
giuseppe pedota acrilico su persplex anni Novanta
Il filosofo americano Robert Nozick nelle sue Philosophical Explanations (Cambridge, Mass. 1981, p. 122) ha riproposto da domanda di Leibniz: «Perché esiste qualcosa piuttosto che nulla?».
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“Perché esiste qualcosa piuttosto che nulla?”. La domanda di Leibniz è una domanda estrema, essa sconfina con i margini del linguaggio metafisico. È la domanda prima. O la domanda ultima, oltre la quale non è possibile andare. Di qui la liquidazione, da più parti, come “mal formulata”, “insignificante”, “folle”. «Ma perché – ha fatto notare Robert Nozick – la rifiutano allegramente invece di osservare con disperazione che essa pone un limite a quello che possiamo sperare di capire?». È una domanda così formidabile che anche uno che di recente l’ha ripresa e l’ha chiamata ‘la domanda fondamentale della metafisica’, Heidegger, non propone risposte e non cerca nemmeno di far vedere come le si potrebbe rispondere.
L’interrogazione era stata ripresa da Heidegger in una forma sensibilmente modificata: «Perché in generale l’ente piuttosto che il nulla?» (Introduzione alla Metafisica, 1953). È la domanda fondamentale dalla quale dobbiamo partire, la domanda che, per il suo rango, merita il primo posto tra tutte le domande. La domanda per Heidegger «la più vasta, profonda e originaria», alla quale non è possibile sottrarsi.
Capovolgendo la domanda, io penso che un ipotetico abitante dell’Iperspazio a 10 dimensioni più il tempo (Secondo la tesi del famoso fisico Michio Taku), così si esprimerebbe: «Perché in generale il nulla piuttosto che l’ente?», in quanto dal punto di vista di un tale abitante l’assurdo sarebbe ipotizzare l’esistenza dell’ente, posto che il nulla sarebbe la modalità normale di esistenza del suo Super-pluriverso simmetrico e stabile.
Ma ipotizzare un “sistema simmetrico e ordinato”, uno stato naturale e privilegiato quale potrebbe essere il Vuoto, lo si può fare soltanto a partire da un universo dissimmetrico quale il nostro, affetto da instabilità, inflazione, fluttuazione e dalla freccia irreversibile del tempo. È possibile ipotizzare, come ha fatto Robert Nozick, l’esistenza di una quantità minimissima di nientità che è sfuggita alla forza di nientificazione e che ha prodotto l’universo; in questa speculazione ci conforta la fisica delle particelle sub-atomiche che, appunto, galleggiano nel nulla e, in quanto tale, esse sono (e non sono). Questa nientità è quindi inerente all’ente come facente parte della sua stessa “sostanza”.

Giuseppe Pedota L’universo acronico, anni Novanta
Perché esiste l’universo piuttosto che il nulla? L’esistenza dello spazio-tempo dovrebbe essere considerata una forma di “creazione”? La risposta è: avrebbe potuto non esserci nulla piuttosto che qualche cosa. Molti scienziati sono dell’idea che l’esistenza dello schema matematico di un universo non equivale all’esistenza reale di quell’universo. Rimane dunque ciò che Drees definisce “la contingenza ontologica”. La teoria di Hartle-Hawking si accorda piuttosto bene con questo senso più astratto di “creazione”, perché è una teoria quantistica. L’essenza della fisica quantistica è l’indeterminazione: la predizione in una teoria quantistica è la predizione di probabilità più che di certezze. Il formalismo matematico di Hartle-Hawking fornisce le probabilità che un universo particolare, con una organizzazione particolare della materia, esista in ciascun momento. Nel predire che c’è una probabilità diversa da zero per un particolare universo, si afferma che c’è una possibilità ben definita che esso sarà realizzato. Siamo qui di fronte ad una “realizzazione di possibilità“.
Possiamo ipotizzare che il Vuoto è un sistema stabile e simmetrico che ospita una gigantesca forza di nientità o di vuotità. Trattasi di un sistema a-dimensionale (secondo alcuni pluridimensionale), un sistema stabile e simmetrico che non ospita il movimento. L’immobilità del Vuoto sarebbe il risultato di un sistema di forze in tensione in perenne equilibrio. Il sistema del Vuoto è un sistema abitato da una gigantesca forza di vuotità, una forza in tensione perenne e stabile che, è paradossale, per esistere, ha bisogno di produrre continuamente universi instabili e dissimmetrici abitati dalla freccia del tempo. Ora, è anche possibile ipotizzare che questi infiniti universi non sgorghino dalla sua superficie o dai suoi orli ma che abitino stabilmente in esso Vuoto. E che nel sistema del Vuoto ritorneranno quando si concluderà il viaggio dell’entropia del nostro universo. Mi sembra ovvio aggiungere, in epigrafe, che da questa ipotesi topografica non c’è alcun posto per dio. Dio, infatti, è stato fatto sloggiare dai suoi stabilimenti del nostro universo. E anche dagli altri universi; gli resta semmai soltanto un Non-luogo dove abitare: il Sistema a-dimensionale, stabile e infinito del Vuoto.
Secondo la tesi del famoso fisico Michio Taku, dio è una entità che parla matematica e che abita l’Iper-spazio a 10 dimensioni più il tempo. Solo che ancora non abbiamo una matematica in grado di leggere le frasi che dio pronuncia nella sua dimora nell’Iperspazio. Il problema dell’autenticità nella nostra epoca si pone come l’orizzonte decisivo delle filosofie del nuovo esistenzialismo, proprio perché dio sembra aver abbandonato il nostro piccolo universo e si è ritirato a villeggiare nella sua vasta dimora presso l’Iper-spazio. Sta a noi e solo a noi, dunque, trovare le chiavi di una esistenza giusta e dignitosa. Così oggi si torna a parlare di autenticità come si parla di Iperspazio, cioè di entità distanti quanto la luna da noi semplici enti mortali.

Robert Nozick
Giacomo Marramao testo tratto da Minima temporalia (2005, lucasossella editore)
«La domanda per il filosofo americano presuppone “una teoria egualitaria“, nel senso che divide gli stati in due classi: «gli stati N (naturali o privilegiati) che non richiedono (né ammettono) spiegazione e quelli che viceversa la richiedono (che vanno cioè spiegati come ‘devianze’ da N imputabili casualmente all’azione di forze F). Nozick adduce al riguardo gli esempi di Aristotele e di Newton: per il primo, lo “stato naturale” che non richiede spiegazione era la quiete, e le deviazioni da questo stato si determinavano per l’azione costante esercitata da forze impresse; per il secondo era invece costituito dalla quiete e dal moto rettilineo uniforme, mentre tutti gli altri moti dovevano essere spiegati mediante “forze non controbilanciate che agiscono sui corpi”. A questi esempi potremmo affiancare dal canto nostro… proprio quella di Leibniz. Con risultati un po’ curiosi, se non addirittura paradossali: per la metafisica leibniziana nessuno stato del mondo soddisfa i requisiti di N, poiché ogni situazione del mondo, anzi il mondo nel suo complesso, necessita – in quanto contingenza e devianza – di una giustificazione. Si potrebbe azzardare allora, sempre avvalendoci della stilizzazione di Nozick, che il solo “stato N” sia rappresentato in Leibniz dalla mera potenza o virtualità… e che E sia costituito invece dall’azione impressa a questi ultimi dall’Ens existentificans. Riceverebbe così un’ulteriore conferma e chiarificazione la tesi per cui nulla esisterebbe senza il conato all’esistenza impresso ai possibili dalla forza “esistentificante” di Dio.
Ma torniamo alla forma di domanda “perché c’è X anziché Y?”. A essa si attagliano per Nozick particolarmente le teorie egualitarie: “C’è uno stato non-N anziché uno stato N a causa delle forze F che hanno allontanato il sistema da N. E se c’è uno stato N, c’è perché nessuna forza non controbilanciata ha allontanato il sistema da N“. È in conformità a questo dispositivo che la domanda “Perché esiste qualcosa piuttosto che il nulla?” implica “una presunzione favorevole alla nientità [a presumption in favor of nothingness]”. La domanda ha, in altri termini, un senso solo se si presume che il nulla sia lo stato naturale o privilegiato che non ha bisogno di spiegazioni, mentre ogni devianza dal nulla – sia pure un aliquid impercettibile – va spiegata mediante il ricorso a fattori causali speciali. La difficoltà del problema risiederebbe però a questo punto nel fatto che “qualsiasi fattore speciale in grado di spiegare una deviazione dalla nientità diverge a sua volta dalla nientità, per cui la domanda chiede di spiegare anche quello”. La questione che Nozick deve porsi a questo stadio della sua explanation suona davvero schiettamente “leibniziana”: è possibile immaginare il nulla come uno stato naturale – ovvero una situazione simmetrica iniziale – che “contenga in sé la forza con cui produrre il qualcosa?”…. Resta tuttavia in piedi la plausibilità dell’argomentazione: assumere il Nulla come stato “naturale” potrebbe anche voler dire che esso deriva da una potentissima forza “nientificante” (tanto per intenderci: simmetrica e opposta all'”esistentificante” di Leibniz), una vacuum force, una “forza aspirante che risucchia le cose nell’inesistenza”. Diremmo allora che il Nulla “nientifica” se stesso: See how Heideggerian the seas of language run here! Quanto è heideggeriano, qui, l’oceano della lingua!” – esclama ironicamente Nozick. In base a questa idea si giungerebbe alla conclusione che c’è qualcosa anziché niente perché c’era una volta una forza di nientità che ha nientato se stessa. Producendo qualcosa. Forse, però, si è nientata solo in parte, producendo qualcosa ma lasciando ancora un po’ di forza di nientità [force for nothingness] residua” (Ibidem).
Abbiamo in tal modo l’esatto rovescio dell’Endspiel, del “finale di partita” leibniziano. Rovescio talmente perfetto da lasciarne intatti tutti i passaggi intermedi: dalla radicale contingenza del mondo all’allineamento orizzontale dei possibili. Ma un allineamento siffatto è proprio quello contemplato dalle “teorie egualitarie“, verso cui Nozick sembra nettamente propendere: “Una teorie egualitaria [egalitarian theory] coerente non considererà più naturale, o privilegiato, il non esistere o non sussistere, nemmeno per una possibilità, e metterà tutte le possibilità sullo stesso piano. Un modo per farlo è quello di dire che tutte le possibilità sono realizzate”. Conclusione – ancora – clamorosamente leibniziana, si sarebbe portati a dire. Salvo due differenze: “impercettibili”, forse, ma davvero decisive.
In primo luogo, le possibilità sono in Leibniz tutt’altro che “fittizie”, come si è visto, ma non realizzate: sono soltanto idealmente presenti pari jure “in Dio”, essendo la loro compossibilità intrinsecamente condizionata dalla universale concorrenza a esistere.
In secondo luogo: abbracciare la teoria egualitaria non implica soltanto rispetto alla domanda “Perché esiste qualcosa piuttosto che il nulla?”, una neutralizzazione del contrasto implicito nel piuttosto-che, ma un azzeramento del paradosso che proprio quella particolare forma di interrogazione – e non un’altra – tenta di indicare o di evocare.
[…]

Giuseppe Pedota, L’universo acronico, anni Novanta
Il problema radicale dell’essere e del nulla non è una questione che si ponga “provvidenzialmente” a un determinato stadio della storia del Nichilismo, a un’«ora X» dell’«oblio» o della “manifestatività” destinale dell’Essere. È un problema che può porsi, e che è stato di fatto variamente posto, in tutte le “epoche” della riflessione filosofica. Lo specifico contributo heideggeriano alla questione sollevata da Leibniz sta – come aveva osservato a suo tempo Luigi Scaravelli in un magistrale saggio su Il problema speculativo di Martin Heidegger – nella dimostrazione che l’«unità in cui l’essere e il nulla coincidono non è l’identità, né la dialettica del sapere». Questa unità avviene piuttosto «come continuo allontanarsi in noi dell’essere di noi stessi, in quanto l’allontanarsi di quest’essere è l’agire come costruzione d’una realtà che è il mondo stesso».
[…]
In quanto Ente “esistentificante”, Dio non solo fa si che esista qualcosa piuttosto che il nulla, ma anche che omne possibile habeat conatum ad Existentiam, che “ogni possibile abbia un conato all’esistenza”, dal momento che l’universale non ammette una ragione di restrizione dei possibili. Da ciò consegue però soltanto che “ogni possibile può essere detto existiturire in quanto si fonda sull’Ente necessario esistente in atto, senza il quale non vi sarebbe alcuna via per cui il possibile pervenga all’atto”; ma non che “tutti i possibili esistano”, che l’intera gamma della potenza pervenga all’atto: ciò che si darebbe esclusivamente a condizione che tutti i possibilia fossero compossibilia. Ma poiché, nella pretesa di esistere tutti, i possibili si trovano in conflitto, solo alcuni – in ragione della reciproca incompatibilità – giungono all’esistenza. Sta qui l’inestirpabile radice della divergenza delle serie“».*
*Giacomo Marramao Minima temporalia. Tempo spazio esperienza lucasossella editore, 2005 pp. 32 segg.
Il niente è non esistere. Nel niente non ci sono forze in equilibrio tra loro per mantenere stabile il vuoto, appunto perché è vuoto. Come la mettiamo poi coi buchi neri?
Ancora non mi è chiaro dove vada a parare questo discorso: se in relazione alla poesia all’uso leggiadro dell’io, oppure per cercar di dipanare il mistero del multiessere, posto fuori dallo spazio tempo, che avrebbe accesso a quella che vien comunemente detta Visionarietà, qualità riscontrabile nella poiesi nel momento in cui si pre-vede qualcosa che di fatto ancora non c’è; nel qual caso anche il passato… meriterebbe qualche considerazione, che provo ad esporre.
Cosa è passato se non l’esaurirsi di un evento? E in termini scientifici ( o fantascientifici), è ragionevole prospettare che il passato derivi dalla cessazione di equilibri temporanei, quali ad esempio l’intersecarsi di linee spazio temporali presenti nel nulla ( composto di energie subatomiche indifferenti a qualsiasi Qualcosa, compresa la luce), che nel loro intersecarsi consentono la percezione dell’Universo, così come lo vediamo, nel corso di un lungo momento ( in apparenza stabile), che nella minuzie comprende la morte di ogni singola cosa che esista, poniamo, se non in tutte almeno nella galassia dove viviamo? In altre parole: l’universo a noi visibile sarebbe dovuto unicamente a corrispondenze di una sola particolare qualità percettiva ( o risonanza). Quel che non vi corrisponde resta invisibile, o non percepibile. Il fatto che esista un passato potrebbe dimostrare che l’intersecarsi delle linee spazio temporali non è stabile; non solo, ma che il suo muoversi produce oscuramento ( non subitaneo perché resta per qualche tempo nella memoria, nostra e delle cose), oscuramento a cui l’umanità ha posto rimedio, fin qui, principalmente con la scrittura. Ma se la scrittura evade dall’essere, in quel caso, dove si pone?
Una cosa a me pare certa: che chi si pone in questa ricerca deve necessariamente partire da una visione prospettica, ancora rinascimentale, terra terra, pena la totale incomprensione… almeno quel tanto che basti ad illuminare il sentiero. Che poi son vettovaglie, utensili; linee della metrò, scomparsa di persone care o di note personalità… restando un passo avanti, o semplicemente fuori, oltre l’attimo che è passato. Questo farebbe invecchiare anche l’Haiku…
Posto questa poesia di Ubaldo de Robertis, in sua vece, in quanto sta facendo un esame clinico:
Ubaldo de Robertis
I fantasmi della mente
Bellezza
origine e ultimità del cosmo
in occhi verdi
sognanti
il nastro della felicità
tra i capelli
nessuna asperità
nessun affanno interiore
volgere via lo sguardo
chiamarlo altrove
lei non vivrebbe di là dalla cornice
lungo dirupi
sentieri non tracciati
in cerca del rimosso
l’impensato
il mancante
le cose che si lasciano intuire
quelle invisibili
segrete
A volte
si riesce a vedere prati fioriti
ovunque
svelare il turbamento
le cose che non si fanno riconoscere
e che non ti riconoscono
Altre volte
la realtà si avvicina
si rivela troppo in fretta
il talento la amplifica
così il pensare fuori dagli schemi
le idee oltre misura estranee
alla tradizione
esuberanti
inusuali
fermenti eccessivi
fulminei
i fantasmi della mente tendono
un’ imboscata
Dici di stare in guardia?
Da cosa?
Dall’euforia? dall’assillo?
La depressione La mania?
Le allucinazioni Le ossessioni?
La fobia?
Le torbide passioni ? L’isteria?
L’ansia di draghi rossi e salamandre
che gettano fuoco su di te?
A volte
capita di udire
da lontano
una musica che copre l’ inquietudine
qualcuno ha l’impressione
che siano gli stessi soggetti
a seminare paure e a comporre musica
E’ successo a Robert Schumann
rinchiuso in un istituto mentale
di Bonn
le partiture deliziose
le note che ci ha affidato
e le paure
dell’acqua
degli spazi aperti
delle altitudini
paura di essere
avvelenato
diventare un altro
e avvertiva il suono
continuo
“di lontani ottoni
che diventava coro di angeli
che cantavano una melodia
che lui inutilmente
cercava
di trascrivere”
E non aveva ricevuto
il bacio
da Anne Sexton
i nervi sono accesi e
il compositore è entrato nel fuoco
dove fa il nido la salamandra
a corto di veleno
e il pieno il drago rosso
improvvido custode del vello
d’oro.
La tua idea fissa è
che quelle pennellate
evidenti
fioriture nel dipinto
e quel volto sublime
ti volteggino intorno
offrendoti le più sorprendenti
rivelazioni
e tutto con una musica
idilliaca
di un pianoforte
/che per la gente normale
può tacere tutta la vita/
magari quella musica è
un Improvviso in do maggiore di Schumann
La fanciulla con il nastro turchese
tra i capelli
sorride
La teoria della relatività richiede di considerare lo spazio tridimensionale e il tempo unidimensionale come parti di un spazio-tempo unificato a quattro dimensioni. Nonostante l’unificazione, lo spazio rimane fisicamente distinto dal tempo. Noi non abbiamo nessuna difficoltà a distinguerli nella vita quotidiana. Tuttavia tale distinzione può diventare confusa a causa delle fluttuazioni quantistiche. Sulla scala di Planck, spazio e tempo possono perdere la loro identità separata. Il modo preciso in cui ciò avviene dipende dai dettagli della teoria, che possono essere usati per calcolare le relative probabilità delle varie strutture spazio-temporali.
Può succedere che, come risultato di questi effetti quantistici, la struttura dello spazio-tempo più probabile in certe circostanze sia effettivamente lo spazio quadridimensionale. James Hartle e Stephen Hawking hanno sostenuto che proprio tali circostanze erano quelle prevalenti nei primi istanti di vita dell’universo. Cioè, se immaginiamo di andare a ritroso nel tempo verso il big bang, quando ci troviamo circa un’unità di tempo di Planck dopo quella che ritenevamo la singolarità iniziale, comincia ad accadere qualcosa di strano. Il tempo comincia a “trasformarsi” in spazio. Piuttosto che occuparci dell’origine dello spazio-tempo, dobbiamo perciò confrontarci con lo spazio-tempo quadridimensionale, e sorge il problema della forma di quello spazio, cioè della sua geometria. In realtà la teoria permette una varietà infinita di forme. Il problema di stabilire quale sia quella pertinente all’universo reale è collegato al problema di scegliere le giuste condizioni iniziali, argomento che verrà presto discusso più dettagliatamente. Hartle e Hawking hanno fatto una scelta particolare, che secondo loro è quella naturale sul piano dell’eleganza matematica.
È possibile offrire un’utile rappresentazione figurativa della loro idea. Il lettore è, tuttavia, avvertito di non prendere troppo alla lettera le immagini. Il punto di partenza consiste nel rappresentare lo spazio-tempo con un diagramma in cui il tempo è tracciato in senso verticale e lo spazio in senso orizzontale (figura 1). Il futuro si trova verso la sommità del diagramma, il passato verso il fondo. Dal momento che è impossibile rappresentare in modo appropriato le quattro dimensioni sulla pagina di un libro, ho eliminato tutte le dimensioni spaziali tranne una, che è tuttavia adeguata a illustrare i punti essenziali. Una linea orizzontale che attraversa il diagramma rappresenta tutto lo spazio in un istante di tempo e una linea verticale rappresenta la storia di un punto dello spazio in istanti di tempo successivi. È utile immaginare che il diagramma sia disegnato su un foglio di carta su cui si possono eseguire certe operazioni (il lettore può trovare istruttivo eseguirle davvero).
Diagramma spaziotemporale. Il tempo è rappresentato verticalmente, lo spazio orizzontalmente. Il diagramma mostra una sola dimensione spaziale. Una sua sezione orizzontale rappresenta la totalità dello spazio in un istante temporale; una linea verticale rappresenta un punto spaziale fisso (per es. la posizione di una particella stazionaria) attraverso il tempo.
Se lo spazio e il tempo fossero infiniti, avremmo bisogno, a rigore, di un foglio di carta infinito perché il nostro diagramma rappresenti in modo appropriato lo spazio-tempo. Tuttavia, se il tempo è limitato nel passato, il diagramma deve avere un confine da qualche parte lungo il lato inferiore: si può immaginare di tagliare un margine orizzontale in un punto qualsiasi. Può anche avere un confine nel futuro, che richiede un margine simile lungo il lato superiore. In tal caso avremmo una striscia infinita che rappresenta tutto lo spazio infinito nei momenti successivi, dall’inizio dell’universo (nel margine inferiore) alla fine (nel margine superiore).
È possibile che il tempo sia limitato da singolarità nel passato e/o nel futuro; questa situazione viene rappresentata troncando il diagramma spaziotemporale in basso e in alto rispettivamente. Le linee ondulate indicano le singolarità.
A questo punto si può considerare la possibilità che lo spazio, dopo tutto, non sia infinito. Einstein fu il primo a mettere in evidenza il fatto che lo spazio potrebbe essere finito sebbene illimitato, e l’idea resta un’ipotesi cosmologica seria e controllabile. Una tale possibilità si può facilmente rendere nella nostra immagine arrotolando il foglio in modo tale da formare un cilindro. Lo spazio in ciascun istante è ora rappresentato da un cerchio di circonferenza finita (l’equivalente bidimensionale è la superficie di una sfera; nel tridimensionale l’equivalente èuna cosiddetta ipersfera, difficile da immaginare, ma perfettamente definita e comprensibile dal punto di vista matematico).
E possibile che lo spazio sia finito ma illimitato; questa situazione viene rappresentata arrotolando il diagramma spaziotemporale in modo da formare un cilindro. Una sezione orizzontale che rappresenta lo spazio in un istante diventa così un cerchio.
Un ulteriore affinamento consiste nell’introdurre l’espansione dell’universo, che può essere rappresentata facendo in modo che la forma dell’universo cambi con il tempo. Visto che siamo interessati all’origine dell’universo, ignorerò il margine superiore del diagramma, e mostrerò solamente la porzione vicina al fondo. Il cilindro ha assunto adesso la forma di un cono; alcuni cerchi sono disegnati per rappresentare il volume in espansione dello spazio .
Universo in espansione. L’effetto di espansione cosmologica può essere rappresentato nel nostro diagramma spaziotemporale trasformando il cilindro in un cono. Il vertice del cono corrisponde alla singolarità del big bang. Le sezioni orizzontali del cono sono cerchi di diametro crescente che indicano l’aumento di grandezza dello spazio.
L’ipotesi che l’universo ebbe origine in una singolarità di compressione infinita è raffigurata qui dal fatto che il cono finisce a punta alla base del diagramma. li vertice del cono rappresenta l’apparizione improvvisa sia dello spazio sia del tempo nel big bang.
La tesi fondamentale della cosmologia quantistica è che il principio di indeterminazione di Heisenberg rende il vertice meno appuntito, sostituendolo con qualcosa di più smussato. Che cosa sia questo qualcosa dipende dal modello teorico, ma nel modello di Hartle e Hawking una guida approssimativa consiste nell’arrotondare il vertice, dove la punta del cono è sostituita da una semisfera.
Creazione senza creazione. In questa versione dell’origine dell’universo il vertice del cono è smussato. Non esiste un inizio improvviso: il tempo svanisce gradualmente verso la base del diagramma. L’evento P assomiglia ad un primo istante, ma questo è solo un effetto del modo in cui è disegnato il diagramma. Non esiste un inizio ben definito, nonostante il tempo sia ancora finito in direzione del passato.
da http://www.onuspi.it/articoli/articolo0007.asp
“Perché esiste qualcosa piuttosto che nulla?”
Perch il filosofo formulò così questo pensiero? Perché non lo formulò al contrario?
Bisogna intendersi sul concetto: “che cosa significa esistere?”, e sul suo contrario, che abbiamo da dire?
Il fatto stesso che io pronuncio questa frase non è affatto la/una prova che io esista davvero, poi che non so cosa significhi “esistere”.
E questo è da estendere al concetto che noi abbiamo di “Universo” o di “Nulla”… che vuol dire; abbiamo questo concetto, ma non è detto che sia una prova della loro “esistenza”, e così è con “Dio” o con l’ Io”, e con “Altro”… al Poeta queste domande non interesano più di tanto, poi che egli “detta” senza apere di “dettare”…. segue o è inseguito dalle/le convergenze come dalle/le divergenze… segue o è inseguito dal/il suo Dio, come dalla/la Parola!
“Quale gioia la conoscenza che compresi dai miei occhi, / e come Dio fosse a sua volta una creazione della Rota, /
l’emorragia di una clessidra ai tempi della mia innocente trasparenza”.
Dal tempo ciclico greco al tempo rettilineo dell’escatologia giudaico-cristiana tutto muta e il tempo ha senso se alla fine si realizza ciò che agl’inizi era stato promesso.Nella fisica delle particelle la svolta si registra quando si assume la consapevolezza della non adeguatezza della fisica galileian-newtoniana come strumento d’indagine dei sistemi subatomici. Trionfa il principio d’indeterminazione di Heisenberg e si passa dal determinismo al probabilismo.Nello studio dell’atomo si va dal concetto di “orbita” all’idea di “orbitale”, cioè da spazi atomci a certezza di presenza elettronica (orbita) a spazi atomici ad elevata probabilità di presenza di elettroni (orbitale). Da qui al nichilismo di Nietzsche il passo è breve?
Se per il nichilismo manca lo scopo, manca il perchè, tutto si svaluta e Dio
“muore”, l’Arte in generale, la Letteratura in particolare, la Poesia in special modo che sentieri devono percorrere…Mi pare che queste siano le vere questioni poste da Giorgio Linguaglossa.
“La fanciulla col nastro turchino tra i capelli sorride”, Per un attimo, riempie il vuoto
Nella grande rappresentazione del mondo le cose si presentano molto intricate, contorte, per il semplice motivo che manca in fondo il sentimento e lei, cara Anna Ventura, lo ha intuito!
Un abbraccio,
Ubaldo de Robertis
Solo per ampliare l’argomento inserisco una riflessione del fisico Mario Novello
da: Qualcosa anziché il nulla. La rivoluzione della cosmologia:
“ Ritornare all’utilizzo tutti i mezzi offerti dalla ragione per tentare di rispondere alle questioni fondamentali, inclusa quella leibniziana evocata dal titolo: “Perché esiste qualcosa anziché il nulla?”. E magari rispondere che “tutto-ciò-che-esiste” (spazio, tempo, materia, energia), è interpretabile dalla cosmologia come fluttuazione del vuoto. Sarebbe così il vuoto “la stoffa primordiale”, e la sua instabilità a rendere ciò che chiamiamo “stato d’esistenza” più probabile di ciò che chiamiamo “nulla”.”
caro Gino,
siamo arrivati alla questione nocciolo; dire che c’è una probabilità diversa da zero per un particolare universo, vuol dire che si afferma che c’è una possibilità ben definita che esso sarà realizzato. Siamo qui di fronte ad una “realizzazione di possibilità“, ovvero, che è possibile che si realizzeranno infinite possibilità di infiniti universi. Appunto, qui la questione, a mio modesto avviso di dilettante della filosofia e della cosmologia, si sposta verso la questione di «Infinito», che sarebbe la dimora stabile del sistema simmetrico e stabile del Vuoto.
Arabia Saudita, poeta palestineseAshraf Fayadh condannato a morte: “Ha dubitato dell’esistenza di Dio”
La denuncia di Human Rights Watch. L’artista, nato da genitori palestinesi ma cresciuto in Arabia Saudita, è stato arrestato nel 2013. In primo grado era stato condannato a quattro anni di prigione e 800 frustate. Ora la sentenza di appello
Arabia Saudita, poeta palestinese Fayadh condannato a morte: “Ha dubitato dell’esistenza di Dio”
Un tribunale saudita ha condannato a morte il poeta palestinese Ashraf Fayadh per aver rinunciato alla sua religione. Lo denuncia Human Rights Watch, che afferma di aver preso visione della sentenza. Il pronunciamento del giudice risale a martedì scorso e conferma il reato contestato dall’accusa, vale a dire aver “dubitato dell’esistenza di Dio”.
Nato da genitori palestinesi, ma cresciuto in Arabia Saudita, Fayadh è stato arrestato dalla polizia religiosa nel 2013, dopo che un suo lettore lo aveva accusato di incitamento a rinunciare all’Islam, a causa del contenuto di una sua raccolta di poesie del 2008. Rilasciato dopo pochi giorni, il poeta 50enne era stato arrestato nuovamente a gennaio 2014 nella città sud-occidentale di Abha. Una prima sentenza lo aveva condannato a quattro anni di prigione e 800 frustate, ma il giudice d’appello ha deciso di condannarlo a morte.
La condanna, secondo alcuni attivisti, sarebbe legata a un video pubblicato sul Web dal poeta, che mostra la polizia religiosa di Abha che
picchia un giovane in pubblico. Per chiedere la sua liberazione, lo scorso anno è stata lanciata una petizione, sottoscritta da centinaia di artisti e intellettuali. Almeno 150 persone sono state giustiziate in Arabia Saudita nel 2015, il dato più alto degli ultimi anni.
ieri, quando ho letto questa notizia in rete, ho pensato a questo articolo..ma tu credi, caro Giorgio, che un Poeta si “uccida” soltanto con una sentenza di morte? o che modi di agire “degni dell’Inquisizione” (uccidere una persona per aver dubitato dell’esistenza di Dio) siano ancora presenti solo in quella parte del mondo oggi al centro delle cronache? getto il sasso nello stagno…
Nel mio diario in FB ieri ho condiviso il post di questa orribile notizia con la fotografia del giovane poeta palestinese Ashraf Fayadh, condannato a morte per le sue idee, anzi, per i suoi dubbi sull’esistenza di Dio.
Quanti di noi, almeno una volta, hanno avuto questo dubbio? Eppure io sono qui, viva, mentre il giovane poeta deve morire.
Ma la sua poesia non morrà con il suo corpo, come è avvenuto per altri poeti che hanno pagato con la vita la difesa delle proprie idee, per esempio Garcia Lorca.
GBG
Uccidere migliaia di intellettuali, giornalisti, scrittori, poeti è sempre stato lo sport delle dittature teocratiche, e l’Arabia Saudita è, insieme alla Corea del Nord, la più feroce e barbarica delle dittature teocratiche della terra, forse oggi superate soltanto dallo stato dell’ISIS.
Noi in Occidente abbiamo dovuto affrontare e combattere due guerre mondiali per assicurare la libertà di coscienza e di pensiero, altrove probabilmente non basteranno due o tre o quattro guerre di sterminio per conseguire il diritto alla libertà del pensiero e dell’espressione. Facciamo sentire la nostra voce di sdegno e di condanna di tale barbarie, alziamo la voce contro i dittatori sanguinari di quel regime teocratico.
Idee religiose erronee e…porta i capelli troppo lunghi!
Per questo merita la segregazione e la morte.
Ė un bel paese l’ Arabia Saudita!!!!
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