Dunya Mikhail (Bagdad,1965,) è una poetessa irachena residente negli Stati Uniti. Ha lavorato presso il giornale iracheno “The Baghdad Observer”, ma di fronte alle crescenti minacce e vessazioni da parte delle autorità irachene per i suoi scritti, nel 1990 è stata costretta a fuggire negli Stati Uniti . Ha studiato nella Wayne State University di Detroit. Nel 2001 ha ricevuto dalle Nazioni Unite il premio per la libertà di scrittura. Mikhail sa parlare e scrivere in Inglese, Arabo e Assiro. Attualmente vive in Michigan dove lavora come coordinatrice delle risorse arabe nel locale distretto scolastico e universitario. Ha scritto in poesia:
The Diary of a Wave Outside the Sea, 1999
The War Works Hard, (tradotto nel 2005 da Elizabeth Winslow) (tra i candidati per l’International Griffin Poetry Prize del 2006)
The Psalms of Absence
La guerra lavora duro, (tradotto nel 2011 da Elena Chiti; traduzione segnalata al Premio Marazza Traduzione di Poesia Opera Prima nel 2012), testo arabo a fronte, Edizioni San Marco dei Giustiniani.
Commento di Giorgio Linguaglossa: la «Forma informe» di Dunya Mikhail
«Il tentativo di comunicare, laddove nessuna comunicazione è possibile, è soltanto una volgarità scimmiesca, o qualcosa di orrendamente comico, come la follia che fa parlare coi mobili. […] Per l’artista che non si muove in superficie, il rifiuto dell’amicizia non è soltanto qualcosa di ragionevole, ma è un’autentica necessità. Poiché il solo possibile sviluppo spirituale è in profondità. La tendenza artistica non è nel senso dell’espansione, ma della contrazione. E l’arte è l’apoteosi della solitudine. Non vi è comunicazione poiché non vi sono mezzi di comunicazione».
Beckett “Proust”
Dunya Mikhail adotta per la sua poesia-parlato una «Forma informe», per via del fatto che quell’altra «Forma», è ormai diventata non abitabile. Dopo Kafka e Beckett la frammentarietà della «Forma» parla per se stessa, di se stessa, e indica, per via indiretta, la impossibilità di leggere il reale, di parlare al reale. La «Forma informe» del verso libero è oggi in auge a livello internazionale in quanto non assume il mandato della secondarietà del discorso poetico come un discorso inteso come suo esclusivo e specifico. La nuova «Forma informe» del verso libero rigetta ogni secondarietà per assumere lo statuto di un «discorso primario».
Siamo in un mondo non più rappresentabile (che non sta più davanti ad un soggetto che osserva), e quindi non orientabile in una «Forma», tantomeno chiusa o algebrica o aperta che sia. Non c’è nessuna algebra applicabile a questa «Forma», se non un’algebra per sottrazione, per traslato. La storia non è rappresentabile, qui siamo lontani dalla edulcorata presentabilità del mondo borghese occidentale. La realtà non è rappresentabile, al massimo può essere citabile. C’è una machinerie che gioca con la storia, macchine desuete e celibi alla Duchamp dove scorrono e si scontrano biglie rumorose e indisciplinate che producono morte e dolore.
La realtà è diventata «muta», l’universo è dissonante, e la «Forma informe» è qualcosa che è diventata estranea sia al concetto di rappresentazione che a quello di testimonianza; non deve testimoniare nulla a nessuno, perché non c’è nulla di cui render testimonianza, la «Forma informe» di Dunya Mikhail è un metro libero, paradossalmente, è un luogo tranquillamente abitabile e accessibile a tutti, anche a persone non eccessivamente acculturate, e soltanto attraverso questa «Forma informe» può parlare il non-identico, cioè il «reale», ma come un di-fuori, un di-lato, un esterno di cui noi siamo semplici e passivi spettatori.
La storia degli uomini sembra esser stata neutralizzata da agenti di un altro sistema solare che sono scesi sulla terra e l’hanno colonizzata ad insaputa dei terrestri. «L’espressione è il volto addolorato delle opere», scrive Adorno. Appunto, nella poesia di Dunya Mikhail l’espressione viene stravolta da un dolore anestetizzato, posto sotto auto controllo; è un dolore insonoro, non percepibile mediante il sistema nervoso centrale e periferico. È questo il motivo della insonorità di fondo di questa poesia, o meglio, della sua sonorità al massimo diapason.
Dunya Mikhail
La partita
È soltanto una pedina
salta sempre nella casella opposta
non si volta a destra né a sinistra
non si guarda indietro
è mossa da una regina demente
che attraversa la scacchiera in lungo e in largo
e non si stanca di portare bandiere
e insultare gli alfieri
È soltanto una regina
mossa da un re sventato
che conta i quadrati ogni giorno
sostenendo che sono di meno
e prepara torri e cavalli
sognando un accanito rivale
È soltanto un re
mosso da un abile giocatore
che si rompe la testa
e perde il suo tempo in una partita infinita
È soltanto un giocatore
mosso da una vita vuota
in bianco e nero
È soltanto una vita
mossa da un dio confuso
che un giorno ha provato a giocare con l’argilla
È soltanto un dio
che non sa come uscire dal guaio in cui si è cacciato.
Traduzione di Elena Chiti
Poesia n. 309 Novembre 2015
Dunya Mikhail. Il mito più forte della guerra
A cura di Elena Chiti
Pubblicato da Mario M. Gabriele isoladeipoeti.blogspot.it
La guerra
com’è
seria
attiva
e abile!
Sin dal mattino
sveglia le sirene
invia ovunque ambulanze
scaglia corpi nell’aria
passa barelle ai feriti
richiama la pioggia dagli occhi delle madri
scava nel terreno
dissotterra molte cose dalle macerie
alcune luccicanti e senza vita
altre pallide e ancora vibranti.
Suscita più interrogativi
nelle menti dei bambini.
Intrattiene gli dei lanciando
missili e proiettili
in cielo.
Pianta mine nei campi
semina buche e vuoti d’aria
sollecita le famiglie a emigrare
affianca i sacerdoti
quando maledicono il diavolo
(disgraziato, la sua mano è ancora infuocata. Brucia.)
La guerra è inarrestabile, giorno e notte.
Ispira i lunghi discorsi dei tiranni
conferisce medaglie ai generali
e argomenti ai poeti.
Contribuisce all’industria di arti artificiali
fornisce cibo alle mosche
aggiunge pagine ai libri di storia
mette sullo stesso piano vittima e assassino.
Insegna agli innamorati come si scrivono le lettere
insegna alle ragazze ad aspettare
riempie i giornali di storie e fotografie
fa rullare ogni anno i tamburi per festeggiare
costruisce nuove case per gli orfani
tiene occupati i costruttori di bare
dà pacche sulle spalle ai becchini
sorride davanti al capo.
La guerra lavora molto
non ha simili
ma nessuno la loda.
(da Non ho peccato abbastanza, antologia di poetesse arabe contemporanee, a cura di Valentina Colombo, Oscar Mondadori 2007)
Che fortuna!
Finalmente ha trovato le ossa di lui
c’è anche il cranio nel sacco
il sacco in mano a lei
somiglia ad altri sacchi
in altre mani tremanti
le ossa di lui a migliaia di ossa
nella fossa comune
il cranio non somiglia
a nessun altro cranio
occhi o fori
con cui ha visto più del dovuto
orecchie
in cui è passata una musica
con
una
storia
speciale
solo
per
lui,
naso
che non ha conosciuto aria pura
bocca aperta
come una voragine
non era così
quando l’ha baciata
là
serenamente
fuori da questo luogo assordante
di crani
e ossa
e terra
luogo dissepolto di domande: che senso ha morire di tutta questa morte
in un luogo in cui la tenebra suona
tutto questo silenzio
incontrare ora
i tuoi cari
attraverso tutte queste cavità
restituire a tua madre
in morte
il pugno di ossa
che ti aveva dato
in nascita
andartene
senza certificato di morte né di nascita
perché il dittatore non rilascia la fattura
quando ti prende la vita
il dittatore ha un cuore
e anche un cranio
un cranio enorme
che non somiglia a nessun altro cranio
è l’unico che riesce
a risolvere il problema
moltiplica la morte per milioni
e ottiene la patria
il dittatore
è il regista di una grande tragedia
ha anche un pubblico
un pubblico che applaude
un applauso
che scuote le ossa
nel sacco
il sacco pieno
in mano
finalmente
non come la vicina che – sfortunata –
non ha ancora trovato il suo sacco.
La tazza
La donna capovolge la tazza tra le lettere
spegne le luci a parte una candela
poggia il dito sulla tazza
ripete parole come formula magica
Spirito… se ci sei rispondi sì
La tazza si sposta verso destra per dire – sì –
– sei veramente lo spirito di mio marito che è stato ucciso?
la tazza si sposta verso destra per dire – sì –
– perché mi hai lasciato così presto?
la tazza indica le lettere: n o n d i p e n d e d a m e
– perché non sei scappato?
la tazza indica le lettere: s o n o s c a p p a t o
– e come ti hanno ucciso allora?
la tazza indica le lettere: a l l e s p a l l e
– che faccio di tutta la mia solitudine?
la tazza non si muove
– mi manchi
la tazza non si muove
– mi ami?
la tazza si sposta verso destra per dire – sì –
– posso farti restare qui?
la tazza si sposta verso sinistra per dire – no –
– vengo con te?
la tazza si sposta verso sinistra
– ci saranno cambiamenti nella nostra vita?
la tazza si sposta verso destra
– quando?
la tazza indica 1996
– stai bene?
la tazza – dopo un attimo di esitazione – si sposta verso destra
– che mi consigli di fare?
s c a p p a
– per andare dove?
la tazza non si muove
– ci sarà un’altra disgrazia?
la tazza non si muove
– che raccomandazione mi lasci?
la tazza indica una successione di lettere senza senso
– ti sei stancato di rispondere?
la tazza si sposta verso sinistra
– posso farti ancora domande?
la tazza non si muove
dopo un attimo di silenzio – la donna balbetta:
Spirito… vai in pace
poi chiama il figlio che è in giardino
a catturare insetti con un elmetto forato.
Traduzione di Elena Chiti, tichene@gmail.com
La gemma
Non è più sul fiume
non è in città
non è sulla carta
il ponte che era
il ponte che eravamo
abituati ad attraversare
il ponte
l’ha gettato nel fiume la guerra
come una signora
la sua gemma azzurra
da sopra il Titanic.
.
L’ombra di una lacrima
Al tempo dei saluti affrettati
e della luce artificiale
l’ombra di una lacrima cala
sul cielo
né ruote che accelerano
né strade
né gomma
la possono cancellare
…
Sui rami spezzati
si librano uccelli indifferenti
uno di loro resta indietro
niente paura
li raggiungerà tra poco
è solo toccato dall’ombra della lacrima
spezzata sui rami.
Con uno sguardo
spezza la cornice
la spezza con uno sguardo
esce il giallo portando epidemie
esce il blu un piede in cielo e l’altro al mare
esce il rosso con le sue guerre
esce il bianco con le sue trecce
esce il nero onta degli amici
esce il verde guardandosi indietro
esce il dentro nel fuori
esco io dentro il quadro vuoto
esco con uno sguardo.
Traduzione di Elena Chiti
Molto belle, l’autrice da voce ai suoi occhi e testimonia le nefandezze di un regime trascorso, quello di Saddam Hussein, che grazie a noi occidentali si è rivelato il minor male rispetto ai fatti successivi.
spezza la cornice
la spezza con uno sguardo
esce il giallo portando epidemie
esce il blu un piede in cielo e l’altro al mare
esce il rosso con le sue guerre
esce il bianco con le sue trecce
esce il nero onta degli amici
esce il verde guardandosi indietro
esce il dentro nel fuori
esco io dentro il quadro vuoto
esco con uno sguardo.
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Poesie bellissime e intense che rendono con un linguaggio semplice e diretto una realtà difficile e mostruosa come quella della guerra e dell’oppressione.
Soprattutto mi ha emozionato questo passo:
Sui rami spezzati
Si librano uccelli indifferenti
Uno di loro resta indietro
Niente paura
Lo raggiungerà tra poco
È solo toccato dall’ombra della lacrima
Spezzata sui rami.
È come se desse l’impressione di una probabile speranza di solidarietà, di partecipazione al dolore, di fronte tanta indifferenza e distruzione.
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L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.
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Poesie dal forte impatto emozionale, in cui lo sguardo di Dunya Mikhail ci introduce a una condizione che la tocca nel profondo. La forma-informe, espressione diretta di un dolore ‘anestetizzato’, come scrive Giorgio Linguaglossa nella nota, di sicuro esprime molto bene la pena e il senso di impotenza di fronte a tanta violenza.
GDL
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E’ della poesia dare parole all’informe, in modo che sembri quel che è, senza alterazioni, senza che altre realtà si sovrappongano al reale. E’ una sfida a cui molti poeti si sentono chiamati, quindi è una sfida che può avere molti esiti. Non cambia la realtà ma la poesia di ciascuno; quindi cambiano le visuali, gli oggetti, le immagini… non cambia la guerra, l’orrore, l’insensatezza del potere. Riuscire a mostrare la realtà può valere più qualsiasi acuta analisi:
il cranio non somiglia
a nessun altro cranio
occhi o fori
con cui ha visto più del dovuto
orecchie
in cui è passata una musica
con
una
storia
speciale
solo
per
lui
Forma dell’informe, che penso si possa scrivere solo se si ha grande talento.
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da notare come in questi versi, dove Dunya Mikhail riduce l’a-capo a un filo: è come abbassasse la voce, la sua voce mentre parla a se stessa ( siamo in un camposanto, quindi non posso applaudire).
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Concordo con te Lucio, la mancanza di forma ci parla, in questo come in molti altri casi.
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Un pensiero di Pasolini che potrebbe ben adattarsi alla poesia di Dunya Mikhail: ««con l’abbassamento linguistico della poesia, con l’adattamento di tutta la lingua alla prosa. Ne conseguiva un allargamento linguistico in teoria capace di contenere il nuovo orizzonte politico e storico in cui l’uomo, fuori dal terrore e dalla regressione reazionaria, vive realmente»
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Di questi versi ho apprezzato soprattutto la seconda parte di “La guerra lavora molto” e “La tazza”. Mi pare ci conducano in presenza della Fine di tutto, in un’apocalittica visione in cui ogni evento, ogni parola o atto dell’uomo viene a tacere: Siamo in prossimità di quella che è la fine dell’uomo intero,della sua umanità, per intenderci,e in questo, è anche la sconfitta del divino, di un Dio che, nella creazione, si è lasciato prendere la mano, troppo ottimista circa gli sviluppi futuri che la vicenda della Creazione avrebbe messo in moto… sino alla sconfitta del suo stesso ordine creato. Perché la sconfitta dell’umanità, che era nell’uomo, è soprattutto sconfitta divina, qui pensata come irrimediabile.
E’ una poesia che si apre sul baratro di una tragedia conclusiva, immane, su un mondo senza possibilità e senza redenzione, assolutamente privo di sbocchi praticabili: una conclusione definitiva, che non ammette alcun orizzonte salvifico, né è più riconducibile entro argini, in una situazione di assoluta ingovernabilità.
Molti versi hanno la crudezza dell’asettica registrazione di questa mostruosa tragedia, di questo baratro spalancato senza alternativa. La poesia, come credo ogni presa di visione e commento possibile della realtà, arretra di fronte a tanto, ammutolisce, e asserisce, soltanto, quasi come fa la cronaca, senza quella partecipazione emotiva che annichilisce la poesia.stessa.
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Avrei dovuto dire: …senza quella partecipazione emotiva che solitamente vivifica la poesia e, qui, pare zittirla.
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Sono Completamente d’accordo con le osservazioni di Rossella Cerniglia.
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