Il Viaggio è l’«allontanarsi in noi dell’essere di noi stessi, in quanto l’allontanarsi di quest’essere è l’agire come costruzione d’una realtà che è il mondo stesso» con due poesie di Gino Rago e Antonio Sagredo e un Commento di Giorgio Linguaglossa Il problema radicale dell’essere e del nulla non è una questione che si ponga “provvidenzialmente” a un determinato stadio della storia del Nichilismo</strong>

Ashraf Fayadh 3Commento di Giorgio Linguaglossa

Il Viaggio è l’«allontanarsi in noi dell’essere di noi stessi, in quanto l’allontanarsi di quest’essere è l’agire come costruzione d’una realtà che è il mondo stesso».  

Il problema radicale dell’essere e del nulla non è una questione che si ponga “provvidenzialmente” a un determinato stadio della storia del Nichilismo, a un’«ora X» dell’«oblio» o della “manifestatività” destinale dell’Essere. È un problema che può porsi, e che è stato di fatto variamente posto, in tutte le “epoche” della riflessione filosofica. Lo specifico contributo heideggeriano alla questione sollevata da Leibniz sta – come aveva osservato a suo tempo Luigi Scaravelli in un magistrale saggio su Il problema speculativo di Martin Heidegger – nella dimostrazione che l’«unità in cui l’essere e il nulla coincidono non è l’identità, né la dialettica del sapere». Questa unità avviene piuttosto «come continuo allontanarsi in noi dell’essere di noi stessi, in quanto l’allontanarsi di quest’essere è l’agire come costruzione d’una realtà che è il mondo stesso».

Il passo è contenuto nell’articolo: 

LE FONDAMENTA ONTOLOGICHE PER UNA POETICA DEL VUOTO – LA DOMANDA FONDAMENTALE DI LEIBNIZ: “Perché esiste qualcosa piuttosto che nulla?”. Leibniz, Martin Heidegger, Robert Nozick, Giacomo Marramao “Il Nulla nientifica se stesso”, “La teoria egualitaria” di Nozick, con un Appunto di Giorgio Linguaglossa sul “Sistema stabile del Vuoto”Appunto di Giorgio Linguaglossa: Le fondamenta ontologiche per una poetica del vuoto

Dunque, si può parafrasare così: Il Viaggio è l’«allontanarsi in noi dell’essere di noi stessi, in quanto l’allontanarsi di quest’essere è l’agire come costruzione d’una realtà che è il mondo stesso». È questa frase che ci dà la chiave di accesso ad una poesia del viaggio. Nel viaggio noi esperiamo, in modo confuso e, spesso, inconsapevole, che ci stiamo allontanando da noi stessi, che stiamo diventando «altro»; ma per far questo occorre una apertura, come si dice in linguaggio heideggeriano, destinale dell’essere, una apertura allo spazio e al tempo; occorre liberarsi dalla cellula monastica dell’io, costruzione posticcia abilitata per la vita quotidiana ma non per le esperienze profonde della soggettività. In questa accezione, accogliendo lo spunto del post sul viaggio di Luciano Troisio, mi sembra che possano leggersi le due poesie inviateci da Gino Rago e Antonio Sagredo.

Ashraf Fayadh 4Per la coinvolgente pagina odierna de “L’Ombra”, ecco la mia timida idea di “viaggio”.
Gino Rago 

Partì la goccia dalla patria e tornò. Trovò la conchiglia.
E divenne una perla.
Uomo, viaggia da te stesso in te stesso. Da simile viaggio
la terra diventa purissimo oro.
Anche se non hai piedi
scegli di viaggiare in te stesso: come miniera di rubini
sii aperto, uomo, all’influsso dei raggi del sole.
Ché se l’albero avesse piedi e ali per il viaggio
non soffrirebbe ferite d’accetta
né penerebbe per il tronco segato.
Disperso…Gola stanca. Parla tu.
Hai l’alito dolce d’un dio.
Disperso è il fuscello che vola a quest’alito…”

Antonio Sagredo
25 gennaio 2016 alle 21:25 
e và’ bene: eccoVi accontentati… sul viaggio!

Allegorie
(quasi dantesche)

Incontrai sul Ponte delle Anime Gioiose la stramba maschera deforme di tutte le finzioni, e sul selciato i passi dei monatti segnavano interdetti i carri e i testimoni che sui portoni il loro volto ornavano di ceppi e di capestri. I corpi decollati delle Erinni smarrivano i riti circoncisi su pagani altari fra Centauri e Giganti.

I cardini legnosi dei tre regni vomitavano scheletrici la ruggine-belletto del Verbo originario… volgarità cristiana il volto senza maschera di un sogno – il toscano Cordigliero per inferni e paradisi creò la parola più sottile con la sua cetra maledetta e i crudeli battiti del sangue conteggiò ombre e corpi per un viaggio

al centro oltretombale della teologia… traguardi ignoti indicò nella geometria degli imbuti e le sfere che celesti non so dire. Dubitò del cosmo di Tolomeo e predisse la caduta nel regno di Como di tragiche figure e la sacralità dell’Erebo pagano… mollò dubbioso come Caronte i remi alle correnti e il traghettare

anime buffe – o bizzarri corpi non seppe mai – si scocciò infine. Cerbero col veleno delle note crollò il Tempo Assoluto, schifò il trono Minosse, e Colui che si nasconde dalla Notte col belletto della ruggine… il grecoro si pinse il sogno d’una finzione… e cantò nel cerchio terzo : maledetto, consùmati la maschera – con le lacrime!

Antonio Sagredo

Roma, 27-28 ottobre 2015

Gino Rago nato a Montegiordano (CS) il 2. 2. 1950, residente a Trebisacce (CS) dove, per più di 30 anni è stato docente di Chimica, vive e opera fra la Calabria e Roma, ove si è laureato in Chimica Industriale presso l’Università La Sapienza. Ha pubblicato le raccolte poetiche L’idea pura (1989),Il segno di Ulisse (1996), Fili di ragno (1999), L’arte del commiato (2005). Ai suoi libri poetici hanno dedicato saggi critici Sandro Gros-Pietro, Giorgio. Linguaglossa, Sandro. Montalto, Luigi Reina, Alfredo Rienzi e altri. Con componimenti lirici e recensioni ha collaborato e collabora con svariate riviste letterarie (Poiesis, Poesia, Polimnia, Vernice, Paideia, La Procellaria, La Clessidra, Hebenon). Gino Rago Via Y. Gagarin, 21 – Trebisacce (CS)    Email:  ragogino@libero.it

Antonio Sagredo (pseudonimo Alberto Di Paola), è nato a Brindisi nel novembre del 1945; vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove  risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: «Malvis» (n.1) e «Turia» (n.17), 1995, Zaragoza.

La Prima Legione (da Legioni, 1989) in Gradiva, ed.Yale Italia Poetry, USA, 2002; e in Il Teatro delle idee, Roma, 2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile.

Come articoli o saggi in La Zagaglia:  Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in Rivista di Psicologia Analitica, 1984, (pseud. Baio della Porta):  Leone Tolstoj – le memorie di un folle. (una provocazione ai benpensanti di allora, russi e non); in «Il caffè illustrato», n. 11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il Teatro degli Skomorochi, 1971-74. (A.   Di Paola) (una carrellata di quella stupenda stagione teatrale).

Ho curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema :Tumuli di  Josef Kostohryz , pubblicato in «L’ozio», ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e Kateřina Zoufalová; i poemi:  Edison (in L’ozio,…., 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in «L’ozio», 1988) di Vitězlav Nezval;  (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová).

Traduzioni di poesie scelte di Katerina Rudčenkova, di Zbyněk Hejda, Ladislav Novák, di Jiří Kolař, e altri in varie riviste italiane e ceche.

Recentemente nella rivista «Poesia» (settembre 2013, n. 285), per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori: Otokar Březina- La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Ot. Brezina a Antonio Sagredo),  trad. A. Di Paola e K. Zoufalová. È in uscita, per Chelsea Editions di New York, Poems Selected poems di Antonio Sagredo.

32 commenti

Archiviato in Senza categoria, viaggio

32 risposte a “ Il Viaggio è l’«allontanarsi in noi dell’essere di noi stessi, in quanto l’allontanarsi di quest’essere è l’agire come costruzione d’una realtà che è il mondo stesso» con due poesie di Gino Rago e Antonio Sagredo e un Commento di Giorgio Linguaglossa Il problema radicale dell’essere e del nulla non è una questione che si ponga “provvidenzialmente” a un determinato stadio della storia del Nichilismo</strong>

  1. gabriele fratini

    Un contributo “minimalista”, per la gioia di Linguaglossa e Sagredo, al viaggio della fantasia… 🙂

    TRIONFO IN ECOPELLE

    Sulla sedia, questo è vero,
    leggo e scrivo le mie carte,
    faccio i conti e studio l’arte,
    vedo meglio il mondo intero,

    ma se voglio ricordare
    quanto il mondo è vario e strano
    nulla è meglio di un divano
    che il pensiero fa volare …

    (P.S. una dedica speciale al mio nuovo divano in ecopelle allungabile a tre piazze e mezzo, economico… un prodotto da vero ombriano borghese per far vomitare Sagredo… 🙂 ) Un saluto a chi va e chi torna…

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  2. “Disperso è il fuscello che vola a quest’alito…”
    “volgarità cristiana il volto senza maschera di un sogno”
    due versi, questi di Gino Ragno e di Antonio Sagredo, che mi hanno colpito e sollevato. Stranissimo contrasto di lievità (Ragno) e penombra ascensionale (Sagredo).
    Giorgio Linguaglossa pone l’attenzione sul valore alchemico, di trasformazione, nelle poesie di viaggio: dai luoghi dell’io verso il sé illimitato, dove viaggio fisico e viaggio interiore coincidono, appunto alchemicamente. Andando oltre la ricerca esistenziale dell’io, si accede inevitabilmente allo spirituale, o se si preferisce al metafisico. Di certo accade che, nelle poesie di viaggio, le immagini variano spesso e la lettura ne trae giovamento. Diversamente, ad esempio sul divano ecopelle di Fratini, si farà più fatica a non dire (io) leggo, (io) scrivo, (io voglio)…

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    • gabriele fratini

      Capisco che la dimensione pantofolaia da prepensionamento italico non sia così aperta alle relazioni interpersonali come il viaggio effettivo senz’altro più affascinante, ma almeno mette al riparo da sgradevoli sorprese… Mettiamo il caso che vada in India e mi prenda un fortissimo attacco di emorroidi (cosa già successa in passato peraltro, in Grecia), come glielo spiego al farmacista locale se non conosco le lingue? Avranno la benefica Proctosoll? E mia sorella che stavano quasi per accecare in Turchia perché il medico del pronto soccorso non conosceva neanche l’inglese per spiegarsi e gli ha dato delle gocce che non c’entravano nulla? Allora mi chiedo se vale la pena rischiare di perdere la vista per vedere qualche mercatino folkloristico turco, qualche spiaggia incontaminata… Mandatemi cartoline 🙂

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  3. Gino Rago

    Grazie Lucio. Comunque sono Gino Rago e non Ragno. Anche se una mia raccolta di versi del 1999, presentata magistralmente da Giorgio Linguaglossa, fu congedata come “Fili di ragno”. Gino Rago

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  4. è interessante notare che in due giorni di articoli inerenti l’argomento “viaggio” abbiano scritto e parlato e risposto (ovvio, tra di loro) praticamente solo uomini…mi incuriosisce molto questo “fenomeno”

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  5. Non bisogna guardare gli sguardi dei cani in stazione, perché quando non si sa nuotare è un guaio andare dove non si tocca.

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  6. Urszula Kozioł, poetessa-viaggiatrice, afferma: “Il viaggio ci permette di realizzare quel sogno che forse ci portiamo dietro dall’infanzia, di essere qualcuno diverso da quello che si è di solito, di essere se stessi diversamente.”

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  7. arcistufox

    Akieloy Maexaimilaynij mise in uno dei suoi più noti poemi questi versi che mi sono tornati alla mente sfogliando il blog odierno:
    “Divino è il viaggiare dell’uomo
    come nuvola che non sposta il vento
    ma per un interno volere.
    Spesso però esso conduce
    nel fondo di cloache indifferenti
    dove il fango e gli escrementi
    si mescolano ai suoi sogni”
    Arcistufox

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  8. antonio sagredo

    femmine: “demoni della libertà”… non è male. …. Mayoor, ruberò!
    ——————————
    “minimalista!” ? Fratini, spiegami!

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  9. Salvatore Martino

    Non ho preso nessun treno o auto e neppure aereo leggendo le due poesie proposte, non sono riuscito a viaggiare, e mi dispiace perché stimo entrambi i poeti, ma davvero non ho capito nulla del testo di Sagredo e poco mi è giunto da quello di Rago… ma credo che sia soltanto un mio limite. Salvatore Martino

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  10. antonio sagredo

    “ma davvero non ho capito nulla del testo di Sagredo”… ma anche questo è un viaggiare, più o meno in incognito. Non bisogna capire, bisogna farsi trascinare dal canto, meno si comprende più Poesia. Centinaia sono i versi danteschi ch a tutt’oggi sono incomprensibili, e non solo Dante!

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  11. antonio sagredo

    inizia il viaggio…
    —-
    …”Incontrai sul Ponte delle Anime Gioiose…”
    …”sul selciato i passi dei monatti segnavano interdetti i carri…” ……
    ….”i crudeli battiti del sangue conteggiò ombre e corpi per un viaggio al centro oltretombale della teologia…”….
    …”traguardi ignoti indicò nella geometria degli imbuti e le sfere che celesti…” ………..
    …”…mollò dubbioso come Caronte i remi alle correnti e il traghettare anime buffe –”…………
    … ” e cantò nel cerchio terzo : maledetto, consùmati la maschera – con le lacrime!”………..

    che è la fine del viaggio… e ai lettori del blog chiedo se questo è movimento o non lo è, è un viaggiare diverso, altro, verso un altrove, che è anche il volto di ciascuno!

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  12. Scusa Antonio, ma l’incomprensibilità di Dante è assai diversa dalla tua. In Dante basta trovare la chiave e tutto si spiega…ma qual è la tua chiave?

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  13. antonio sagredo

    “In Dante basta trovare la chiave…?
    Quale chiave?
    Se la serratura è molteplici serrature!
    Serrature?
    E dove sono? Non ci sono nè chiavi, né serrature!
    La mia chiave?
    Sta ai lettori trovarla! Se c’è!
    Perché un Poeta dovrebbe dare la “chiave”?
    Quando poi è nemico delle serrature
    Non è questo il compito della Poesia!
    e buona notte

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  14. Mi sa che è ancora il pazzo, o la pazza, che si firma Sagredo…

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  15. Questa volta devo ammettere che sono sono in consonanza con l’avviso di Salvatore Martino e di Paolo Statuti: del testo di Antonio Sagredo non ho capito assolutamente nulla.

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  16. Trascrivo una email inviatami da Ubaldo De Robertis :

    I medici devono ancora capire la causa che ieri pomeriggio mi ha creato grosse difficoltà per quasi mezz’ora: disagio nel leggere articolare la parola annebbiamento di vista, poi mal di capo ecc.
    Per qualche tempo dovrò stare a riposo assoluto, lontano dal web e dai libri.
    Per il tema del viaggio avrei voluto riportare un pensiero di Guy de Maupassant:
    ” Il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce dalla realtà come per penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno.”

    Saluti, Ubaldo

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  17. antonio sagredo

    ha ragione Mayoor: io avrei scritto il contrario.
    Ma avete mai pensato al rpporto che c’è tra lo specchio e il viaggio?

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  18. Luciano Troisio a proposito della poesia qui postata di Antonio Sagredo, scrive:

    l’oscurità, la sublime ineffabilità, nella poesia sono caratteristiche secolari. Spesso il poeta “non sa” quello che dice.

    Posso essere d’accordo, in linea di massima, con quello che dice Troisio, però non mi sentirei di affermare che il poeta debba “strafregarsene” del significato di quello che scrive, altrimenti si ricade in una nuova forma di poesia autistica, che parla solo al poeta, che parla una lingua sconosciuta alla generalità. E allora entreremmo in un altro campo, non più della letteratura italiana ma parleremmo della letteratura sagrediana. Il che è una operazione legittima, ma così si ricadrebbe nell’equivoco che anche un autore dotato di genio come Emilio Villa frequentò, e infatti è un autore che con la poesia italiana ha a che fare solo lateralmente e in via incidentale, per il semplice fatto che non scrisse mai poesia in italiano, tranne il primo libro”Ormai” scritto nel 1935, se ricordo bene.
    Insomma, io credo che un poeta non possa strafregarsene del problema della comprensibilità della propria poesia, altrimenti tanto vale scrivere le proprie cose in una lingua inventata di sana pianta.

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    • Emilio

      Non Ormai. Oramai, del 1947 (stampa). Villa raccolse “Pezzi, composizioni, antifone” scritti, in italiano, francese e latino dal 1936 al 1945. Costui, inoltre, scrisse versi in italiano anche in momenti successivi. Saluti cordiali

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  19. annamaria favetto

    E sarebbe davvero bello inventare una lingua: è come reinventare la leggenda e la vita!

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  20. I miei “veri” viaggi non sono mai stati viaggi in senso ordinario del termine, ma soggiorni, lunghi periodi di vita in cui quei luoghi sono diventati parte di me e io parte di loro. A dire il vero è questo l’unico tipo di viaggio che veramente mi interessa perché un viaggio, ogni viaggio, se tale è, è sempre dentro se stessi.
    Io ne sono convinta, perché molto spesso abbiamo bisogno di volgere lo sguardo all’esterno per trovarvi lo specchio dell’interno. Un volgere centripeto, poiché è nel confronto col mondo che ci conosciamo e riconosciamo.
    Avviene così anche nei rapporti umani in fondo. E anche quelli sono dei viaggi in altri universi.
    L’Irlanda soprattutto, tra tutti gli altri luoghi in cui ho vissuto (in Inghilterra ho vissuto quattro anni) e che ho visitato, per me è stata questo viaggio.
    Conoscevo l’Irlanda solo da un punto di vista letterario, da studiosa di folklore e tradizioni orali, ma avevo deciso di non andarci da turista. Quel luogo aveva già troppi significati dentro di me per non desiderare di ritrovarli uno per uno in esperienze vissute.
    Così mi sono fermata poco più di un anno. E lì mi sono trovata. Come per tutti i luoghi, il solo vero modo di conoscerli è quello di diventarne parte, di lasciare che il “genius loci”, il dio protettore e signore del luogo, ti catturi e ti accolga come parte di sé.
    Fra le cose che più mi sono rimaste dentro in Irlanda, è stata l’acqua, anzi le acque. Mare, fiumi, laghi, rivi, torrenti, fonti spesso ancora oggetto di culti molto arcaici.
    L’acqua è ovunque, dentro e attorno alla terra. E isole. Isole nei fiumi e nei laghi, oltre che lungo le coste. E’ un’acqua talmente viva, che nemmeno nei laghetti più minuscoli è stagnante e pullula di forme di vita animale e vegetale. E l’acqua è un elemento in cui mi riconosco molto.
    E poi i profumi. Perché in Irlanda l’aria profuma. Cosa sia il profumo dell’aria noi qui lo abbiamo totalmente dimenticato. Ci siamo quasi abituati, anche quando la crediamo pulita, a quella sua pesantezza di piombo. Lì no. L’aria è leggera e porta con sé gli aromi di mille piante e fiori e della terra ricca misto a quello del mare portato dal vento fino all’interno.
    Il paesaggio non è solo saturo di verdi e azzurri e delle forme mosse delle colline o delle scogliere, delle case colorate e della vegetazione, ma è avvolto come in una carta da regalo in questo misterioso profumo che ti inebria e rende un po’ pazzerelli.
    Ecco, imparando il paesaggio irlandese ho imparato me stessa.

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