CINQUE POESIE E CINQUE POETI SUL TEMA DELLA MORTE O DELLA QUASI MORTE- L’ULTIMA GENERAZIONE: Valerio Gaio Pedini, Matteo De Bonis, BSA, Ambra Simeone, Mariano Menna, Daniela Guarnaccia a cura di Ambra Simeone e con un Commento di Giorgio Linguaglossa

 Erich Eckel Il giorno di vetro 1913

Erich Eckel Il giorno di vetro 1913

Commento di Giorgio Linguaglossa

Il tema della morte è un classico della riflessione poetica e filosofica. Ne Il mito di Sisifo Camus dice che una filosofia che non sa liberarci dalla paura della morte è una filosofia inutile. Heidegger ontologizza la morte e ne fa una destinazione dell’esserci, la sua forma costitutiva in-der-Welt-sein. Spinoza, Adorno, Ortega y Gasset e molti altri filosofi hanno violentemente protestato contro questa invasione dell’ontologia della morte ed hanno parlato dell’essere-per-la-vita quale forma costitutiva dell’ente umano, quell’ente autoprogettantesi, che progetta, getta i ponti dei propri progetti sopra l’abisso della morte e di là costruisce la città-della-vita.

Che il gruppo dei giovani dell’ultima generazione scriva poesie sul tema della morte era quasi inevitabile, da sempre i giovani hanno un rapporto privilegiato con la morte, la considerano con condiscendenza, con sussiego, anche con sarcasmo, magari con ironia, spazzano il campo dalla facile analogia morte-immortalità, dichiarano la loro aperta diffidenza verso ogni teoria che addomestichi la morte in ideologia per essere utilizzata contro i vivi e la vita. Mi sembra che in queste scritture ci sia una sana antiretorica avversa alla falsa retorica della morte di cui abbonda tanta non originale poesia dei nostri giorni.

Valerio Gaio Pedini

Valerio Gaio Pedini

Valerio Gaio Pedini

Gloria te o morte: monologo mortuario

Asfissia: una parola complessa, penso: ché poi mica tanto complessa è
La NATURA del mio precipizio UMANO:
ora, non è per fare il filosofo: la filosofia è un’accozzaglia di ipocriti: di uomini soli:
di uomini e basta: LA CRITICA DELLA RAGION PURA: ma quale RAGION PURA.
“Gloria Teo Morte!”
Riecheggia nell’Alba, che è solo un Tramonto, nel tramonto, che è solo un’alba!
Sfiorire è nascere, nascere è sfiorire:
perire lentamente.
No, no, no, no, no, no, no, no, no, no, merda, merda, merda, merda, merda
Non credete alla sanità delle parole! Alla ragione!
La terra è rimpianto, pianto isterico: nostalgia: i fiori appassiscono nascituri
Com’io mi sgretolo nella mia tirannia psicologica:
fatto, disfatto
Mai cercai Morte
Gloria Teo Morte
È la morte che vive dentro di me, di noi, di tutto: là dove c’è vita c’è morte: è solo il principio di un equilibrio cosmico:
“Non incontrerai mai la morte” profetizza Epicuro, filosofo del giardinaggio.
Nooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo! La morte vi è poiché esisto, poiché nacqui, poiché fui generato: senza la vita, non vi è morte, senza la morte non vi è vita
È tutto uno sfiorire lento
Calpestato dai nostri piedi:
l’uomo? È un suicidio: un suicidio permanente che deve essere terminato, perché io sono uomo che supera l’uomo e che non vuole esserlo
come nessuno mai, consapevole delle proprie debolezze, del proprio dolore, della propria disarmonia!
Assuefatti a scomparire siamo cadaveri mangiati dai vermi, ma almeno nutriamo i vermi:
dalla cenere può nascere ancora qualcosa, oh uomo:
ascolta Eraclito, era più profeta di Cristo: Tutto Scorre, Tutto Muta: un sasso sarà pur un’altra vita, perché darà vigore alla Terra: finalmente.
Dove sarà quell’unico corpo di VITA, lì troverò SPERANZA nella FINE DEL TEMPO: la fine del VACUO.

matteo-de-bonis

matteo-de-bonis

Matteo De Bonis

Morte di un lirico ideale
a Salvatore Toma

Attraverso
le diroccate rovine di un
ponte carnale a voi
fluiscono ora,
purché siano rigonfie,
coorti di rose immaginose che
auliscono.

Mentre
la penna danzante avanza
su fogli puntellati col sangue,
piombavano
e vincevano nerborute
fisicità.
Un lirico ideale è stramazzato in terra,
colpito da ventitre coltellate. Ahimè!
Attraverso le voci singolarmente
affettate per voi
s’impennano ora, che sommuovano
almeno,
coorti di rose immaginose che
occhieggiano.

Bsa

Bsa

BSA
Morte

Insopportabile sarà
la Vita per colui che
la Morte non ha accolto nel suo cuore.
Nascere, morire, nascere,
morire, nascere. Questa la Natura
dei Vivi. Nascer non puoi senza
Morte, Vita mai sarai così bella
togliendo la precarietà. Zeus stesso
questa c’invidiava.

io io io io io io io io io io
sono Immortale finché non penso.
Ma gl’Immortali sono i soli già morti.
Rinunci a pensare alla Morte,
Rinunci a migliorare ed accettare ciò
che non ti piace. Morto in vita per
la Morte evitare. Ipertrofico l’IO
rende stupido, impreparato e banale.

Finalmente morrò, il mio zainetto
di carne lasciato a biodegradare, finalmente
dopo tanti pasti uno abbondante
lascerò al microscopico
mondo batterico, sempre attivo, sempre cangiante.

Dei rimanenti 21 grammi non so, non m’interessa.
Troppo difficile cercare una risposta, che
se esiste mi sarà data al giusto momento.
Ripeto senza sosta:

Morte ti amo, perché parimenti
amo la Vita.

Ambra Simeone

Ambra Simeone

Ambra Simeone
alcune indicazioni utili da ricordare in caso di morte

in caso di morte violenta per guerre o genocidi sulla striscia di Gaza
ricordarsi di postare su facebook tutte le foto più orribili, così che qualcuno le veda
e rimanga sconvolto un minuto e poi scriva sì mi piace oppure lasci un commento,
in caso di funerale di parente, di amico o conoscente che dir si voglia,
ricordarsi di applaudire e di mettere sulla bara la bandiera della squadra del cuore,
che poi si potrebbero portare anche una o due trombe da stadio, che fanno colore,
in caso di suicidio di poeta sconosciuto ricordarsi di scrivere più articoli sui blog
che parlino di lui, del suo sfortunato destino e di come non se lo cagava nessuno,
perché adesso, adesso ci sta davvero a cuore e quel che scriveva ora ci piace,
in caso di morte dell’autore più noto, ricordarsi quanto meno di ristampare
tutto ciò che lo riguarda, biografie, prime uscite, vecchie lettere e cartoline
poi ricordare a tutti che è stato importante e vendere tutto quel che è possibile,
in caso di morte di muratore o minatore, dirlo in tv una volta sola e poi basta
in caso di morte di dittatore o d’imprenditore ricordarsi di dirlo più volte,
scrivere libri sulla loro vita e ingaggiare opinionisti che ce ne parlino tanto,
in caso di morte di bimbo, investito da ubriaco, ricordarsi di avviare il processo
in caso di morte accidentale di un cane sotto l’auto di uno che non lo aveva visto,
non dimenticare di chiamare un po’ di gente, che ci aiutino a farlo un poco a pezzi,
in caso di morte per droga di un cantante o di un attore, non vogliamo mica non
glorificarlo, si ci facciano su un paio di film, una serie di quadri e tre reportage,
insomma casomai vi doveste scordare, alcune indicazioni utili in caso di morte.

mariano menna

mariano menna

Mariano Menna

La ballata del suicida
Troppe, lunghe ore, io passo ad aspettare
la fine di una vita che non ha più altre trame.
Chiuso nel mio buio, nella mia paura,
appeso ad una corda rendo a Dio la sua fattura.

Questo suo regalo che voi chiamate vita,
non è che una bestemmia ormai finita.
Penso ai miei tre figli che sto per lasciare,
perché nel mio corpo l’aria no, non ci può stare!

Diventerò un suicida quando il gallo canterà,
non ho saputo reggere allo stress della città
in cui venuto al mondo, già stanco per natura,
mi sono condannato a tanti debiti d’usura.

Tanti i fallimenti che ho dovuto sopportare,
troppe le ferite che ho tentato di guarire,
ora lascio il mondo e voi lasciatemi morire,
solo, in questa stanza, l’esistenza terminare.

Rido mentre piango, è scoccata la mia ora,
un ultimo consiglio lascio udir dalla mia gola:
“Non ripudiate il mondo perché, pur pentito, adesso
capisco questo errore, ma dovrò morire lo stesso…”

schimdtt, volti

schimdtt, volti

Ambra Simeone

geografia del verso

verso sud sempre verso sud ché
se ognuno è a sud di un nord è anche
per questo verso che scende e slarga
giù lungo questa pagina e nel bianco
che la seppellisce parola definitivamente
e la marchia nel vuoto per restare

così l’incontro questo pensiero
in un posto dove si nasce e si cresce
e lo si annoda alla penna ago di bussola
che verte in fondo e punta nel profondo
e chino seguendo leggi gravitazionali

ché nell’assenza della carta affiori
un discorso la sostanza dell’inchiostro
come dal mare un fogliame d’alghe
come cibo d’acqua rinfoltito al sole
non pioggia ma mare sacca di vita
a scandire il verso che cade in fondo
sotto sotto a sud in un altro solco

qui la parola resta in fondo alla pagina
come a forzare l’inizio e il principio
un rigo che viene per cadere e chiede
di essere ascoltato scavato a nostra immagine
e chiuso in limite in chi confida nel finale


Valerio Pedini

TRAMONTO

Mi acceco
Di ribrezzo.


SPERANZE

Siam come nel cimitero
I cadaveri
Nel ventre dei vermi.

.
Mariano Menna

Il giardino dell’Io

Adagiato su un manto di fiori,
osservo l’azzurro ed il bianco:
le ore mi assalgono in branco
e offuscano lo spazio di fuori.

La mente è alienata dal mondo;
si è chiusa in sé come un riccio,
ma l’esilio non è un capriccio:
è una morte che cela lo sfondo.

Incombono gli eventi sull’Io,
lo disintegrano senza ritegno:
il suo giorno è amaro destino.

Lieta dimora è questo giardino;
non v’è tempo di cui esser degno
perché l’uomo qui è il proprio Dio.

.
Daniela Guarnaccia

RECLAME

Semmai v’era da porre un rimedio
tosto che Dio col suo dito medio,
cercar lo si doveva nella rima
e nelle belle parole di prima.
L’etterno dolor è il presente
non si ritrova la perduta gente

Ma adesso: pubblicità
un po’ per non vedere
dove si va
un po’ per non capire
ciò che
non si fa.

PER LA TERZA VOLTA

Non m’importa ch’il sol abbia scelto
d’accorciarsi, non è questo
che muta del tempo la coscienza.
Ma quei mille e novantacinque giri suoi
che sono men d’uno
se tu lo vuoi.

BSA, Oudeis, Anam sono tre nomi usati dal “poeta”. Classe 1989, mai laureato, ha pubblicato i suoi scritti nella raccolta Viaggi diVersi (Poeti e Poesia), e varie volte con deComporre edizioni, in diverse antologie a cura di Ivan Pozzoni.

Valerio Pedini nasce il 16 giugno del 1995, di otto mesi, e viene tempestivamente scambiato nella culla: il misfatto viene subito scoperto. Esattamente 18 anni dopo, Valerio, divenuto Gaio, senza onorificenze, decide di organizzare il suo primo evento culturale ad Artiamo (gastrite e l’epilessia e quasi nessuno ad ascoltare); nell’intermezzo ha iniziato a recitare, preferendo l’espressività del teatro di ricerca rispetto al metodismo popolare e a scrivere, uscendo, in collaborazione col circolo narrativo AVAS – Gaggiano, nelle antologie Tornate a casa se potete, Rigagnoli di consapevolezza e Ma tu da dove vieni?. Nell’ottobre del 2013 inizia il progetto Non uno di meno Lampedusa, insieme ad Agnese Coppola, Rossana Bacchella, Savina Speranza e ad Aurelia Mutti. A dicembre conosce Teresa Petrarca, in arte Teresa TP Plath, con cui inizia diversi progetti artistici: La formica e la cicala, Essence e Pan in blues e in jazz. Sta lavorando ad una monografia filosofica: Maggiorminore: la disperazione dei diversi uguali. A Maggio 2014 è uscita la sua prima raccolta poetica, con IrdaEdizioni: Cavolo, non è haiku ed è stato inserito nell’antologia Fondamenta Instabili (deComporre Edizioni) e, successivamente, sempre con deComporre Edizioni, uscirà nelle antologie Forme Liquide, Scenari ignoti e Glocalizzati.

MARIANO MENNA è nato a Benevento nel 1994. Ha conseguito la maturità scientifica presso l’istituto Polispecialistico Gandhi di Casoria. É iscritto al primo anno del corso di laurea in Filosofia presso l’Università Federico II di Napoli. Nel 2012 è risultato vincitore del Concorso Nazionale “Scrittura attiva” di Tricarico, nella sezione giovani, con la poesia La ballata del vagabondo; nel 2013 sono uscite due raccolte di poesie La grande legge e La pagina bruciata, entrambe edite da Marco Del Bucchia. É stato inserito nelle antologie: Poesia per Dio (La Ziza) e Fondamenta instabili (deComporre Edizioni). Alcune sue poesie sono apparse su blog e riviste online come “L’ombra delle parole” di Giorgio Linguaglossa, “Alla volta di Leucade” di Nazario Pardini, “La distensione del verso” di Sandra Evangelisti, “Le Reti di Dedalus” di Marco Palladini e “Poetrydream” di Antonio Spagnuolo. É membro cofondatore della corrente artistico-letteraria del Labirintismo.

AMBRA SIMEONE è nata a Gaeta il 28-12-1982 e attualmente vive a Monza. Laureata in Lettere Moderne, ha conseguito la specializzazione in Filologia Moderna con il linguista Giuseppe Antonelli e una tesi sul poeta Stefano Dal Bianco. Collabora con l’Associazione Culturale “deComporre”. La sua prima raccolta di poesie Lingue Cattive esce a gennaio del 2010 per i tipi della Giulio Perrone Editore di Roma. Del 2013 è la raccolta di racconti Come John Fante… prima di addormentarmi per la deComporre Edizioni. La sua ultima raccolta di quasi-poesie esce quest’anno per deComporre Edizioni con il titolo “Ho qualcosa da dirti – quasi poesie”. È co-curatore de “Il Gustatore – quaderni Neon-Avanguardisti” che hanno ospitato Aldo Nove, Giampiero Neri, Peppe Lanzetta, Giorgio Linguaglossa, Paolo Nori e molti altri. Alcuni suoi testi sono apparsi su riviste letterarie nazionali e internazionali tra le quali l’albanese Kuq e Zi, la belga Il caffè e l’americana Italian Poetry Review e su antologie; le ultime due per Lietocolle a cura di Giampiero Neri e per EditLet a cura di Giorgio Linguaglossa.

MATTEO DE BONIS è nato a Cosenza il 27 Giugno 1991; è laureando in Filosofia e Storia presso l’Università della Calabria. Nel 2008 ha partecipato al premio letterario ‘Federica Monteleone’ nella sezione dedicata alla narrativa, figurando tra i vincitori. Nel 2011 ha partecipato e vinto la selezione regionale delle Olimpiadi di filosofia. Ha collaborato con numerose riviste on-line di cultura e filosofia. Attualmente s’occupa di tematiche quali i rapporti tra poesia e ontologia e la riabilitazione del sapere estetico. È uscito nell’antologia Fondamenta instabili (deComporre Edizioni).

41 commenti

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41 risposte a “CINQUE POESIE E CINQUE POETI SUL TEMA DELLA MORTE O DELLA QUASI MORTE- L’ULTIMA GENERAZIONE: Valerio Gaio Pedini, Matteo De Bonis, BSA, Ambra Simeone, Mariano Menna, Daniela Guarnaccia a cura di Ambra Simeone e con un Commento di Giorgio Linguaglossa

  1. Il poeta goriziano Carlo Michelstaedter, morto suicida a ventitré anni (17 ottobre 1910), tra le altre sue opere in cui mostrava di ammirare e amare, la morte al punto da celebrarla, lasciò scritto nella mirabile poesia “Aprile”:

    “Pur tu permani, o morte e tu m’attendi
    o sano o tristo, ferma ed immutata,
    morte, benevolo porto sicuro.”
    (…)

    Il suo pensiero filosofico, espresso nell’opera “Il dialogo della salute”, è sintetizzato in quest’espressione univerbata: “Essere-per-la morte”.
    *
    Giovani poeti che scrivete versi sulla morte e sul suicidio, leggete Carlo Michelstaedter (“Poesie”, “Il dialogo della salute”, “La persuasione e la rettorica”, “Epistolario”).

    Giorgina Busca Gernetti

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    • Michelstaedter è un maestro, ho letto “La persuasione e la rettorica” (meraviglioso a dir poco, forse uno dei miei testi preferiti di questo ultimo anno di letture) e ho iniziato le “Poesie”; stavo inoltre pensando di scriverci la tesi di laurea triennale 🙂 A mio parere- ma non mi considero certo un esperto- il suo ” Essere-per-la-morte- (che lo rende innegabilmente, ma forse inconsapevolmente antesignano di Heidegger ) è anche più illuminante di quello heideggeriano: è un’improvvisa scossa elettrica che ti “rimette al mondo”, in rapporto a ciò che ti circonda.
      La ringrazio per il consiglio!

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      • Grazie a te, gentilissimo Mariano! Carlo Michelstaedter è un vero Maestro. “I figli del mare” sono una meraviglia in tutti i sensi.
        Anche “Onda per Onda”, che è divenuto il titolo di un mio libro di poesie tutte ispirate dal mare. In esergo una strofa di questa poesia.
        E’ un piacere riscontrare che la lettura de “La persuasione e la rettorica” ti ha affascinato. Attenzione, però: è un fascino pericoloso!
        Giorgina

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  2. Bellissime le poesie di BSA, Menna e e Matteo De Bonis, il tema è veramente scomodo difficile, ognuno di loro però non cede al vittimismo. Ambra e Valerio hanno composto due monologhi, molto teatrale quello di Valerio, pieno di ironia quello di Ambra. Bravi tutti.

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    • Valerio Gaio Pedini

      è roba vecchia. dell’anno scorso.

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    • La ringrazio; la mia è di 3-4 anni fa, una delle prime che abbia scritto.
      Faccio i complimenti a tutti, in particolare ad Ambra, perché la sua bellissima poesia (o quasi poesia!) , con un’ironia sottile, sbatte in faccia elementi di ipocrisia che- troppo spesso – ricorrono nella realtà.

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      • Ambra Simeone

        caro Mariano, mi risulta che tu stia crescendo in campo poetico, si forse è un po’ vecchio questo testo e adesso non ti rappresenta per quello che sei, si cambia talmente in fretta che non si riesce ad acciuffare neppure il mondo! Continua così però non arrenderti e fai buone letture 🙂

        come continuerò a farne anche io, grazie a Giorgina per il consiglio di lettura, leggere sulla morte mi deprime, non sono una fanatica di questo tema, ma le letture sono sempre ben consigliate.

        Al caro Flavio dico di leggere la mia poesia come fossero dei consigli per gli acquisti o un striscia notiziaria in sovrimpressione dei telegiornali o un elenco di consigli di live coaching; la dimensione è quella, molto meno quella del monologo!

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  3. Ivan Pozzoni

    Per esempio, una notizia bomba: il fantasmagorico gruppo degli arrabbiati si è dissolto, morendo, l’anno scorso. Condoglianze.

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  4. Probabilmente, in una società «liquida» anche le arrabbiature diventano liquide e non riescono a sopravvivere il tempo di una stagione. Sic transeat gloria mundi. Però, quello che non riesco a capire è se in una società «liquida» anche i problemi prendono una forma «liquida»…

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    • I miei problemi no, restano solidi, anzi, ci pietrificano, tranne uno che…
      Ma tu lo sai.
      Giorgina

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    • Ivan Pozzoni

      Se consideri il termine «problema» nel suo uso etimologico (pro – ballein, gettare avanti), «problema» è stato il ponte che l’uomo gettava verso il futuro, una sorta di metodologia con cui l’uomo rincorreva il mondo, SEMPRE maggiormente veloce di ogni ideazione umana. Col tardo-moderno, e con l’accelerazione progressiva del mondo, ogni forma di «problematizzazione» o cade in stallo o subisce una accelerazione progressiva. Esempio: dobbiamo prendere l’autobus al volo (tipico fantozziano). Il solito autobus che, se disastrosamente e debitamente rincorso, riusciamo disperatamente ad acchiappare al volo ogni mattina. All’improvviso, l’autobus inizia ad incedere ad accccccccelerazioni progressive. Due esiti: 1] corro come un disperato (chi ragiona ancora in termini otto/novecenteschi), assistendo all’immagine dell’autobus che si allontana progressivamente, fino ad arrivare di corsa al capolinea (che intanto è stato spostato dal Comune venti chilometri in avanti, e così via); 2] mi fermo (chi ragiona in termini nuovi), e cerco di strategizzare un modo diverso di arrivare alla meta o, addirittura, cambio la meta in corsa (conscio che qualsiasi meta sia interscambiabile ogni cinque minuti).

      Se il «problema» è uno strumento con cui l’uomo cerca di afferrare il mondo, chiaramente, al modificarsi sempre progressivamente più veloce del mondo (liquidità), dovrebbe cambiare anche ogni nostra strategia di «problematizzazione»: una cosa è se cerchi di afferrare un solido; un’altra è se cerchi di afferrare un liquido.

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      • PROBLEMA
        Dal greco πρόβλημα (próblēma) “sporgenza, promontorio, impedimento, ostacolo”, dal verbo προβάλλω (probállō) “mettere davanti”, dal prefisso προ- (pro-) “innanzi” + βάλλω (bállo) “mettere, gettare”.
        *
        Un problema, comunemente inteso, è un ostacolo che rende difficile raggiungere un determinato obiettivo o soddisfare una certa esigenza, frapponendosi tra la volontà dell’individuo e la realtà oggettiva.
        In senso più specifico con questo termine ci si riferisce ad una qualsiasi situazione o condizione che è irrisolta e che presenta delle difficoltà per la sua soluzione.
        Il problema in senso filosofico nasce ogni qualvolta non si trovi una risposta conclusiva a una domanda teoretica o pratica di carattere universale (da universorum: nel senso che riguarda tutti gli uomini).
        In questo senso il problema è un ostacolo sulla via del sapere da superare, sia pure temporaneamente, per il successivo agire pratico.
        *
        Io mi limito a considerare i miei problemi in senso esistenziale.
        Ho cercato talvolta di afferrare l’acqua, ma gocciola via tra le dita e me ne rimane poca, giusto un goccio per dissetarmi, se non è acqua di mare.

        GBG

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        • Ivan Pozzoni

          Pur apprezzando la dottissima interpretazione etimologica dell’amica Giorgina, che si connette, metodologicamente, alla nozione «oggettiva» del «πρόβλημα» come «ostacolo, difesa, muro di cinta», usata in Sofocle, Erodoto e Senofonte, azzarderei, vista anche la ricezione latina «pro-positum», un’interpretazione «soggettiva» del «πρόβλημα», come «ciò che è messo innanzi come scusa o schermo» (Demostene e lo stesso Sofocle), o, addirittura, come proposta, quel gettarsi avanti, come un ponte, verso il mondo, suggerito da Euripide e Platone. E, filosoficamente, la tradurrei nel riconoscimento dell’impossibilità dell’essere umano tardo-moderno di risolvere «problemi», perché il mondo, liquefatto, si allarga in maniera progressivamente maggiore che il nostro tentativo disperato di raggiungere, col nostro ponte, l’altra sponda del canyon/mondo.

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          • Credo di aver già risposto a sufficienza nel mio commento e, ad esser sinceri, non ho alcun desiderio di sfoggiare il sapere (non ho scritto “mio sapere”) per far dire: “Ma che bravo!” (notare il maschile). Io la smetterei qui perché sto facendo una ricerca non etimologica ma relativa al Ministero della Difesa.

            GBG

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            • Ivan Pozzoni

              Giorgina, ci mancherebbe! Però la filosofia francese contemporaneissima ci ha insegnato che i teoremi filosofici variano al variare (anche) delle ricostruzioni/interpretazioni etimologiche dei nostri vocaboli. Deduco, in ogni caso, che tu sia intervenuta in reazione ad un tuo «πρόβλημα» esistenziale, che, sospetto, ti crea molta arrabbiatura. Io, chiaramente, mi riservavo di fare un discorso generalissimo. Spero che i tuoi ostacoli esistenziali si rimuovano in fretta e senza danno. Lo sai! un abbraccio Ivan

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              • Non arrabbiatura, ma dolore, rimpianto, domanda senza risposta: “Perché?” . Come vedi nulla di simile e nulla che riguardi la filosofia francese contemporanea. E’ un fatto bellico non recente: ecco perché faccio ricerche nel Sito del Ministero della Difesa.
                Ciao

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          • Ho ricevuto il tuo libro con prefazione di G.L. Grazie. Per compito ti assegno questo: scrivere tutte le citazioni precise e complete dei passi di Sofocle, Erodoto, Senofonte, Demostene, di nuovo Sofocle, Euripide e Platone da cui desumi le tue affermazioni (in filologia classica si fa così).
            Un caro saluto
            Giorgina 🙂

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            • Ivan Pozzoni

              Carissima, infatti, nella storiografia della teoria del diritto e della filosofia antica, io aborrrrrro la metodologia filologica, essendo, sulla scia di Mondolfo e di Capizzi (dimenticatissimo), uno storiografo di metodologia storica. Se, come Ambra, che è filologa medioevale e moderna, dovessi applicare il metodo filologico, farei immediatamente harakiri. Ricordo che, di metodo filologico, fu sommo esperto il mio docente di Liceo, Sergio Monaco (http://www.paideiaeditrice.it/site/scheda/1359), uomo schivo e riservato, dottissimo, di una cultura filologica senza fine: curò un volumetto di Martin Hengel, scrisse alcuni saggi su Zetesis (Omero). Poco, troppo poco. Per questa sua timidezza e riservatezza rimase fuori dall’Accademia: aveva il talento del docente ordinario, conoscendo a memoria, in lingua, il 90% della letteratura latina e greca. Io “subivo” un’unica interrogazione annua: la famigerata interrogazione di storia e geografia greca. Cartina muta: indicavo con sicurezza, unico in una classe di secchionissimi, i luoghi esatti delle città antiche, delle battaglie, dei santuari, dando date e spiegazioni dettagliate sugli eventi. Lui interrogava esclusivamente me: tutti i miei compagni, inclusi i migliori della classe, facevano scena muta. Mi insegnò a tradurre senza vocabolario. Sono in contatto con i maggiori esperti della materia: da Livio Rossetti a Giovanni Casertano, da Ferrari a Trabattoni, da Giorgini a Cavini, dall’amata Stefania Nonvel alla Michela Sassi, e moltissimi altri. Ma il Prof. Sergio Monaco mi è rimasto nel cuore. Filologicamente, resto un grande ignorante. Un mio saggio sui lirici greci antichi, tuttavia, uscirà nel lungo periodo (tempistiche da rivista internazionale), su Symbolae Philologorum Posnaniensium, in Polonia. E, non appena troverò un momento di serenità, inizierò a tradurre in saggio in miei studi omerici, da destinare a varie riviste internazionali.

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              • E la bibliografia, cioè le fonti dei tuoi scritti? 🙂

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                • Ivan Pozzoni

                  Centinaia e centinaia di volumi di storia della cultura antica, di storia della letteratura antica, di storia della teoria del diritto e dell’etica antiche, di sociologia del mondo antico, et similia. Per Omero, credimi, sto consultando centinaia di volumi. Per i Pre-socratici, addirittura, ho consultato decine di volumi di bibliografia, incluso il SIJAKOVÌC, in serbo/tedesco, al fine di trovare i volumi di letteratura secondaria di maggiore spessore culturale in biblioteca universitaria. La mia penultima monografia, Grecità marginale e suggestioni etico/giuridiche: i Presocratici, Roma, IF Press, 2012, ISBN: 978-8895565880, ha 1010 testi in bibliografia, oltre alle citazioni in lingua della letteratura primaria. Questo significa scrivere un saggio, a mia modesta opinione. Per Omero, i testi della Calzecchi Onesti (ottima interpretazione). Per i Pre-socratici, Giannantoni. La traduzione è mia: chiaramente, l’apparato filologico è altrui (Calzecchi Onesti o Giannantoni): io sono uno storico, e ogni attività culturale è diventata un’attività di equipe: i filologi hanno bisogno estremo delle contestualizzazioni degli storici (come me), e viceversa. Ogni ofelè al fa el so mestè 🙂

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  5. Bravi tutti, secondo me, per l’ironia, la leggerezza e il pensiero privo di sentimentalismi. Dico solo di Gaio Pedini e di Ambra Simeone perché di loro ho già letto qualcosa, su questo blog. E dico poco. Pedini: difendendo la morte da inutili congetture dà prova di volerne accogliere il mistero. Trovo valido il suo modo di procedere: invece di innalzarsi come Nietzsche verso il mistero, lo conduce a portata di mano, se lo fa amico. Ed ecco che si fa possibile conoscenza. Semplifico troppo?
    Invece Ambra: per averci pensato, alla faccenda della quasi poesia, sono giunto a conclusione che per farne bisogna avere il doppio del talento che si trova in giro. Conviene provarci. Oltre tutto, se non malgrado, può essere divertente.

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    • Ambra Simeone

      caro Lucio,

      grazie, questa “quasi poesia” è nata per gioco, attorno a tre concetti chiave per me, segno di continua ricerca: cambiamento, dubbio, tentativo, non sono in rima come sole – cuore – amore, ma che ci posso fare… a me divertono di più! 🙂

      Per cui provare e provare… cosa c’è di meglio?

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      • Ivan Pozzoni

        ♫♪ Dammi tre nozioni: trasformazioni, supposizioni, sperimentazioni,
        dammi un calcio nelle gengive,
        è la sperimentazione che ti vuole
        prendere o lasciare
        stavolta non fartela scappare.
        Sono le istruzioni per muovere gli umani
        non siamo mai così vicini
        aaah, ahhh ♫♪

        Messe in rima.

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  6. se questa è quasi poesia allora la morte è quasi morte

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    • Ivan Pozzoni

      Certo: e il tuo è un quasi commento! Dall’ “oramai” di Villa, stiamo diventando esistenzialmente schiavi del “quasi” della Simeone. 🙂 Però, come nessuno, oramai, si è degnato di approfondire il significato dell’ “oramai” villiano, è fisiologico che, attualmente, QUASI nessuno si degni di approfondire il “quasi” simeoniano. Sono i còrsi e ricòrsi storici (cfr. Napoleone).

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  7. gabriele fratini

    Scavallando il solito illeggibile Pedini, negli altri quattro autori si trovano anche delle cose interessanti, per aver trattato con leggerezza il problema dei problemi. Un saluto.

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  8. Giuseppina Di Leo

    Tutte interessanti le voci in campo, né trovo “illeggibile” la poesia di Valerio Pedini, a differenza di Fratini – 🙂 – perché mi piace molto il suo “no” urlato fino all’inverosimile contro l’ipocrisia della “sanità delle parole”, che porta diritto alle sagge contro-indicazioni suggerite da Ambra Simeone, un vero toccasana contro tutte le forme di banalizzazione della morte.
    E Matteo De Bonis, che getta un “ponte carnale” tra la “fisicità” e ciò che di “ideale” il pensiero crea: le “coorti di rose immaginose”.
    E BSA, che utilizza la forza del pensiero contrario (“Nascer non puoi senza
    Morte”) e, così facendo, mette in risalto il contrasto tra mente e desiderio, come nel bellissimo inizio: “Insopportabile sarà / la Vita per colui che / la Morte non ha accolto nel suo cuore.
    E la “ballata” di Mariano Menna che non si scompone, né tesse altre trame…
    E, insomma, tutti.
    Bravi.

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  9. Giuseppina Di Leo

    Un grazie a voi, cari Ambra e Mariano. L’argomento morte è tra i più difficili, il rischio è sempre quello di scivolare nel piagnisteo dell’io e nell’ovvietà, criticità lontane da questi testi.
    🙂

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    • Vitaliano

      RIFLESSIONI SULLA VITA

      La vita umana è uno stupendo dono,
      un miracolo perpetuato nel mistero,
      ma la morte, ligia ai suoi impegni,
      non si stanca d’inseguirla da millenni.

      Per un fugace viaggio vediamo la luce,
      iniziando a cercare ciò ch’è sconosciuto
      per tornare, da quel peregrinare, allo scuro
      Sepolti sopra o sotto, un freddo muro

      Col dolore del parto nasce l’umano
      per iniziar la sua corsa della vita,
      su un percorso irto, spinoso e greve.
      con la sofferenza di una vita breve

      Spunta come un fiore che dà gioia,
      che richiama le attenzioni d’altra gente,
      ma al primo forte sole s’appassisce
      e come l’ombra, nel buio, svanisce.

      Mentre il traguardo s’avvicina,
      il suo cuore si rattrista a quella vista
      e con la sua preziosa vita in mano,
      per non cadere, cerca d’andare piano.

      Vede le sue orme lasciate sul terreno.
      Rivede gli ostacoli, le prove e i sui amori
      e or che il suo pensiero viaggia a ritroso,
      ripensa a quel percorso doloroso.

      Non è per generare gioia quel traguardo,
      né per ricevere applausi o grandi onori.
      Sa che l’attende un letto non desiderato
      e un sonno ch’ereditò da quando e nato.

      Da vecchio cerca ciò che in vita non cercò:
      Un Dio che potrebbe averlo anche creato
      per rendergli un’egoistica adorazione
      sperando che disponga la sua risurrezione.

      Si chiede se c’è un’acqua per le sue radici,
      capace di ridare vita a ciò che s’è seccato.
      Si chiede, meditando, su quel futuro ignoto,
      se la sua vita potrà esser rimessa in moto.

      Vitaliano Vagnini

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