LA POESIA di PABLO PICASSO E LA QUESTIONE DELLA METAFORA nell’interpretazione di Valerio Gaio Pedini con una scelta di poesie di Pablo Picasso

picasso donna seduta

picasso donna seduta

 Rileggendo  le poesie di Pablo Picasso ho fatto mentalmente una panoramica della poesia italiana del ‘900 e mi sono reso conto di una vistosa lacuna stilistica. Soprattutto nel secondo Novecento è mancata la capacità di utilizzare le qualità comunicative della metafora, anzi, quest’ultima è stata indicata come un corpo estraneo da estirpare dalla poesia, come un orpello, trattata alla stregua di un abbellimento lessicale, un retorismo da evitare a tutti i costi. Ritengo questo fatto un errore grave che ha inciso sulla poesia italiana privandola di un elemento insostituibile del linguaggio poetico. Pregiudizio grave che sarà gravido di conseguenze negative sul piano stilistico per la poesia italiana.

Picasso, da pittore, non ha pregiudizi verso l’immagine, anzi, lui vede il linguaggio poetico come una funzione dell’immagine. Per il pittore spagnolo la metafora è ragguagliata alla immagine, ed entrambe sono impiegate come «fotogrammi» degli «oggetti», alla stregua di una macchina da presa che inquadra gli oggetti e li duplica nel fotogramma; la poesia è vista da Picasso come uno scorrimento di fotogrammi nel montaggio. È una procedura poetica che mette al centro la rappresentazione, la sovrapposizione, il montaggio delle immagini.

La responsabilità maggiore di questa incapacità della cultura poetica italiana ad intendere la funzione e la natura della «immagine» e della metafora è da rinvenire, a mio avviso, nella egemonia che la poesia del Pascoli ha esercitato sulla poesia italiana del primo e secondo Novecento, nel Gruppo 63, nello sperimentalismo di Zanzotto e nella  poesia della linea lombarda. La poesia italiana si avvierà in una via poetica epigonica di matrice lineare-fonetica di derivazione dalla poesia pascoliana. Privata della metafora e dell’immagine che, notoriamente, si sottraggono o mal si adattano ad un pentagramma sonoro di matrice lineare e unidirezionale, la poesia italiana del secondo Novecento si avvierà su un pedale basso lessicale e stilistico che finirà per appiattirla su un piano esclusivamente «comunicativo». La ricerca della «comunicabilità» a tutti i costi renderà un pessimo servizio alla poesia italiana del secondo Novecento. Nemmeno con il primo emetismo si viene a capo di questa vistosa omissione; una poesia come quella di Ungaretti è intuitivo-epifanica ma non riesce a creare una metafora dell’immagine. E tuttora il vuoto è vistoso. Questo vuoto della metafora e dell’immagine ci pone degli interrogativi. Mi chiedo se la poesia italiana sia in grado di formulare una diagnosi critica di questo quadro «patologico». Per il momento, la risposta non può che essere negativa. La più totale omissione è sotto i nostri occhi. E la poesia italiana, a parte eccezioni di pregio che pur ci sono, conserverà una matrice  fonosimbolica unilineare .

Comunque, tornando a Picasso, bisogna dire che la sua poesia è incentrata sul principio del contrasto. Cito Picasso, “l’arte deve trovare, non cercare”, e se l’arte non trova allora vuol dire che la ricerca è fallita. Leggiamo una poesia di Pablo Picasso:

IL CIGNO

Il cigno sul lago a modo suo fa lo scorpione

 Che sorpresa. Solo un verso, un piccolo verso, un miserrimo verso, eppure che immagine, che parallelismo e, come dire, che trovata! Lo si vede il cigno nel lago con il collo inarcato, che si  riflette nell’acqua e appare come uno scorpione pronto a pungere la preda, ad attaccarla e farla soccombere. In questo modo l’aspetto paradisiaco del cigno diventa un’immagine di una incredibile virulenza estetica. E qui si trova una esemplificazione del principio del contrasto nella sua essenza. Eppure non ci sono ribaltamenti bruschi, c’è soltanto un’immagine fotografica.

Picasso  era pittore anche nella poesia, fa pittura in poesia. Ecco, se dovessi indicare una debolezza della poesia italiana del secondo Novecento, direi che essa non ha saputo fare poesia mediante la pittura. Non ha imparato nulla dalla pittura del secondo Novecento. Non ha imparato nulla dalle scoperte della fisica dei quanti. Nel secondo Novecento è sì operato esclusivamente su una piattaforma descrittiva e narrativa sostanzialmente quantitativa, ma è restato fuori dell’interesse della poesia italiana il problema della metafora e dell’immagine.

La poesia di Picasso invece è un esempio vistoso di una poesia che fa perno sulle stratificazioni architettoniche delle immagini. Arriva per una sua via tutta particolare, allo «sguardo sincipitale» teorizzato da Osip Mandel’stam. Una sorta di caleidoscopio in miniatura, un brillante gioco di illusionismi. La poesia di Picasso è ricca di decostruzioni. Osserviamo:

OFELIA

Ofelia cade in un bicchier d’acqua e annega

 

Picasso Jacqueline Roque

Picasso Jacqueline Roque

Gnomismo del paradosso. Picasso utilizza uno gnomismo tipico e lo smonta, e lo rimonta a suo piacimento, tratta le immagini come dei meccani, tratta l’assurdo come normalità. Ma non vi è nulla di assurdo, poiché l’annegamento di Ofelia è trattata come un dato realistico. Oppure:

IL PARTO

La donna che partorisce grida come i vetrai

 Si procede su parallelismi apparentemente sconnessi: cigno-scorpione e via discorrendo, fino ad arrivare a questa che è l’apice della poesia di Picasso. Cosa significa? Che corrispondenza vi è tra una donna che partorisce ed un vetraio? Ce lo dice Picasso: l’urlo. Sì, ma cosa significa? Penso alla rottura delle acque e della forma originaria del vetro. Eppure no, è lo sforzo genetico, lo sforzo della creazione. E allora lì si vede la madre e il vetraio paonazzi che si sforzano di dare origine, di dare vita: compiere un’opera. Questa è una metafora visiva che ci collega subito all’anima dell’arte poetica.

In Italia non avviene nulla di così forte. Ungaretti s’illumina d’immenso ma manca della metafora visiva! E una poesia senza metafora visiva rischia di essere scipita, piatta. L’ermetismo fa una poesia contestualizzata, chiusa dentro i propri asfittici confini stilistici, non riesce a cogliere l’importanza di una metafora visiva (e sonora). Picasso, di origine genovese, è l’unico poeta-pittore ad aver elaborato una poesia delle immagini. Una poesia deve contenere uno sguardo che osserva un oggetto, e l’oggetto viene trasposto e decontestualizzato dagli altri oggetti. Come disse Picasso: “l’artista è anzitutto un uomo politico del suo tempo”.

La poesia italiana del Novecento (compresi il futurismo e il crepuscolarismo), farà deliberatamente a meno della metafora. Ma è nel secondo Novecento che i risultati estetici di questa lacuna saranno visibili: la poesia italiana risulterà canonica, istituzionale, volontaristica, lessicalmente impoverita. Alcuni poeti isolati tenteranno uno sviluppo della metafora visiva, penso a Dino Campana e ai suoi Canti orfici (1914), ma si tratterà di casi isolati. Oggi il mio riferimento va alla poesia di un Antonio Sagredo, questa sì, «inclassificabile» secondo gli schemi di una poesia undirezionale lineare; penso alla poesia del «frammento simbolico» di Giorgio Linguaglossa, alla poesia «rallentata» di Steven Grieco-Rathgeb, alla poesia di «citazioni» e di «frammenti» di Mario M. Gabriele, ma anche alla poesia di Francesca Diano, a quella di Gino Rago, Lucio Mayoor Tosi etc. In questi poeti del tardo Novecento e di questi anni, la metafora visiva non è solo un atto di resistenza alla visione cloroformizzata, normalizzata, ma anche e soprattutto una «nuova visione» degli «oggetti» e del «mondo».

A mio avviso, solo con l’idiosincrasia verso la visione cloroformizzata degli oggetti e con la belligeranza stilistica si potrà fare una poesia esteticamente non educata.

 (Valerio Gaio Pedini)

picasso Sogno

picasso Sogno

(Poesie tratte da Scritti di Pablo Picasso, a cura di Mario de Micheli, SE)

IL MIRACOLO

Il miracolo che il torero frigge
nella piazza del peperone
la precisione del volo attraverso la nuvola
che il cristallo infrange
con la sua cappa.

ESTATE

Passa l’estate
fetta di melone che la cicala accende
e trascina nella sua ferita
la cappa dell’espada.

Il VESTITO DEL TORERO

Al torero
con l’ago più sottile che la nebbia inventò
cuce un vestito di lampade
il toro.

IL TABACCO

Il tabacco avvolto nel sudario
vicino a due banderille rosa
spira i suoi disegni modernisti
sul cadavere del cavallo
e al fuoco del suo occhio
scrive sulla cenere
l’ultima sua volontà.

picasso quote

LA PERSIANA

La persiana sbattuta dal vento
uccide i cardellini in volo
i colpi macchiano di sangue
la spalla della stanza
ascolta passare il candore
la morte porta in bocca aroma d’armonium
e la sua ala tira la corda del pozzo.

I CARDELLINI

I cardellini sono l’aroma
battente con la sua ala il caffè
che riflette la persiana nel fondo del pozzo
e ascolta l’aria passare
nel silenzio della candida tazza.

L’AROMA

L’aroma ascolta passare i riflessi
che il cardellino sbatte giù nel pozzo
e offusca nel silenzio del caffè
il candore dell’ala.

LA FANCIULLA

Fanciulla
bel falegname che inchiodi le assi
con le spine delle rose
non piangere una sola lacrima
se vedi sanguinare il legno.

Picasso quote 1

PREPARATIVI

Lo facciano pure dove vogliono il loro festino i topi
purché non mangino il piccione nel nido
purché non mettano bandiera e lampioncini nelle piaghe
purché il mattino dopo non sia tutto un pianto
quello che si deve fare
è sguinzagliare i cani perché li uccidano
e al punto in cui siamo comprare mobili
non fa niente se l’allegria non nasce
nello stesso momento
in cui s’avvolgono nacchere in risate
e colori di festa in motivi di chitarra
quello che si deve fare
è coronarsi di rose ed esser felici
di vedere le cose laide belle così come sono
e gettar loro la cappa e vestirle di complimenti
e portare la tavola già imbandita di fiori
e cantare e gridare che arriva
e preparare il letto che tra le lenzuola
nasconde l’arcobaleno.

*

lingua di fuoco sventaglia il suo viso nel flauto la coppa
che cantando corrode la pugnalata dell’azzurro
così grazioso
che seduto in un occhio del foro
iscritto nel suo capo adorno di gelsomini
aspetta che gonfi le vele il pezzo di cristallo
che ammantellato nel fendente a due mani
gocciolando carezze
divide il pane fra il cieco e la colomba color lilla
e assale con tutta la sua cattiveria le labbra del limone in fiamme
il corno contorto
che spaventa coi suoi gesti di addio la cattedrale
che sviene fra le sue braccia senza un olé.
mentre scoppia nel suo sguardo la radio di prima mattina
che fotografando nel bacio una cimice di sole
si mangia l’odore dell’ora che cade
e trapassa la pagina che vola
distrugge il rametto che porta infilato nell’ala che sospira
e la paura che sorride
il coltello che salta dalla gioia
lasciando ondeggiare ancora oggi come vuole e in qualsiasi modo
al momento esatto e opportuno
sull’orlo del pozzo
il grido della rosa
che gli getta la mano
come un’elemosina.

(28 novembre 1935)

Valerio Gaio Pedini

Valerio Gaio Pedini

Valerio Pedini nasce il 16 giugno del 1995, di otto mesi, e viene tempestivamente scambiato nella culla: il misfatto viene subito scoperto. Esattamente 18 anni dopo, Valerio, divenuto Gaio, senza onorificenze, decide di organizzare il suo primo evento culturale ad Artiamo (gastrite e l’epilessia e quasi nessuno ad ascoltare); nell’intermezzo ha iniziato a recitare, preferendo l’espressività del teatro di ricerca rispetto al metodismo popolare e a scrivere, uscendo, in collaborazione col circolo narrativo AVAS – Gaggiano, nelle antologie Tornate a casa se poteteRigagnoli di consapevolezza e Ma tu da dove vieni?. Nell’ottobre del 2013 inizia il progetto Non uno di meno Lampedusa, insieme ad Agnese Coppola, Rossana Bacchella, Savina Speranza e ad Aurelia Mutti. A dicembre conosce Teresa Petrarca, in arte Teresa TP Plath, con cui inizia diversi progetti artistici: La formica e la cicalaEssence e Pan in blues e in jazz. Sta lavorando ad una monografia filosofica: Maggiorminore: la disperazione dei diversi uguali. A Maggio 2014 è uscita la sua prima raccolta poetica, con IrdaEdizioni: Cavolo, non è haiku ed è stato inserito nell’antologia Fondamenta Instabili (deComporre Edizioni) e, successivamente, sempre con deComporre Edizioni, uscirà nelle antologie Forme LiquideScenari ignoti e Glocalizzati.

67 commenti

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67 risposte a “LA POESIA di PABLO PICASSO E LA QUESTIONE DELLA METAFORA nell’interpretazione di Valerio Gaio Pedini con una scelta di poesie di Pablo Picasso

  1. domandina semplice semplice, secondo voi Picasso, se non fosse stato l’ultra famoso pittore scultore che è stato, sarebbe passato alla storia dell’arte per queste cose qua?

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  2. Picasso: tutto quel che faceva passava da Picasso; si può dire che non è mai esistita firma degna di mostrarsi quanto la sua. Nè pittore né poeta ( lo scopro adesso), lui era Picasso. Più che un cognome un sostantivo. Eppure pittore finanche nella poesia. Pensare che per un pittore, facendo l’esempio inverso da questo proposto da Pedini, suonava quasi un’offesa quella di essere ritenuto letterario (es.Chagall)! Da un estremo all’altro.
    Altro buon esempio è Giorgio De Chirico, di cui ho letto tutte le poesie, ma lui sì, sapeva essere anche letterario, del resto la sua pittura non era puro segno come per Picasso. Però poeti di chiare immagini, non so se di metafora dell’immagine ( perché non sono certo che in poesia l’esprimersi con immagini si possa sempre dire metafora) ne abbiamo avuti: faccio i nomi di Campana e Calogero, guarda caso due poeti che sono stati tenuti per lungo tempo ai margini.

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  3. Gino Rago

    A quale falegname – che non sia Geppetto – può accadere di inchiodare assi con spine di rose, di veder legni sanguinare? O Picasso in sé si rivolgeva all’Evento sul Golgota? La nota di Gaio propone molti motivi di riflessione; ma, nelle meditazioni picassiane che Gaio Pedini oggi propone, la tensione dell’esperienza ( quotidiana, onirica o visionaria) verso il linguaggio a una prima lettura io non l’ho avvertita, per come il mio gusto estetico naturalmente mi sostiene.

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  4. caro Flavio,

    una risposta telegrafica al tuo interrogativo: se non fosse stato il Picasso pittore a scrivere queste “cose”, direi che il Picasso poeta è egualmente geniale, e per le ragioni esposte da Valerio gaio Pedini

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    • Forse, ma sicuramente sarebbe stato uno sfigato di poeta misconosciuto o dimenticato, non certo il personaggio di fama mondiale che è stato. Ammettilo, non lo dico a nessuno

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    • Steven Grieco

      Concordo pienamente! Grazie a Pedini per questo ottimo post! Aria nuova! e vada anche per un po’ di surrealismo, in fondo Picasso era dentro quella stagione fino al collo, però i risultati sono risultati, non si discutono. Non tutti i pezzi allo stesso livello, ma i migliori (quelli corti) spazzano via un sacco di ragnatele e camicie di forza dalla poesia di oggi…
      E conosciamo i punti deboli di Picasso, le opere in serie verso la fine della sua vita, la sua porcata ai danni del povero Apollinaire: ma Picasso rimane Picasso. Anche in queste poesie.
      Mi fa piacere che un poeta così giovane come Pedini contribuisca questo post qui. Complimenti. E’ stato un piacere leggerlo.

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  5. Sicuramente la fama del Picasso Pittore ha annichilito la sua figura di poeta

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    • Steven Grieco

      Il mio “concordo pienamente” si riferisce ovviamente alla valutazione di Giorgio, non di Flavio. Aggiungo: anche se è vero che la figura del pittore Picasso ha annichilito quella del poeta, si tratta di un dato truccato, solo perché oggi la corsa ai pezzi più quotati sul mercato dell’arte è letteralmente impazzita, grazie anche ai nuovi ricchi asiatici e sud americani, è come una borsa valori, gli indici funzionano come il Dow Jones. Guardate il povero Van Gogh.

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  6. gabriele fratini

    Picasso
    che balla sui cubi
    la testa tra le nubi
    con Christie’s che passa all’incasso.

    P.S. la discussione di questi testi è evidentemente dovuta all’altisonanza del nome. Sopravvalutato come pittore e come poeta. Un saluto.

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    • gabriele fratini

      … un chiarimento prima che Pedini intervenga con i suoi soliti insulti. Per “sopravvalutato” intendo economicamente, alludendo alle ultime aste che hanno fatto di Picasso l’artista piu’ pagato di sempre (tra i “vendibili”) superando anche Van Gogh. Per me è una follia ma ognuno con i propri soldi fa ciò che vuole.

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  7. D’accordo sul nome mercato eccetera, ma son cose risapute, cose della modernità. Contrariamente a quanto si crede, e malgrado Guernica, Picasso si occupò essenzialmente di estetica, e a mio parere oggi resta utile per gli addetti ai lavori: i pittori, sempre ammesso che abbiano ancora una ragione d’essere, e per saperne dell’arte del novecento.
    Queste sue poesie a me sembrano perfettamente coerenti con il suo stile e la sua personalità. Però l’argomento in oggetto a me sembra un altro…

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  8. Se non ricordo male il tema della metafora visiva fu avviato qualche tempo fa, su questo blog, a proposito della poesia di Tranströmer. Giorgio Linguaglossa disse che si tratta di una rivoluzione copernicana; tuttavia i confini di questa “scoperta” restano ancora inesplorati, tanto nel passato quanto nel divenire. Capisco le perplessità a dire di Picasso poeta, perché molto di pende dalla valutazione che si dà alla sua opera pittorica, ma resta indubbio che il ragionare per immagini determina un cambiamento della forma pensiero.

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  9. Grazie Lucio Mayoor,
    mi hai dato il destro per un allungo: Il pensare per immagini è una prerogativa dell’homo sapiens… molto probabilmente il pensiero per immagini ha preceduto il pensiero linguistico, anzi, il pensare per immagini ha finito per forgiare le lingue delle prime tribù dell’homo sapiens. Le lingue primitive infatti non erano altro che una raccolta di pittografie che rappresentavano delle visioni, cioè delle immagini, cioè delle parole. Per i primitivi era del tutto naturale che una lingua fosse costituita da immagini. Quindi nulla di nuovo sulla questione del pensare per immagini, la “ri-scoperta” dell’immagine dovuta principalmente alla poesia di Tranströmer, rimette, in un certo senso, la palla al centro, ci costringe a mettere in discussione il nostro modo di fare poesia e di pensare la poesia. Non è un caso, infatti, che un pittore come Picasso abbia fatto una poesia per immagini, per lui era naturale pensare per immagini.

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  10. antonio sagredo

    Majakovskij in un suo articolo scritto all’inizio del 1923 intitolato “Sette giorni di rassegna della pittura francese” mette sotto la sua acuta lente di ingrandimento tutti i grandi pittori francesi dell’inizio del secolo, assegnando loro il primato europeo… ovviamente Picasso da lui ritenuto “il comandante supremo dell’esercito cubista” ottiene l’alloro del vincitore assoluto… segue un raffronto critico fra i vari pittori, includendo anche pittori extra-europei, come il giapponese Fujita. Il poeta inizia il suo articolo (non pubblicato, pare) informandoci che nel 1913 “a Mosca venne inaugurata una mostra comune di pittori francesi e russi”.
    Inizio male questa mostra poi che un noto critico scambiò un quadro di un modesto pittore russo, Sanvikov, con un quadro di Picasso! L’imbarazzo fu notevole poi che nella natura morta figuravano “delle aringhe e una fetta grossa di pane nero del tutto impensabili in un quadro di Picasso”. Rivela che se la pittura cubista francese ha influenzato grandemente la pittura russa (da cui nacque la poesia cubista russa), i russi riescono a insegnare ai francesi i risultati raggiunti da costruttivismo “nuova parola nel campo dell’arte giunta non dalla Francia, ma dalla Russia”., per cui i pittori francesi hanno qualcosa da imparare da noi”.
    Majakovskij visita lo studio di Picasso. Segue un interessante dialogo.
    —————-
    Questo è stato una sorta di mio prologo… comunque nella pittura di Picasso (e dei pittori cubisti) è da notare “che non la raffigurazione degli oggetti importa, quanto soltanto la ricerca dei mezzi, dei metodi di tale raffigurazione” (Majakovskij): questo vale come principio generale. Dunque la ricerca di tali mezzi e metodi fa si che il verso picassiano sia sghembo come lo sono gli oggetti dei suoi quadri: non possono essere che lineari soltanto le linee in se, ma non certo le raffigurazioni che ne vengono fuori dalle stesse linee. Il senso del verso del pittore procede attraverso linee e colori già fissate a priori nella mente, e là dove c’è più senso invece la forma e il suono della parola non lo ha affatto. Insomma la parola poetica di Picasso procede come la mossa del cavallo, continuamente scartando a destra o a sinistra, straniando sia i suoni che in contenuti e in questo straniamento continuo la forma poetica appare completamente compiuta. La metafora si stacca dall’immagine che vuole raffigurare ( o se volte il contrario) realizzando un tale dislocamento che il suono della metafora e quello dell’immagine sono completamente lontani e discordanti, talvolta in opposizione e contrasto notevoli e così come nei suoi quadri vediamo un occhio lontanissimo dal naso, così in verso il suono non appartiene più alla parola che si pronunzia, ma all’immagine ( e di nuovo se volete è tutto il contrario!)… ma il quadro d’insieme della poesia ( dei versi che formano una poesia, intendo) riesce stabilire un tale nesso razionale e logico, che siamo estasiati e noi stessi lettori meravigliati: la poesia è completa (come un suo quadro tipicamente cubista visto da lontano) quanto più le distanze sonore e le immagini che le sottendono vanno aumentando.
    Grazie a. s.

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    • “la poesia è completa (come un suo quadro tipicamente cubista visto da lontano) quanto più le distanze sonore e le immagini che le sottendono vanno aumentando”
      Mirabile interpretazione, che corrisponde a quanto scrisse Gertrude Stein a proposito del cubismo come veduta aerea, dall’alto. Ma qui è detto meglio e più chiaramente.

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  11. Non so, io ho sempre pensato per immagini e per immagini scritto, poesia e soprattutto prosa. Mi viene naturale.
    Ma qui si tratta di altro. Picasso è stato, al di là di ridimensionamenti superficiali scaturiti dall’assurdità delle sue quotazioni di mercato, uno dei più grandi, geniali e produttivi artisti di tutti i tempi. E di questo era ben consapevole, al punto da prendersi gioco dei mercanti e dei collezionisti, perché sapeva che l’unica cosa che contava per loro era la firma, anche fosse messa sotto un segnaccio. E così ne approfittava. Non solo per prenderli per i fondelli, ma anche per avidità. Era avaro e avido, e il denaro non era mai abbastanza. Come non era mai abbastanza qualunque esperienza di vita. Era un divoratore, un predatore per natura. La sua arte – ha esplorato tutti i campi dell’arte: pittura, scultura, poesia, teatro, musica, ceramica – lo dimostra. E lo dimostra la sua vita.
    Ma, al di là di questo, basta vedere quale genio pittorico e disegnativo fosse prima di diventare cubista. Ha potuto demolire e ricostruito l’arte perché già giovanissimo disegnava e dipingeva come Rembrandt. Diversamente da molti “artisti” di oggi che non sanno disegnare una mano o costruire un cubo e così si danno all’astratto o alle installazioni. (O come molti poeti, che non conoscono le basi della metrica e si danno alla “prosa poetica” – come se fosse una novità e non avesse già 150 fulgidi anni).

    Le poesie qui postate, le prime che scrisse, e le uniche pubblicate in vita, mi pare siano quelle che risalgono tutte a un breve periodo del 1935- 36, a 54 anni, nel corso di una terribile crisi per il divorzio con Olga Khokhlova, quando per la prima volta in vita sua smise del tutto di dipingere o scolpire e si diede alla letteratura. Durò poco, perché poi si diede al canto, che durò poco anche quello e poi riprese la sua attività di artista. Scrisse però molte altre cose, fra cui alcune opere teatrali di tipo surrealista.
    Si sa bene quanto fosse stretto il suo rapporto con i surrealisti, soprattutto Apollinaire, Eluard e Breton e quanto partecipasse a quella che era una trasformazione totale dell’arte della parola. L’ultima composizione è “El Entierro del Condo de Orgaz”, la Sepoltura del Conte di Orgaz”, ispirata al dipinto di El Greco, anche se non ne contiene riferimenti specifici, del 1957.
    Diceva anche, con uno di quei suoi fulminanti paradossi, che “i mediocri imitano, i grandi copiano.”
    Un altro aspetto interessante è che Picasso abolì del tutto la punteggiatura, che paragonava, come disse a Braque, a “un cache-sexe messo lì a nascondere le parti private della letteratura”. Ed è una cosa comprensibile, perché Picasso scrive con la stessa furiosa smania, con la stessa urgenza con cui dipinge.
    Se i suoi amici surrealisti trovarono fantastiche le sue poesie, non altrettanto così Gertrude Stein e questo fu uno degli ulteriori motivi della fine di un’amicizia già incrinata. Però la Stein, nel suo libro su Picasso, ha detto una cosa acutissima: “L’egotismo di un pittore è cosa del tutto diversa dall’egotismo di uno scrittore. Questa è stata la sua vita per due anni e certo, lui che sapeva scrivere, scrivere così bene con il disegno e coi colori, sapeva benissimo che scrivere con le parole per lui significava non scrivere affatto.”

    Il rapporto di Picasso con la poesia non può essere preso a paragone con quello che è successo in Italia. Non c’entra nulla. Perché quello che lui scrive (e che spesso accompagnava con colori a profusione sulla pagina) è una forma diversa, in parole, della sua pittura. E’ ancora e sempre Picasso, ma che usa diversi strumenti nella sua voracità artistica di esplorare ogni mezzo creativo, non un poeta che intenda trovare nuove vie per la poesia.
    E’ significativo che questo inizi in un momento drammatico per lui, quando, per la prima e l’ultima volta in vita sua – cosa che non tollera – Picasso smette del tutto di dipingere o disegnare. Olga l’ha lasciato. Nessuna lo aveva mai lasciato. Solo nel 1953 si ripeterà l’esperienza con la Gilot e lui la odiò. Ma, a differenza della Khokhlova, che impazzì, la Gilot è ancora viva, ultranoventenne e dipinge attivamente. Queste due date, in un arco di tempo di 20 anni dunque, segnano l’inizio e la fine della produzione poetica e letteraria di Picasso. Quando Olga lo lascia e il trauma lo blocca, trova un mezzo diverso per riversare l’eruzione vulcanica costante della sua creatività. Che è sempre la stessa, ma con strumenti diversi.
    Lui stesso dichiara a Kahnweiler, il grande mercante, che tutto quello che si trova nelle sue poesie si trova anche nei suoi dipinti.
    Infatti, a proposito dei suoi scritti, dichiarava di non voler raccontare delle storie o descrivere delle sensazioni, ma produrle con il suono delle parole; non usate come mezzo di espressione, ma lasciate a parlare da sole, proprio come faceva coi colori.
    Che poi, se ci pensiamo bene, è un po’ la filosofia del Poe poeta, o di Mallarmé. Il suono evocatore di immagini. Accostare dunque immagini che così accostate parrebbero non avere alcun senso è quanto fa nella sua pittura, dove accade lo stesso. Il senso non va cercato in metafore dedotte dal lettore, ma nella lezione dei surrealisti che tende ad annullare ogni distinzione fra immagini, colori e suoni.

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    • Quando Tranströmer scrive versi come questo:
      “Il geroglifico del verso di un cane
      è dipinto nell’aria sopra il giardino”
      sembra interpretare a meraviglia la lezione cubista. Sono d’accordo con te, Francesca, anche qui “Il senso non va cercato in metafore dedotte dal lettore”.

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      • Valerio Gaio Pedini

        io ho detto chiaramente , e ho preso picasso, ma potevo prendere anche un altro pittore poeta che la poesia italiana è debole, deficiente, insipida, istituzionale e priva di immagini.E il paragone va sempre bene, in questo caso, dato che Picasso, pittore sì e pittore no, era originario di Genova. In sostanza la poesia italiana è da prendere e da gettare nella spazzatura, poiché incomunicabile e scialba persino dianzi ad un non poeta.Quindi lo dico, non esiste poesia italiano o iberica e bla bla, per quanto la polpa e la forma possa cambiare, ma poesia universale. Se non riusciamo a metterci in testa questo, si faranno sempre e solo poesie provinciali…e spesso anche comunali e sacrestali!

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        • Gino Rago

          Bravo Antonio Sagredo e bravi tutti per i sagaci, pertinenti commenti.
          Bravissima Francesca, sia per quel passaggio decisivo, a cura della Gertrude Stein del librino “Picasso”, sui differenti egotismi fra pittore e scrittore, sia per quell’indicazione di sentiero da percorrere, necessariamente, in ogni fatto poetico e d’arte, benché non esplicitamente dichiarato: il sentiero della Forma e dell’Evento di C.Diano
          che poi intercetta quello dell’Aura e dell’ hic et nunc di Benjamin, come ineludibili chiavi di lettura d’ogni opera dell’umana creatività.
          Infine, verrà detto da qualcuno, prima o poi, che Alberti e Savinio, Sinisgalli e Montale, e di recente Adonis, hanno adottato il postulato del
          Novecento come secolo anche delle “arti sorelle”…

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        • gabriele fratini

          Ricevo una e-mail dal mio vecchio amico Paolo di Dono detto Uccello, che conobbi a Urbino nel 1467 quando era impegnato nelle decorazioni del Palazzo Ducale e mi chiese un passaggio per Firenze tramite il nostro comune amico, per tutti er Duca, Federico da Montefeltro, per sbrigare alcune faccende personali. Parlammo a lungo durante il tragitto in carrozza, e poi restammo in contatto epistolare. Incollo il messaggio qui sotto:

          “O bischeri, sono molto risentito et anche un po’ indiavolato con tale pintore di recente nomea, detto Picasso che ebbe l’ardire di copiar lo suo maggior successo mi dicono chiamarsi Guernica dalla mia Battaglia di San Romano. E’ un’indecenza! Trattasi d’un grave caso di plagio artistico che meriterebbe di finire in tribunale se non fosse che ormai è caduto ogni diritto. Cosa può venir fora da una penna malsana come la sua? Saluto tutti voi letterati italiani. Paulus D. Uccelli.”

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        • Guarda che Picasso di ligure aveva solo un bisnonno, nemmeno la bisnonna. Un po’ pochino per definirlo “originario di Genova” (ci sarebbe dovuto per lo meno nascere se fosse stato originario) o, se è per questo, italiano. Era e si sentiva profondamente spagnolo, anzi malaguegno

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  12. gabriele fratini

    Stavolta c’hai preso Valerio… era infatti una parodia, ma non dico di chi 🙂

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  13. qualcuno ha un Picasso autentico da prestarmi? Lo rendo… 🙂

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  14. antonio sagredo

    Ciò che scrive Il Gaio Felix più sopra è stata sempre una mi fissazione una paranoia una psicopatia… il rischio è che bisogna dapprima rovistare nella spazzatura ben bene perché magari è stato buttato via un autore valido ma che dava fastidio: e qui stiamo nella norma. Io mi son sempre detto e adesso non lo dico più negli anni passatissimi: “scrivete e continuate a pubblicare tanto dovete passare sotto la mia forca!

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    • Ambra Simeone

      se volessi occuparmi di immagini dipingerei un quadro, se volessi occuparmi di immagini in movimento girerei un film, se volessi occuparmi di note scriverei una canzone, se volessi occuparmi di parole scriverei una poesia, un racconto, un romanzo 🙂

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  15. L'Asino

    Per una volta – come usa fare Valerio – uso anche io un nickname anonimo. Segnalo: 1] un ragazzo di vent’anni che scrive come il mio cuginetto di sette, non merita tutta questa attenzione; 2] sono mere notarelle, con orrori di grammatica e ortografia, che non sarebbero accettate da alcuna rivista seria, nazionale o internazionale (mandi e sperimenti); 3] non ha nessun concetto originale, fatto che è derivato da nessuno sforzo di consultazione di letteratura secondaria o bibliografia (se si scrive di Picasso devi avere letto tutto ciò che è stato scritto su Picasso). Le GIOVANI PROMESSE della cultura italiana, a vent’anni, sono chine sui libri a studiare, o stanno a farsi le ossa, sputando sangue, nelle Università. Invito Valerio a curare forma, contenuti, connessioni dell’oggetto dei sui saggi, se non desidera rimanere una meteora della cultura. Perdonatemi l’anonimato, che desidero mantenere: vorrei fare comprendere a Valerio di smettere di utilizzare l’anonimato come difesa: se sei solo in grado di elaborare commenti anonimi tipici, su forma e contenuti, di una ragazzino di sette anni, metti nome e cognome, in modo che TUTTI ridano di te (cosa che, nessuno di noi, in realtà, desidera).

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    • Valerio Gaio Pedini

      consiglierei all’asino,che pur avendo licenze, asino resta di trottare all’argo, prima che la mia grammatica orrorifica lo stupri.

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      • Valerio Gaio Pedini

        “all’argo” è un orrore volutamente fatto.D’altronde al largo è brutto da vedere e a largo pessimo da sentire. Secondariamente vorrei conoscere il mio anonimato, poiché data la sua nullezza, lo disconosco. Cordiali saluti;
        firmato e controfirmato Cavallo.
        P.S:Gli animali aristocratici poco tollerano la presenza di animali da pellegrini.

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        • L'Asino

          Cavallo, speriamo che tu riesca a trovare urgentemente un Cavalcanti! Le tue grammatica/ortografia ne trarrebbero un nettissimo giovamento.

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          • Valerio Gaio Pedini

            Preferirei usassi un articolo singolare e una congiunzione, così che il suono pur appesantendosi, sarebbe di migliore gusto. Per il resto ti consiglio di scendere in piazza a fare una gara di dizione. Allora si saprà chi dei due non conosce la grammatica.Del resto, se si vuole che io contrassegni i miei errori ortografici ,sono pronto a farlo, poiché non me ne vergogno minimamente.Ma, fino ad ora ,l’unico a ciarlare in anonimato è lei, mentre per giugnere (arcaismo cavalcantesco)al mio nome di battesimo, è necessario semplicemente elidere il Gaio…ed il gioco è fatto.Ma Lei, che si firma come uno dei tanti asini che vagano senza una meta,mi mette in difficoltà, poiché dalla finestra di asini ne vedo molti…e sanno parlare perfettamente.

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  16. Ivan Pozzoni

    Asino (mi riferisco a L’Asino, e non a Valerio), finiscila di infastidire il cavallo di Valerio! Perché Caelos non penetrat oratio, quam canis orat! Però, questi maledetti latini, mi trasformano l’Asino in cane, mhhh. Canis caninam non est mordere pellem. Però, così, un cane muore di fame: si mangia l’Asino? Asinum asellus culpat. L’Asino incolpa l’asinello: sono raddoppiati. Cepisti volucres, alius sed rete tetendit (Uno scuote il cespuglio, l’altro acchiappa l’uccello). Quando scuoti i cespugli, Valerio, è importante, che l’uccello non sia l’uccello dell’Asino. Cum recte vivas, ne cures verba malorum (se vuoi che il tuo retto sopravviva, non ti curare delle maldicenze).

    Mi sagredizzo:

    Diceva Picasso:
    «Fama di loro il mondo esser non lassa;
    misericordia e giustizia li sdegna:
    non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
    Se uno scuote troppo il cespuglio, acchiappa il casso.
    Quindi Valerio non ti arrabbiare: non ragioniam di lor, ma guarda e cassa,
    che dalla pelle dell’Asino ci ricaviamo una grancassa.

    Bovem si nequeas, asinum agas. Se ti manca il bue, usa l’Asino dell’Agam.

    Ab equo ad asinum.

    Te capì, Asèn?!

    «Te sett on asen, e on asen anca ciullaa;
    né mai te cambierete, anca se Omm
    el te fasess pessà per un cavall,
    te imperasset a cor, fa el pass de danza,
    portall in guerra o scarossal sul cors.
    T’ett portaa tanti pes sora la s’cena,
    per nò capì, o tamberla, che in stò mond
    cambiarà forse i mascher, ma mai la scena».

    L’Asino è sistemato. Brutto somaro d’un asino.

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  17. Ivan Pozzoni

    Però, Gaio, come dicevano sempre gli equites a Pompeo nell’antica Roma, sul finire della respublica, quando non c’era WhatsApp e le truppe confondevano, con facilità, i loro imperatores: tu devi imparare ad essere preso per Lucullo. Per non finire come il Cavallo d’Ottobre! Trai insegnamento dagli sfottò e dalle maldicenze: chi si offende, è perduto… Ricorda che con queste massime Cesare divenne un uomo tanto forte da riuscire a entrare nel foro con Gaio Sulpicio. Quindi Gaio, sei stai Sulpicio a qualcuno, impara ad essere preso per Lucullo (nel foro). Adulator propriis commodis tantum suadet. 🙂

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  18. antonio sagredo

    Maschera, succhiami la morte!

    Cremato è colui che si lamenta:
    stilla odio dalla coppa equina.
    Chi si rallegra in una bara di legno
    se alle Grazie né musica, né canto sono dati?
    La mano destra genera fabbri e magie,
    la sinistra l’offesa di Orfei ferrosi.

    Maschera, succhiami la Vita!

    Madonne turchine dal culo asinino
    sposano ratti, pipistrelli…
    ma la moneta di un’ombra è sotto la lingua
    l’ombra di una moneta.
    Lavanda o bara ospita il bianco cipresso.

    Vedi, i becchini affilano le dita,
    come coltelli,
    per vestire il morto!

    Equina è la maschera della memoria.
    Nome… segno… dono…

    È una condanna il cerchio
    tra fiaccole e lamenti:
    ruota della debita esecuzione.

    Cagna, bambolina della Nemesi,
    tra cordate di vino e sangue
    vomiti paglia all’Anno Nuovo:
    prodigio o sentenza sotto la forca.
    Il ritorno festeggi, come Tieste.
    Bevi incubi e artigli, come idromele.
    Rigurgiti fonemi, reclami, acrostici,
    carcasse di finzioni e di visioni,
    voci di bambini e orecchie di veggenti.
    Come ti lamenti – delle ali!
    Come dai banchetti sputi gemiti – di zolfo!

    antonio sagredo

    Roma, 27 ottobre 1990

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    • Ergo o Argo

      Bleeeeaaaaa…. Ha ragione Pedini sulla poesia italiana, e questa qui sopra è una validissima dimostrazione: “In sostanza la poesia italiana è da prendere e da gettare nella spazzatura, poiché incomunicabile e scialba” (VGP).

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  19. Che un giovane di venti anni affermi : “In sostanza la poesia italiana è da prendere e da gettare nella spazzatura, poiché incomunicabile e scialba”, mi sembra un atto di grande coraggio intellettuale, a prescindere se poi il giudizio sia azzeccato o meno.

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    • Buon giorno, gentile Giorgio. Sono tornata dal luogo che sai.
      Non sei un po’ troppo severo anche tu verso la poesia italiana?
      In campagna si dice: “Fare di tutte l’erbe un fascio”. Io farei qualche distinzione e lascerei almeno uno spiraglio di luce per vedere se qualcosa brilli o balugini. La perentorietà della condanna non è coraggio, almeno secondo me. Saluti cari

      Giorgina

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      • Valerio Gaio Pedini

        ho salvato quelli che posso salvare. Ma in sostanza se si legge un’antologia mondadori ci si rende conto di quanto siano sfigati i poeti presentati.Ci sono eccezioni? Sì, eccezioni presentate a margine, a parte Pasolini e pochi altri, oppure non presentati affatto: primo fra tutti Alfredo De Palchi.

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        • “In sostanza la poesia italiana è da prendere e da gettare nella spazzatura, poiché incomunicabile e scialba” (VGP). (ho copiato e incollato da Ergo o Argo). Qui non si salva nessuno.
          GBG

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          • Valerio Gaio Pedini

            nessuno dei poeti noti come grandi nel panorama italiano. E non ci vuole un genio per capire, che mettendo a confronto un Mandel’stam con un Ungaretti, l’Ungaretti, che si considerava il poeta migliore esistente, sembri soltanto un cretino!

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  20. Ergo o Argo

    Bene, ora grazie a Tosi sappiamo da dove viene l’affermazione di Pedini che in questo caso ha il merito di aver “copiato” Carmelo Bene, oppure l’ha imitato?
    Non ci vuole nessun coraggio a fare certe affermazioni, a qualunque età, e se l’affermazione di Pedini fosse stata “originale” avremmo potuto passarci sopra.
    Riformuliamo: In sostanza la poesia italiane è da prendere e da gettare nella spazzatura, tranne quella di Pedini e di Sagredo.
    Questo sì che è un atto di coraggio!!!!

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    • Beh non serve un genio per comprendere che Bene, forse l’ultimo tra gli artisti immensi che abbiano abitato la nostra penisola, possa aver influenzato qualcuno. Ma io non volevo smentire, né denigrare Valerio Pedini, perché anzi mi diverte.

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      • Valerio Gaio Pedini

        e comunque Lucio,se citi qualcuno, controlla almeno che la citazione sia corretta, poiché Carmelo disse:”Mi sono rifiutato di buttare il libro di Raboni nel cestino (trattasi di Canzonette Mortali), poiché persino il cestino si sarebbe schifato”. Raboni non è da buttare, è da incenerire.

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  21. Ivan Pozzoni

    Per Pedini, dunque, è da buttare anche la “poesia” di Linguaglossa. Buono a sapersi. Per me, no: è da mantenere, ad esempio. Per me il coraggio è dire, con nomi e cognomi, cosa si deve buttare e cosa si deve tenere, dopo avere letto, metabolizzato, e compreso tutto (se si afferma che TUTTO debba essere buttato). Mi sorprende che a vent’anni Valerio abbia avuto l’opportunità di leggere TUTTO. Io che mi occupo di cultura da vent’anni (circa), non ne avrei la capacità. La frase sopra mi sa molto di minchioneria ad effetto, atta, come evidenzia involontariamente (senza malizia) Lucio, a divertire, a far divertire. Questa situazione mi fa arrabbiare: rischiamo di dare l’impressione a TUTTI che Valerio sia un buffone da circo, una macchietta, una meteora. E ho la brutta impressione che Valerio si stia, lentamente e progressivamente, adattando a questa etichetta. Spero che non sia così, sinceramente. Non è assolutamente questa la figura di intellette(a)ttuale che mi attendevo da Valerio. Io a Valerio e Mariano (Menna) dedicai dei versi, molto sinceri, e “fraterni”:

    LA TENTAZIONE DI ESISTERE
    (a Mariano Menna e Valerio Pedini)

    La tentazione di esistere della vostra generazione,
    si trasforma, nella mia, in esistenza tentata ad equazione:
    19 + 19 = 38 + x, resta sempre un’incognita,
    nella speranza che invertendo il numero dei fattori
    la fattoria non fallisca, lasciando, in cambio, una generazione attonita
    a contarsi le ferite, ipocondriaca, in balia di accademici e dottori.

    Questo toccherà alla vostra generazione:
    la nuova nobiltà cafona, nata nelle culle d’oro della necrofinanza da córsa,
    risponderà abbassandovi i calzoni e mostrando il sedere
    all’idiota dito medio (art marketing), ubicato, a Milano, fuori dalla sede della borsa,
    e ai milanesi, in fila Caritas, a chieder l’elemosina alla neo-invasione dei tedeschi,
    abituati, ormai, a sostituire il finale della Nona Sinfonia con la marcia di Radetzky.

    Questo toccherà alla vostra generazione:
    i concerti di Ligabue davanti a 50.000 somari in branco,
    Mussolini, almeno, riusciva a far ballare 80.000 idioti alla volta,
    magari sarà stato un indifendibile, discreto, saltimbanco
    dichiarare guerra all’Etiopia coll’esclusivo uso di lubrificatori,
    senza aver l’opportunità di servirsi di chitarre elettriche e amplificatori.

    Questo toccherà alla vostra generazione:
    i nuovi cantautori defilippisiani alla Marco Carta,
    -“Carta canta e (François) Villon dorma” –
    vi condurranno, cojon cojoni, alla scoperta
    di vivere di notizie date in mondovisione,
    schiavi di una verità farneticante fatta d’indecisione.

    Mariano e Valerio, due ventenni in cerca di evasione
    due inammortizzate, mortacci vostri!, vittime della televisione,
    olocausti alla rincorsa della fame di fama, dei vostri cinque minuti di celebrità,
    trascorsi a rilasciare interviste a Paola Perego in tutta automaticità,
    o, tardomoderni arditi, discepoli d’un impresentabile sprezzante «guastatore»,
    in conflitto inimmediabile e mortale col «potere»?

    Questo toccherà alla vostra generazione:
    schierarvi, col coltello tra i denti, oltre il Brillo Box
    o, come Roberto da Crema, vendere batterie d’acciaio inox,
    ahrarara, spacciare Delorazepam in versi che ci faccia ardere
    o vendere appartamenti in centro con servizi in periferia, non ideale per famiglia che non ami correre.

    Valerio deve imparare a non essere “divertente”, con lo studio serio, con la fatica, con umiltà: non deve (metaforicamente) finire a “come Roberto da Crema, vendere batterie d’acciaio inox” o a “o vendere appartamenti in centro con servizi in periferia, non ideale per famiglia che non ami correre”. Spero sinceramente che “In sostanza la poesia italiana è da prendere e da gettare nella spazzatura, poiché incomunicabile e scialba” (VGP) non sia una reale affermazione di Valerio. PercHè è una frase da Roberto da Crema “Gettate nella spazzatura tutte le vostre vecchie pentole, perchè sono inutili. C’è una nuova batteria che, ahrarara, è la batteria del futuro”. Queste due frasi nascondono una situazione di becero consumismo artistico ed economico. Ciò contro cui mi batto. Non ci scherzerei molto su.

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    • Valerio Gaio Pedini

      ho detto quello che penso. E pregherei la gente di leggere tra le righe. Non mi risulta che Giorgio e De Palchi vengano presentati come poeti italiani.Non voglio fa ridere alcuno, siete voi che ridete, quando dovreste piangere per la cultura che state facendo inabissare nel pattume delle vostre risate. Se non siete abbastanza intelligenti per riuscire ad interpretare una frase, forse è meglio che vi diate all’ortocoltura. Detto questo, ridete. Carmelo Bene quando diceva che il teatro italiano era una merda era serissimo.Linguaglossa non fa un tipo di poesia accettabile dalla poesia becera italiana,né Sagredo, né altri. Quindi saluti. Se si pensa che io faccia il buffone (che comunque è meglio che esserci nati), vi consiglio di leggervi attentamente, poiché non sapete quante castronerie scrivete.

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      • “Se non siete abbastanza intelligenti per riuscire ad interpretare una frase, forse è meglio che vi diate all’ortocoltura.”
        Attento a quello che scrivi!
        GBG

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      • Ivan Pozzoni

        Valerio, tu non sei Carmelo Bene. Carmelo Bene aveva una cultura finissima. Tu hai vent’anni: dovrai concretizzare una cultura finissima, con studi matti e disperatissimi, accademici, regolari. Perché – a mia opinione- è semplice criticare l’Accademia senza essere un accademico o avere una cultura degna dell’Accademia. L’affetto che sento nei tuoi confronti (molto) non mi esime dal respingere, in toto, l’inadeguatezza dei tuoi saggi, consigliandoti di migliorare (migliorare del 210%). Poi – come ti scrivevo su facebook- sei libero o meno di accettare i miei consigli (da amico). Io, tendenzialmente, non sono molto adatto a dare consigli, lo faccio con chi mi interessa e, se vedo che non sono seguiti, mi scazzo e smetto. Qui, tanto, hai un sacco di gente che ti consiglia al meglio. un abbraccio Ivan

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    • Caro Ivan, a me diverte di più l’analisi ( quando mi riesce). Carmelo Bene portava prima la dialettica nel suo recinto, poi se non te ne accorgevi subito eri perduto. Il fatto è che quello di volersi perdere è un desiderio sempre latente, anche a noi stessi. Prudenza.

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  22. Credo che Valerio Pedini nel suo giudizio sulla poesia italiana si riferisse alla poesia italiana maggioritaria del secondo Novecento e non a tutta la poesia italiana. In particolare, il giudizio negativo sulla poesia di Raboni è circoscritto al libro “Versi guerrieri e amorosi” (1990), che effettivamente è una raccolta minore del poeta lombardo il quale aveva dato il meglio di sè ne “Le case della Vetra” (1966) e darà la sua prova più matura in “Ogni terzo pensiero” (1993).
    Anche io penso che la raccolta “Versi guerrieri e amorosi” è un’opera di transizione, una sorta di intermezzo dove l’autore milanese impiega gli artifizi retorici che possiede per fare una poesia di genere erotico. Detto questo, si deve anche riconoscere che si tratta sicuramente di un libro minore nell’ambito della sua produzione. E questo sia detto non per sminuire il valore della poesia di Giovanni Raboni in toto, quanto per rendere onore alla sua poesia maggiore.
    Quanto poi all’esistenza di una poesia «non visibile» (di cui io mi sono occupato durante la mia ultradecennale attività critica) del secondo Novecento, beh credo che sia un fatto del tutto scontato, possiamo solo discettare sulla dimensione del fenomeno ma non sulla sua esistenza. E nessun poeta o critico serio non può non prendere atto di questa situazione che è macroscopica.
    E visto che siamo nel bel mezzo di una disputa nominalistica sulla poesia italiana, mi piacerebbe conoscere il parere critico dei lettori del blog sulla poesia di Giampiero Neri che abbiamo postato stamane.

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  23. SiriaComite

    Valerio Gaio Pedini è stato assolutamente oggettivo. La lingua italiana non è interpretabile. Uno scritto deve essere il più chiaro ed il più oggettivo possibile e conoscendo bene Gaio lui è assolutamente scientifico ed oggettivo. “La poesia italiana” si riferisce chiaramente alla poesia italiana più nota e non a tutti i poeti. Non ha citato in modo esplicito le grandi eccezioni perché non basterebbe un articolo. Parlare di “eccezioni di pregio” basta per la chiarezza di tutti. Inoltre ha criticato la poesia di pascoli, I suoi epigoni ed Ungaretti; quindi non vedo perché prenderla sul personale. Inoltre condivido con lui. Se l’arte visiva nota oggi é puro marketing minimalista, è ovvio che ci sia una corrispondenza totale anche nella poesia e nella letteratura. Chi è davvero valido in Italia, dal populino non è conosciuto. I fraintendimenti non sono giustificabili nell’oggettività ed evidentemente ci sono altre motivazioni che causano questo astio e che è inutile esplorare. Comunque indipendentemente dalle vostre idee, l’oggettività può essere discussa solo con altra oggettività.

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  24. Ivan Pozzoni

    Mi ricordo che una volta, l’amico Flavio (Almerighi) in un attacco di polemica, ci invitò tutti (noi ragazzi, anche se io ho 39 anni), ad andare a “lavorare”. Io dico: ragazzi, ventenni: studiate, studiate, studiate. Senza studi matti e disperatissimi, i vostri “giudizi” resteranno chiacchiere da bar. Poi fate come cavolo volete, ché a me si son già rotti i maroni, nell’essermi calato nel ruolo di “buon padre di famiglia”. Ciascuno faccia harakiri come meglio crede: io stesso, tra l’altro, lo sto facendo come meglio credo. Però a 40 anni. un abbraccio a tutti

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  25. Guglielmo Peralta

    In Picasso “poeta” ci saranno pure immagini, ma non c’è poesia! Inoltre, non è vero che in Ungaretti non ci sono immagini e metafore. Un esempio è nella poesia “Natale”: un “gomitolo di strade”, “come una cosa posata in un angolo”, “con le quattro capriole di fumo”. Altro esempio: “Col mare mi sono fatto una bara di freschezza” (Universo). Altro ancora: “Si sta come in autunno sugli alberi le foglie” (Soldati).

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  26. Pingback: Pablo Picasso: la ferita dell’immagine - ClanDestino - Rivista

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