moltissime parole chiave che ritornano nei testi qui presentati e che Paolo Statuti (grazie) ha tradotto tralasciando le assonanze e le rime che sicuramente in lingua originale impreziosiscono il testo.
      Anche il riferimento a Whitman mi pare pertinente, anelito di libertà contro l’oppressione.

      De Palchi afferma che in America la maggioranza dei poeti scrive come Whitman (anche i giovani) mentre in Italia si scrive come Petrarca.
      Io Petrarca non lo sopporto, preferisco Boccaccio.

  9. Due punti potrebbero essere la chiave interpretativa (come stile) di queste poesie: “siamo banali” e il riferimento a Whitman. Poesie espanse, i cui valori – lirici o creativi – affiorano spesso. Quindi niente è banale: un modello non vuol dire imitare. Pur essendo all’opposto dei miei gusti, riconosco la bellezza quasi ‘sinfonica’ di molti versi.

  10. ubaldoderobertis

    Ringrazio Paolo Statuti perché continua a farmi conoscere autori dell’est europeo dei quali ignoravo persino l’esistenza. Ora è toccato a Miezelaitis poeta prolifico e per me molto valido. Sottolineo alcuni versi:

    “/Un tempo una gigantesca e misera palla senza vita
    vagava nelle sconfinate distese dello spazio…/
    La luna come specchio di notte da lontano
    rifletteva la sua faccia brutta e butterata…
    In miseria allora mi ha creato
    e ha foggiato la mia testa come il Sole e la Terra…
    La piccola palla – cioè la mia testa – è maturata in fretta,
    ha superato il grande globo della Terra
    e ora serve come suo asse permanente…
    /

    All’amico Paolo chiedo se conosce, ed eventualmente cosa ne pensa, di Sergej Zav’jalov, autore ben più giovane di Miezelaitis, è nato nel 1958, e che qualche giorno fa ha tenuto presso il Consiglio Regionale della Toscana una lectio magistralis dal titolo “Fissare gli occhi impassibili della disgrazia”, scritta in onore di Piero Bigongiari.
    Qualcuno afferma che un suo illustre predecessore è quel Gennadij Ajgi che ci hai fatto conoscere di recente su L’ombra delle parole. Ajgi è ciuvascio, questo proviene da una famiglia di mordvini, popolazione stanziata sul medio Volga.

    Saluti, Ubaldo de Robertis

  11. Caro Ubaldo, questa volta sei tu che mi indichi qualcuno. Ti ringrazio. Da quanto ho letto in internet mi sembra un poeta russo degno di grande considerazione. Qualcosa è stata tradotta in italiano da Paolo Galvagni. Non è escluso che in futuro faremo conoscenza.

  12. Salvatore Martino

    “Che qualche snob tratti pure con scherno questa nozione,
    ma per me la vita – l’umanità – e l’agitato oceano
    è un’immagine che non invecchia mai,
    essa offusca molte altre
    tutte apparentemente nuove e audaci…
    Rigirati, o mare pieno di vita!
    Rigirati, o marosi di popolo!”

    Anche qui mi pare di essere in una pomposa banalità.

    Altrove

    “Accanto a un tronco marcito
    Bagnato dall’acqua di una fonte
    Un elmetto arrugginisce, afflitto,
    E su di esso, temerario,
    Come un audace alpinista
    Si arrampica un vermetto. Vicino
    Un uccellino esamina la spiaggia
    Dove pensa di costruire il nido.”

    Mi sembra di avvertire che probabilmente nella lingua d’origine questi versi abbiano una cadenza musicale spiccata e forse persino una rima, fatto che potrebbe salvarli in qualche modo. Ne chiedo conferma a Statuti. Per quanto scrive il carissimo De Robertis continuo a vederlo, ma la mia stima per lui poeta è immutata, come un “benefattore dei poeti”…beato te Ubaldo che riesci a scovare poeti autentici dove io, miope e sprovveduto, vedo soltanto versificatori. Salvatore Martino

    • ubaldoderobertis

      Caro Salvatore,
      sono lieto che hai allontanato il discorso dalla mia poesia, e che “la tua stima per me poeta è immutata”, questo perché non sono così indulgente verso me stesso come mi capita nei riguardi degli altri. Così mi resta soltanto la vocazione ad essere “benefattore dei poeti anche di quelli che sono soltanto semplici versificatori.” Certo una scala di valori dopo ogni lettura, anche non volendo, uno in testa se la fa. E’ che ogni volta mi sforzo di cogliere il buono (nel senso di valido) che credo di scovare in ogni composizione. Da giovane non era così. Mi riferisco anche ad altri settori, compreso il sesso. Venuto a conoscenza ( o in contatto) di un qualcosa, immediatamente prevaleva l’istinto di schiacciare l’ideatore, il primo impulso era quello di presentargli il conto per le cose che non condividevo e che ritenevo mi avessero deluso. Quel bisogno di superiorità si è andato via via spegnendo. Ora, tornando alla poesia, non è che io mi senta attratto da qualsiasi scrittura mi venga proposta, forma, contenuto ecc. Se trovo profondità in certi versi sollevo il capo dal foglio e raddrizzo lietamente la schiena*. Stai tranquillo, è successo più volte con le tue poesie, non certo perché sono, l’etichetta non mi è sgradita, un benefattore.
      Ubaldo de Robertis
      * a proposito di schiena stasera ce l’ho a pezzi.

      • Salvatore Martino

        Dopo queste tue accorate parole carissimo Ubaldo la mia stima per te Uomo è certamente cresciuta, quella del poeta loa sai è alta e immutata. Purtroppo io non sono riuscito a fare il tuo percorso di saggezza e con l’età sono diventato sempre più intransigente e talvolta persino spietato, ma sono convinto che in poesia non è necessario fare sconti o tessere indulgenze. salvatore Martino

  13. Mia bella, tutta la struttura,
    tutta la tua sostanza mi va a genio,
    tutta arde dal desio di farsi musica
    e tutta è bramosa di rime…

    (Boris Pasternak, Trad. A.M. Ripellino)

    Salvatore, come ho scritto nel breve testo di presentazione, gli originali sono rimati (forse non tutti). Questa volta ho voluto di proposito evitare le rime, rispettate dai poeti-traduttori polacchi, per non incorrere in eventuali modifiche del testi lituani.

    • Salvatore Martino

      Caro Statuti mi era sfuggita l’ultima notazione tua che si riferiva alle traduzioni inglese e polacca con la diversità del rimato o meno. L’avevo intuito che nel lituano ci fossero musica e rime e questo mi riporta alla mia convinzione di quanto sia difficile trascinare la poesia da una lingua all’altra , con tutti i fraintendimenti che comporta, soprattutto sul significante e di conseguenza anche sul significato. Salvatore Martino

    • Salvatore Martino

      Caro Statuti mi era sfuggita l’ultima notazione tua che si riferiva alle traduzioni inglese e polacca con la diversità del rimato o meno. L’avevo intuito che nel lituano ci fossero musica e rime e questo mi riporta alla mia
      convinzione di quanto sia difficile trascinare la poesia da una lingua all’altra , con tutti i fraintendimenti che comporta, soprattutto sul significante e di conseguenza anche sul significato. Salvatore Martino

  14. antonio sagredo

    carissimo Almerighi,
    tu scrivi compiaciuto:
    “io ho deciso di darmi al crimine”, ma non sarai mai un criminale… darsi al crimine non significa compierlo, è il contrario di quelli che dicono: “viviamo per vivere, e non per prepararci a vivere”; ma questo Ganimede – dal fronte della scialuppa – è molto capace, ma non basta: si coglie la poesia anche nell’erba, basta inchinarsi e coglierla, ma non vogliono abbassarsi… il Poeta non dice mai di pregiudizi e di stereotipi altrui, altrimenti pettegola, è il momento quando li distrugge in se di procedere..
    comunque la Poesia italiana promette bene, ma non basta: bisogna che la base non sia dispersiva altrimenti tutto crolla compreso il cinismo che lasciamo agli sciocchi…
    as
    —————————-
    pure la Morte lo adorava risentita,
    come se avesse la mia sostanza sottratta a lei l’immortalità!
    2016

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