ROSSELLA  CERNIGLIA “Antenore” (Poemetto inedito) con una Nota dell’autrice e una Postilla redazionale

Rossella Cerniglia è nata a Palermo il 14 ottobre 1949, dove vive. Laureata in Filosofia è stata a lungo docente di materia letterarie nei Licei della stessa città. La sua attività letteraria ha inizio con la pubblicazione di Allusioni del Tempo, ed. ASLA – Palermo 1980; seguono Io sono il Negativo (ed. Circolo Pitrè – Palermo 1983; Ypokeimenon, ed. La Centona – Palermo 1991; Oscuro viaggio, ed. Forum/Quinta Generazione – Forlì 1992; Fragmenta, Edizioni del Leone – Venezia 1994; Sehnsucht, ed. Bastogi – Foggia 1995; Il Canto della Notte, ed. Bastogi – Foggia 1997; D’Amore e morte, stampato a Palermo nell’anno 2000; L’inarrivabile meta, ed. Ila Palma – Palermo 2002; Tra luce ed ombra il canto si dispiega (antologia e studio critico comprendente anche i testi di altri quattro autori palermitani, a cura da Ester Monachino), ed. Ila Palma – Palermo 2002; Mentre cadeva il giorno, ed. Piero Manni – Lecce 2003; Aporia (, ed. Piero Manni – Lecce 2006; Penelope e altre poesie, ed. Campanotto – Pasian di Prato 2009. In ultimo, nel giugno del 2013, per l’Editore Guido Miano di Milano, ha pubblicato un’Antologia che propone un breve saggio delle prime dodici sillogi poetiche, con disamina di Enzo Concardi.  Altre opere sono in attesa di pubblicazione. Nel 1999 ha, altresì, pubblicato il romanzo Edonè…edonè. Nel 2007, ancora per l’editore Piero Manni di Lecce, viene stampato il suo secondo romanzo dal titolo Adolescenza infinita e infine, per l’Editore Aletti di Villalba di Guidonia, il libro di racconti Il tessuto dell’anima. È presente con alcune poesie nella Antologia Il rumore delle Parole a cura di Giorgio Linguaglossa EdiLet, Roma, 2015. Collabora ad alcune riviste ed ha ricevuto favorevoli riconoscimenti e attestazioni da parte di numerosi critici e letterati. Suoi versi e profili critici sono presenti in antologie e riviste letterarie, tra cui L’Altro Novecento (vol. II e III) a cura di Vittoriano Esposito edito da Bastogi, 1997; nella rivista Poesia dell’editore Crocetti di Milano; in Poeti scelti per il terzo millennio (2008), in Storia della Letteratura italiana (vol. IV,  (2009)  e in Poeti italiani scelti di livello europeo ( 2012), dell’Editore Guido Miano di Milano.

grecia Il dio Dioniso, figlio di Zeus e di Semele, giunge in forma umana a Tebe, patria della madre

Il dio Dioniso, figlio di Zeus e di Semele, giunge in forma umana a Tebe, patria della madre

nota redazionale

Nell’Iliade, Antenore viene descritto come un vecchio eminente e saggio troiano che implora i suoi concittadini affinché essi restituiscano Elena al marito, Menelao, per scongiurare il conflitto con gli Achei. Tale richiesta resterà inascoltata, per il prevalere del partito favorevole alla guerra, riunitosi intorno all’altro consigliere di Priamo, Antimaco.

Antenore sposò Teano, adottando Mimante, il bimbo nato da un precedente matrimonio della moglie, e da lei ebbe poi numerosi figli, tutti maschi, che presero parte alla difesa di Troia: a Coone, il maggiore, seguirono Glauco, Agenore (padre di Echeclo, pure lui guerriero benché ancora giovinetto), Archeloco, Acamante, Eurimaco, Elicaone, Polidamante, Demoleonte, Laodamante,

Laodoco, Anteo, Polibo, EIfidamante, l’ultimogenito. Una versione lo dice padre pure di Lacoonte. Si unì anche ad una schiava, dalla quale ebbe un figlio di nome Pedeo, allevato con affetto da sua moglie legittima. Nei cinquanta giorni di guerra narrati nell’Iliade, Antenore perde sette figli ed il nipoteEcheclo.

Da molti autori classici e medievali Antenore è indicato come un traditore. Ad esempio secondo le versioni di Ellanico, Servio o Ditti Cretese, Antenore tradì i Troiani, consegnando ad Ulisse e Diomede il Palladio, talismano della invincibilità troiana, avendo in cambio salva la vita per sé e la propria famiglia. Dopo la distruzione di Troia, Antenore raggiunse il nord Italia (è infatti considerato il fondatore di Padova e il capostipite dei Veneti). SecondoTito Livio, invece, Antenore ottenne la libertà dagli Achei grazie al ruolo moderato che avrebbe svolto durante la guerra. Comunque siano andate le cose, egli giunse nel Veneto con la moglie, i figli superstiti e alcuni alleati dei Troiani (i Meoni di Mestle e i aflagoni rimasti senza guida dopo la morte del loro comandante Pilemene), e fondò Antenorea, denominata in seguito Padova, dove poi morì. Qui sorgerebbe anche la sua tomba.

grecia TRIPODE raffigurante Apollo

TRIPODE raffigurante Apollo

Nota  dell’ Autrice

Con l’accumulo degli anni, visioni nuove vengono ad instaurarsi, inediti assetti si determinano quali aggiustamenti che tentino una nostra ricollocazione nel mondo, in un equilibrio che consenta una qualche stabilità al nostro essere, un’integrazione, insomma, che ci consenta ancora la vita.

I fulgori della giovinezza sono ormai lontani, gli ardori acquietati, la vita è rimasta fuori di noi come un fiume che dispiega le sue acque tranquille sulla nostra contemplazione. Tutto è remoto, non restano che quiete e nostalgie. Non restano se non i fantasmi che un tempo bruciarono l’anima, le sirene che incantarono i nostri sensi, i miti cui si ancorava il nostro destino per non sfaldarsi e non precipitare. La loro eco dura nell’anima, resiste in una calma incontrastata, diviene leggendaria visione, diafana forma che fu un tempo di viva fiamma, desiderio caustico e inestinguibile, resiste a testimoniare le effigi di un lontano passato, la ricerca vana, inesauribile di sconfinamento e perfezione, l’idea e il sogno di una bellezza che viva incontrastata e di un amore come sublimazione e inarrivabile conquista dell’Unità negata.

È l’orizzonte cui rimandano i versi del poemetto Antenore, nella rappresentazione di un eros come infinita tensione, irraggiungibile totale appagamento in uno sconfinato protendersi del desiderio. E giovinezza e bellezza ne sono sostanziali premesse, quasi sinonimiche necessità. Rivive l’ideale perenne, nostalgico, di un passato che ci appartenne e che ritorna sempre nuovo: la Sehnsucht di una terra lontana, arduamente immaginaria ed eternamente cara alla memoria, il luogo della limpida perfezione e dell’incontaminata purezza.

Le Altre poesie si distaccano da questo quadro di quasi rasserenante idillio e di acquietato anelito. Quelle della prima sezione sono l’esito di una disincantata visione del reale, le rimanenti sono, in gran parte, accensioni di un dolore dalla pregnanza cosmica.

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Rossella Cerniglia                                       

  Antenore

Io, Antenore, che fui giglio d’ Oriente,
fulgido di bellezza come un dio, ambra la pelle,
ebbro del nettare e sazio dell’ambrosia degli immortali.
Mortale carne in vellutato corpo, per uomini
che in nulla cedevano all’Olimpo.
Antenore, grandi occhi fanciulli, lo sguardo
remissivo, tumide le labbra per i baci nati
nel cuore dell’alcova, quando, spente le luci,
uno solo, il mio dio-signore le riempiva
del miele che addolciva la sua bocca.
Timido fanciullo infatuato dell’amore
( e che l’amore fosse un dio fatto persona )
a te, io vecchio, dedico l’ultimo languente
sguardo, l’ultimo invidioso saluto.

Ora rincorro memorie e vane ossessioni,
la mente ne diviene prigioniera.
Sorgeva piena, lì di fronte al mare, la luna.
Noi due, io e te, Palemone, eravamo trepidi,
mano nella mano. Nell’aria un tenue vento
bisbigliava. Parole che non volevano affacciarsi
all’orizzonte dei pensieri, erano calde come la stagione,
come l’affanno che pulsava nei cuori.
Io ero tuo, tua pianta, tuo germoglio, avevo ancora
la voce del fanciullo, la voce di chi ama
più virili accenti e più pregni di vigore.
Una nave levava l’ancora nel porto e viepiù
s’allontanava donando nuovo impulso alla tristezza
e un nuovo ardore che m’induceva a ricercare l’altro,
mio compagno, come avessi da rifugiarmi
sotto una protettiva ala. Così il mio cuore
rinasceva nuovo, perennemente innamorato
della forza di quelle forti membra, della suprema
maestà del gesto, del vivido suo nobile profilo
che mi stringeva, come in un pugno, il cuore.
Sentivo che il respiro suo era mio, che l’anima
che s’aggirava prigioniera nei segreti sentieri del venerato
corpo, mi apparteneva con urgenza e lui voleva
donarmela intera perché, bevendola insieme al suo respiro,
insieme stessero, anch’esse avvinte come i corpi.
Un giorno ce ne andammo in riva al fiume.
Lui mi sollevò con gioia nel suo possente abbraccio,
poi si tolse i calzari sulla rena. Rotolava quieta l’onda
sopra l’arenile. Io felice corsi a bagnarmi, mentre,
sdraiato sui ciottoli, lui certo ammirava la mia
giovane vita, le mie gambe più esili, il mio busto
flessuoso, e femmineo quasi, e tutte le mie forme
che cantavano gioventù e bellezza.

Ma poi amai altri uomini, altrettanto vittoriosi
nel mio cuore, il nerbo della loro forza, l’elementare
bellezza altera ed arrogante, quasi che amarli
fosse, per altri, un destino. Così tu, Salomon,
ebreo dal collo taurino e tu, Oreste, possente
come un giovane Eracle… Ma forse no, forse
mi tradisce la memoria, forse a voi solo toccò
la parvenza dell’amore, poiché non amai
che la sicumera dei vostri corpi perfetti,
archetipi d’immaginari gladiatori, reziari
e secutori a lungo bramati nell’ardore.
Vi depredai del piacere che i vostri corpi mi donavano,
con voi dissipai in fretta la lussuria e ogni desiderio.
Pochi anni rimase accanto a voi la mia adorabile ricciuta testolina,
la mia corporatura mingherlina, esile e gioiosa, e il mio
indicibile sorriso che molti baciavano e credevano di possedere
attraverso le mie labbra, e altri, sapendo ciò impossibile,
ne serbarono un indomabile tormento.

Ma ora tutto mi sfugge, talvolta i ricordi
volano dalla mente. Per vivere debbo riacciuffarli,
farli vivere in me come se l’ieri fosse oggi,
finalmente tornato a invadere questa giornata
di buia tristezza, come un sole che splenda,
un attimo, tra nubi, o i cui raggi s’insinuino
nella tenebra, ben più profonda, d’un vecchio pozzo.
Con fatica ricordo brevi fatti, eppure, ne son certo,
che segni ne lasciarono sul mio corpo come nella mia mente
e nella mia, a lungo, vergine anima. Mutarono il sorriso
e, lentamente, la mia gioia in tristezza.
Ora, tra tutto, mi torna in mente un lungo viaggiare
per terre e per mari, alla ricerca, sempre, d’una felicità
che s’adombra ogni tanto. La felicità che inseguivo
era Eliodoro perduto, andato per mare
dopo uno spasmodico addio, dopo una notte
piena di dolcezza che mai i divini amplessi
possono eguagliare. Io lo amai perdutamente
credendo smarrita la mia vita per un sogno lontano
che mai sarebbe rifiorito. I miei calzari
andarono tra la polvere di sconosciute contrade,
io invocavo il suo nome, evocavo i giorni dell’ardore
senza che la stanchezza, a fine giorno, non m’infondesse
(oh, spietata!) un languore dell’anima, struggente.
Eliodoro era ciò che il nome prometteva: un dono del sole;
caldo vivido sole! Per sempre amai la sua luce,
la sua ardente fiamma ormai lontana.

Rossella Cerniglia

Rossella Cerniglia

Poi fu il tempo degli occhi di cielo… (Quando la tempesta
fu passata, quando Eliodoro fu, in qualche modo,
relegato nel compianto paese della nostalgia ).
Allora venne, con occhi d’azzurro cristallo,
il marinaio macedone, un bronzo brunito,
temprato dall’ardore di una fiamma che era del desiderio.
Un ardito, uno spericolato per mare e per terra
(quando giungeva l’ora dell’amore ).
I suoi splendidi occhi erano il cielo e il mare,
un mare di un azzurro cristallino come ci appare,
in un giorno di sole, il nostro Egeo.
Io non potevo, attratto come sempre fui, dalla bellezza
sensuale di forme e di colori, non amare
quello straordinario sguardo che mi rimescolava
il sangue nelle vene e nel cuore.

Una notte, da Cipro a Tiro veleggiammo baldanzosi.
Era una notte tiepida e tranquilla; nell’alba, dolcemente
vacillante nei miei occhi, lo vidi che ammainava una vela,
agile ombra ancora tutta nera nel mattino incerto.
Mi destai con voluttà e lieve lieve comparì l’aurora
che prese a stendere sul cielo e sulle acque
tenui veli di rosa. Abbracciati, in quella eterea parentesi
di cielo ed acqua, mirammo quanta bellezza
ci destinava l’ora, e con commossi accenti lui mi disse:
“Godi, fanciullo, quanto i tuoi occhi vedranno
ancora per poco, godi questo raro momento di vita!
Osserva il luogo, deliziati dell’amicale compagnia,
l’inebriante freschezza e la pace di questo sogno
generoso e puro, che finalmente vivi, non scordare,
inebriati, senza alcun pudore, della grazia che viene
dai nostri corpi denudati, giunchi novelli plasmati nell’aurora.
Osserva quanto sublimi siano nel risveglio.”

Da allora quanti giorni e quante notti
ho sospirato i baci e le carezze sul mio corpo,
quelle ruvide e dolci carezze posate, con tocco gentile,
sulla mia pelle infuocata, a lungo così vive e palpitanti
nel sensuale richiamo di un corpo voglioso e affranto…
Ora, come altri momenti felici di un tempo, giacciono
senza un brivido di passione, in un lontano ricordo.

Ecco ciò che fui: un vezzoso amante, da tutti desiderato
e innamorato io stesso del bello che ci sovrasta
e ci confonde e sconvolge l’anima ed il cuore.
Viso di fanciullo dal profilo etereo, dall’incarnato
intatto, immacolato; fulgente come nelle statue
di marmo pario è effigiato l’efebo, un’enigmatica figura
d’ambigua bellezza che vuol significare l’essere,
ma quasi troppo puro per incarnarsi nella vita.
Ed io ero sognato dormiente, ignaro
di quella forza erotica che erompeva dalla mia
noncuranza, da una posa infantile e lasciva a un tempo,
astratta ed insensibile come in un dio
dimentico della sua deità.
Amai e fui amato, rubai amplessi e baci, dilapidai
i piaceri che mi giungevano dai corpi
vinti dall’amore; e anch’io fui depredato
degli stessi piaceri che dà la carne. Ma non solo questo
mi attraeva negli uomini che incontravo;
bensì, talvolta, il frutto d’una mente sagace,
un raffinato sentire, un mistero che non voleva donarsi
e mi tentava con le docili spirali dei sensi,
mi fu fatale. Ho venerato un uomo non più giovane;
fu il mio glorioso amico, visitato dalla fama,
onorato per la sua sapienza e per i versi
che lo incoronavano poeta. Bello per l’alloro
a lui destinato che gli profumava le tempie.
Bello per le visioni e i sogni che ricreava in me.

Ma nel trascorrere degli anni divenne stanco
il mio corpo. I desideri non più mordevano
l’anima ed il cuore, mentre sentivo che la vita
era un lento inabissarsi, un venir giù quietamente
in acque fosche. Ecco, la vita gioiosa è ormai lontana,
vano dolore è rimembrare. Sono così divenuto un vecchio:
non i bei corpi mi allettano adesso, non le turgide carni
di delicate sensuali fragranze, ma ne sento la mancanza tuttavia
nella nostalgia del bello sempre più lontano.
Per questa nostalgia un poco invidio il mio corpo
di allora, le delizie che donava e riceveva.
Ma troppi, troppi anni son passati, mi sono incanutito
ed intristito, né ci sarà, per me, un cantore
della mia fulgida bellezza, uno che mi conobbe allora
e potrà testimoniare quanto felice e breve
fu la mia dolce stagione.

 

14 commenti

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14 risposte a “ROSSELLA  CERNIGLIA “Antenore” (Poemetto inedito) con una Nota dell’autrice e una Postilla redazionale

  1. Resto affascinato dalla perfetta rispondenza del dictum e del modus, del letterale e del figurativo immersi e confusi in una unione perfetta in questo poemetto dal tema omoerotico di Rossella Cerniglia cesellato e ricamato sul telaio di una scrittura nitida ed esatta, appena anticata, quel tanto che non guasta. Complimenti all’autrice.

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    • Ringrazio, infinitamente, Giorgio Linguaglossa per aver pubblicato il mio
      poemetto “Antenore” e per avere interpretato, con fine analisi, i miei versi ed espresso tanto raffinatamente e compiutamente il suo sentire e il suo pensiero su di esso.

      r.c.

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  2. Tanto per stare in tema etrusco, la poesia di Rossella Cerniglia è ricca di libido. “Antenore” è visto come quello che fu un giovinetto troiano dedito agli amori omoerotici ed eteroerotici. È uno sguardo della vecchiaia che lo investe e che ne scopre le discinte equazioni della Bellezza erotica.

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  3. Gino Rago

    Niente da aggiungere ai pregnanti commenti di Giorgio L. sul lavoro di Rossella Cerniglia, se non un grazie all’autrice dei versi e a Giorgio per averli a noi donati, dal momento che, ( rubando le parole a Camillo Sbarbaro dirette a Giovanni Boine, che aveva da poco recensito lo sbarbariano Pianissimo sulla Riviera Ligure, nel 1914), “la maggior gioia dopo quella di creare è quella di trovare chi vibri con noi…” Gino Rago

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  4. Salvatore Martino

    Nonostante l’assunto tematico che sembra volgere ad un antico poetare la Cerniglia con levigatezza espressiva, con gusto, quasi circondata da un alone di magica nostalgia , riesce a costruire un poemetto decisamente moderno, con una musica che trascende il verso libero, una delicatezza quasi apollinea, che ci trasferisce in quel mondo vagamente ellenico, o se preferite dell’Asia minore, che tanto ha segnato la nostra cultura. Un Nostos nelle acque tranquille non della dimenticanza, o peggio dell’oblio, ma dei mari che dovremmo nuovamente solcare, con le nostre imbarcazioni, coi nostri corpi, con le nostre anime. Una tematica coraggiosa in questa ipocrita palude di omofobia. Salvatore Martino

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  5. Ringrazio, ancora, Giorgio Linguaglossa, e Gino Rago e Salvatore Martino per i loro commenti, colti e puntuali, che ho molto gradito. E’ proprio vero: “La maggior gioia, dopo quella di creare è quella di trovare chi vibri con noi”

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  6. ubaldoderobertis

    Un caloroso plauso a Rossella Cerniglia.

    Ieri sera mi sono assopito con questi suoi splendidi versi:

    “Ma troppi, troppi anni son passati, mi sono incanutito
    ed intristito,// né ci sarà, per me, // uno che mi conobbe allora
    e potrà testimoniare quanto felice e breve
    fu la mia dolce stagione. ”

    Ubaldo de Robertis

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  7. Certi versi di Antenore hanno il nitore e lo spessore di un Kavafis.

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  8. Ho esitato a lungo prima di azzardarmi a commentare questo poemetto, così completo e ricco in forma e sostanza. Evidentemente il talento esiste, eccome!

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