Cinema Azzurro Scipioni (Roma, via degli Scipioni, 82 martedì, 9 febbraio 2016 h. 18.30, seguirà cocktail) – Presentazione della Antologia bilingue, testo italiano a fronte, “POEMS” di Antonio Sagredo,  Chelsea Editions, New York, traduzione di Sean Mark; intervengono: l’Autore, Donato Di Stasi, Giorgio Linguaglossa, Letizia Leone – Lettura dei testi: Michelangelo Firinu – Accompagnamento musicale: Andrea De Martino. Per informazioni: (0039) 3393446073 – – – Antonio Sagredo DUE POESIE “La gorgiera di un delirio mi mostrò la Via del Calvario Antico” e “La soglia del duende” con Commento di Giorgio Linguaglossa e Autocommento dell’autore – “LEstraneo (Unheimlich)”, “La poesia di Sagredo, atto «incipitario» e «atto fondativo»”, “Frantumare il patto federativo che lega la parola al referente e la parola al significante”, “Nelle poesie di Sagredo noi sediamo in platea mentre sulla scena ha luogo una recita”

Cinema Azzurro Scipioni (Roma, via degli Scipioni, 82 martedì, 9 febbraio 2016 h. 18.30, seguirà cocktail) – Presentazione della Antologia bilingue, testo italiano a fronte, “POEMS” di ANTONIO SAGREDO,  Chelsea Editions, New York (2015), traduzione di Sean Mark; intervengono: l’Autore, Donato Di Stasi, Giorgio Linguaglossa, Letizia Leone – Lettura dei testi: Michelangelo Firinu – Accompagnamento musicale: Andrea De Martino. Per informazioni: (0039) 3393446073
antonio sagredo teatro abaco1971 skomorochi (4)

antonio sagredo teatro abaco1971 skomorochi con A.M. Ripellino

Antonio Sagredo (pseudonimo Alberto Di Paola), è nato a Brindisi nel novembre del 1945; vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove  risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: «Malvis» (n.1) e «Turia» (n.17), 1995, Zaragoza.

La Prima Legione (da Legioni, 1989) in Gradiva, ed.Yale Italia Poetry, USA, 2002; e in Il Teatro delle idee, Roma, 2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile. Come articoli o saggi in La Zagaglia:  Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in Rivista di Psicologia Analitica, 1984, (pseud. Baio della Porta):  Leone Tolstoj – le memorie di un folle. (una provocazione ai benpensanti di allora, russi e non); in «Il caffè illustrato», n. 11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il Teatro degli Skomorochi, 1971-74. (A.   Di Paola) (una carrellata di quella stupenda stagione teatrale).

Ho curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema :Tumuli di  Josef Kostohryz , pubblicato in «L’ozio», ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e Kateřina Zoufalová; i poemi:  Edison (in L’ozio,…., 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in «L’ozio», 1988) di Vitězlav Nezval; (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová). Traduzioni di poesie scelte di Katerina Rudčenkova, di Zbyněk Hejda, Ladislav Novák, di Jiří Kolař, e altri in varie riviste italiane e ceche.

Recentemente nella rivista «Poesia» (settembre 2013, n. 285), per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori: Otokar Březina- La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Ot. Brezina a Antonio Sagredo),  trad. Alberto Di Paola e K. Zoufalová. Nel 2015 pubblica  Poems Chelsea Editions di New York, antologia bilingue con testo a fronte in italiano.

Antonio sagredo teatro politecnico-1974

Antonio Sagredo teatro politecnico-1974

Commento di Giorgio Linguaglossa

La poesia di Antonio Sagredo è un evento irriducibile che si inserisce nel mondo. Un atto che per eventualizzarsi deve pescare nelle profondità dell’Estraneo (Unheimlich) in quanto, come scrive l’autore, «le maschere si somigliano». La sua è una poesia che sembra quasi vivere in un limbo a-storico. Come ho scritto altre volte, l’impiego degli aggettivi (mai dimostrativi o qualificativi di una sostanza) è volto a stravolgere e a sconvolgere la sostanzialità e la stanzialità del discorso poetico. Sarà bene dire subito che la poesia di Sagredo non è poesia pura, non riposa sull’atto poetico in sé, non abbandona mai i significati particolari delle parole nemmeno quando alza il diapason della significatività fino agli orli dell’incomprensibile e dell’indicibile.

Scrive Octavio Paz ne “L’arco e la lira”: «Un’opera poetica pura non potrebbe esser fatta di parole e sarebbe, letteralmente, indicibile. Nello stesso tempo un’opera poetica che non lottasse contro la natura delle parole, obbligandole ad andare oltre se stesse e oltre i loro significati relativi, un’opera poetica che non cercasse di far loro dire l’indicibile, risulterebbe una semplice manipolazione verbale. Ciò che caratterizza un’opera poetica è la sua necessaria dipendenza dalla parola tanto quanto la sua battaglia per trascenderla».

Il discorso poetico di Sagredo è fondatore di un evento: un mondo surrazionale e incipitario. Vuole fondare l’arché, il principio, si pone all’origine della Lingua come se dovesse modellizzarla secondo una nuova logica illogica, seguendo la logica perlocutoria dell’atto fondativo, ma per far questo essa paga un altissimo pedaggio di indicibilità e di incomunicabilità. Sarebbe incongruo chiedere all’evento fondativo sagrediano di porsi nella secondarietà della comunicazione, in essa non c’è comunicazione ma fondazione, non c’è mediazione tra un destinatore e un destinatario ma un atto, come detto, incipitario del senso.

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C’è un insieme ballerino e convergente:
sono i numeri dei versi e i versi dei numeri,
curvatura dei versi, curvatura dei numeri.
Sublime finzione l’infinito! La sua maschera… finita!

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Solitudine della logica: punto del non-ritorno.
Solitudine del paradosso: punto del ritorno.
Da punto del non-ritorno al punto del ritorno,
dal ritorno del punto al non-ritorno del punto.

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Solitudine del punto.
Solitudine del ritorno.
Solitudine della linea.
Solitudine dell’insieme.

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L’inizio non ha fine all’inizio della fine!

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È un atto poetico che vuole situarsi all’inizio della costruzione della Lingua, in una solitudine assoluta ed eroica. È un atto maniacale e spasmodico, incipitale e magmatico.

Ogni atto «incipitario» è un «atto fondativo». La poesia di Sagredo va letta in quest’ottica: come ogni fondazione di città, traccia il decumano e il cardo e le innumerevoli vie trasversali che li attraversano. Anche nella poesia sagrediana si pone il medesimo problema di disseminare i sensi e le direzioni di senso ai fini dell’orientamento nella Città del Verbo. Sagredo sa bene che in ogni atto fondativo di parola si cela il Teatro della Rappresentazione, un rito, un altare (divelto), un logos (rimosso), un messaggio (tradito) ove il parlante è contraddetto e contraddistinto dalla parola parlata. La parola sagrediana assume la forma di una erotecnica, è sospinta da un desiderio di parola che vuole rimettere la parola al centro della scena della rimozione e del tradimento (di qui l’abbondanza nella sua poesia di armi bianche, di scene di tradimento, di sanguinamenti, di oltraggi etc.). La poesia sagrediana è una rappresentazione teatrale di un teatro finto, posticcio, bislacco, è una parola di cartapesta e di ceralacca; una parola consunta e infingarda che guarda con orrore e dispetto al discorso poetico che crede ingenuamente di risolvere il conflitto tra il conscio e il rimosso, tra il tradimento e la fedeltà, tra il soprasuolo e il sottosuolo con il semplice ricorso ad una parola referenziale che tradisce un concetto federativo tra discorso poetico e reale (visto come una serie di oggetti che stanno di fronte al parlante e che il parlante deve rispecchiare).

Antonio Sagredo copPrimo intento di Sagredo è quindi frantumare il patto federativo che lega la parola al referente e la parola al significante, il tacere al parlare, il parlare al tacere visti come soluzioni non accettabili ed insufficienti; secondo intento è rimescolare l’ordine e il disordine delle parole, considerate quali frattaglie algebriche della impossibilità di attingere un senso o una direzione di senso nella Città del Verbo. Lo scompaginamento, lo scassinamento e il caos verbale che ne conseguono sono il diretto risultato di un atteggiamento quasi donchisciottesco del poeta che si rivela impagliatore di frasari, fustigatore di parole, allibratore di scommesse perduteOltraggiatore di quisquilie, posteggiatore di improperi, fustigatore di imperatori. È l’irruzione nel Discorso della Ragione Poetica, dell’Estraneo, dell’Alterità, del Simbolico, dell’Immaginario direbbe Lacan, della barra in-significante, della traccia perduta e dimenticata. Forse, Antonio Sagredo è più prossimo ad Amleto di quanto si immagini, discetta sulla orditura del cosmo nel mentre che prepara il suo delitto di cartapesta. Forse, l’Utopia di Sagredo è un sogno, il sogno della uccisione del totem del Padre, sopprimere l’Estraneo…

Leggiamo una breve poesia di Antonio Sagredo:

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La gorgiera di un delirio mi mostrò la Via del Calvario Antico
e a un crocicchio la calura atterò i miei pensieri che dall’Oriente
devastato in cenere il faro d’Alessandria fu accecato…
Kavafis, hanno decapitato dei tuoi sogni le notti egiziane!
Hanno ceduto il passo ai barbari i fedeli inquinando l’Occidente
e il grecoro s’è stonato sui gradini degli anfiteatri…

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La poesia parla di una «gorgiera»? (elemento di una vestizione seicentesca che appariva immediatamente sotto il collo maschile, simbolo di nobiltà e di elevato censo sociale); ma la «gorgiera» è un attante di specificazione di un’altra parola chiave del testo: «di un delirio». Qui, subito all’inizio, troviamo una sineddoche, si nomina una parte del tutto per indicare il tutto; è quindi «il delirio» il centro del motore simbolico della poesia, ma appena leggiamo le parole seguenti del primo verso, ci accorgiamo che «la gorgiera» è diventata il soggetto che mostra che «la Via del Calvario Antico», qui si tratta di un accenno semantico alla crocifissione di Gesù, ma è appena un accenno, perché subito dopo si parla di «un crocicchio» dove «la calura» fa una cosa strana, Sagredo usa il verbo neologismo «atterò» (che non sappiamo che cosa possa significare ma che richiama alla mente una serie di accezioni semantiche secondarie). Dunque, siamo arrivati alla metà del secondo verso e già le cose si presentano maledettamente complicate. Ma che cos’è che «attera» (forse nel senso di atterrare, azzerare, sopprimere) «i miei pensieri»?. E qui di nuovo riemerge l’io spodestato dalla «gorgiera» del primo verso la cui presenza viene sottintesa nella declinazione alla prima persona dell’io poetante: «i miei pensieri». A questo punto veniamo informati che «che dall’Oriente […] «fu accecato» «il faro d’Alessandria». Il «faro d’Alessandria» si capisce subito dopo che è «Kavafis»…

Insomma, la poesia procede a zig zag, mediante espedienti del senso che straniano in continuazione il senso del testo, lo straniano appunto introducendo delle deviazioni continue. Il testo si presenta come una serie continua di deviazioni da una immagine, da una simbolica all’altra. La procedura sagrediana è questa: un infinito adeguarsi del senso. Sagredo fa con la mano sinistra quello che con la mano destra disfa; fa e disfa la tela di Penelope. È un falsario, un imbonitore e un rivoluzionario al tempo stesso, procede per tradimenti del senso e dell’orizzonte di attesa del lettore. Una instancabile ricerca di una traccia in direzione di una archi-traccia. Che non verrà mai trovata. Che non può mai essere trovata. Un Salvator Dalì della poesia italiana.

Nelle poesie di Sagredo noi sediamo in platea mentre sulla scena ha luogo una recita (non dimentichiamoci che Sagredo è stato attore ed è stato un ammiratore della poesia attoriale di Ripellino); nella recita Sagredo recita a soggetto. Ha in mente soltanto un canovaccio, sa a memoria soltanto alcune battute ma, al momento dell’entrata in scena, il canovaccio viene tradito, consegnato al pubblico e tradito. Sul palco del teatro si annuncia una messinscena, si allestisce uno spettacolo, si allestisce un parricidio simbolico che si risolve in un ossessivo, maniacale, spostamento degli oggetti e della suppellettile della casa paterna. Sagredo fa nella sua poesia ciò che Shakespeare ha fatto nell’Amleto, crea, e mentre che crea sente il bisogno di distruggere ciò che crea. È un cerchio simbolico che qui ha luogo. Un assassinio del Totem, sempre ripetuto e sempre rinviato. La poesia sagrediana diventa così un atto liturgico, regredisce a rito apotropaico. Sagredo decostruisce il testo nel momento in cui lo mette in scena o, almeno, nel momento in cui tenta di metterlo in scena.

antonio sagredo Politecnico Teatro 1974-skomorochi (2)

antonio sagredo Politecnico Teatro 1974-skomorochi

Antonio Sagredo La soglia del duende

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 Mi giunsero notizie come varianti mostruose da ogni luogo terrestre: l’orrore
non era più una novità per me, gli eventi sugli occhi battevano i ritmi delle visioni
recidive: catastrofi, apocalissi il nostro pane quotidiano… i tasti del duende scellerati:
Sono rose nere queste quotidianità, ma non sono le mie rose!

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Voi forse credete le croci meno mostruose delle scimitarre? I candelabri meno
mostruosi di quelle? Caroselli, giostre, morgue, obitori, mattatoi ad uso comune…
tutto o nulla fluisce dalla pianta dei piedi al midollo… meno cantavo più la canzone
mi era sonoramente insensata: fuoco del sangue! sangue del fuoco!

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Ho spremuto la Morte come un limone di primavera quel giorno romano che il silenzio
oscillava al canto del gallo come una banderuola gitana. Eloisa, meretrice di Siviglia,
batteva i quattro boulevards dell’arena, lei che era gobba come una prefica medievale
cantava Santa Teresa barocca dal volto più affilato di una falce!

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Sugli altari delle lagrime scrisse con dita di cera un epitaffio muliebre con gli stiletti
delle sue unghie arcuate … era famosa come la bambina dei pettini e gareggiava
con le ballerine di Cadice, e danzava al canto di Silverio l’emorragia dei gesti dai balconi
giudei dei fiori di sale… mirando del mio corpo il non agire… e poi non più.
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La soglia e la ferita mi contesero il poeta sulle scale delle lagrime: era la squillante
voce piombata degli zoccoli sul nero suono muschiato…un’aria con odore di saliva
di bimbo, di erba pestata e velo di medusa sotto nuovi portali di scoperta.
Ma contro la geometria del pianto mi truccavo con gesso di Ruidera!

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Roma, 10 ottobre 2015
antonio sagredo-1971

antonio sagredo-1971

Autocommento di Antonio Sagredo

 Caro Giorgio,

cerco di spiegarmi: Intanto dovresti sapere cosa è il duende. Se non lo sai dovresti leggere il testo di Federico Lorca del 1930: El duende teoria y juego. Il poeta assegna alla ispanità 4 linee come strade o boulevards, e sono: gitano, barocco, ebraico, romano.

la prima strofa:

a tutti giungono notizie da tutto il mondo e sono notizie tragiche colme di orrori di vario genere, si presentano, come visioni recidive (nulla al mondo è cambiato in meglio e tutto gli orrori si ripetono fin dalle nostre origini tant’è che è pane quotidiano!), al contrario del duende che non si ripete mai.

Il duende questa forza di cui si sa e non si sa la natura ci suona il cervello (midollo) dai nostri primordi e suona scelleratamente: il quarto verso mio è tratto dalla poesia “Me ne fotto” del 2011. “Rose nere” coincidono (non lo sapevo prima) con quanto ci riporta Lorca nel suo scritto su menzionato, citando una frase di un personaggio spagnolo, dice Lorca:” Manuel Torres pronunciò questa splendida frase <tutto ciò che ha suoni neri ha duende>“.

seconda strofa:

croci sta per cristianesimo; scimitarre sta per islamismo; candelabri sta per ebraismo . sono le tre religioni monoteiste e tutte e tre responsabili delle catastrofi e tragedie dell’umanità! Esse sono: caroselli morgue, ecc. alla portata di tutti, cioè tutti sono in grado di realizzare apocalissi! E il duende fluisce  in noi dalla pianta dei piedi fino al midollo (dal testo di Lorca), vuole significare che questa forza-nonforza penetra in noi e ci cambia e con la stessa tendenza se ne esce da noi! –(il duende non sta nella gola (Lorca) ciò significa che il poeta canta invano! e meno il poeta canta più il suono (nero) della canzone diviene insensato da non comprendere più dove sta il nostro fuoco e il nostro sangue: vuol significare che il duende (questa energia) è così padrona di noi che noi stessi non sappiamo più chi siamo.

terza strofa:

la terza strofa richiede obbligatoriamente la conoscenza del testo di Lorca. Giorno romano  (una delle quattro grandi strade della tradizione spagnola – Lorca)… banderuola gitana…; Eloisa, la meretrice personaggio reale di Siviglia… gobba come una prefica… che (mia versione) canta Santa Teresa, barocca, induendata (sovrassatura di duende!) al massimo grado! – Lorca nel testo ci dice che la Musa e l’Angelo non hanno alcuna importanza per il duende, che sta altrove e che è di altra natura!

E ci dice qualcosa di fondamentale importanza che riguarda il Poeta: il duende ama la lotta, anzi il duende è la lotta stessa!… “e questa lotta per l’espressione e per la comunicazione dell’espressione a volte acquisisce, in poesia, caratteri mortali”.(Lorca) – (frase che definisce i miei versi!).

quarta strofa:

“sugli altari delle lacrime…” chi scrisse con mano di cera? Fu la Musa vinta, dice Lorca. E Santa Teresa? (carne viva!), e  il Duende? E il Poeta? E la Meretrice? = la bambina dei pettini che gareggia (mia versione) con le ballerine di Cadice, elogiate da Marziale (Lorca)… al canto di Silverio (gran personaggio spagnolo reale, artista e compositore di musiche…)… balconi giudei… – “mirando del mio corpo il non agire… e poi non più”: (mio verso tratto dalla poesia del 2004 Ponte del suono)… e ho scoperto di aver detto qualcosa di stupefacente sul duende che non sapevo e cioè che il non agire – (scrive Lorca: ”Così, dunque, il duende è un potere e non un agire, è un lottare e non un pensare”).

quinta strofa:

Il duende sta ai bordi (soglia) , sta  alla ferita, e esso stesso bordo e ferita. Scrive Lorca :” Angelo e Musa scappano con violino o ritmo, e il duende ferisce, e nella guarigione di questa ferita, che mai rimargina, risiede l’insolito, l’inventato dell’pera umana”.

Il verso: … si contesero il poeta sulle scale delle lacrime (lacrime come ferite aperte, carne viva, voce del poeta che è errato che resti nella gola quando il duende è invece l’energia che dalla pianta dei piedi sale fino al midollo!)… si, ma giunge con suoni neri di zoccoli piombati? Suono del piombo! E infine del testo Lorca scrive :”Ma dov’è il duende? [è in] un’aria con odore di saliva di bimbo, di erba pesta e velo di medusa che annuncia il costante battesimo delle cose appena create”.

 Il mio verso finale:

Ma contro la geometria del pianto mi truccavo con gesso di Ruidera!

Che significa? È una uscita soltanto teatrale come di solito uso fare? Oppure no?

Scrive Lorca.”il duende è il sangue che  respinge tutta la dolce geometria appresa, che rompe gli stili… Che il duende bisogna svegliarlo nelle più recondite stanze del sangue”.

È tutto una serietà apparente, oppure no?

Di contro tutte le geometrie (“per cercare il duende non v’è mappa, né esercizio”, scrive Lorca) qui, del pianto (ma possono essere altre geometrie) io oppongo il trucco con gesso di Ruidera

(Ruidera, località lacustre nella arida regione di Castilla-La Mancha). Il trucco, per me, scompagina ogni classificazione geometrica della vita, per questo è una altra via che segna l’entrata trionfale del duende… sulla SOGLIA appare e tutto si inizia!

 

58 commenti

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58 risposte a “Cinema Azzurro Scipioni (Roma, via degli Scipioni, 82 martedì, 9 febbraio 2016 h. 18.30, seguirà cocktail) – Presentazione della Antologia bilingue, testo italiano a fronte, “POEMS” di Antonio Sagredo,  Chelsea Editions, New York, traduzione di Sean Mark; intervengono: l’Autore, Donato Di Stasi, Giorgio Linguaglossa, Letizia Leone – Lettura dei testi: Michelangelo Firinu – Accompagnamento musicale: Andrea De Martino. Per informazioni: (0039) 3393446073 – – – Antonio Sagredo DUE POESIE “La gorgiera di un delirio mi mostrò la Via del Calvario Antico” e “La soglia del duende” con Commento di Giorgio Linguaglossa e Autocommento dell’autore – “LEstraneo (Unheimlich)”, “La poesia di Sagredo, atto «incipitario» e «atto fondativo»”, “Frantumare il patto federativo che lega la parola al referente e la parola al significante”, “Nelle poesie di Sagredo noi sediamo in platea mentre sulla scena ha luogo una recita”

  1. gabriele fratini

    Devo esprimere il mio apprezzamento per le quartine del Venerabile Sagredo. Gira che ti rigira, alla fine anche la poesia neo-orfica e profetica del Venerabile si risolve in canzonette argute filosofiche e motti di spirito.
    Un saluto.

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    • Sagredo è un grande mattatore; i suoi versi soffrono la prigione della carta:vogliono uscire, parlare a voce alta,scontrarsi con la realtà.Le sue “rose nere” si sposano bene col “duende”,ma si avverte che la spinta verso la vita è, fortunatamente, più forte della loro suggestione,spinta che va verso le rosse rosse,il sangue,il frastuono assordante della vita.

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  2. Gino Rago

    Il dato che colpisce in queste poesie di Antonio Sagredo è la ricchezza lessicale. Parole che si snodano e si aggregano nei versi, per dirla con de Saussure, in una sorta di solidarietà sincronica che conferisce quel procedere zigzagante,
    come del resto avverte lo stesso Linguaglossa, ai componimenti sagrediani. I quali, per meglio e compiutamente esprimersi, richiedono la Voce giusta che dispieghi la vitalità espressiva chiusa dentro i versi. E’ poesia che va letta e riletta. Mi dolgo di non poter presenziare alla serata al Cinema Azzurro di Via degli Scipioni, proprio io che vivo prevalentemente a Roma.
    Mi perdo una ricca occasione, anche per l’elevata qualità dei relatori Di Stasi, Linguaglossa, Onofrio, Leone, tra i migliori interpreti della poesia contemporanea. Ma ad impossibilia…
    Gino Rago

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  3. Sarà una delle poche occasioni in cui il Venerabile non potrà presentarsi sotto falso nome. Buona riuscita di manifestazione.

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  4. antonio coppola

    Sono sulla linea di Linguaglossa quando dimostra coraggio di assegnare del “falsario e dell’imbonitore” a Sagredo; poi, aggiunge, che è pure un “rivoluzionario al tempo stesso” Rivoluzionario di che? Quale rivoluzione si vuole attribuire alla poesia di Sagredo? Per me è un marionettista, uno che crede di persuadere quei bambini sciocchi che sono i poeti. I corifei della risposta si accodono; vogliamo smettere di accordare solidarietà a poeti da niente, pasciuti di vento. Se andiamo di questo passo la poesia cesserà di parlare, si estinguerà; manichei di lunatiche ibridazioni. Pochissimi sono i poeti buoni che Giorgio presenta nel suo rinomato blog.
    antonio coppola

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  5. annamaria favetto

    Antonio Coppola ha ragione: ha così tanta ragione che s’è smarrito nella sua stessa ragione poi che, tra l’altro, incapace di penetrare e perciò comprendere i versi di Sagredo (come quelli di Borges p.e., poi che, infine, ha una cultura spicciola.
    Deve sapere, per stessa ammissione dei grandi poeti, cominciando da Dante che lo scrive aperatmente nell’Inferno: che i poeti sono dei falsari e ciarlatani (sulla scia di Platone che aveva terrore dei poeti!) e che per questo vanno venerati poi che hanno il coraggio del dire e del fare che le persone serie (Coppola, p.e.) non hanno… gentile Coppola, se ne faccia una ragione: lei è condonnato a parlare “seriamente” di poesia… di quella della provincia!, non certo della Grande Poesia che a Lei è negata per il Suo dna.
    saluti cari, e mi raccomando: si coccoli nel Suo benestare!

    annamaria favetto

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  6. Salvatore Martino

    Con tutto il bene, il rispetto, magari ammirazione che ho per Sagredo faccio una enorme difficoltà a digerire i suoi testi. Ci sono è vero frasi e parole folgoranti ma l’insieme mi sfugge nel suo complesso , nonostante le puntuali spiegazioni ( note a piè di pagina più corpose che non nella Commedia), nonostante conosca benissimo quello che Lorca ha scritto sul duende in una memorabile lectio magistralis a l’Havana. Sono sicuro dipenda dalla mia modestia di lettore , ma credo che molti dotati di una cultura non trascendentale si troveranno in difficoltà. Invidio Linguaglossa che penetra in tutti i meandri di codesta poetica. Anni fa mi sono trovato spiazzato dai Pisan Cantos e ho impiegato molto tempo per addentrarmi in quel labirinto, che poi in seguito è stata un po’ la mia Bibbia, che ha dato una svolta alla mia produzione poetica. Mi auguro che accada lo stesso con Sagredo. Salvatore Martino

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  7. antonio sagredo

    “Se andiamo di questo passo la poesia cesserà di parlare, si estinguerà …”… (la sua poesia)… ed è quello che voglio… capisce la rivoluzione!
    Ma resti indietro nel suo piccolo passato a rimuginarsi.

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    • ubaldo de Robertis

      Prima di tutto felicitazioni a Sagredo per la presentazione dei suoi “Poems” pubblicati dalla Chelsea Editions, N.Y.
      Per Antonio Sagredo, con tutti i suoi pseudonomi, potrei parafrasare quanto di se scrisse( o furono altri a scriverlo) Louis Borges:

      “Non sono sicuro di esistere, in realtà.
      Sono tutti gli autori che ho letto*
      Tutta la gente che ho conosciuto
      Tutte le donne che ho amato
      Tutte le città che ho visitato…
      Tutti gli antenati…

      * autori specie se dell’oriente slavo.
      **Antonio Sagredo non esiste.
      E’ stato inventato da un gruppo di poeti che poi hanno assunto un attore di secondo piano per dar vita al personaggio.

      Saluti. Ubaldo de Robertis

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    • Non esiste, purtroppo alcuna possibilità di rivoluzione, signor Sagredo. E’ solo una pia o una forsennata illusione questa. Il processo secondo cui è stata ordinata la nostra realtà è irreversibile, noi, poveri mortali, non possiamo mutarlo. Le strutture costitutive del nostro essere (e con esso della nostra mente, del nostro linguaggio, delle nostre sensazioni non sono modificabili per noi e da noi stessi.Il che, ovviamente non vuol dire che il mondo è solo grigio,ma ci sono gradazioni e sfumature in tutte le cose, in tutte le percezione e in tutti i sentimenti. La vita che ci è stata donata si avvicina, secondo il mio punto modesto di vista, più a una condanna che a “un dono”. La mente ordinatrice di Dio o il Demiurgo che gli gnostici indicano con il nostro demonio ha voluto così. Da tali strutture o gabbie, che dir si voglia, non possiamo evadere se non suicidandoci. La nostra mente e il nostro linguaggio e le nostre appercezioni e tutto ciò per cui siamo predisposti ad orientarci in questo mondo sono state predefinite una volta per tutte da un Signore che sta molto al di sopra di noi. Tentare di evaderle non porterebbe a nessuna nuova conquista se non al più assoluto caos, ad una nuova Babele, come ho già detto. Il nostro pensiero è messo in comunicazione con quello di altri perché esiste una parola alla quale assegniamo un significato che è dagli altri condiviso o compreso,
      In che consisterebbe dunque la rivoluzione? Nello smontare, spezzettare e distruggere quello che fin qui ha funzionato per inventare un sistema nuovo, molto più imperfetto del precedente? Il nostro linguaggio è, sì, nostro, noi abbiamo facoltà di perfezionarlo: come tutte le cose di questa terra è perfettibile. Noi possiamo scegliere più accuratamente o più accortamente le parole per il fine a cui vogliamo destinarle, ma non possiamo demolire le strutture ordinatrici della nostra mente, non possiamo deviare da tali binari. Da questa gabbia non si fugge. Sarebbe come scavarsi il baratro sotto i piedi o imboccare insensatamente un vicolo cieco, che non porta da nessuna parte. Ecco perché non mi trovo d’accordo con tali millantate rivoluzioni!
      E, comunque meglio stare a “rimuginare” sul proprio passato e su quello dell’intera umanità piuttosto che guardare a un futuro che non ci sarà.

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  8. Concordo con il giudizio di G.Linguaglossa e di Antonio Coppola sulla poesia di Sagredo, nonostante il parere decisamente discorde di Anna Maria Favetto. Parere che reputo infondato, data l’arbitraria interpretazione e di Dante e di Platone riguardo ai poeti e alla poesia.

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  9. Caro Ubaldo De Robertis,

    quando io parlo di un “atto incipitario e fondativo” intendo qualcosa che si avvicina molto a quello che tu scrivi. Antonio Sagredo è una sorta di reincarnazione di una quantità di qualità di altri poeti che si sono reincarnati in una personalità attoriale. Fatto sta che qui si apre un bel dibattito: o Antonio Sagredo è un commediante posticcio e bislacco della poesia, o è un rappresentante della schiera più alta e nobile della poesia che si fa oggi in Europa. Scelgano dunque i lettori. E ponderino i propri giudizi.

    Come ha confessato Salvatore Martino, entrare nei gangli della poesia sagrediana non è cosa semplice!

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    • ubaldo de Robertis

      Una volta di me scrissi: ora “che farai commediante struccato?”
      A Sagredo i versi fuoriescono fluenti inarrestabili, tutt’altra cosa della finzione! Un tumulto di pensieri e sentimenti che non sa e non vuole padroneggiare. La sua è poesia. Poi chi se la sente potrà entrare nel merito.
      Ubaldo de Robertis

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    • Salvatore Martino

      Carissimo Giorgio non solo nei gangli della poesia di Sagredo mi è difficile entrare ma a volte anche nei tuoi dottissimi commentari. Mi sembra che l’andare verso la semplicità, il favorire il lettore ad una comprensione del testo stia scomparendo.L’oscurità non è sempre poesia e temo che la critica dovrebbe porsi maggiormente il problema di esplicare a chi legge in maniera non così contorta e infarcita di citazioni che pochi conoscono. C’è un passo nella tua esegesi dei testi di Dagredo che mi preoccupa un po :
      “Sarebbe incongruo chiedere all’evento fondativo sagrediano di porsi nella secondarietà della comunicazione, in essa non c’è comunicazione ma fondazione, non c’è mediazione tra un destinatore e un destinatario ma un atto, come detto, incipitario del senso”.
      Io ho sempre pensato , e credo che nei secoli questo sia stato l’intendimento fondamentale, che l’arte qualunque essa sia debba avere un flio rosso con il fruitore, il destinatario del messaggio incistato nell’opera, in maniera che avvenga un transfert comunicativo tra chi crea e chi legge o guarda o ascolta. Parlare di Amleto mi sembra fuorviante: a Elsinore tutto appare chiaro nel suo mistero, come accade nel vero teatro dove la comprensione dello spettatore è conditio sine qua non. Dopo più di cinquant’anni di teatro penso di avere qualche strumento per riconoscerlo. Dirò di più persino la scrittura automatica dei surrealisti è più coinvolgente, più facile da penetrare e condividere, dato che nasce dal più profondo magma viscerale e quindi inconscio. Nei versi di Sagredo, ripeto alcuni persino straordinari, mi sembra di avvertire una costruzione intellettualistica, un gioco pour épater, una oscurità fuorviante, un disprezzo per un possibile dialogo con gli altri. Certo una disarmante solitudine. Salvatore Martino

      .

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  10. antonio sagredo

    OSCURITA’…. s’è dovuto difendere persino Leopardi, poveretto e attaccar briga con alcuni coglioni di intellettuali fiorentini! – Majakovskij che è chiaro e trasparente come un vetro….: ha dovuto difendersi, e pure Pasternàk che è più complesso ma le sue metafore brillano! e Federico Lorca, allora? – sempre a chiarire perfino ciò che non era chiaro pure a lui stesso. il duende! — e Machado, allora? – Che ne dite di Joyce!!!!!!!, che per me è cristallino da quando avevo 18 anni! – e tutti questi e tutto il resto erano dei guitti col proprio pensiero, dei giocosi.. perché non vi leggete “Esorcismo col riso” da poco da me pubblicato su questo blog! Era un matematico, un sublime filologo, futurista prima di tutti gli altri di cui fu Maestro, Chlebnikov! Massimo poeta del ‘900 – ma che cianciate di oscurità se la Poesia è fatta di oscurità! e di Luce e poi di Oscurità, e così via! Tornate a Dante! non ci capirete un cazzo: centinaia di versi che né De Sanctis né Sapegno e altri hanno mai saputo spiegare… Dante è oscuro per questo? NO! NO! NO! – Oscuri siete voi che non sapete vedere la luce… nell’OSCURITA’ !
    E al diavolo, per la madosca!
    —————————————–
    “Mi fate pena, voi, sprovvisti di visione!”
    (a.s. 1975)
    “Ho visioni, non occhi”
    (a. s. 2016)

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  11. nimia astre

    sagredo ma stai sempre qua, mamma mia.. eddai

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  12. antonio sagredo

    Invece di rispondere così (il che è segno di cervello vacuo e fatuo) rifletta sul quel che ho scritto… ma chiedo troppo a Lei poi che non è capace di riflettere: questo è tipico di chi non vive di luce propria. ma sono certo che quel che ho scritto, per Lei è peggio del cinese… in ogni secolo abbondano
    simili persone… che non hanno storia, di cui non resterà nulla, che non sanno nemmeno in quale secolo sono vissuti! Doveva rispondermi parlando di Poeti… è Lei che mi dà fastidio, come le zanzare!
    Ma non sa Lei il valore della libertà; e non è all’altezza di giudicare le mie scelte: vorrebbe per caso limitarmi? Io non vivo negli stazzi; ci vive Lei che ha necessità dei limiti! I tipi come lei sono come le zanzare che non si sa ancora perché esistono, pronte a pungere: sono come vampiri mal riusciti:
    se ne vada via Lei e il suo anagramma!
    Che pena mi fa, quali guasti procurate! nemmeno di ciò avete consapevolezza, vivete in un quotidiano mortale alla mercè dei pensieri altrui, avete soltanto al sicumera della Vostra inconsistenza.

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  13. Caro Antonio Sagredo,
    prima regola del blog è accettare i giudizi negativi sulla propria poesia. E questa è una regola che vale per tutti. Saper accettare un giudizio negativo o parzialmente negativo è proprio di un poeta maturo. In secondo luogo, è normale che chi fa poesia “nuova” come te deve aspettarsi valutazioni negative o parzialmente negative o parzialmente positive; l’applauso incondizionato quello lasciamolo ai poeti mediocri e ai poeti istituzionali. Basti dire che al tempo di Leopardi, un certo Ferrari era considerato il più grande poeta italiano, tradotto in tutte le lingue europee. Quindi, il problema della tua poesia direi che non fa problema, ma è un problema.
    Innanzitutto, va riconosciuto alla tua poesia la più grande ricchezza lessicale del Novecento, come ha giustamente notato Gino Rago, ma io direi di più: che l’elemento decisivo in favore della tua poesia sta nel fatto che tu sei tra i pochissimi poeti italiani che a proprio modo ha preso atto dell’esaurimento delle poetiche propulsive del secondo Novecento. Questo lo considero un punto centrale. E, di conseguenza, hai cercato una forma-poesia completamente diversa da quelle che sono state coltivate nel primo e nel secondo Novecento e in questi ultimi lustri. La tua forma-poesia getta nello sgomento, non è compresa, direi di più: non può essere compresa perché è nuova, è un fungo bianco in mezzo a una moltitudine di funghi grigi.
    Vero è che a volte la penna ti sfugge di mano e ti fidi troppo delle tue qualità cabbalistiche e balistiche, e quindi accentui e sovraccarichi di metafore, di ellissi, di catacresi e di immagini le tue poesie con l’effetto di depotenziarne il portato di novità. Ma, questo limite, diciamo, credo sia connaturato in tutti i poeti di rango, quello di un eccesso di produzione.
    Però, nelle due poesie da me selezionate, non mi sembra che ci sia nulla di Oscuro, di incomprensibile. Certo, siamo ai limiti della incomprensibilità. ma perché, chiedo, la poesia deve essere comprensibile a tutti? Chi l’ha statuito? Dove è scritto un tal pensiero infingardo e asfittico? – A mio avviso un poeta ha il diritto di dichiarare ai quattro venti la propria incomprensibilità se ha davanti degli eunuchi e degli idioti.
    Io, da semplice calzolaio della poesia, lo posso dire: la tua poesia è una delle pochissime di questi ultimi decenni di poesia italiana che è riuscita finalmente ad essere estrema ed estremistica. Come ho detto in linguaggio filosofico «È UN ATTO INCIPITARIO E FONDATIVO» ma non di una comunità linguistica ma di una solitudine. E tu stai nella tua solitudine. Come tutti i poeti autentici tu stai lì.

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    • gabriele fratini

      Si riferisce per caso a Severino Ferrari, allievo di Carducci e compagno di merende di Pascoli?

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      • Sì, mi sembra che sia proprio quello. tant’è modesto che ne abbiamo perso anche la memoria. Eppure al suo tempo era considerato il Vate. E Leopardi neanche esisteva.

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        • gabriele fratini

          E’ una storia vecchia quanto il mondo, Ferrari e Pascoli erano i due maggiori eredi di Carducci, poi uno è passato alla storia e l’altro no. Ma Ferrari resta uno dei maggiori studiosi petrarchisti della sua epoca.

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          • gabriele fratini

            Se ci fosse la Gernetti potrebbe illuminarci su questo poeta e favolista precursore dei crepuscolari oggi considerato “minore” (termine che aborro) dell’Ottocento, e che io invece trovo delizioso e voglio onorare con due poesie da cui si evince la vicinanza letteraria a Pascoli (“Bordatini”, la sua prima opera, corrisponde a Myricae”).

            La fiaba

            La nonna fila e dice! Suggon le sue parole
            i bimbi coloriti, le belle occhi-di-sole.
            Dice del minor figlio d’un re, smarrito a caccia
            e dell’orco che annusa fiero l’umana traccia.
            Dell’orco i bimbi tremano come al vento le rose
            ma dietro il re si perdono le belle occhi – pensose.

            La mietitura

            Il sole splende come un secchio d’oro,
            getta scintille e fiamme alla pianura;
            a mezzogiorno tace ogni lavoro;
            sotto a un’ombra si passa la calura.
            Il sole, il sole batte dentro gli occhi;
            giù per la faccia colano i sudori;
            s’apron le spighe gialle s’ei le tocchi;
            dà forza allegra al cuor dei falciatori.

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    • Sarò nella categoria degli eunuchi e degli idioti, ma spiegami, per favore, Giorgio, qual è il senso di un atto “incipitario e fondativo” per parlare di un sentimento antico quanto il mondo, cioè della solitudine. Sentimento che una una schiera infinita di poeti ha in tutti i modi sviscerato. L’atto incipitario e fondativo riguarda la solitudine – come hai appena sottolineato- la solitudine che sta a fondamento del poetare o riguarda la forma di esso? Questo non è ben chiaro. E dal momento che la forma deve “formare”, plasmare, dar vita a un contenuto, sarebbe questo un modo nuovo per parlare di esso? Tuttavia, mi trovo d’accordo con Salvatore Martino sul fatto che la poesia debba creare una sorta di transfert tra il poeta e il fruitore dei suoi versi. Anzi, ritengo che tanto più il transfert esiste e si coglie immediato, tanto più siamo in presenza di autentica poesia. Naturalmente qui non si parla di comprensione, ma di transfert, appunto, di quel fluido misterioso che cattura gli animi come potrebbe essere il lorchiano duende, e che è la stessa comunicazione misteriosa, forse la sola possibile, tra poeta e lettore. Ma la pretesa incomunicabilità che come sostiene Linguaglossa sta alla base di un tale atto incipitario e fondativo non mi pare accettabile dal momento che ciò significherebbe una volontà di comunicare che non comunica niente, un puro atto solipsistico,che tradisce le sue stesse intenzioni. Altrimenti perché scrivere poesia, perché scrivere, perché parlare se non vogliamo comunicare? Se la nostra solitudine è così radicale, la soluzione, forse, più dignitosa mi pare tacere del tutto.

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    • Massimiliano Achille

      Caro Linguaglossa,
      mi ha colpito, perché riguarda un problema che mi sono posto più volte, la domanda che hai posto tra i suoi argomenti: “…la poesia deve essere comprensibile a tutti?”
      Penso che questo tema meriti un dibattito a parte.
      Per quanto mi concerne, la poesia è Con-municazione di immagini, sensazioni, sentimenti e intelligenza. Essa, dunque, deve essere per principio intellegibile, seppure può elevarsi con meccanismi che la rendano astrusa e diversa dall’esposizione prosaica.
      Ma ripeto: per quanto concerne il mio concetto personale di poesia. Gli enigmi non sono il suo punto forte e, se ci sono, essi danno vita a una poesia che ha altri effetti (sorpresa, meraviglia, godimento dello scorrere delle parole come lampi di immagini o visioni appena intraviste: tutti effetti che si trovano nei componimenti di Sagredo).
      La poesia di Sagredo, pertanto, può non piacere ma è una forma di espressione artistica e diversa dalla prosa. Possiede, in altre parole, due degli elementi della poesia; è, nondimeno,Con-municazione ma dai contenuti molto specifici e delimitati e sentiti da pochi .
      Nel leggerla non mi sento dunque portato nel mondo di astrazione e di coinvolgimento in cui la poesia può condurre il lettore, quasi (e diversamente da) come la musica fa con l’ascoltatore.La mia sola reazione (negativa) consiste nel non riuscire a leggere più d’una decina di versi. Poi, ci posso riprovare dopo qualche tempo.
      Senonché l’autore- poeta può pure infischiarsene, no?
      Massimiliano Achille

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  14. Voglio narrare un aneddoto. Ieri mattina, dopo aver postato l’articolo sulla poesia di Sagredo, è venuta a casa mia la poetessa Laura Canciani. Lei viene da me per battere al PC le sue poesie dato che lei non sa usare il computer. Appena seduti, le ho detto: “ti leggo due poesie, non ti dico l’autore, e poi mi dici il tuo pensiero”.
    Non è la prima volta che leggo delle poesie a Laura senza dirle chi è l’autore, e lei, benevolmente, sta al gioco.
    Terminata la lettura delle due poesie sagrediane, le ho chiesto: “che te ne pare?” – E lei mi ha risposto: “Questo è un vero poeta. Un vero poeta. Chi è?” – Ed io le ho risposto: “E’ Antonio Sagredo”.
    È un gioco che faccio spesso con Laura Canciani. Lei mi dice sempre quello che pensa. Giusto o sbagliato che sia.

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  15. Lieto per l’evento e la pubblicazione dei Poems di Sagredo. Affetto come sono da disordine mentale non posso mettermi tra le schiere di chi, puntigliosamente o agilmente, riesce a districarsi nel sovraccarico delle sue metafore, ma spesso ne resto folgorato. Così mi sono dato un metodo di lettura: terrò saldo il senso del suo scritto, come si guarda la ‘faccia’ di un dipinto prima di averlo compreso, e solo poi andrò a dilettarmi con la flora dei versi, dove coglierò quel che mi pare, liberamente. Narciso/Sagredo scrive da solitario, eppure, scontroso come sembra, è indubbiamente generoso ( lo dimostra la ricchezza di ogni suo verso). Amichevolmente direi che, se smettesse di compiacersi per ogni suo singhiozzo, il lettore gradirebbe maggiormente. Poi va be’, se impari a conoscerlo ti diventa simpatico. Questo per dire che la poesia di Sagredo non è una lettura facile, non perché oscura ma perché chiede al lettore un’apertura a cui le menti non sono solitamente ben disposte. Come adottare un cammello o un marchingegno per tessere la lana; una volta fatto ti adatti all’idea, e se cambi casa ti preoccuperai di dove metterli. Insomma, gli vorrai bene. A quel punto, di Sagredo conteranno i colori e le forme delle sue parole. E perché no, ogni tanto le sue strattonate salutari; perché è vero che tanti scrivono da sonnambuli.

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  16. annamaria favetto

    Dobbiamo essere grati a studiosi-lettori avveduti ed equilibrati come (in primis, poi altri) Rago e Mayoor: ce ne fossero a migliaia come loro… così che l’amico d’adolescenza Sagredo sarebbe un uomo felice, davvero! Mayoor nell’intervento ultimo centra il come e anche il quando deve essere letto Sagredo… coloro che lo denigrano avranno tutto il tempo pèer rifarsi, (ma contro se stessi è arduo!)… costoro difficilmente avranno il coraggio di fare retro marcia poi che l’orgoglio (sentimento che l’amico d’adolescenza Sagredo non conosce affatto!)… insomma questa mattina mi ha telefonato delegandomi di dare le scuse, se per caso fosse stato troppo duro, a tutti, e chiedendo venia.

    a.m.f.

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    • Salvatore Martino

      Grazie Rossella Cerniglia per il suo intervento che sottoscrivo in pieno. Comunque sono anch’io orgoglioso di far parte degli eunuchi e degli idioti, di quelli che ancora leggono con commossa partecipazione i versi dei tre poeti messi all’indice da Sagredo: Montale, Ungarettie e Quasimodo. In un altro mio intervento suggerivo a Sagredo, indicando alcune poesie dei tre: se tu avessi scritto solo qualcuna di queste poesie saresti senza dubbio un poeta più grande di quello che non sei. Magari alla mia ormai quasi veneranda età, dopo un lunghissimo trascorso di teatro e poesia, quest’ultima anche insegnata a Roma 3 e al Suor Orsola Benicasa di napoli , almeno nella sua parte che si può insegnare, alla mia veneranda età dicevo cercherò di trovare presso i grandi critici e maestri gli strumenti per penetrare questi capolavori di Sagredo. Comunque tengo a precisare un’ultima cosa: la mia vita è stata costellata di sesso e di avventura, nionostante mi avessero evirato in tenera età per farmi cantare nel coro della Cappella Sistina. Meno narcisismo e più umiltà, meno sfoggio di cultura, talvolta fine a se stesso, e naturalmente vale per tutti noi. Salvatore Martino

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  17. Caro Salvatore Martino,

    sulla triade Montale-Ungaretti-Quasimodo io avrei i miei dubbi, quantomeno sugli ultimi due. Riprenderemo il discorso in un altro momento. Però lascia che ti dica che i tre che tu metti insieme in un filo di perle come tre perle, tra di loro si detestavano incordialmente e cordialmente. Lasciamo questa vulgata arcinota agli esegeti della Bibbia nostrana e passiamo a Sagredo.
    Io non metto in dubbio che di frequente, forse, troppo di frequente Sagredo gioca al palleggio, gioca ad assemblare fotogrammi di immagini senza che vi sia alcun apparente (nel senso di visibile) costrutto. Però, di qui a dire che la poesia di Sagredo sia da cestinare c’è di mezzo il mare!.

    Cara Rossella Cerniglia,
    la mia dizione di “eunuchi e idioti” non era certo rivolta a te ma a quelle persone che liquidano un poeta (qualsiasi poeta) con mezza riga ad effetto. Loro sono semplicemente degli idioti, lo ribadisco, nel senso che sanno parlare e capire solo il loro discorso autoreferenziale, parlano la loro lingua. Fare critica è un esercizio rigoroso, ma è anche un esercizio vigoroso, ci si fanno i muscoli nel fare critica, e la critica è una cosa seria. Se ne sono capaci mettano insieme un discorso sensato per dimostrare la loro tesi, altrimenti tacciano. Sulla questione della “solitudine” alla quale accennavo nel mio commento, io non intendevo ovviamente una solitudine psicologica, ma una solitudine stilistica. E questo è il peggior danno che possa capitare ad un poeta, quello di essere immerso in una solitudine stilistica.
    Il fatto è, credo, che tu giudichi la poesia di Sagredo dal punto di vista della tua poesia, che è una cosa molto diversa. E questo è un limite della critica che di solito i poeti fanno verso la poesia di altri autori; quando invece ci si dovrebbe liberare della propria poesia quando si valuta la poesia degli altri. Bisognerebbe fare un passo indietro.
    Comunque resta il fatto che la poesia sagrediana divide il fronte dei lettori in due opposte schiere. E anche questo è comprensibile.
    Io quando ho dei dubbi faccio così: chiamo al telefono Laura Canciani (la poetessa mistica) e le leggo qualche poesia, e poi le chiedo il suo parere.

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    • Veramente, caro Giorgio, il mio parere non si rivolgeva tanto alla poesia di Sagredo, della quale anch’io ho saputo ammirare qualche verso, ma era un discorso che andava alla poesia in generale, ai suoi presupposti, o a certa poesia di cui – diciamolo pure- non condivido l’assunto (nella quale, certamente, includevo, per certi aspetti, anche quella di Sagredo). Ma non è un discorso ad personam, intendo dire. Ed è un po’ lungo spiegare ogni cosa per bene (e mi sento già stanca!). La verità non è mai univoca, così ognuno ne possiede una propria (limitata, come ogni cosa terrena, ma “propria”). E non può che essere così…tuttavia di ciò si potrebbe parlare a lungo: allora, forse, ognuno avrebbe modo di mostrare la “propria”.

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    • ubaldo de Robertis

      Giorgio, quando morì Ungaretti io lavoravo in un impianto termonucleare. Fui preso da una certa commozione io, tecnico, nel ricordare l’opera di un uomo di lettere. Poco dopo fu Giacinto Spagnoletti a fornirmi la motivazione do tanta commozione: “Con la morte di Ungaretti si è chiusa un’epoca che ha creduto alla poesia quale necessità vitale.”
      Molti poeti stranieri importanti esaltarono la sua poesia.
      Ubaldo de Robertis

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  18. Salvatore Martino

    Carissimo Giorgio non ho mai affermato che la poesia di Sagredo sia da cestinare, “tu l’hai detto” per restare nell’ambito evangelico. Comunque quando leggo gli ultimi cori della Terra Promessa provo ancora una grande emozione e ricordo la voce del poeta quando nei nostri due incontri a casa sua mi parlava con amore della poesia alla quale aveva dedicato tutta la vita. Certo i tre si detestavano ma questo non implica che siano stati veri poeti, checchè ne pensiate tu e l’attore Sagredo.Ma ribadisco con forza e convinzione assoluta della necessità di un transfert tra il poeta e li lettore, altrimenti il primo può rimanere chiuso nella sua stanza con le sue paure, i suoi specchi, il suo narcisismo, le sue oscurità, la sua impenetrabile solitudine. Salvatore Martino

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    • gabriele fratini

      I poeti scolastici richiedono determinate caratteristiche (che a Sagredo mancano): devono essere oltre che tecnici anche adatti a teenager e in qualche modo “di formazione”, didattici, politicamente abbastanza corretti per i parametri della generazione, non eccessivamente filosofici. La triade suddetta vi rientra in pieno.

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      • Salvatore Martino

        Carissimo Fratini che alla triade faccia difetto il pensiero filosofico è non soltanto una sua convinzione, ma anche una falsità assoluta.Pensiero certo espresso sotto metafore e poeticamente, con immagini che raggiungono le profondità della nostra anima e della nostra mente. Non voglio qui fare un elenco di testi, nè voglio apparire come un loro paladino con lancia e cavallo, credo che non abbiano bisogno di essere difesi.Evidentemente ognuno di noi coltiva nel proprio orticello una convinzione di poesia che spesso non collima con quella degli altri , e purtoppo anch’io cado in questo tranello tessuto dalla mia mente, dalla mia formazione culturale, dal mio mondo inconscio. Non pretendo di possedere il verbo, lo lascio ad altri più “metafisici” di me, e spero che gli altri traccino dei giudizi più ponderati almeno intorno a quei poeti che qualcosa hanno pur fatto negli anni e nello spazio. Dei versificatori attuali il tempo certamente saprà fare una scrematura, e dare una collozazione cosona ai valori messi in campo Salvatore Martino

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  19. annamaria favetto

    Cari lettori e autori,
    ma vi rendete conto che Sagredo viene giudicato in base a pochi versi pubblicati, che a mio parere sono il 5% della sua produzione!… lui ha scritto tre prose straordinarie, la prima di queste, l’Arrabbìco, è una esplosione della lingua italiana: centinaia di parole antiche e disusate da secoli si mescolano a parole, come dire “moderne”: il cozzo che si realizza genera immagini inimmaginabili, situazioni eccentriche, artifici mai visti prima, mi[se]rabilia (miserie e meraviglie mischiate)… Sagredo mi ha confessato che circa 30 anni fa ha delegato la parola a creare da se stessa visioni e tant’altro e che lui voleva in questa azione “stilistica” tirarsi indietro, come dire la responsabilità è tutta della/nella parola e l’autore se ne sta da parte ad osservare curiosamente … lui ha realizzato realmente questo… egli inizia con una parola desueta, quasi insignificante, e questa parola se ne porta una appresso e così via.. queste parole hanno una loro interna razionalità, che nella poesia è assente poi che altro e altrove è in gioco… il punto è che la cultura di Sagredo è così vasta e profonda che le varie lingue (di personaggi picareschi) sono messe a durissima prova: talune di esse scoppiano… insomma alla fine di ogni racconto vi è una tale esplosione procurata dall’autore – perché è talmente stufo che distrugge in poche righe quanto ha costruito… nella sua poesia c’è quanto manca agli altri poeti italiani (soltanto alcuni futuristi furono eccellenti circensi) e cioè il capriccio e il gioco delle forme entro cui si celano tutte le forme e le figure. I poemi di Sagredo, soltanto pochissimi li conoscono, sono a dir poco rarissime perle, e cito solo > MDCXIX – Tholosae combustum (2007); -quando saranno tutti pubblicati i versi di Sagredo? Nessuno lo sa; e non dipende dall’autore, dall’editopria, grande o piccola; dipende dal critico fuoriclasse (di cui un giorno in Italia ce ne erano a decine – oggi è uno sfacelo!) che è capace di estrarlo fuori dal cilindro, e per tutti sarà una sorpresa… da invidiare! MI ha detto una volta che le sue LEGIONI (1989) sono allo stesso tempo la sintesi e la distruzione della poesia europea! Da credergli? Tocca a noi! Abbiamo il compito di giudicare, ma saremo oggettivi?! Il Poeta ha scritto una poesia dal titolo ” Me ne fotto!”, è stata pubblicata in questo blog: andate a leggervela. Tutto ciò che i suoi denigratori scrivono su di lui… tanto più scrivono, tanto più lui si diverte; un po’ come Palazzeschi.Grazie e auguri a tutti.
    a.m.f.

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  20. annamaria favetto

    Me ne fotto!

    Non ho mai incrociato una fede umana o divina con un pianto di legno nella Casa,
    – sul pianerottolo una marionetta gioca con la testa di Maria Stuarda.
    Ha di gelatina gli occhi e non lacrime vomita, ma trucioli e colla di coniglio!
    Il lutto non s’addice ai Cesari e alle stelle… Gesti, gesti a me! Soccorrete le mie mani!

    Ma io che faccio qui o altrove se il boia non ha un nobile rancore sulla lingua
    e mescolare non sa con l’accetta dell’attesa e dell’accidia un colore di Turner.
    Il Nulla azzera i giudizi sui patiboli, e il resto di un delirio è nello specchio.
    E dov’era vissuto il mio corpo quando offriva sangue alla sua ombra?

    Sono rose nere queste quotidianità, ma non sono le mie rose!
    E come posso rifiutare un destino che ad ogni sua domanda mi risveglia?
    Io sono esente per grazia umana, e nella mia parola non c’è risposta!
    E non ho l’acrimonia del vivere, solo voglio esserci quando accadrà.

    Svegliatemi dopo la mia immortalità! La pantomima è piena
    di vento nelle apocalissi, negli incendi e nelle distruzioni! – i tre profeti
    farfugliano : Scusi – lei – sente – molto – la – nostra – differenza?
    La confessione è un’arma terrificante… il Poeta: io me ne fotto!

    antonio sagredo

    Roma, 29 ottobre 2011
    ——————————————————————–
    Cari lettori,
    ditemi: cosa c’è di tanto oscuro, incomprensibile, ecc. in questi versi cristallini… è in fin dei conti una razionalità lirica!
    a.m.f

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  21. Domani mattina posterò una Intervista ad un poeta italiano che ha pubblicato il primo libro nel 1970, non dirò chi è, ma vive a Roma ed è molto conosciuto. Ci sarà anche un mio breve commento che tenterà di fare il punto. La sua poesia è il contrario di quella di Sagredo, è cristallina, senza fronzoli né preamboli. ha sempre cercato la chiarità e la chiarezza, sempre che in poesia vi possa essere chiarezza.
    Però io dico sempre a Sagredo che lui non può lamentarsi se è un perfetto sconosciuto in Italia se si ostina a non pubblicare mai nulla su carta. Prima o poi dovrà arrendersi e accettare la pubblicazione su carta.
    Non che le cose cambierebbero gran che, lo ammetto. In un paese dove la critica di fatto non esiste più da tempo, è difficile finanche farsi leggere. C’è una tale confusione in giro che un critico alla fine finisce per astenersi da qualsiasi atto critico. Non conviene a nessuno, né a lui né all’autore, anzi, gli tirerebbero tutti quanti delle pietre.

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  22. Io penso che quella dell’amico Sagredo sia soprattutto un’arte teatrale e che egli riunisca in sé diversi addetti al teatro. A titolo di esempio: attore (commediante, istrione, amoroso, capocomico, brillante, primo uomo), giocoliere, illusionista, prestigiatore, commediografo, tragedo, buttafuori, scenografo, trovaroba…Le sue poesie sono i testi recitati nel teatro delle sue maschere – testi che andrebbero solo ascoltati in religioso silenzio, per non perdere nessuna parola-suono. Insomma le sue poesie dovrebbero essere solo recitate, perché scritte e lette perdono molto del loro fascino.

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    • Gino Rago

      Caro Paolo Statuti, anche nel mio commento ho tentato di segnalare ciò che tu, con chiarezza irrefutabile, giustamente indichi nella ricerca poetica di Antonio Sagredo. E cioè il bisogno della Voce. E dell’ascolto.
      Ringrazio A. Favetto per le parole di apprezzamento verso di me. Tutte le altre questioni, chiarità – chiarezza, che anche M. Achille solleva sul fare poetico, meritano d’essere considerate e dibattute. Sul pessimismo di Giorgio L. nei riguardi del continuare o no a far critica non sono d’accordo. Ergo, caro Giorgio, continua senza risparmi di energia, come da anni stai facendo, “a criticare”, nella valutazione estetico-letteraria a favore dei poeti e del pubblico della poesia.

      Gino Rago

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  23. Caro Paolo,
    concordo in toto con la tua conclusione.

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  24. Massimiliano Achille

    Concordo con quanto hanno precisato Paolo Statuti e Gino Rago sul significato o piuttosto sull’effetto comunicativo che sembrerebbe essere cercato e che è comunque risentibile nell’ascolto della poesia di Sagredo.
    Ciò anche perché i loro interventi completano quello che volevo dire nel mio precedente: si tratta di una poesia che ha altri effetti, ossia, sorpresa, meraviglia, godimento dello scorrere delle parole come lampi di immagini o visioni appena intraviste.
    Può piacere o meno, ma è una forma di espressione artistica a sé nella quale Sagredo fa una somma del mondo del teatro e ottiene la risonanza dello spettacolo teatrale.
    Pensiamo a un esempio: siamo in un teatro in Thailandia e vediamo sul palco dei ballerini thai. Ci sono luci, riflessi, bellezza, grazia, movimenti piacevoli e quant’altro che ci prendono, ci emozionano. Non vi è necessità per raggiungere questo stato partecipativo di molta comprensione. Credo che quello che cerca Sagredo sia questo. E’ un modo di fare poetico perché ha come strumento parole proposte con arte.
    Confesso, tuttavia, che non amo molto il balletto, non togliendo che vedere un breve ballo thai mi può piacere e anche molto.
    Massimiliano Achille

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  25. annamaria favetto

    “Non vi è necessità per raggiungere questo stato partecipativo di molta comprensione” (M. A.)…. questo è un traguardo raggiunto da Sagredo dal 1989 con il poema le LEGIONI; comunque è stato colto molto bene questo aspetto. Sagredo ringrazia per conoscenza di A.M.Favetto.

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  26. annamaria favetto

    Sagredo mi incarica di pubblicare questi versi tratti da “Poema Idiota”
    del 1969, e mi scrive che vanno a pennello con la serata della presentazione del 9 febbraio allo Azzurro Scipioni in Roma.
    grazie
    amf

    ———————————————————————
    Benvenuti, barboni, murate gli eroi!
    Seduti, state a vedere la busta:
    caro scampolo dell’ignoto giocatore
    giocato…
    ma l’ha vinta la parte
    l’attore
    evviva
    si danza
    si canta!

    L’attore camuffato da scrittore
    inizia la farsa di stretta misura
    cavallo che vince la blanda impostura,
    gli scritti immaginati geniali
    la parodia la satira le armi migliori
    contro quelli ambiziosi signori!

    L’attore si stizza — è troppo sincera
    la parte assegnata – ci vuole la paglia
    per estirpare le voglie della sporca brodaglia!

    Una beneficiata di sera è un dignitosa puttana
    santa moderna
    vero emblema di gloria!

    a. s.
    Roma, luglio 1969

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  27. Ovviamente è’ una composizione giovanilistica, un po’ eccessiva pende troppo sul lato teatrale, si sente che Sagredo da giovane ha fatto l’attore. E’ una composizione da teatro. Inoltre, la poesia postata dalla Favetto un giorno fa, dal titolo “me ne fotto”, non è certo una delle poesie migliori di Sagredo. A me sembra una poesia minore e troppo “telefonata”, cioè, comunicata e comunicabile, con un linguaggio comprensibile. e invece Sagredo riesce bene, a mio parere, quando adotta, paradossalmente, un linguaggio incomprensibile.

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  28. antonio sagredo

    Ricevo dal poeta Manuel M. Forega questo gradito dono:
    ———————

    Antonio Sagredo. Poems

    En el número 17 de la revista turolense Turia (Junio 1991) presenté a un todavía inédito (1) en España Antonio Sagredo acompañado de veinte poemas traducidos por Inma Muro y Ángel Guinda. De aquellas palabras de presentación extraigo éstas que me confió el propio Sagredo en una carta del 4 de febrero de 1988 (2) :
    Cosa dire di questa pallida Italia? l’italia dei poeti è una chimera! Il poeta italiano non è affato amato dagli italiani; come gli italiani non hanno mai amato la natura.
    Ha sido quizá esta convicción la que le ha mantenido siempre lejos, lejísimos, de las editoriales de poesía italianas. De hecho, Antonio Sagredo, excelente eslavista, traductor de poetas checos y rusos, doctor por la universidad Karolina de Praga con una tesis sobre el poeta simbolista checo Otokar Březina, no ha publicado ni uno solo de sus poemas en Italia. Ha dado a la prensa de todo menos poesía, hasta el punto de que sus obras han aparecido en España primero y, muy recientemente, en Estados Unidos. A esta última edición yankee quería referirme aquí.
    Poems, edición bilingüe al cuidado de Sean Mark, que es también su traductor e introductor, se ha publicado en Nueva York por Chelsea Editions a finales de 2015. Y quiero referirme a estos Poems porque es la primera vez que Antonio Sagredo reúne poemas desde sus orígenes escriturales en 1969 hasta sus últimas entregas en 2014 previas a esta edición. Una selección que tiene de osadía la que se debe exigir a todo poeta consciente de que su camino literario ha transitado siempre por la senda de lo poéticamente inviolable: la convicción de serlo; de ser poeta por encima de toda otra circunstancia y de mostrárnoslo ahora seguro de sí mismo. Digo esto porque no es común comprobar cómo el antropologismo histórico de la poesía de Sagredo, característica ―entre otras― muy destacada de su obra forma parte de sí desde la entraña atávica ―ab origine― de su escritura, desde la raíz primera, desde el primer trazo sobre el abismo blanco del papel. Entre el poeta nihilista que en 1969 decía no ser él ni saber nada de nada («non sono io / che camino, non sono miei gli occhi / che m’ascoltano, non so nulla del Nulla») y el que en 2014 desaparece convertido en osamenta que se zafa de otros ojos: («Ma dai tuoi occhi estrassi, io, / cisterne di lacrime… e di ossa») sólo existe una imperativa diferencia formal. Baste este ejemplo para multiplicar por varias las similitudes características que singularizan a Sagredo desde aquel lejano 1969 hasta el cercanísimo 2014: metapoesia; un uso léxico a veces etimológico y, por tanto, críptico; la intrahistoria literaria italiana y europea; el irrenunciable sentido crítico frente a la historia, la religión o el Poder; la presencia de un Yo inequívocamente lírico que encuentra en el Poeta el arquetipo icónico en el que confluyen todos los valores de la verdadera escritura, pero también de sus búsquedas, incertidumbres y pérdidas; cierto gusto por el onirismo y la expresión alucinatoria… Todo este conjunto de caracteres conforman una síntesis pronta a señalar un perfil filosófico en toda su obra y, a partir del cual, no desecha Sagredo ni su misantropía ni su escepticismo, y no únicamente acerca de la historia y de una sociedad que considera en su construcción anómala, sino incluso acerca de la validez de la palabra, de la perentoriedad con que designa una realidad que ha de ser reconstruida. Es, en cierta manera, un aventajado alumno de Nietzsche y antikantiano en el plano vital; es decir, en el convencimiento de que la vida no es un fin regido por la utilidad, ni el hombre es un fin en sí mismo, sino que ha de trascender su individualidad para ser un elemento transformador. Pero, claro, el lenguaje metafórico de Nietzsche tiene en el Romanticismo una de sus fuentes: la transformación cuyo impulso es una negación diacrónica connatural al principio sincrónico de los hechos: «Si todo es viejo aquí, abajo todo. Destruyamos todo a ver qué pasa», había dicho Larra en 1836; «Acaso hemos venido al mundo sólo para destruirlo y de las ruinas levantar otro orden», dijo Ángel Guinda en 1981; «La realtà ha necessità d’essere pulita», acaba de decir en 2014 Antonio Sagredo.
    Desde esa perspectiva, entiende Sagredo la poesía como lugar de mediación intelectual, materializa una terminología intelectual e intelectualiza la percepción pesimista de un entorno social e histórico agresivo al que desafía. Es, en consecuencia, natural la adopción de un lenguaje interpelativo, incluso autointerpelativo (un «autodiálogo», que habría dicho Clara Janés), cuyo propósito no es otro que preguntarnos sistemáticamente por qué y para qué hemos llegado hasta aquí si la historia, la literatura, la religión, el desarrollo técnico, las herramientas tecnológicas… han prestado muy poca atención al centro mismo de su razón de ser: el hombre (el Hombre): «Cantare la vita ― io? / Per la memoria degli uomini?//» concluye preguntándose en 1969 en un hermosísimo poema autorreferencial que comienza «Morirò un giorno, lontano / dalla mia casa…» Víctima lírica de cuantos acontecimientos han marginado a ese hombre trascendental, la antropología histórica a la que me refería más arriba toma cuerpo en sí mismo; es decir, que la diacronía histórica es paralela a la suya propia y, si en el poema sin título que comienza «Morirò…» hace referencia a este paralelismo, la coherencia ontológica que estos Poems ponen de manifiesto da una prueba más de ser un corpus estéticamente inquebrantable en su dos últimos textos igualmente sin título: «Settanta autunni…» y «Portavo la mia immagine…» En ambos Antonio Sagredo se dirige a su alter ego (que responde a las iniciales A. D. P.) para celebrar de nuevo al Hombre y, en cierto modo, la asunción de que también en la derrota se gana.
    En resumen, Poems recoge una importantísima parte de la poesía escrita por Antonio Sagredo cuya morfología recorre caminos inexplorados a través de un lenguaje en el que el símbolo desempeña una labor estética nuclear: la imaginería necrófila; la iconografía lumínica; la toponimia literaria; el nominalismo mitológico; el incremento exponencial simbólico de la naturaleza… Una poesía de alto nivel entroncada con la mejor tradición moderna de la estética italiana representada por E. Montale, G. Ungaretti y S. Quasimodo y que, afortunadamente, hemos tenido el privilegio de leer y conocer primero en España a la vez que supone una rara y grave omisión para los lectores italianos.
    Antonio Sagredo visitó España en 2005 invitado por el Festival Internacional de Poesía «Moncayo». Cuando regresó a Roma, escribió unos Canti del (sic) Moncayo que me envió poco después. Ojalá suenen no tardando mucho.
    Manuel Martínez Forega
    Zaragoza, febrero de 2016
    ——————–
    1) En 1988 había aparecido en el número de junio de los Pliegos de Creación Malvís que dirigía Ángel Guinda, el poema «Yo que a la paloma niego el vuelo», un envío de urgencia que hice a Guinda y que él mismo tradujo. Fue la primera aparición de Sagredo en España que luego se reiteraría con sendas ediciones bilingües en Lola Editorial: Tortugas (con traducción de Inma Muro y Ángel Guinda), en 1993, y Poemas (seleccionados y traducidos por el desaparecido Joaquín Mateo Blanco), en 2001.
    2) Mi relación con Antonio Sagredo data de 1983. Aquel año coincidimos en la universidad Karolina de Praga y estuvimos conversando apenas un par de horas. Sin embargo, acordamos continuar nuestra charla en el futuro. De este modo comenzó una intensa comunicación epistolar que poco a poco fue inaugurando primero y consolidando después nuestra entrañable e íntima amistad. Una amistad regida por el afecto mutuo y profundo y por la compartida pasión por la literatura y por la poesía en particular. En todo este tiempo, he asistido a su boda con Kateřina, al nacimiento del hijo de ambos Alessandro, a su adolescencia, a su graduación universitaria… Mi afecto por Antonio es grande.

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  29. Angela

    Antonio, per questo libro auguri:
    di sale, che bruci;
    di sole, che illumini;
    di vento, che (ti) porti ancora più lontano…
    Con stima e amicizia da qui, dalla nostra terra.

    in bocca al lupo a tutti per la serata. Un saluto.

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  30. Pingback: Proposte dagli autori: Antonio Sagredo, tre poesie | Il sasso nello stagno di AnGre

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