INTERVISTA a LUCIANO TROISIO La filosofia del viaggio – La forza dei piedi – L’uomo esploratore –  Il viandante, Gli argonauti  – “Il viaggio come investigazione dell’ignoto?”,  “L’estremo Oriente”, “L’isola di Bali”, “Cos’è più importante, la longitudine o la latitudine?”, “Cos’è più importante per te, lo spazio o il tempo?”,”Viaggiare nello spazio non è un po’ come viaggiare nel tempo?” –  “Gli dèi scendevano tutt’intorno. Appunti balinesi” (Cleup. 2015 pp. 530 €  27) con un Commento di Giorgio Linguaglossa: “La filosofia del viaggio”

Terzo della Trilogia dedicata agli “appunti di viaggio”, questo volume è una monografia dedicata all’isola più famosa dell’emisfero australe: Bali. Eccezione indù in un assediante oceano musulmano, ha per secoli mirabilmente saputo tener testa prima agli arabi distruttori del magnifico regno giavanese Majapahit (di cui ha ereditato la raffinatissima cultura), poi ai colonialisti olandesi che la occuparono fino al 1951.
L’autore ha qui raccolto gran parte degli extravaganti appunti annotati durante alcuni dei viaggi compiuti in quella che è universalmente definita Insula Deorum, dove la religione permea e governa l’intera vita, l’intera giornata, dove il meticoloso allestimento delle offerte e delle straordinarie cerimonie, meraviglia e commuove l’attonito straniero.
foto Bali danza-barong (bollywood) musical indiano

Bali danza-barong (bollywood) musical indiano

Giorgio Linguaglossa: La filosofia del viaggio

«Qualcuno ha mai riflettuto sulla filosofia del viaggio? Ne potrebbe valere la pena. Cos’è la vita se non una forma di movimento e un viaggio attraverso un mondo estraneo? Oltretutto, il movimento, privilegio degli animali, è forse la chiave dell’intelligenza». Parole di George Santayana (1863 – 1952), filosofo spagnolo ma americano d’adozione, che nel saggio Filosofia del viaggio riflette sui vantaggi del movimento, prerogativa esclusiva degli animali. I vegetali hanno le radici e, inevitabilmente, la loro esistenza è ancorata al suolo. Non è così per l’uomo, che ha l’enorme vantaggio di essere dotato di piedi, con i quali si può spostare liberamente.

La forza dei piedi. Negli animali, spiega Santayana, la forza del movimento si trasforma in una esigenza di necessità, essi seguono la logica della sopravvivenza della specie. L’intelligenza della specie è un aspetto fondamentale per la sopravvivenza degli animali e dell’uomo: «È la possibilità di viaggiare che dà senso alle immagini degli occhi e della mente, che altrimenti sarebbero mere sensazioni e uno stato spento del proprio essere. (…) Per questo, invece di dire che possedere le mani ha dato all’uomo la sua superiorità – continua Santayana – sarebbe più penetrante dire che l’uomo e gli altri animali devono la loro intelligenza ai piedi». I piedi quindi sarebbero speculari alle  mani: senza i piedi le mani sarebbero del tutto superflue.

L’uomo esploratore. Ma quante tipologie di viaggiatore esistono? Moltissime: l’emigrante, l’esploratore, il girovago, il vagabondo, il navigatore, il nomade, il mercante e il turista. Se l’esploratore si mette in cammino alla ricerca dell’ignoto, nella certezza di ragguagliare l’ignoto al noto. Prototipo di un  tale tipo di viaggiatore ì l’Ulisse omerico il quale scopre nel viaggio l’essenza della propria qualità di uomo nuovo. Il girovago cammina a caso, è un perditempo, vuole spendere lo spazio senza badare al recupero di alcunché, il suo viaggio non avrà termine in quanto sarà costretto da una forza misteriosa e impellente a vagare in giro, nella speranza di trovare forse qualcosa che ha perduto; il mercante invece sottopone il viaggio ad un calcolo di costi e benefici, il viaggio sarà intrapreso seguendo una logica del profitto; il turista invece ha un concetto utilitaristico dello spazio e del tempo, vuole passare il tempo. Il turista è il tipico viaggiatore dell’epoca capitalistica. Al tempo e allo spazio chiede che il viaggio valga la pena di essere compiuto secondo un criterio di appagamento esotico e soddisfazione economica. L’emigrante invece è costretto a spostarsi da un paese all’altro, la sua è la forma più tragica e radicale di viaggio, perché indotto dalla necessità di sopravvivenza.

Il Viandante. Giuseppe Patella in un libro del 2013 ci ricorda la figura del viandante di nietzschiana memoria, che «rappresenta un nuovo tipo di uomo, l’emblema dell’uomo moderno che intende la vita come un continuo esperire, che vive libero da pregiudizi e da luoghi comuni, che segue l’etica del coraggio e dell’intraprendenza che è propria solo degli uomini liberi e artefici del proprio destino». Ma non solo, il viaggio è anche la metafora di ogni percorso mentale e filosofico, di cui peraltro la figura del viandante è l’emblema e Santayana la personificazione: «Tutta la mia vita – scrive il filosofo nella sua autobiografia – ho sognato viaggi possibili e impossibili, viaggi nello spazio e nel tempo, viaggi in altri corpi e menti estranee».

Gli argonauti. Poi c’è il viaggio degli argonauti, quei guerrieri che vanno sul mare alla ricerca dell’ignoto. E autori principi di questo tipo di viaggio sono i poeti e gli artisti, coloro che non temono di inoltrarsi in territori spirituali sconosciuti e infidi. E, probabilmente, a questa tipologia di viaggiatori fa parte  Luciano Troisio.

foto Bali la danza 1

Bali la danza

Domanda: Che cos’è il viaggio per te. Il viaggio come investigazione dell’ignoto?

R: Se fossi sincero risponderei non lo so. Si parte, si torna in un luogo per mille motivi. Anche per pigrizia, perché si conoscono gli endroits. Visitare un sito nuovo non è come “tornare” in un sito, specialmente se il ricordo è bello, se avete perso una donna. Tornarvi  è molto pericoloso, significa prepararsi alla Grande Delusione. Nello stesso tempo l’ignoto è in agguato dovunque, anche nella cella di clausura o del carcerato. Ma io ci sono abituato da molto, e il mio non è un viaggio unico e nemmeno chiaro a me stesso: sono molte dimensioni di viaggio tutte insieme (l’andare verso è fuso al fuggire da). Perché mi trascino dietro computer e disco esterno, cioè le attrezzature che mi permettono di scrivere, di lavorare meglio che a casa su molti miei testi incompleti e su immagini, di leggere i giornali, di conoscere le notizie anche locali, i fatti che succedono nel mio quartiere. Oggi sono venuto a sapere che si è costituito un comitato di residenti che controlla dove gli spacciatori nascondono la merce, proprio a meno di 300 metri da casa mia ecc.

(Ieri a Padova si è conclusa la ricognizione del corpo di San Leopoldo Mandic, il grande Confessore dalmata, durata più di 40 giorni, da parte di un’équipe di specialisti. Sarà traslato a Roma dai carabinieri, per essere esposto in febbraio nella basilica di San Pietro accanto a quello di Padre Pio). Ma è di ieri anche la notizia quasi da film neorealistico (in bianco e nero) accaduta migliaia di volte, che un giovane di Codevigo (sul bordo della laguna interna), correva in macchina per portare la moglie partoriente alla casa di cura di Abano; passata Piove di Sacco la signora fu colta dalle doglie. Il piccolo Noè aveva fretta di conoscere questo mondo, neanche il tempo di parcheggiare nei pressi di un ristorante ormai alle porte di Padova e Noè già strillava, sanissimo, tre chili e trecento grammi. Arrivo dell’ambulanza ecc., una notiziola, un trafiletto, sebbene la nascita di un umano non sia mai banale.

C’è il reale ma ci sono i libri e le guide. Un universo, e un viaggio, infinito. Dato che mi trovo in quest’area, come potrei ignorare le oltre 250 etnie seminomadi, di antica origine sino-birmano-tibetana, che abitano il Triangolo d’Oro e dintorni, in vari stati? Un tesoro di tradizioni, costumi come al carnevale, colori, oreficeria (in argento), lingue diversissime, molte senza scrittura. Endogamia/esogamia, sciamanesimo. Li vedete ai mercati e non sapete che parlano idiomi impermeabili, si sorridono e non si capiscono affatto tra di loro (quindi nemmeno si sposano, quindi niente esogamia). Già questo sarebbe un viaggio straordinario, esiste una ricca bibliografia, un itinerario che porterebbe lontano (dagli spacciatori del mio quartiere. Perché queste etnie sono da sempre i maggiori produttori di oppio del pianeta).

La gente mi affascina, la folla mi spaventa. Ma il nuovo non è l’ignoto

foto Bali a spasso nell'isola degli dèi

Bali a spasso nell’isola degli dèi

2) come mai questa tua predilezione per l’estremo Oriente?

Il primo viaggio fuori dall’Europa l’ho fatto nel 1975, quando stava finendo la guerra in Vietnam. La meta era Bangkok, dove mi aspettavano tre amici, uno padovano, uno milanese e il terzo emiliano (si chiamava Fantozzi). Loro erano molto esperti di Oriente, io ero la matricola. Avevano scelto per me la Tailandia per la sua dolcezza. Il nostro albergo, il Miami, gestito da cinesi (esiste ancora) era diciamo molto ospitale, pieno di aviatori americani delle basi nelle retrovie, ragazzoni in licenza gonfi di dollari e con signorine del posto. Fu un viaggio mitico, ne ho scritto in vari miei racconti e amo citare almeno Ritorno a Luang Prabang, nel Laos che stava cadendo sotto la dittatura comunista (2 dicembre 1975) e noi riuscimmo ugualmente ad avere il visto. Vivemmo quei giorni in una dimensione strana, di un provvisorio indicibile mai vissuto prima, tutti scappavano a Vientiane, dove basta guadare il Mekong e si è in Tailandia, che significa Paese degli Uomini Liberi (adesso c’è un ponte, chiamato dell’Amicizia e anche dell’AIDS). La moneta locale (Kip) si svalutava a vista d’occhio, ce ne davano pacchi fissati con fermagli, i ristoranti chiudevano, gli argentieri e gli antiquari se la battevano, gli avvoltoi facevano affari d’oro coi francesi che vendevano tutto. I missionari Camilliani di Galliera veneta si rifiutavano di andarsene entro 48 ore, venne anche l’ambasciatore a pregarli invano. Quando La Bonne Fourchette decise di chiudere fece una gran festa, noi come sempre mangiammo lì coi padroni, carni squisite, cotte dando fondo alle erbe provenzali, vini pregiati di Bordeaux, champagne mentre la nave affondava. Alla grande. Pagammo con un enorme pacco di kip equivalenti a un dollaro e cinquanta. Insomma leggete il mio racconto. Ma poi da lì, visitata la Tailandia andammo a Singapore e Bali, dove  potemmo godere degli ultimi bagliori di un Eden che stava già cedendo alle orde del turismo bifolco. Su di me la “prima volta” ebbe un effetto magico, a cominciare dall’atterraggio. I miei sottili amici mi portarono anche sui vulcani, anche in quelli spenti collassati dove nessuno (allora) andava: sacri templi buddisti e indù, giacevano ancora immemori tra rovi all’interno dei silenziosi disabitati crateri (nessuno di noi quattro aveva una macchina fotografica). Ora quel cratere del vulcano Bratan, essendo fertile, è stato invaso da laboriosi ortolani musulmani di altre isole indonesiane (che coltivano soprattutto fragole), l’armonia commovente millenaria è stata profanata dal cretinismo architettonico delle prepotenti orribili moschee di latta. L’incanto delle gentili pantomime, che eternavano il raffinato Ramayana, di quando le bambine danzatrici erano istruite da grandi maestre, severe eredi di un’arte rinascimentale, non esiste più. Adesso è tutto banale per ricchi incolti che tanto non noterebbero la differenza.

Negli anni seguenti ho fatto l’accompagnatore turistico, in Afganistan, Pakistan, India, Sri Lanka, Nepal, Cina, Isole della Sonda, Nord Africa, Turchia. Ho fatto quattro volte il grande viaggio archeologico americano Azteco/Maya in Messico, Guatemala, Belize, Honduras: due pulmini Combi Volkswagen da nove posti. Uno lo guidavo io. Viaggi epici, i clienti sono venuti a trovarmi per anni, migliaia di chilometri con parecchie difficoltà per raggiungere le piramidi più misteriose, in mezzo alla giungla, per non parlare della guerra in Guatemala, gli infiniti posti di blocco, i volgari controlli dei governativi, le loro urla (regresar, bajar!), le strade tremende, polverose o fangose, dove si procedeva a una media di 15 all’ora. Memorabile. E naturalmente non esistevano ancora i pc, i telefonini. 

Fu in quel periodo che maturai una decisione culturale. Insegnavo all’Università, Letteratura del XX secolo, gli argomenti preferiti erano due: la poesia e la letteratura di viaggio. Quando mi resi conto che le mie deboli forze erano insufficienti per occuparmi di tutto (ad es.: dell’abbondante/mediocre letteratura sulle nostre colonie africane), decisi di limitarmi a un solo continente, quello che consideravo (come Gozzano) la cuna del mondo, e scelsi di restringere il campo all’Asia centrale, all’Estremo Oriente e al Sudest asiatico.
Anche l’amicizia con il mio illustre conterraneo Giovanni Comisso (ora dimenticato) fu determinante. Sebbene fosse ormai molto anziano e malato, mi introdusse con entusiasmo al mondo misterioso e seducente della Cina e del Giappone che aveva visitato negli anni Trenta. Prima c’era stato Gozzano in India e ancor prima Barzini sul fronte russo-giapponese, e alla spedizione punitiva contro i boxer, e nel 1907 al glorioso raid Pechino-Parigi col principe Borghese. Così cominciai una impegnativa schedatura di libri famosissimi di italiani sull’Asia per le mie lezioni. Poi, nella seconda metà del secolo scorso, finì l’era dei viaggi via mare (almeno 20 giorni per arrivare in Cina con le efficienti linee triestine). L’aereo, a elica, per quanto lento, abbreviò di molto gli spostamenti; con Mao al potere dal 49, tutti visitarono la Cina comunista e tutti scrissero libri (di vari livelli). L’elenco sarebbe infinito.

foto Bali cartina geografica3) E questa tua passione per l’isola di Bali?

R: Dipende soprattutto da due cause: la prima è la grande bellezza dell’isola in senso strettamente culturale, l’unico che mi interessi. Ma non sottovaluto i fiori e l’incanto smeraldino delle sue risaie collinari, tra le più famose del mondo. La seconda dipende dal fatto che mentre nella stagione secca (quando in Europa è inverno) si possono scegliere moltissime mete, nell’emisfero boreale intendo, durante la nostra estate, ai tropici piove dappertutto, e bisogna andare di là dell’equatore per trovare bel tempo. Beninteso, questo vale anche per l’Africa e l’America, ma limitandoci all’Asia le scelte sono pochissime.

foto Bali Indonesia-Sculture-popolari-collegate-con-indonesiano

Bali Indonesia-Sculture-popolari-collegate-con-indonesiano

4) Qual è il senso di questo libro di viaggi che vanno dal 1996 al 2014?

R: Diciamolo fuori dai denti. Questo è un libraccio che nessun editore voleva stampare. Solo la Cooperativa dell’Università di Padova ha accettato. E per di più ho aggiunto in extremis anche il Diario Shanghaiese risalente agli anni 1987-92, giudicato da più di uno un capolavoro (io ci casco sempre), e tuttavia rimasto, diciamo così, lotto invenduto. Peccato, perché almeno le pagine dei giorni di TienAnMen visti da Shanghai sono di un certo obiettivo interesse. Così abbiamo superato le 500 pagine, come un long seller americano, ma rinunciando a metterlo nelle librerie.

Essendo questo il terzo volume di una trilogia del viaggio, ho avuto il modo di riservare monograficamente o quasi, il tema dell’isola diletta. Per dirla tutta: ho esitato a lungo, chiedendomi se ne valeva la pena, se non fosse il caso di rinunciare, di sfrondare, di farne solo un’antologia, tenendo conto che il pubblicato sarà probabilmente circa la metà del materiale, disseminato in vari computer e CD introvabili, nonché in una trentina di agende scritte fittamente (e spesso macchiate di olio solare), che non ho nessuna voglia di riprendere in mano. Infine ho capito dopo tanta fatica che un lavoro così non si finisce. Bisogna interromperlo e basta. Ho deciso per il sì, naturalmente limitando la tiratura, evitando il macero. L’abbiamo donato agli amici, sperando che mi perdonino le eccessive divagazioni, i molti particolari minimalisti, inusuali. Confesso che c’è dell’amore in questo volume, per un’umanità bambina aurorale che non può non farti innamorare. Mi rendo conto che il mio è un atteggiamento fortemente influenzato (non certo dalla religione, ma) dall’aspetto letterario/liturgico/artistico, di un impegno, di un livello, che non ho mai visto in nessun altra parte del pianeta. Così le cerimonie spettacolari, specialmente i fantastici Festival, le sontuose cremazioni principesche, cui ho avuto casualmente la fortuna di assistere, con tutto il loro fasto pagano/asiatico possono recare una mia testimonianza non di maniera. Sono anche convinto che ai balinesi non interessi il mio libro (nonostante esista ogni anno a Ubud, un Festival degli scrittori). Anni fa esisteva a Legian un giornalino in italiano: Buongiorno Bali. Conoscevo la corpulenta direttrice (già silfide nudista a Goa), si trattava più che altro di pubblicità di pizzerie. Presentarlo in un ristorante-pizzeria? Ma il giornalino non c’è più. E gli istituti di cultura è meglio perderli.

Il testo della domanda allude a date assai distanti tra loro, nel frattempo è cambiato tutto, tecnologie, aeroporti, prezzi dei voli, baco del millennio, mode e modi di scrittura, una vita, io. (Come disse Sandro Penna) vorrei sapere se questo mondo ha ancora qualcosa per me.

Ma Bali non è tutta bellezza, l’aspetto turistico è spesso deprimente, la polizia è la più corrotta del mondo, la burocrazia avida nell’estorcere al turista. A Bali sono stato derubato più volte, borseggiatori mi hanno sfilato il portafoglio con la tessera di docente e quella dell’Ordine dei Giornalisti, più 300 euro, a Bali sono stato morso da una scimmia sacra e anni dopo da un cane con relative antitetaniche e punti di sutura. I balinesi sono sorridenti, ma spilorci in modo eccessivo e non esiterebbero a lasciarvi morire sul marciapiede. (Ovviamente ci sono anche molte eccezioni).

Il senso di questo libro: forse mi sfugge.

foto Bali struttura di lusso situata nella splendida isola

Bali struttura di lusso per turisti situata nella splendida isola

5) Perché il viaggio quando si può agevolmente viaggiare chiusi in una stanza con il pc acceso o con la immaginazione?

R: Antica questione, che nei tempi recenti si è modificata molto a causa delle innovazioni tecnologiche le quali permettono ormai a quasi tutti di stare nella propria caverna e oracolare che il mondo venga a trovarli. E quello viene. Ci sono carcerati e tetraplegici che fanno così il giro del mondo, a bordo del tappeto volante, c’è quel famoso scienziato costretto in carrozzella che il mondo addirittura lo modifica e innova realmente. Perché, attenzione, bisogna distinguere tra realtà e virtuale, tra l’immane fatica dello scalatore e il piacere supino di colui che attraverso un minimo drone lo spia salire. Esiste una ricca letteratura sul tema. C’è chi si scalmana ad attraversare (i suoi) deserti, e lo stilita sopra la colonna che ci fa la pipì. Sono convinto che arrivino tutti alla medesima meta, attraverso ingarbugliati circuiti diversi che sono il misterioso gioco dell’oca dell’esistenza

(ma il senso? Resta imprendibile).

6) Cosa altro vuoi scoprire con il viaggio che non hai ancora scoperto?

R: J’ai lu tous les livres, diceva qualcuno. Supponiamo che ormai abbia visto (quasi) tutto. Metti in conto che sono cardiopatico e ho l’interdizione a salire oltre i 2000 metri. Quindi le civiltà andine posso solo sognarmele, e così il Tibet (ma a suo tempo, un millennio fa, ho visitato il Piccolo Tibet, il Ladak, e sono salito fino a cinquemila metri. Sono stato malissimo, il naso mi sanguinava. La famiglia tibetana che mi ospitava (una donna energica e vari mariti legittimi servizievoli, dato che vige la poliandria) mi ha civilmente curato con verze e patate bollite. Così posso dire di aver visitato i più remoti alti suggestivi monasteri lamaisti. Ora non più.

Il motto di Comisso era: “vedere, non capire”. Non lo condivido affatto. Resta molto da vedere ma ancor più da capire, sebbene costi fatica e non sia affatto rilassante dover ammettere che si era convinti di aver capito.

foto Bali Indonesian-Sculpture

Bali Indonesian-Sculpture

D: Cos’è più importante, la longitudine o la latitudine?

R: Ho visitato in gioventù il Nord Europa, sono stato al castello di Amleto, tutto bello, soprattutto molto costoso per un giovane (allora quei paesi non facevano parte dell’Unione). E molto freddo. Io preferisco il caldo.

La longitudine mi fa pensare che le nostre matrici culturali provengono (come noi stessi) da est e vanno verso ovest. L’Asia è la nostra grande madre, l’America è la nostra giovane bella figlia. Per l’Asia ho timore reverenziale, per l’America no. (Credo anzi che siano gli americani ad averne verso gli europei). Dell’America ammiro soprattutto le eccellenze tecnologiche, ma anche l’Europa se la cava piuttosto bene. (Il problema della ricerca è soprattutto di capitali, non di cervelli).

8) Viaggiare nello spazio non è un po’ come viaggiare nel tempo?

R: Ho imparato che viaggiando nello spazio si può giungere in luoghi dove il tempo scorre in modo diverso, o addirittura non scorre affatto. Mi sono trovato spesso in situazioni dove ho avuto la certezza di quanto sostengo, però, via da quel contesto, non lo so più dire con parole convincenti.

9) Cos’è più importante per te, lo spazio o il tempo?

 R: Una volta, fino al liceo, pensavo che tempo e spazio fossero delle unità di misura certe, paletti affidabili. Oggi soprattutto il (passare del) tempo è in discussione relativa, in quanto connesso al movimento, alla distanza, alla temperatura, alla pressione e compressione, alla reazione chimica. (Fugge inesorabile, ma relativamente). Spesso mi sono chiesto se esista un’assurda confusione fra tempo e sua misura. In un certo senso è una questione filosofica collegata all’Esperimento e al suo Osservatore, che lo modifica.

Concludendo: lo spazio è sempre là, ma il tempo dov’è?

(Tempo scaduto)

Luciano Troisio 1

Luciano Troisio con pappagallo

Luciano Troisio, padovano, studi classici, ha insegnato nelle università di Padova, Pechino, Shanghai, Bratislava, Lubiana. Ha viaggiato molto specie nel Sudest Asiatico. È autore di varie pubblicazioni scientifiche e sperimentali.

Riguardano la poesia: By logos, Lacaita, Manduria, 1979; Folia sine nomine, Seledizioni, Bologna, 1981; La trasparenza dello scriba, Vallardi, Padova, 1982;La poesia nel Veneto, Forum, Forlì, 1985; Ragioni e canoni del corpo, Asefi, Milano, 2001; Linee odierne della poesia italiana, Hebenon, Torino, 2001; Folia sine nomine secunda, Marsilio, Venezia, 2005.

Inoltre ha pubblicato le raccolte poetiche: L’angelo alle spalle, Rebellato, Padova, 1960; Anamnesi in tre versioni, Rebellato, Padova, 1965; Precario, Lacaita, Manduria, 1980; Persistenza del cavallino, L’Arzanà, Alessandria, 1984;I giardini della maharani, Mercato saraceno, Treviso, 1986; Prove di diluizione, Edit, Fiume, 1999; Le poetesse cinesi, Ad Histmum, Padova, 2000; Three or four girls, Signum, Milano, 2002; Parnaso d’oriente, Marsilio, Venezia, 2004,Oriental Parnassus, translated by Luigi Bonaffini, Legas, New York, 2006;Strawberrystop, pref. di Giorgio Linguaglossa, Faloppio, Lieto Colle, 2008;Papera Omnia, Panda, Padova, 2010; Locations, Impermanenza, Cleup, Padova, 2012.

26 commenti

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26 risposte a “INTERVISTA a LUCIANO TROISIO La filosofia del viaggio – La forza dei piedi – L’uomo esploratore –  Il viandante, Gli argonauti  – “Il viaggio come investigazione dell’ignoto?”,  “L’estremo Oriente”, “L’isola di Bali”, “Cos’è più importante, la longitudine o la latitudine?”, “Cos’è più importante per te, lo spazio o il tempo?”,”Viaggiare nello spazio non è un po’ come viaggiare nel tempo?” –  “Gli dèi scendevano tutt’intorno. Appunti balinesi” (Cleup. 2015 pp. 530 €  27) con un Commento di Giorgio Linguaglossa: “La filosofia del viaggio”

  1. Luciano Troisio

    Giorgio è un grandissimo profondo provocatore: il piede viene prima della mano. I primi sentieri sono stati creati dagli animali. Specialmente in Asia e Australia è ancor oggi abbastanza facile rendersene conto, perfino nelle città (che sono state fondate da poco) certe vie anche nel centro, prima erano certamente sentieri percorsi soltanto da animali.
    Ma la mano umana, oltre ad aver costruito utensili, armi ecc., ha fabbricato l’organo della fonazione e creato il linguaggio modificando il cervello umano.
    Ringrazio Giorgio per queste domande. Di solito in questo importante Blog appaiono i testi, sui quali si può discutere. Nel mio caso il testo non c’è. Il PDF è enorme, circa 6 Mega. Se qualcuno lo vuole, dia a Giorgio il suo e-mail e farò in modo di spedirglielo.
    Il discorso sul volume sarebbe lungo: ha pure molti difetti, ripetizioni dovute soprattutto al fatto che parecchi capitoli/articoli sono apparsi in vari siti/blog, anche in redazioni simili. Il lavoro per eliminare periodi e pagine ripetuti sarebbe stato faticosissimo.
    (Quelle due danzatrici di Batubulan, le conosco benissimo).

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  2. L’articolo-intervista di oggi è molto interessante, coinvolgente; emerge passione anche dal modo di esprimersi, un affetto tangibile verso la terra \ le terre di cui si sente quasi l’aria… Ho sempre pensato che viaggiare fosse un istinto maggiormente sviluppato in alcune persone, piuttosto che in altre e per me, viaggiatrice ancora solo nell’ambito del territorio nazionale, leggere questa pagina odierna è un respiro oserei dire necessario ad uscire almeno un po’ dal quotidiano. Mi permetto di aggiungere anche i complimenti al sig. Luciano Troisio per il passo del suo commento dove mette a disposizione il pdf del suo lavoro; forse, nonostante Proust affermasse che il viaggio di scoperta consistesse nell’avere nuovi occhi e non già nel cercare nuove terre (spero di ricordare bene), uscire dalla propria ordinaria situazione statica è davvero utile (come pure Giorgio ha scritto al suo rientro). Grazie ed un saluto.

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  3. Volevo riprendere il tema del Viaggio. Ha scritto bene Luciano Troisio, il viaggio, ha scritto, modifica profondamente l’io che viaggia, il viaggio nel tempo e nello spazio modifica la stessa piccola astronave dove è posizionato l’io. Ritengo importantissimo affrontare la problematica del viaggio perché anche l’arte e la poesia in sostanza sono affini al viaggio. Mediante il viaggio ci si apre davanti l’ignoto, e così è per l’arte e la poesia, mediante il viaggio che l’arte ci permette accediamo a piani più profondi del reale. L’arte serve a questo, altrimenti è ciarla. Quello che diceva Moina Gaita nel commento di ieri io lo comprendo benissimo, ma lei, come tanti altri, trascura il fatto che l’arte ci apre davanti la dimensione dell’ignoto. Una poesia senza viaggio è mera descrizione, descrizione turistica, descrizione dei luoghi e delle persone. Pensare che l’io se ne sta lì fermo e immodificabile mentre noi viaggiamo significa che abbiamo fatto un viaggio turistico, una villeggiatura. Quanti sono gli scrittori e i poeti che scrivono resoconti di villeggiatura? Ora io credo che della villeggiatura possiamo farne ragionevolmente a meno. La poesia descrive un evento che avviene davanti ai nostri occhi, un po’ come l’evento che avviene davanti agli occhi dello scienziato. Non c’è alcuna differenza tra le due esperienze, quella scientifica e quella artistica. Chi parla di pensiero emotivo e di pensiero scientifico non sa di che cosa sta parlando. L’arte è un viaggio nel quale si fa esperienza di un evento. Scopriamo un evento.

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    • Luciano Troisio

      Accediamo ai piani più profondi del reale. Anch’io ne sono più che convinto. Purtroppo molti ne sono esclusi, anche solo per ignavia o cattiva educazione (quindi si autoescludono). Peccato, perché più di uno potrebbe scrivere un bel commento, sarebbe in tempo, come diceva Seneca a Lucilio.
      Intanto l’argonauta si interroga sulle mille fisionomie delle sculture prive di data (e di dati).

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  4. La scorsa estate ho letto con piacere un paio di raccolte di poesia che Luciano Troisio mi aveva gentilmente inviato per posta. Bei libri, la profondità della sua poesia è notevole. Per questo mi sembra strano che un acuto osservatore poeta come Luciano Troisio abbia glissato sulla più interessante categoria di viaggiatori che io conosca, i dispersi.

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  5. antonio sagredo

    il mio modesto contributo sul “disperso”:
    ————————————————–
    Ti sei voluto santo
    la notte scorsa:
    passato il canto
    hai disperso
    – beato! –
    la corona.

    E non voglio rattristare
    la bellezza,
    ma i nostri occhi
    sprovvisti di visione!

    antonio sagredo
    Roma, 1 ottobre 1984

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  6. Carissimo Antonio Sagredo,
    mi spiace dirti che hai scritto cose molto più belle.

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  7. Gino Rago

    ” Partì la goccia dalla patria e tornò. Trovò la conchiglia.
    E divenne una perla.
    Uomo, viaggia da te stesso in te stesso. Da simile viaggio
    la terra diventa purissimo oro.
    Anche se non hai piedi
    scegli di viaggiare in te stesso: come miniera di rubini
    sii aperto, uomo, all’influsso dei raggi del sole.
    Ché se l’albero avesse piedi e ali per il viaggio
    non soffrirebbe ferite d’accetta
    né penerebbe per il tronco segato.
    Disperso…Gola stanca. Parla tu.
    Hai l’alito dolce d’un dio.
    Disperso è il fuscello che vola a quest’alito…”
    Per la coinvolgente pagina odierna de “L’Ombra”, ecco la mia timida
    idea di “viaggio”.
    Gino Rago

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  8. antonio sagredo

    e và’ bene: eccoVi accontentati… sul viaggio!

    ——————————
    Allegorie
    (quasi dantesche)

    Incontrai sul Ponte delle Anime Gioiose la stramba maschera deforme di tutte le finzioni, e sul selciato i passi dei monatti segnavano interdetti i carri e i testimoni che sui portoni il loro volto ornavano di ceppi e di capestri. I corpi decollati delle Erinni smarrivano i riti circoncisi su pagani altari fra Centauri e Giganti.

    I cardini legnosi dei tre regni vomitavano scheletrici la ruggine-belletto del Verbo originario… volgarità cristiana il volto senza maschera di un sogno – il toscano Cordigliero per inferni e paradisi creò la parola più sottile con la sua cetra maledetta e i crudeli battiti del sangue conteggiò ombre e corpi per un viaggio

    al centro oltretombale della teologia… traguardi ignoti indicò nella geometria degli imbuti e le sfere che celesti non so dire. Dubitò del cosmo di Tolomeo e predisse la caduta nel regno di Como di tragiche figure e la sacralità dell’Erebo pagano… mollò dubbioso come Caronte i remi alle correnti e il traghettare

    anime buffe – o bizzarri corpi non seppe mai – si scocciò infine. Cerbero col veleno delle note crollò il Tempo Assoluto, schifò il trono Minosse, e Colui che si nasconde dalla Notte col belletto della ruggine… il grecoro si pinse il sogno d’una finzione… e cantò nel cerchio terzo : maledetto, consùmati la maschera – con le lacrime!

    Antonio Sagredo

    Roma, 27-28 ottobre 2015

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  9. eugeniolucrezi

    Sono Eugenio Lucrezi e mi sento di dire:

    Luciano è un fante, nel senso che cammina
    nel senso inoltre che usa il fari fas.

    Luciano è un santo nascosto dietro occhiali
    che la dicono lunga sulla breve
    distanza che lo omologa e lo unisce
    a solitudini astrali, ad assoli
    che lo scaldano assai.

    Luciano fa i suoi viaggi tra sbadigli
    immensi come spire di galassie.

    Luciano, col tuo cuore dubitante,
    ma me lo dici, proprio, come fai?

    Il fatto è che non fai, tu proprio no,
    non fai, Luciano, e invece vai e vai,
    torni, non fai un bel niente e ancora vai!

    …con immensa stima, già sai, Luciano.
    …e con un grazie grande assai a Giorgio.

    Napoli, 26 gennaio

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  10. Luciano Troisio

    Stamattina sono sceso per Bf, ma soprattutto per avere la Wi Fi (che muta ogni 6 ore). Ho trovato un’emozionante inestimabile sorpresa (subito ringrazio).
    Sui testi di Gino Rago, Antonio Sagredo, Eugenio Lucrezi a rigor di logica non dovrei dir nulla, perché prima me li devo studiare con attenzione. Certo si tratta di importanti versi profondi, che vengono opportunamente a sostituire l’assenza del mio testo dal blog di Giorgio Linguaglossa, che ancora una volta riafferma una centralità per certi versi (non inaspettata ma) davvero singolare nel panorama nazionale (tutt’altro che trascurabile).
    Quasi mi commuovo.
    Ora devo uscire, sto preparando uno spostamento via terra fino al confine cambogiano. Cosa non semplice e che sarò costretto a suddividere in due o tre segmenti. E di là può esserci davvero l’ignoto, almeno come trasporti.

    L’Audi gialla l’hanno bruciata vicino a Onè di Fonte, nel trevigiano. Il Mattino di Padova non dà ancora la notizia). Ecco un’altra prova che il viaggiatore odierno in realtà è fermo dovunque, anche se avesse un Audi gialla.
    Ubiqua antenna.

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  11. I piedi sono collegati al senso dell’orientamento, l’unico problema sta nel fatto che, se avessimo un appuntamento, ci porterebbero da tutt’altra parte. Provate, se ne avete il tempo: giunti ad un bivio, lasciate decidere ai piedi; se gli darete retta camminerete meglio, più leggeri e forse anche allegramente; viceversa sarà tutto più difficile. Viaggiare ci libera da queste difficoltà: l’animo tende al buon umore, la mente si apre alla curiosità. Immagino che il piacere di leggere un libro di viaggi derivi anche da questo meccanismo; la stessa cosa capita al tifoso di calcio, che trae piacere dal veder correre i giocatori che inseguono il pallone. Tutti quei piedi in movimento… un vero spettacolo!
    Mente e corpo sono tutt’uno, non si viaggia solo con la mente: anche il corpo trae beneficio dalle meraviglie del mondo; e il poeta sappia che ha nel corpo un valido assistente, almeno finché ce la fa. In India ho visto un poeta mentre scriveva (in un giardino pubblico a Nuova Delhi), ogni tanto toccava il suolo con le mani e poi le alzava al cielo; sulle ginocchia teneva un quaderno, e tutto finiva lì, in quel che scriveva. Nella meditazione di Vipassana (credo l’unica che discenda direttamente dagli insegnamenti di Buddha), dopo 40 minuti di meditazione, seduti in silenzio, ci si alza e si cammina per dieci minuti portando l’attenzione al contatto dei piedi con il suolo. Non a caso: i piedi stanno all’estremo opposto della sede della mente. Anche la mente ha bisogno di assentarsi da noi, di alleggerirsi dal peso dei pensieri. Ma corpo e mente viaggiano insieme, altrimenti la gioia sarebbe incompleta. Gran poeta, Troisio, ho letto qui sul blog alcune sue poesie e mi sono piaciute molto. Grazie

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    • Luciano Troisio

      Andando a Mae Hong Son da Pai, tutta montagna, più di mille curve, l’autobus vecchiotto non ce la fa, ho avuto il tempo di osservare alcuni monaci, non in gruppo, scalzi, con l’ombrello chiuso, la bisaccia essenziale con la ciotola e il ventaglio, camminare adagio sul bordo dell’asfalto. Mi inquietano sempre, sebbene in generale siano abbastanza antipatici, oltreché misogini e filantropi. Dici: corpo e mente viaggiano insieme; dovrebbero. Grazie dei complimenti.

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  12. Luciano Troisio

    Sui tre testi poetici giunti stamattina ci sarebbe da scrivere un intero saggio. Antonio Sagredo, illustre oggetto di moltissime critiche contrastanti, gorgiera acherontica (ma è lecito scrivere anche gorgera; quando ci accorgeremo che quella i è pleonastica?), grazie del suo importante testo. Da dove proviene? Una volta Linguaglossa ha scritto che io provengo dalla fine (dalla consunzione) dello sperimentalismo novecentesco, (mentre io naturalmente mi considero molto di più). A parte gli scherzi, il suo testo relativo al viaggio, oltre che denso, ha un allestimento che metterebbe in difficoltà un ispettore di produzione cinematografica. Per via dell’impegnativa location. Lo considero un ricco dono di cui non mi sento quasi degno, e allo stesso modo considero doni inattesi i versi di Gino Rago sull’idea di viaggio: alcune immagini sono proprio splendide e mi compiaccio, quell’albero mi ricorda l’albero di Sergio Endrigo e spero che l’alito divino sia condiviso dalle mie (virtuali) baciatrici.
    Quanto a Eugenio Lucrezi: mi fai molti complimenti e in modo eccelso. Versi da antologizzare. Grazie davvero, troppo gentile. Come hai fatto a capire che non combino nulla? Io stesso me ne sono accorto da poco, ma la faccenda va avanti da decenni: andare, andare, ma dove?.
    Come sostiene Angela Greco, citando Proust: cambiare gli occhi invece dei luoghi (c’entra anche Seneca?)
    Spero di riuscire a scaricarmi l’intera intervista.
    Caro Giorgio mille grazie.

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  13. Che begli scritti e che interventi! Sarei tentato di non commentare, ma devo spezzare i 17 commenti alle 17 risposte di Troisio, per fare 18. Son contento che Giorgio Linguaglossa, fine letterato come pochi, abbia dato giusta risonanza a Luciano Troisio, autore di resoconti di viaggi tra Est e Ovest, cantore estremo di un certo randagismo veneto del Novecento (riscontrabile in Parise, Comisso, Meneghello, Camon, e anche in Rigoni Stern, Saviane, Piovene) che irride ogni distanza svuotando viaggio e viaggiatori: viaggiare è sempre, per i veneti, andare su acque, fluire è fuggire, perché bisogna spogliarsi della propria terrestrità, essere ombre sul pelo dell’acqua, paura e agguato sono dentro di noi, ma occorre impersonare anche lo spirito avventuroso e rocambolesco di Casanova (Fellini docet) capace di andare oltre ogni limite inscritto sulle acque, di realizzare disegni labili, latitudine e longitudine, di sfuggire a trappole ondivaghe, tanto che per cercare di riprendersi per i capelli, si tuffa, testa all’ingiù, si rivolta l’interno buttandolo fuori e viceversa, testimone di una scommessa col nulla, non avendo mai vuote le tasche dell’orrore, ovvero del reale che sfigura ogni immaginazione, nonché dell’immaginario che trasfigura ogni vicenda equorea; chi sa che cosa si nasconde dietro le ricerche continue, dietro ogni affanno, si domanda Troisio, troppo furbo per spiegarci in che cosa risieda il senso del viaggiare. Per una goccia di bellezza saremmo disposti a vivere un’eternità di bruttezza. Il Veneto è Ofelia, è la follia della bellezza e dell’amore che non affonda mai, come Venezia, tormentata dagli uomini e dal Mose. Troisio è un occhio languido del Veneto che si specchia nelle acque della Thailandia, di Bali, per sempre. Lui non lo sa, ma i suoi libri hanno il sapore dell’Eterno, di un Dio che sfugge, che non si lascia prendere, perché è vapore, goccia, cristallo: occhio, il tuo occhio, caro Luciano!

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  14. antonio sagredo

    Il signor Troisio mi pare che mi abbia compreso più di tutti gli altri, che si arrestano – miseri loro! – sulla/alla mia incomprensibilità: tema antichissimo che ancora adesso punzecchia il Poeta! Più volte in passato ho sfidato il lettore del blog a commentar qualche mio verso o strofa, ecc. : nulla da fare: sono impotenti!

    Ecco il sublime del viaggio:

    Liberati dal Tempo resteremo infine orfani felici
    in un dove che Padri e Figli non sapranno mai
    che quella riva è un altro uomo, ma una fiumana immobile
    scorre mirando del mio corpo il non agire… e poi non più.
    —–
    Questa è una delle tante mie preferite strofe… piansi dopo averla composta, piansi davvero…. era il viaggio delle Generazioni nel Tempo e alla stessa maniera il viaggio del Tempo nelle Generazioni… prima o dopo vi sarà un Poeta domani che dirà: avrei voluto scriverla io quella strofa, e ciò vorrà dire il massimo elogio che un Poeta può fare ad un altro Poeta…
    (lo stesso elogio, p.e., di Majakovskij verso una celebre quartina di Pasternàk)….
    ….dovete leggere piano quiesta mia strofa e comprenderne il senso, poi che questo non si rivela facilmente : è al’interno di una musica, che offusca la mente: ma c’è ed è il caso di dire che in questa strofa si realizza la comunione del concetto con la musica, o viceversa.
    Brindate, Poeti, questa è la Gioia… la incomprensibilità la lasciamo agli….

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  15. Luciano Troisio

    Caro Sagredo, l’oscurità, la sublime ineffabilità, nella poesia sono caratteristiche secolari. Spesso il poeta “non sa” quello che dice. Lo trasporta comunque. Perché preoccuparsene? Per restare nel “nostro” secolo, il XX, il professor Sanguineti ci ha spiegato ex-aggerando che non è possibile comunicare. Ma noi sopravvissuti ce ne possiamo altamente strafregare (anche perché non corrisponde a verità).

    Massimo Pamio, tu scardini le regole della retorica; invece di applicare toni minori laudatori/concludenti, rendi aurei tutti i territori che tocchi, apri cancelli sempre più affascinanti: drone che svela la passione. Non sarà la tua origine veneta a coinvolgerti così? Mi hai fatto ricordare, sempre a proposito di navigationi, che il mio soprannome (lo usano, raramente, soprattutto i miei amici che l’hanno coniato), è “Sinicopleuste” letteralmente: che ha navigato fino alla Cina. (Hanno scherzosamente modificato il famoso -quello sì- “Indicopleuste” e me l’hanno affibbiato).
    Grazie per queste righe fluide che dimostrano una profonda conoscenza delle questioni nostrane (ma in un sottile critico di Letterature Comparate).

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  16. trascrivo il commento giunto alla mia email:

    Luciano carissimo,

    un’intervista davvero molto bella. Che il tuo viaggio non fosse un unico viaggio mi è sempre stato evidente, il tuo è un pluriviaggio (spazio tempo longitudine latitudine cultura esplorazione…), e anche, non so se è giusto o ha senso definirlo così ma lo faccio lo stesso, un “panviaggio”, ossia il viaggio come qualcosa che ti permea e appartiene intimamente e che, così facendo, ti fa diventare il viaggio. E, credo, nasca da qui anche la tua convinzione che tutti arrivino alla stessa meta, perché essendo tu stesso il viaggio ne cogli e conosci il volo e il suo andare, e quanto al senso, sì è misterioso e imprendibile, ma ogni esistenza e ogni cosa è a se stessa e per se stessa imprendibile e misteriosa in un gioco che si perpetua all’infinito.

    Un caro abbraccio e a presto,

    Saraswati Silvia

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    • Luciano Troisio

      Grazie alle Dea Saraswati (ha raccolto, prima che toccasse terra, il fiore di Frangipani che il protagonista aveva all’orecchio. L’aveva gettato considerandosi indegno. Ora Saraswati lo conserva gelosamente).

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  17. Antonino Contiliano

    Un bell’intreccio di domande e risposte, il dia-logos sul “viaggio” tra Giorgio Linguaglossa e Luciano Troisio. Un’idea del viaggio e di chi nel viaggio si fa viaggiatore, Luciano Troisio. Un viaggio: un movimento lucianeo. Un Luciano Troisio che sa far-si movimento e scrittura in movimento. Un intreccio che non ha la misura quantitativa della longitudine e della latitudine, ma dello spostamento-sconfinamento nelle pieghe della velocità o della lentezza del percorso che lo porta fra andirivieni. Un far-si-movimento – un passeggiar-si/paesar-si – di scritture descrittive come grandi ekphrasis che descrivono tutto ciò che vedono e lasciano a vedere (il “senso, introvabile”). Forse, quello di Luciano, è un viaggio-di-scrittura-nomade. La localizzazione dei luoghi e dei tempi è solo un descrivere-nominare le scene che vede e che lascia vedere, finite ma non compiute. Ecco perché continua a viaggiare “tra” gli stessi luoghi-andirivieni o i punti in cui ha scelto di “pasear-si” (Prendo in prestito l’espressione pasear-si da Giorgio Agamben (cfr. «aut aut», n. 276/1996), quando parla della vita in Gilles Deleuze come ’“immanenza assoluta”).

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  18. Agostino Contò

    Forse in questi quindici giorni invece che trafficare con fitte e stampelle e notti quasi insonni avrei potuto dedicarmi a qualche altro tipo di viaggio anch’io, che poco ho sempre viaggiato. Che da timido a volte sono perfino imbarazzato se sono fuori casa e da solo: a Parigi rischiavo di morire di fame perché in rue Richelieu non osavo entrare in bar e ristorantini, perfino a Treviso qualche volta se sto da solo nel centro non so rompere il ghiaccio e tuffarmi in osteria o in trattoria. Io che non ho mai avuto attenzione o curiosità per l’Oriente (al di là del fatto che misteriosamente sono stati lì inventati i caratteri mobili da stampa) ma nemmeno per altri continenti che non siano l’Europa. Io che stupisco della voglia e forza che hai, Luciano (indipendentemente dall’età, che non fa testo rispetto alla voglia di vivere, di essere, di fare) da sempre-zingaro e di come riesci a tradurre queste tue scorribande (da Pai a Padova) in scritture di somma qualità. Che avvincono, insomma, non tanto per gli oggetti che raccontano (che potrebbero anche non incuriosirmi più di tanto) ma per come sono raccontate. I tuoi viaggi sono un filtro che produce letteratura. Buona letteratura. Ottima letteratura. Inusuale letteratura “di viaggio”. Chissà se i miei non-viaggi riusciranno mai ad avvicinare i tuoi.
    Eppure di viaggi anche le mie scritture di questi tempi si alimentano: sto lavorando ad una raccolta che dovrebbe intitolarsi “vacanze”, non nel senso solo dell’estate o della settimana bianca, ma nel senso di vaco-vacas manco, vado via, sono altrove. Che è un percorso che si fa sì per salvarsi dalla routine finendo in qualche isola o spiaggia inusuale, ma che si può fare anche nel caso di vuoto e rinascita dopo un viaggio operatorio: sei uscito involontariamente dalla normalità per andare in un luogo sconosciuto (forse definitivo?) e non sai come quando e se ritornerai. Un viaggio anche questo, tra colori delle divise, luci dei laboratori, macchine che ti sfrugugliano, aghi, cannule, cibi immangiabili, architetture luccicanti.
    Certo. Queste non sono bellezze paragonabili alLA Bellezza che tu insegui, che trovi e che riesci a comunicare. Ma ognuno la cerca a modo suo, con le proprie forze, con le proprie voglie. Io per ora mi accontento. Non voglio accontentarmi, ma per ora mi accontento.
    Per esempio, di essere riuscito, oggi, a muovermi per casa con una sola stampella. Così faccio meno fatica a preparami il pranzo.
    Un fortissimo abbraccio

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  19. Silvana Baroni

    Finalmente la partecipazione che merita! Tutto il lavoro di Luciano è possente, che sia poesia o prosa, ma quello che lo rende unico è l’accanimento passionale con il quale osserva, partecipa e racconta: uno scorrere impetuoso di proprie emozioni in perfetta sincronia con il contesto paesaggistico e antropologico. La sua scrittura è un flusso in cui egli è al contempo acqua, nuoto, galleggiamento e Storia.
    Sono sempre stata colpita, già in “Le città del re lebbroso” dal ritmo del reportage, dalla scorrevolezza con la quale specifica e intermezza anche attraverso commenti salienti.
    Concludo brevemente riprendendo un rigo dalla postfazione che mi sono onorata di scrivere: ” Troisio fotografa con la scrittura, ferma il mondo per ricordarsi di esserci stato”.

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  20. Luciano Troisio

    Mi permetto alcune righe extravaganti contrastive: ieri sono andato “in centro”. Bangkok ha 12 milioni di abitanti. (In Asia non è molto se si pensa che Tokyo ne ha 38 e in Cina ce ne sono molte di simili). Io alloggio nel quartiere alternativo fricchettone, area pedonale, tranquilla, a ridosso della città reale (nella mappa: a nord ovest, sul fiume). Per fare 5-6 chilometri e arrivare al lussuosissimo Siam Center ci abbiamo messo 2 ore e mezza. Tanto per dire che bolgia infernale è il traffico. Esiste anche una metro sopraelevata velocissima, però ha solo due linee che saggiamente non toccano la parte antica.
    Il Siam Center è considerato il migliore complesso di “Arcade” dell’Asia. Tutto pulitissimo, luccicante, tutti ben vestiti, eleganza e bellezza, merci raffinate, molte le boutiques francesi, italiane, ma anche Maserati e Lamborghini e tutte le altre celebri marche, supermercati a ufalda, ristoranti, caffè, superfluo, dolcezze, mangianze e godenze, ragazze belle e bellissime (nel senso serio di veramente affascinanti e confortanti), probabilmente molte sono modelle, cineasti e Tv che stanno sempre girando ridenti e trasmettendo. Il cuore commerciale/culturale del Paese. Anche la folla sembra diversa rispetto ai soliti sottostanti vomitoria neorealistici delle strade affollatissime, furtive acute occhiate d’intesa ambosessi che potrebbero aprire chissà quali universi paralleli e quantistici. Prezzi alti, nulla a che vedere con la “realtà”. Una full immersion nel mondo dei ricchi (dell’autentico e del falso).
    Il ritorno è stato più rapido, l’ho fatto col bus 15, che arriva al mitico Monumento alla Democrazia, si scende tutti lì, ormai erano le 21.30, si sbatte subito contro stuoie nei larghi marciapiedi, centinaia di diseredati distesi, coperti da stracci, barboni inurbati, anche qualche prostituta giovane, disperazione, immondizia, cibo abbandonato. Nessuno chiede l’elemosina; e tutto ciò fino ai giardinetti che circondano il ground reale; sullo sfondo l’oro illuminato del Vat Pra Keo, delle antiche pagode che tacciono.
    Scrivo questo per giustificarmi, perché al rientro ho scoperto che la password non era più valida. Stamattina ho trovato i commenti dei due postfatori: Silvana Baroni, che è anche psichiatra, mi aveva già stupito scrivendo (e centrando) che fotografo accanitamente il mondo “per ricordarmi di esserci stato”. E’ proprio così, nonostante molto si dimentichi ugualmente (anche della propria casa). Agostino Contò vittima del Ducato: sì sono vecchio, devo essere molto prudente, ricordare molte cose, prendere le pastiglie. Avrò ancora la forza di viaggiare? (Ma stare a casa è molto peggio). Anche per me entrare in un luogo pubblico è sempre stato un problema. Ora da vecchio sono più deciso, tenendo presente che non è sempre facile ottenere un tavolo, specie poi se si è da soli. Quanto alla “Vacanza”, come ti capisco e ti abbraccio, caro amico!
    Nino Contiliano, grazie del tuo pasear lucianeo, quasi un andirivieni nella gabbia. E’ proprio vero: bisogna almeno sentire la necessità di ben descrivere (se non si può narrare), e non sempre si tratta di ekphrasis. Mi garba assai che questo lemma pochissimo usato mi giunga dalla Sicilia greca. (Il commento più a sud).
    Se l’eleganza/efficacia non è almeno sufficiente bisognerebbe avere la forza di eliminare la pagina.

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